“LA SPIRITUALITA’ DI SAN PAOLO” – Don Enrico Ghezzi

Posted on Febbraio 25th, 2009 di Angelo | paolo-di-tarso

CICLO DI CATECHESI SULLA LETTERA AI ROMANI

I PARTE:INTRODUZIONI E PRIMI TRE CAPITOLI

“La spiritualità di Paolo”.


ghezzi enrico-teresa di lisieuDi Don Enrico Ghezzi

attuale Rettore della chiesa di Santa Maria dell’Orto a Roma. Noto biblista, è  uno dei massimi esperti  del vangelo di Giovanni.


L’anno paolino è una straordinaria occasione, offertaci dal Papa, per riscoprire l’apostolo delle genti e percorrere con lui il nostro cammino. Come noi, Paolo non ha conosciuto il Gesù della storia, ma lo ha creduto risorto, si può dire che ha dato alla storia il suo vero senso.

La fede nella resurrezione, l’amore di Dio, la giustificazione dalla fede in Cristo sono solo alcuni dei temi che ci accompagnano in questi testi relativi alla prima parte del ciclo di catechesi sulla Lettera ai romani (si concluderà alla fine del 2009).

L’anno paolino avrà effetti su ognuno di noi se, per intercessione di Paolo, avremo fatto esperienza della Grazia e del perdono del Signore e se avremo approfondito la conoscenza dell’epistolario paolino, fonte indispensabile per chi vuole vivere in profondità la propria adesione a Cristo.

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S.Maria dell’Orto, situata in via Anicia, deve il suo nome all’immagine della Vergine che vi si venera e che anticamente si trovava sul portale di un orto situato nelle vicinanze. La leggenda narra che intorno al 1488 un uomo affetto da un male incurabile avesse fatto voto ad un’immagine della Madonna con Bambino dipinta su un muro che se fosse guarito avrebbe tenuto una lampada sempre accesa dinanzi alla Madonna.

santa-maria-dellorto-roma-madonna_abside1L’uomo guarì e, oltre a mantenere la promessa fatta, fece erigere anche una piccola cappella grazie all’aiuto economico di una Confraternita di corporazioni da lui stesso fondata. La chiesa venne edificata all’inizio del XVI secolo, sotto il pontificato di Alessandro VI, proprio grazie ai fondi che la Confraternita continuò ad elargire. Inizialmente disegnata da Michelangelo, la chiesa fu costruita a più riprese, visto che vi parteciparono anche Giulio Romano, Guido Guidetti e il Vignola, che progettò anche la facciata portata a termine poi da Francesco da Volterra e da Martino Longhi il Giovane.

La facciata, a due ordini spartiti da paraste e con portale ad arco fra due colonne, è ornata da una fila di piccoli obelischi con la croce e da un orologio settecentesco. L’iscrizione, che corre lungo la trabeazione, così recita: AEDICULAM DIRUPT VIRG DEIPAR HORTENSISQUE IN HANC AEDEM MUTARUNT SOCII DEDICAR HOSPITIO AUXER AD EGENOS ALEN SUO SUMPTU ET RELIG, ossia “La cappella rovinata della Vergine madre di Dio e dell’Orto i confratelli trasformarono in questa chiesa, la dedicarono, vi aggiunsero un ospizio per nutrire i poveri a proprie spese e con devozione”.

La chiesa serviva da cappella all’ospedale (non più esistente) che le sopra menzionate Confraternite o corporazioni dei pizzicaroli, vignaroli, fruttaroli, vaccari e pollaroli (così sono ancora chiamate a Roma queste attività) avevano eretto per i propri iscritti. L’interno a tre navate con cappelle laterali custodisce un pavimento policromo settecentesco, l’altare maggiore di Giacomo Della Porta e varie opere d’arte come l’Assunzione di Maria del Calandrucci, il Battesimo di Gesù di Corrado Giacquinto e l’Annunciazione di Taddeo Zuccari. L’attiguo Oratorio della chiesa sorge sul luogo dove si trovava l’ospedale, interessante non solo per il soffitto cinquecentesco in legno ma anche per gli emblemi e stendardi delle varie Università che custodisce in un piccolo museo.

17 novembre 2008

Monica Romano

Sono molto contenta e anche emozionata di introdurre Don Enrico Ghezzi, che è stato per 17 anni il parroco di San Vigilio, la mia parrocchia territoriale. Da circa un mese è stato assegnato alla Rettoria di Santa Maria dell’Orto, una bellissima chiesa che si trova a Trastevere.

Don Francesco

La Rettoria è chiusa da 150 anni e, secondo me, è uno degli esempi più belli del barocco romano.

Don Enrico

La chiesa è bellissima e tutti i turisti che vanno a visitare Santa Cecilia entrano anche a Santa Maria dell’Orto, che è chiusa da oltre 150 anni. Si tratta di un vero gioiello: il miglior barocco. La chiesa è straordinaria anche dal punto di vista sociologico: è stata fatta da tutti i pizzicaroli, i fruttaroli, i pollaroli, i verniciai.

Facciamo, innanzitutto, una breve sintesi della vita di Paolo. I testi che useremo sono quelli degli Atti degli Apostoli. San Paolo è stato descritto soprattutto da San Luca, nel terzo Vangelo che continua con gli Atti degli Apostoli. Gli Atti descrivono la vita delle prime comunità cristiane, quindi troviamo notizie di Paolo soprattutto nella seconda parte degli Atti. Bisogna poi aggiungere i testi autobiografici, ossia alcune lettere, in particolare quella ai Galati – dove racconta della sua conversione – alcune parti di quella ai Filippesi e di quella ai Romani e infine una parte della Lettera ai Corinzi.

Paolo si chiamava Saulo di Tarso. Tarso si trovava in Asia Minore, che oggi corrisponde a parte della Grecia e della Turchia. Qui si trovano paesi di grande tradizione cristiana, poi diventati a prevalente a presenza di musulmani. Questo cambiamento è dovuto principalmente al fatto che anche in quei secoli esisteva una grandissima divisione, tanto è vero che sono nate la chiesa ortodossa e la chiesa latina. I primi secoli della storia della chiesa sono stati terrificanti: ariani, antiariani, vescovi divisi fra di loro, i grandi Concili di Nicea e Costantinopoli. La grande funzione svolta dalla chiesa latina è stata quella di aver dato un senso di unità.

Dobbiamo partire dalla giovinezza di Saulo, che in seguito sarà chiamato Paolo, probabilmente perché Tarso era una città di grande influenza romana e la famiglia di Paolo – giudei della diaspora usciti dalla Palestina – lavorava anche per i romani. Paolo nacque a Tarso, in Cilicia, tra l’8 e il 10 d.C. da giudei molto osservanti, della tribù di Beniamino. Fu mandato giovanissimo a Gerusalemme, presso il maestro Gamaliele, per studiare la Torah – la Legge – e la scrittura dell’Antico Testamento.

Paolo compare per la prima volta in At 7, 58

Lo trascinarono fuori della città e presero a lapidarlo (Stefano) e i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane chiamato Saulo.

Paolo, quindi, assistette a questa violentissima uccisione. In realtà gli ebrei non avevano il potere di uccidere: dove arrivavano i romani solo Roma poteva attribuire lo ius necandi. In questo caso, quindi, si trattò di una insurrezione improvvisa contro Stefano, che le autorità non riuscirono a sedare, così come accadrà nel 42 con Giacomo.

At 8, 1-4 (anche in At 1, 21)

Saulo era tra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli Apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria. Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Saulo intanto infuriava contro la chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione. Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.

In un passo della lettera ai Galati (Ga. 1, 11-17) Paolo spiega come fosse, un tempo, uno zelante persecutore.

Vi dichiaro dunque fratelli che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la chiesa di Dio e la devastassi superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.  Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre….

Luca racconta i famosi tre viaggi di Paolo, tutti compiuti nell’area del Mediterraneo anche se  Paolo poi arriverà fino in Macedonia. Il primo di questi viaggio – Cipro e Pamphilia – avvenne nel 44-48; il secondo viaggio – Filippi, Tessalonica, Atene – nel 50-52 e il terzo – da Malta a Roma – nel periodo tra il 53 e il 58. Nel 58 fu arrestato a Gerusalemme (At 21, 27), tenuto prigioniero a Cesarea di Palestina fino al 60 e poi mandato a Roma per essere processato. Il viaggio verso Roma fu disastroso: ci fu una sosta di parecchi mesi a Malta, poi riuscì ad arrivare a Siracusa, raggiunse Napoli e infine Roma. Rimase prigioniero per due anni al Carcere Mamertino. Lì poteva predicare anche se era in catene: a Roma, infatti, esisteva già una comunità cristiana. La sua morte risale al 63-64. Secondo la tradizione, processato e liberato, riuscì a tornare in Oriente, secondo alcuni, invece, riuscì ad arrivare in Spagna. In ogni caso tornò a Roma verso il 67-68 e nel 68 fu martirizzato, nella zona in cui si trova la basilica delle Tre Fontane: si dice che dopo la decapitazione la testa avrebbe fatto tre salti da cui sarebbero sgorgate le tre fontane.

La formazione giovanile di Paolo si compì a Gerusalemme, nella scuola di Gamaliele.

Gal 1, 11

Vi dichiaro dunque, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.

Quelli furono gli anni più intensi: studiò i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e soprattutto la Torah, la Legge. La legge ha una grande importanza nella religione ebraica perché è Dio e gli ebrei sono il popolo della Legge. Studiando la Legge l’anima zelante del giovane Saulo si riempì della rivelazione di Dio del Primo Testamento. Paolo sentì l’interesse divino e la difesa della tradizione biblica, sentì scendere dentro di sé la parola di Dio: Dio è presente nella misura in cui si accetta e si vive la Legge.

Anche nello zelo esagerato della sua giovane anima, nutrita da un grande intelletto, Paolo attinge alla parola di Dio, quindi anche all’inizio della sua fede c’è l’azione di Dio: approfondisce la parola di Dio e la sente dentro di sé, cuore del suo cuore, anima della sua anima.

Qui occorre fare una prima riflessione: anche la nostra storia di fede non può esistere senza una forte esperienza della Parola. Noi cristiani siamo fragili e deboli proprio perché non abbiamo quasi mai fatto un’esperienza della Parola. La Bibbia è una forza dinamica e potente che rende possibile in noi l’azione di Dio, rivela il disegno. Paolo ha capito proprio questo, quello che fondamentalmente manca alla nostra tradizione. Noi, infatti, siamo più attaccati alla tradizione dei sacramenti e conosciamo poco la Parola, che invece è l’anima.

L’abbandono dello zelo persecutorio verso i cristiani avvenne attraverso l’intervento di Dio, di quella che comunemente chiamiamo “conversione di San Paolo”. Potremmo dire, in realtà, che si trattò di una seconda chiamata di Paolo. Gesù cambiò la sua vita.

At 22, 6-11

Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco. Verso mezzogiorno all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me. Caddi a terra e sentii una voce che mi diceva “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” Risposi “Chi sei o Signore?” Mi disse “Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. Io dissi allora “Che devo fare Signore?” E il Signore mi disse “Alzati e prosegui verso Damasco e là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.” E poiché non ci vedevo più a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.

At 9, 17-21

Allora Anania andò, entrò nella casa (il sacerdote Anania era stato preavvisato che questo grande persecutore avrebbe probabilmente cambiato la sua vita) gli impose le mani e disse “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Fu subito battezzato.

Dunque, una luce lo folgorò e lo rese cieco, poi ricevette il dono dello Spirito Santo e il battesimo. Così si diventava cristiani nelle prime comunità: si ascoltava a lungo la Parola, si veniva illuminati dallo Spirito, si riceveva il battesimo e si entrava a far parte della comunità.

Dopo il battesimo in Paolo nacque una nuova vocazione: proclamare che Gesù è Figlio di Dio, dimostrando che Gesù è il Cristo (versetti 19 e 22).

Gal 1, 11-12

Vi dichiaro dunque fratelli che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini ma per rivelazione di Gesù Cristo.

Paolo fu dunque chiamato ad annunciare il Vangelo per privilegio, per rivelazione di Gesù Cristo. Da quel momento in avanti la sua missione sarà quella di annunciare Gesù Cristo.  Utilizzando le espressioni presenti in Isaia 49, 11 e in Geremia 1, 5 – fin dal seno materno Dio mi ha chiamato – in Gal 1, 15-17 Paolo dice

Ma quando Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.

La parola apostolo poteva essere usata solo da quelli che avevano conosciuto Gesù, che avevano visto la sua morte e avevano potuto constatare la sua risurrezione. Anche Paolo, tuttavia, si definisce un apostolo, perché aveva incontrato Cristo, che lo aveva reso apostolo, non dei giudei, ma dei pagani. Per Paolo non era più la Legge ha salvare, ma la fede in Gesù Cristo.

Gal 2, 15-16

Noi che per nascita siamo giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo.

Era vissuto per la Legge e poi ad un certo momento capisce che la Legge non salva e che solo la fede in Gesù Cristo può salvarci. Questo ci porta ad un’altra riflessione: alla radice della nostra fede c’è una chiamata. Questo è proprio il grande problema dei cristiani di oggi: nessuno di noi si è convertito, ci siamo trovati ad esserlo per devozione e per tradizione. Non ci siamo mai sentiti chiamati: ci siamo trovati cristiani senza saperlo.

La conversione di Paolo dall’Antico Testamento a Cristo è avvenuta perché Paolo si è sentito scelto perché amato.

Gal 1, 15

Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me…

La scelta dei verbi in questo passo è interessante: mi scelse, mi chiamò, si compiacque. E la cosa più bella: fin dal seno materno. Paolo dice che si è sentito amato gratuitamente e questo è fondamentale: spesso non trasmettiamo una fede in cui diciamo Dio ti ama, ma una fede che è piena di leggi, di regole. Anche San Giovanni dice Gesù avendo amato i suoi li amò sino alla fine. E’ proprio per la scoperta dell’amore di Dio in Cristo che Paolo decise di dedicare tutta la sua vita ai i pagani: l’amore è per tutti.

Rm 1, 1

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro Signore, a quanti sono in Roma diletti da Dio…

Rm 5, 5

La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Rm 8, 37

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Alla radice della sua predicazione, quindi, sta proprio l’amore di Dio, riversato nei nostri cuori e la consapevolezza che non esiste sofferenza che ci potrà separare dall’amore di Cristo.

La vera esperienza di Dio sulla terra, che ha portato Gesù e ha riempito il cuore di Giovanni, degli apostoli e di Paolo, è un’esperienza di amore. Perché Dio è amore. Se c’è una definizione di Dio che noi cristiani dobbiamo portare nei nostri cuori è proprio che Dio è amore.

Vorrei ora descrivere la personalità di Paolo. Paolo è un cuore ardente, brucia di amore per Cristo e per i suoi fedeli, pagani, non circoncisi. All’epoca si riteneva che per diventare cristiani fosse necessario prima diventare ebreo e, quindi, sottoporsi alla circoncisione. Paolo, invece, disse che chi si converte a Cristo non ha più bisogno di circoncidersi, perché è in Cristo. La Legge era necessaria quando il Figlio di Dio non era ancora rivelato, ma una volta che Gesù è venuto e si è rivelato, la salvezza è in Cristo, non nella Legge.

Per questa ragione fu costretto a scappare: quando diceva che Gesù Cristo è il Figlio di Dio che ci ha amato, i giudei e i giudei-cristiani impazzivano perché non ritenevano possibile che un uomo potesse essere Figlio di Dio.

Nella Bibbia di Gerusalemme Paolo viene descritto come un appassionato, un’anima di fuoco. Per lui Dio è tutto e lo serve predicando il Cristo, avendo compreso che solo da Lui viene la salvezza.

I Cor 4, 11

Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

L’amore che Cristo ha infuso in Paolo doveva essere annunciato, perché questo è il disegno di Dio in Gesù Cristo: salvare non solo gli ebrei, ma l’umanità intera. E questo è il messaggio che vale anche oggi. L’anno paolino è stato indetto proprio per richiamare questi grandi valori.

II Cor 4, 5

Noi infatti non predichiamo noi stessi ma Cristo Gesù Signore. Quanto a noi siamo i vostri servitori per amore di Gesù. E Dio che disse “rifulga la luce dalle tenebre rifulse nei nostri cuori”.

E’ molto bella la difesa che Paolo fa contro quei cristiani che volevano demolire la sua opera, che lo accusavano perché parlava ai pagani non ebrei, perché annunciava a tutti che la novità è Cristo e che in Cristo è salvato il mondo.

II Cor 11, 11-32

Questo forse perché non vi amo?

Paolo veniva considerato meno apostolo degli altri, perché non era vissuto con Gesù, non lo aveva conosciuto. Per questo veniva screditato e accusato di fare una sua predicazione e non quella di Gesù Cristo.

Lo sa Dio, lo faccio invece e lo farò ancora per troncare ogni pretesto a quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello di cui si vantano. Questi tali sono falsi apostoli.

Questi falsi apostoli demolivano tutta la sua opera: lui passava, creava comunità cristiane e quando si allontanava distruggevano la sua opera, affermando la necessità di ricevere la circoncisione e di essere sotto la legge.

Operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia perché anche satana si maschera da angelo di luce.

Non è però gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia, ma la loro fine sarà secondo le loro opere.  Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o sennò ritenetemi pure come un pazzo perché possa anch’io vantarmi un poco.  Quello che dico però non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto nella fiducia che ho di potermi vantare, dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano mi adatterò anch’io.  Infatti voi che pur siete saggi sopportate facilmente gli stolti, in realtà sopportate chi vi riduce in servitù.

Paolo li prendeva anche in giro e diceva: vi credete tanto sapienti ma credete ai nuovi maestri che sembrano saggi e in realtà non lo sono.

Chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia, lo dico con vergogna, come siamo stati deboli, però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch’io. Sono ebrei? Anch’io. Sono israeliti? Anch’io. Sono stirpe di Abramo? Anch’io.

Paolo vantava la sua identità ebraica e si domandava come degli ebrei potessero distruggerlo.

Sono ministri di Cristo? Sto per dire un pazzia: io lo sono più di loro, molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai giudei ho ricevuto i trentanove colpi, tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio.

Ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde, viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericolo dalla città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da falsi fratelli, fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità e oltre a tutto questo il mio assillo quotidiano la preoccupazione per tutte le Chiese.

Chi è debole che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che io non ne trema? Se è necessario vantarsi mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza, Dio è padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli sa che non mentisco. A Damasco il Governatore del re Areta montava la guardia alla città.

Il riferimento al governatore Areta è molto importante, perché Caligola lo aveva riconfermato nel 39, mentre l’Imperatore Claudio lo aveva allontanato a seguito di disordini capitati a Damasco. La data del 39 è fondamentale per tutta la vita di Paolo: è l’unica data sicura che abbiamo, per dare una dimensione anche storica ai suoi viaggi.

L’ardore  di Paolo viene espresso sempre con parole di estrema tenerezza.

Fil 1, 7-8

E’ giusto del resto che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa, sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del Vangelo.

Gal 4, 19

Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore finchè non sia formato Cristo in voi.

Ai cristiani di Corinto che ascoltano altri missionari Paolo addirittura dice (II Cor 11, 2) che soffre per loro quasi una gelosia divina. Nell’ultima lettera rimanda a Filemone lo schiavo Onesimo, con parole dolcissime.

Filemone 8, 11

Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare, preferisco pregarti in nome della carità, così qual’io sono, Paolo, vecchio e ora anche prigioniero per Cristo Gesù. Ti prego dunque per il mio figlio che ho generato in catene, Onesimo.

Mentre era in catene Onesimo viene convertito da Paolo.

Quello che un giorno ti fu inutile ma ora è utile a te e a me. Te l’ho rimandato, lui, il mio cuore.

Straordinarie queste espressioni, questa tenerezza di Paolo. Anche nella parte finale della lettera ai Romani mostra una tenerezza infinita verso tutti quelli che lo avevano aiutato.

Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno, anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. Salutate Prisca e Aquila

Prisca e Aquila furono i fondatori delle prime comunità cristiane e aiutarono moltissimo Paolo.

miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.  Salutate il mio caro Epeneto primizia dell’Asia per Cristo. Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me. Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristobulo.Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che sono nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa che hanno lavorato per il Signore.  Salutate la carissima Perside che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia. Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patrona, Erma e i fratelli che sono con loro. Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro. Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo.

Esiste un vocabolario dove vengono ricordati i termini più appassionanti per Paolo: cardia (cuore) è usato 52 volte (su un totale, nel Nuovo Testamento di 152); splancna (viscere) 8 volte (su un totale di 11); amare 33 volte (su 133); agape (amore) 75 volte (su 141) gioire 29 volte (su 74); gioia 21 volte (su 59); ringraziare 24 volte (su 38); epifotein (desiderare) 7 volte (su 9); mitezza 8 volte (su 11).

Paolo ha fondato tutta la sua vita su Cristo e la sua risurrezione.

I Cor 15, 1

Vi rendo noto fratelli il Vangelo che vi ho annunziato – quindi quello dei sinottici, degli apostoli, l’euanghelion (il buon annuncio) – e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale anche ricevete la salvezza se lo mantenete in quella forma in cui ve lo ho annunziato altrimenti avreste creduto invano. Vi ho trasmesso dunque anzitutto quello che anch’io ho ricevuto, che cioè Cristo perì secondo i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai 12. In seguito apparve a più di 500 fratelli in una sola volta, la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli, ultimi fra tutti apparve anche a me come a un aborto.  Io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana, anzi  ho faticato più di tutti loro, non io però ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto sia io che loro così predichiamo e così avete creduto.

(versetto 42) Così anche la risurrezione dei morti, si semina corruttibile e risorge incorruttibile, si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza, si semina a corpo animale risorge un corpo spirituale.

Paolo, in sostanza, dice ciò che sta alla base di tutto il suo lavoro è che Cristo è risorto. Tutti si chiedono se risorgeremo così come siamo o si verificherà una nuova creazione. Il teologo Ratzinger nell’Introduzione al Cristianesimo dice che non dobbiamo chiederci con quali cellule risorgeremo o se saremo una nuova creazione, perché abbiamo la certezza che siccome Cristo è risorto anche noi risorgeremo. E la nostra speranza è che non solo risorgeremo ma parteciperemo della stessa gloria. Questo Paolo lo dice continuamente (così come Giovanni): non solo risorgeremo in Cristo ma avremo la stessa gloria.

Rm 8, 28-30

Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli. Quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

Rm 8, 19-26

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio.  Essa infatti è stata sottomessa alla caducità, non per suo volere ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto. Essa non è la sola ma anche noi che possediamo le primizie dello spirito gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli.

Tutto il mondo avrà una nuova creazione, perché Cristo ha in sé la nuova creazione e noi parteciperemo della sua nuova gloria.

La redenzione del nostro corpo poichè nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza, infatti ciò che uno vede come potrebbe ancora sperarlo?

Rm 6, 1-11

Che diremo dunque: continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? E’ assurdo.  Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella sua morte?

Quindi morire con Cristo per risorgere con Cristo.

Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.  Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato.  Infatti chi è morto è ormai libero dal peccato ma se siamo morti con Cristo crediamo che anche vivremo con lui sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più.  La morte non ha più potere su di lui.

La sintesi di tutta la grandezza di Paolo è in Fil 1, 21

Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto non so davvero che cosa debba scegliere.

Paolo è disposto a morire, ma se ancora deve vivere, è disposto a farlo

Sono messo alle strette infatti fra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo,  il che sarebbe assai meglio, d’altra parte è necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio sono convinto che resterò e continuerò ad essere d’aiuto a voi tutti per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo con la mia nuova venuta tra voi.

Questo è proprio il cammino di questo uomo, appassionato della Parola di Dio nella sua prima giovinezza, illuminato dalla riscoperta di Gesù Cristo morto e risorto, che nella sua vita ha un unico scopo: far conoscere al mondo che Dio è bellezza e che Dio è amore.

Don Francesco

Sono contento che siamo arrivati al punto centrale: la vita e la morte. Tutti noi abbiamo provato grandi distacchi e tutti noi siamo in attesa della risurrezione e penso che senza questi testi non possiamo farcela. La sua esperienza di fede a che punto è arrivata sul suo rapporto con la morte?

Don Enrico

Io cerco di pensare che arrivato alla mia età (settant’anni) quello che dovevo fare l’ho fatto. Quando penso all’incontro che farò penso sempre alla I lettera di Giovanni: perché vedremo Dio così come egli è, finalmente vedremo il volto di Dio. Giovanni dice che noi siamo già figli di Dio, ma non lo sappiamo quello che saremo, perché vedremo Dio così come egli è. Giovanni dice Dio nessuno l’ha visto. Il mio desiderio è di arrivare a vedere Dio così come egli è. Certo occorre la dolcezza, la profondità, la passione che aveva Paolo, che aveva Giovanni, che avevano tanti uomini e tante donne che hanno avuto una fede semplice ma profonda.

Monica Romano

Paolo si è trovato in contrasto con i Giudei e anche con i giudei-cristiani. Lei vede anche nella chiesa di oggi una simile situazione?

Don Enrico

Vedo una certa diminuzione della passione per Gesù Cristo. I vari gruppi che si sono formati in questi ultimi periodi secondo me corrono il rischio di rappresentare più il loro fondatore che Gesù Cristo. Esiste un forte personalismo e noto che ci sono delle affermazioni nello stesso tempo molto dogmatiche e molto moralistiche che non tengono invece conto di questa passione per Gesù Cristo.

Quando si perde questo incontro profondo con Gesù si creano degli equivoci. Anche nella Chiesa abbiamo elementi profondamente disgreganti: ognuno la pensa come vuole e la cosa che più mi amareggia è vedere oggi, anche nei ragazzi, l’assoluta ignoranza di Cristo. Gesù non è conosciuto. Secondo me oggi la Chiesa dovrebbe spogliarsi di tanti fronzoli ed arrivare a Gesù, come ha fatto Paolo.

Intervento

La perdita di Cristo ci ha fatto perdere anche l’amore per il prossimo: non c’è più amore in questa umanità.

Don Enrico

Certo, c’è una grande difficoltà ad amare se non c’è una motivazione alta per amare, che è poi quella che c’è nell’Antico Testamento – amerai il prossimo tuo come te stesso – e in Paolo: per me vivere è Cristo. Noi non dobbiamo avere una società individualizzata, così chiusa, così egoistica, ma è vero che nei tempi difficili che stiamo vivendo oggi riscoprire l’amore di Dio e del prossimo è più difficile.

Intervento

E’ un messaggio sconvolgente nella sua semplicità: l’amore di Dio è gratuito, Dio non esclude nessuno. E’ semmai l’uomo che si autoesclude dall’amore di Dio.

Don Enrico

C’è un filosofo, credo di origine ebraica, che parlando dell’Antico Testamento e dell’immagine di Dio, dice che la civiltà moderna ha sostituito Dio con la tecnica. Questo è il nostro grande problema, perché la tecnica non ci salva. La difficoltà che oggi incontra il cristianesimo è proprio la perdita del senso di Dio. Questo accade perché l’uomo moderno non sente più il bisogno di essere salvato. Abbiamo perso il senso della rivelazione, che è il senso dell’amore, della comunione, di questa auto rivelazione che Dio fa dall’Antico Testamento in Gesù Cristo, di questa auto rivelazione che ci viene incontro e che ci salva.

“La spiritualità di Paolo”.

di don Enrico Ghezzi, attuale Rettore della chiesa di Santa Maria dell’Orto a Roma. Noto biblista, è  uno dei massimi esperti  del vangelo di Giovanni.

L’anno paolino è una straordinaria occasione, offertaci dal Papa, per riscoprire l’apostolo delle genti e percorrere con lui il nostro cammino. Come noi, Paolo non ha conosciuto il Gesù della storia, ma lo ha creduto risorto, si può dire che ha dato alla storia il suo vero senso.

La fede nella resurrezione, l’amore di Dio, la giustificazione dalla fede in Cristo sono solo alcuni dei temi che ci accompagnano in questi testi relativi alla prima parte del ciclo di catechesi sulla Lettera ai romani (si concluderà alla fine del 2009).

L’anno paolino avrà effetti su ognuno di noi se, per intercessione di Paolo, avremo fatto esperienza della Grazia e del perdono del Signore e se avremo approfondito la conoscenza dell’epistolario paolino, fonte indispensabile per chi vuole vivere in profondità la propria adesione a Cristo.

17 novembre 2008

Monica Romano

Sono molto contenta e anche emozionata di introdurre Don Enrico Ghezzi, che è stato per 17 anni il parroco di San Vigilio, la mia parrocchia territoriale. Da circa un mese è stato assegnato alla Rettoria di Santa Maria dell’Orto, una bellissima chiesa che si trova a Trastevere.

Don Francesco

La Rettoria è chiusa da 150 anni e, secondo me, è uno degli esempi più belli del barocco romano.

Don Enrico

La chiesa è bellissima e tutti i turisti che vanno a visitare Santa Cecilia entrano anche a Santa Maria dell’Orto, che è chiusa da oltre 150 anni. Si tratta di un vero gioiello: il miglior barocco. La chiesa è straordinaria anche dal punto di vista sociologico: è stata fatta da tutti i pizzicaroli, i fruttaroli, i pollaroli, i verniciai.

Facciamo, innanzitutto, una breve sintesi della vita di Paolo. I testi che useremo sono quelli degli Atti degli Apostoli. San Paolo è stato descritto soprattutto da San Luca, nel terzo Vangelo che continua con gli Atti degli Apostoli. Gli Atti descrivono la vita delle prime comunità cristiane, quindi troviamo notizie di Paolo soprattutto nella seconda parte degli Atti. Bisogna poi aggiungere i testi autobiografici, ossia alcune lettere, in particolare quella ai Galati – dove racconta della sua conversione – alcune parti di quella ai Filippesi e di quella ai Romani e infine una parte della Lettera ai Corinzi.

Paolo si chiamava Saulo di Tarso. Tarso si trovava in Asia Minore, che oggi corrisponde a parte della Grecia e della Turchia. Qui si trovano paesi di grande tradizione cristiana, poi diventati a prevalente a presenza di musulmani. Questo cambiamento è dovuto principalmente al fatto che anche in quei secoli esisteva una grandissima divisione, tanto è vero che sono nate la chiesa ortodossa e la chiesa latina. I primi secoli della storia della chiesa sono stati terrificanti: ariani, antiariani, vescovi divisi fra di loro, i grandi Concili di Nicea e Costantinopoli. La grande funzione svolta dalla chiesa latina è stata quella di aver dato un senso di unità.

Dobbiamo partire dalla giovinezza di Saulo, che in seguito sarà chiamato Paolo, probabilmente perché Tarso era una città di grande influenza romana e la famiglia di Paolo – giudei della diaspora usciti dalla Palestina – lavorava anche per i romani. Paolo nacque a Tarso, in Cilicia, tra l’8 e il 10 d.C. da giudei molto osservanti, della tribù di Beniamino. Fu mandato giovanissimo a Gerusalemme, presso il maestro Gamaliele, per studiare la Torah – la Legge – e la scrittura dell’Antico Testamento.

Paolo compare per la prima volta in At 7, 58

Lo trascinarono fuori della città e presero a lapidarlo (Stefano) e i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane chiamato Saulo.

Paolo, quindi, assistette a questa violentissima uccisione. In realtà gli ebrei non avevano il potere di uccidere: dove arrivavano i romani solo Roma poteva attribuire lo ius necandi. In questo caso, quindi, si trattò di una insurrezione improvvisa contro Stefano, che le autorità non riuscirono a sedare, così come accadrà nel 42 con Giacomo.

At 8, 1-4 (anche in At 1, 21)

Saulo era tra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli Apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria. Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Saulo intanto infuriava contro la chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione. Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.

In un passo della lettera ai Galati (Ga. 1, 11-17) Paolo spiega come fosse, un tempo, uno zelante persecutore.

Vi dichiaro dunque fratelli che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la chiesa di Dio e la devastassi superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.  Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre….

Luca racconta i famosi tre viaggi di Paolo, tutti compiuti nell’area del Mediterraneo anche se  Paolo poi arriverà fino in Macedonia. Il primo di questi viaggio – Cipro e Pamphilia – avvenne nel 44-48; il secondo viaggio – Filippi, Tessalonica, Atene – nel 50-52 e il terzo – da Malta a Roma – nel periodo tra il 53 e il 58. Nel 58 fu arrestato a Gerusalemme (At 21, 27), tenuto prigioniero a Cesarea di Palestina fino al 60 e poi mandato a Roma per essere processato. Il viaggio verso Roma fu disastroso: ci fu una sosta di parecchi mesi a Malta, poi riuscì ad arrivare a Siracusa, raggiunse Napoli e infine Roma. Rimase prigioniero per due anni al Carcere Mamertino. Lì poteva predicare anche se era in catene: a Roma, infatti, esisteva già una comunità cristiana. La sua morte risale al 63-64. Secondo la tradizione, processato e liberato, riuscì a tornare in Oriente, secondo alcuni, invece, riuscì ad arrivare in Spagna. In ogni caso tornò a Roma verso il 67-68 e nel 68 fu martirizzato, nella zona in cui si trova la basilica delle Tre Fontane: si dice che dopo la decapitazione la testa avrebbe fatto tre salti da cui sarebbero sgorgate le tre fontane.

La formazione giovanile di Paolo si compì a Gerusalemme, nella scuola di Gamaliele.

Gal 1, 11

Vi dichiaro dunque, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.

Quelli furono gli anni più intensi: studiò i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e soprattutto la Torah, la Legge. La legge ha una grande importanza nella religione ebraica perché è Dio e gli ebrei sono il popolo della Legge. Studiando la Legge l’anima zelante del giovane Saulo si riempì della rivelazione di Dio del Primo Testamento. Paolo sentì l’interesse divino e la difesa della tradizione biblica, sentì scendere dentro di sé la parola di Dio: Dio è presente nella misura in cui si accetta e si vive la Legge.

Anche nello zelo esagerato della sua giovane anima, nutrita da un grande intelletto, Paolo attinge alla parola di Dio, quindi anche all’inizio della sua fede c’è l’azione di Dio: approfondisce la parola di Dio e la sente dentro di sé, cuore del suo cuore, anima della sua anima.

Qui occorre fare una prima riflessione: anche la nostra storia di fede non può esistere senza una forte esperienza della Parola. Noi cristiani siamo fragili e deboli proprio perché non abbiamo quasi mai fatto un’esperienza della Parola. La Bibbia è una forza dinamica e potente che rende possibile in noi l’azione di Dio, rivela il disegno. Paolo ha capito proprio questo, quello che fondamentalmente manca alla nostra tradizione. Noi, infatti, siamo più attaccati alla tradizione dei sacramenti e conosciamo poco la Parola, che invece è l’anima.

L’abbandono dello zelo persecutorio verso i cristiani avvenne attraverso l’intervento di Dio, di quella che comunemente chiamiamo “conversione di San Paolo”. Potremmo dire, in realtà, che si trattò di una seconda chiamata di Paolo. Gesù cambiò la sua vita.

At 22, 6-11

Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco. Verso mezzogiorno all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me. Caddi a terra e sentii una voce che mi diceva “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” Risposi “Chi sei o Signore?” Mi disse “Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. Io dissi allora “Che devo fare Signore?” E il Signore mi disse “Alzati e prosegui verso Damasco e là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.” E poiché non ci vedevo più a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.

At 9, 17-21

Allora Anania andò, entrò nella casa (il sacerdote Anania era stato preavvisato che questo grande persecutore avrebbe probabilmente cambiato la sua vita) gli impose le mani e disse “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Fu subito battezzato.

Dunque, una luce lo folgorò e lo rese cieco, poi ricevette il dono dello Spirito Santo e il battesimo. Così si diventava cristiani nelle prime comunità: si ascoltava a lungo la Parola, si veniva illuminati dallo Spirito, si riceveva il battesimo e si entrava a far parte della comunità.

Dopo il battesimo in Paolo nacque una nuova vocazione: proclamare che Gesù è Figlio di Dio, dimostrando che Gesù è il Cristo (versetti 19 e 22).

Gal 1, 11-12

Vi dichiaro dunque fratelli che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini ma per rivelazione di Gesù Cristo.

Paolo fu dunque chiamato ad annunciare il Vangelo per privilegio, per rivelazione di Gesù Cristo. Da quel momento in avanti la sua missione sarà quella di annunciare Gesù Cristo.  Utilizzando le espressioni presenti in Isaia 49, 11 e in Geremia 1, 5 – fin dal seno materno Dio mi ha chiamato – in Gal 1, 15-17 Paolo dice

Ma quando Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.

La parola apostolo poteva essere usata solo da quelli che avevano conosciuto Gesù, che avevano visto la sua morte e avevano potuto constatare la sua risurrezione. Anche Paolo, tuttavia, si definisce un apostolo, perché aveva incontrato Cristo, che lo aveva reso apostolo, non dei giudei, ma dei pagani. Per Paolo non era più la Legge ha salvare, ma la fede in Gesù Cristo.

Gal 2, 15-16

Noi che per nascita siamo giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo.

Era vissuto per la Legge e poi ad un certo momento capisce che la Legge non salva e che solo la fede in Gesù Cristo può salvarci. Questo ci porta ad un’altra riflessione: alla radice della nostra fede c’è una chiamata. Questo è proprio il grande problema dei cristiani di oggi: nessuno di noi si è convertito, ci siamo trovati ad esserlo per devozione e per tradizione. Non ci siamo mai sentiti chiamati: ci siamo trovati cristiani senza saperlo.

La conversione di Paolo dall’Antico Testamento a Cristo è avvenuta perché Paolo si è sentito scelto perché amato.

Gal 1, 15

Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me…

La scelta dei verbi in questo passo è interessante: mi scelse, mi chiamò, si compiacque. E la cosa più bella: fin dal seno materno. Paolo dice che si è sentito amato gratuitamente e questo è fondamentale: spesso non trasmettiamo una fede in cui diciamo Dio ti ama, ma una fede che è piena di leggi, di regole. Anche San Giovanni dice Gesù avendo amato i suoi li amò sino alla fine. E’ proprio per la scoperta dell’amore di Dio in Cristo che Paolo decise di dedicare tutta la sua vita ai i pagani: l’amore è per tutti.

Rm 1, 1

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro Signore, a quanti sono in Roma diletti da Dio…

Rm 5, 5

La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Rm 8, 37

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Alla radice della sua predicazione, quindi, sta proprio l’amore di Dio, riversato nei nostri cuori e la consapevolezza che non esiste sofferenza che ci potrà separare dall’amore di Cristo.

La vera esperienza di Dio sulla terra, che ha portato Gesù e ha riempito il cuore di Giovanni, degli apostoli e di Paolo, è un’esperienza di amore. Perché Dio è amore. Se c’è una definizione di Dio che noi cristiani dobbiamo portare nei nostri cuori è proprio che Dio è amore.

Vorrei ora descrivere la personalità di Paolo. Paolo è un cuore ardente, brucia di amore per Cristo e per i suoi fedeli, pagani, non circoncisi. All’epoca si riteneva che per diventare cristiani fosse necessario prima diventare ebreo e, quindi, sottoporsi alla circoncisione. Paolo, invece, disse che chi si converte a Cristo non ha più bisogno di circoncidersi, perché è in Cristo. La Legge era necessaria quando il Figlio di Dio non era ancora rivelato, ma una volta che Gesù è venuto e si è rivelato, la salvezza è in Cristo, non nella Legge.

Per questa ragione fu costretto a scappare: quando diceva che Gesù Cristo è il Figlio di Dio che ci ha amato, i giudei e i giudei-cristiani impazzivano perché non ritenevano possibile che un uomo potesse essere Figlio di Dio.

Nella Bibbia di Gerusalemme Paolo viene descritto come un appassionato, un’anima di fuoco. Per lui Dio è tutto e lo serve predicando il Cristo, avendo compreso che solo da Lui viene la salvezza.

I Cor 4, 11

Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

L’amore che Cristo ha infuso in Paolo doveva essere annunciato, perché questo è il disegno di Dio in Gesù Cristo: salvare non solo gli ebrei, ma l’umanità intera. E questo è il messaggio che vale anche oggi. L’anno paolino è stato indetto proprio per richiamare questi grandi valori.

II Cor 4, 5

Noi infatti non predichiamo noi stessi ma Cristo Gesù Signore. Quanto a noi siamo i vostri servitori per amore di Gesù. E Dio che disse “rifulga la luce dalle tenebre rifulse nei nostri cuori”.

E’ molto bella la difesa che Paolo fa contro quei cristiani che volevano demolire la sua opera, che lo accusavano perché parlava ai pagani non ebrei, perché annunciava a tutti che la novità è Cristo e che in Cristo è salvato il mondo.

II Cor 11, 11-32

Questo forse perché non vi amo?

Paolo veniva considerato meno apostolo degli altri, perché non era vissuto con Gesù, non lo aveva conosciuto. Per questo veniva screditato e accusato di fare una sua predicazione e non quella di Gesù Cristo.

Lo sa Dio, lo faccio invece e lo farò ancora per troncare ogni pretesto a quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello di cui si vantano. Questi tali sono falsi apostoli.

Questi falsi apostoli demolivano tutta la sua opera: lui passava, creava comunità cristiane e quando si allontanava distruggevano la sua opera, affermando la necessità di ricevere la circoncisione e di essere sotto la legge.

Operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia perché anche satana si maschera da angelo di luce.

Non è però gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia, ma la loro fine sarà secondo le loro opere.  Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o sennò ritenetemi pure come un pazzo perché possa anch’io vantarmi un poco.  Quello che dico però non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto nella fiducia che ho di potermi vantare, dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano mi adatterò anch’io.  Infatti voi che pur siete saggi sopportate facilmente gli stolti, in realtà sopportate chi vi riduce in servitù.

Paolo li prendeva anche in giro e diceva: vi credete tanto sapienti ma credete ai nuovi maestri che sembrano saggi e in realtà non lo sono.

Chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia, lo dico con vergogna, come siamo stati deboli, però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch’io. Sono ebrei? Anch’io. Sono israeliti? Anch’io. Sono stirpe di Abramo? Anch’io.

Paolo vantava la sua identità ebraica e si domandava come degli ebrei potessero distruggerlo.

Sono ministri di Cristo? Sto per dire un pazzia: io lo sono più di loro, molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai giudei ho ricevuto i trentanove colpi, tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio.

Ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde, viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericolo dalla città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da falsi fratelli, fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità e oltre a tutto questo il mio assillo quotidiano la preoccupazione per tutte le Chiese.

Chi è debole che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che io non ne trema? Se è necessario vantarsi mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza, Dio è padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli sa che non mentisco. A Damasco il Governatore del re Areta montava la guardia alla città.

Il riferimento al governatore Areta è molto importante, perché Caligola lo aveva riconfermato nel 39, mentre l’Imperatore Claudio lo aveva allontanato a seguito di disordini capitati a Damasco. La data del 39 è fondamentale per tutta la vita di Paolo: è l’unica data sicura che abbiamo, per dare una dimensione anche storica ai suoi viaggi.

L’ardore  di Paolo viene espresso sempre con parole di estrema tenerezza.

Fil 1, 7-8

E’ giusto del resto che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa, sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del Vangelo.

Gal 4, 19

Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore finchè non sia formato Cristo in voi.

Ai cristiani di Corinto che ascoltano altri missionari Paolo addirittura dice (II Cor 11, 2) che soffre per loro quasi una gelosia divina. Nell’ultima lettera rimanda a Filemone lo schiavo Onesimo, con parole dolcissime.

Filemone 8, 11

Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare, preferisco pregarti in nome della carità, così qual’io sono, Paolo, vecchio e ora anche prigioniero per Cristo Gesù. Ti prego dunque per il mio figlio che ho generato in catene, Onesimo.

Mentre era in catene Onesimo viene convertito da Paolo.

Quello che un giorno ti fu inutile ma ora è utile a te e a me. Te l’ho rimandato, lui, il mio cuore.

Straordinarie queste espressioni, questa tenerezza di Paolo. Anche nella parte finale della lettera ai Romani mostra una tenerezza infinita verso tutti quelli che lo avevano aiutato.

Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno, anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. Salutate Prisca e Aquila

Prisca e Aquila furono i fondatori delle prime comunità cristiane e aiutarono moltissimo Paolo.

miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.  Salutate il mio caro Epeneto primizia dell’Asia per Cristo. Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me. Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristobulo.Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che sono nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa che hanno lavorato per il Signore.  Salutate la carissima Perside che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia. Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patrona, Erma e i fratelli che sono con loro. Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro. Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo.

Esiste un vocabolario dove vengono ricordati i termini più appassionanti per Paolo: cardia (cuore) è usato 52 volte (su un totale, nel Nuovo Testamento di 152); splancna (viscere) 8 volte (su un totale di 11); amare 33 volte (su 133); agape (amore) 75 volte (su 141) gioire 29 volte (su 74); gioia 21 volte (su 59); ringraziare 24 volte (su 38); epifotein (desiderare) 7 volte (su 9); mitezza 8 volte (su 11).

Paolo ha fondato tutta la sua vita su Cristo e la sua risurrezione.1 Cor 15, 1

Vi rendo noto fratelli il Vangelo che vi ho annunziato – quindi quello dei sinottici, degli apostoli, l’euanghelion (il buon annuncio) – e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale anche ricevete la salvezza se lo mantenete in quella forma in cui ve lo ho annunziato altrimenti avreste creduto invano. Vi ho trasmesso dunque anzitutto quello che anch’io ho ricevuto, che cioè Cristo perì secondo i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai 12. In seguito apparve a più di 500 fratelli in una sola volta, la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli, ultimi fra tutti apparve anche a me come a un aborto.  Io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana, anzi  ho faticato più di tutti loro, non io però ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto sia io che loro così predichiamo e così avete creduto.

(versetto 42) Così anche la risurrezione dei morti, si semina corruttibile e risorge incorruttibile, si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza, si semina a corpo animale risorge un corpo spirituale.

Paolo, in sostanza, dice ciò che sta alla base di tutto il suo lavoro è che Cristo è risorto. Tutti si chiedono se risorgeremo così come siamo o si verificherà una nuova creazione. Il teologo Ratzinger nell’Introduzione al Cristianesimo dice che non dobbiamo chiederci con quali cellule risorgeremo o se saremo una nuova creazione, perché abbiamo la certezza che siccome Cristo è risorto anche noi risorgeremo. E la nostra speranza è che non solo risorgeremo ma parteciperemo della stessa gloria. Questo Paolo lo dice continuamente (così come Giovanni): non solo risorgeremo in Cristo ma avremo la stessa gloria.

Rm 8, 28-30

Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli. Quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

Rm 8, 19-26

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio.  Essa infatti è stata sottomessa alla caducità, non per suo volere ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto. Essa non è la sola ma anche noi che possediamo le primizie dello spirito gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli.

Tutto il mondo avrà una nuova creazione, perché Cristo ha in sé la nuova creazione e noi parteciperemo della sua nuova gloria.

La redenzione del nostro corpo poichè nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza, infatti ciò che uno vede come potrebbe ancora sperarlo?

Rm 6, 1-11

Che diremo dunque: continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? E’ assurdo.  Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella sua morte?

Quindi morire con Cristo per risorgere con Cristo.

Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.  Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato.  Infatti chi è morto è ormai libero dal peccato ma se siamo morti con Cristo crediamo che anche vivremo con lui sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più.  La morte non ha più potere su di lui.

La sintesi di tutta la grandezza di Paolo è in Fil 1, 21

Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto non so davvero che cosa debba scegliere.

Paolo è disposto a morire, ma se ancora deve vivere, è disposto a farlo

Sono messo alle strette infatti fra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo,  il che sarebbe assai meglio, d’altra parte è necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio sono convinto che resterò e continuerò ad essere d’aiuto a voi tutti per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo con la mia nuova venuta tra voi.

Questo è proprio il cammino di questo uomo, appassionato della Parola di Dio nella sua prima giovinezza, illuminato dalla riscoperta di Gesù Cristo morto e risorto, che nella sua vita ha un unico scopo: far conoscere al mondo che Dio è bellezza e che Dio è amore.

Don Francesco

Sono contento che siamo arrivati al punto centrale: la vita e la morte. Tutti noi abbiamo provato grandi distacchi e tutti noi siamo in attesa della risurrezione e penso che senza questi testi non possiamo farcela. La sua esperienza di fede a che punto è arrivata sul suo rapporto con la morte?

Don Enrico

Io cerco di pensare che arrivato alla mia età (settant’anni) quello che dovevo fare l’ho fatto. Quando penso all’incontro che farò penso sempre alla I lettera di Giovanni: perché vedremo Dio così come egli è, finalmente vedremo il volto di Dio. Giovanni dice che noi siamo già figli di Dio, ma non lo sappiamo quello che saremo, perché vedremo Dio così come egli è. Giovanni dice Dio nessuno l’ha visto. Il mio desiderio è di arrivare a vedere Dio così come egli è. Certo occorre la dolcezza, la profondità, la passione che aveva Paolo, che aveva Giovanni, che avevano tanti uomini e tante donne che hanno avuto una fede semplice ma profonda.

Monica Romano

Paolo si è trovato in contrasto con i Giudei e anche con i giudei-cristiani. Lei vede anche nella chiesa di oggi una simile situazione?

Don Enrico

Vedo una certa diminuzione della passione per Gesù Cristo. I vari gruppi che si sono formati in questi ultimi periodi secondo me corrono il rischio di rappresentare più il loro fondatore che Gesù Cristo. Esiste un forte personalismo e noto che ci sono delle affermazioni nello stesso tempo molto dogmatiche e molto moralistiche che non tengono invece conto di questa passione per Gesù Cristo.

Quando si perde questo incontro profondo con Gesù si creano degli equivoci. Anche nella Chiesa abbiamo elementi profondamente disgreganti: ognuno la pensa come vuole e la cosa che più mi amareggia è vedere oggi, anche nei ragazzi, l’assoluta ignoranza di Cristo. Gesù non è conosciuto. Secondo me oggi la Chiesa dovrebbe spogliarsi di tanti fronzoli ed arrivare a Gesù, come ha fatto Paolo.

Intervento

La perdita di Cristo ci ha fatto perdere anche l’amore per il prossimo: non c’è più amore in questa umanità.

Don Enrico

Certo, c’è una grande difficoltà ad amare se non c’è una

Intervento

E’ un messaggio sconvolgente nella sua semplicità: l’amore di Dio è gratuito, Dio non esclude nessuno. E’ semmai l’uomo che si autoesclude dall’amore di Dio.

Don Enrico

C’è un filosofo, credo di origine ebraica, che parlando dell’Antico Testamento e dell’immagine di Dio, dice che la civiltà moderna ha sostituito Dio con la tecnica. Questo è il nostro grande problema, perché la tecnica non ci salva. La difficoltà che oggi incontra il cristianesimo è proprio la perdita del senso di Dio. Questo accade perché l’uomo moderno non sente più il bisogno di essere salvato. Abbiamo perso il senso della rivelazione, che è il senso dell’amore, della comunione, di questa auto rivelazione che Dio fa dall’Antico Testamento in Gesù Cristo, di questa auto rivelazione che ci viene incontro e che ci salva.

Con l’autorizzazione della Parrocchia di http://www.santamelania.it/ un sito da visitare.

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