ANGELO BERTOGLIO O.H. – DA OPZIONI ‘70 – Aprile – N.4

 TUTTI COINVOLTI

Da OPZIONI ‘70 – Aprile – N.4

 

Di Angelo Bertoglio o.h.

 

Fra Angelo Bertoglio o.h.Ho qui sul tavolo (come non dubito di ogni altro confratello) i primi tre numeri di OPZIONI ‘70.

Non ho ancora avuto il tempo di leggerli tutti. Ma lo debbo fare senz’altro in questi giorni, lo prometto, lo ritengo anzi un dovere.

Sfogliandoli, quello che ho potuto raccogliere subito, è che il lettore di questa nuova arma letteraria può diventare co-autore. Mi sono affrettato così a scrivere subito qualcosa.

La mia anima avrebbe tante cose da dire solo leggendo l’editoriale del primo numero che porta la firma di D. Nocent, amico carissimo. Ho promesso che leggerò interamente i numeri finora usciti per poter dire con cognizione di causa le mie impressioni, suggerimenti e critiche.

Per il momento, solo due parole, così, di primo acchito, come me le suggerisce l’articolo suaccennato e che mi piace trascrivere: “La Chiesa deve dare una risposta vitale ai grandi problemi del Concilio Vaticano II. Anche le nostre Fraternità dovranno fare una profonda revisione di vita per mettersi in sintonia con la storia e tradurre vitalmente i “segni dei tempi”. Senza dubbio!

 

Credo che dobbiamo cominciare con l’intenderci subito sulla parola “Fraternità”, la “nostra Fraternità”.

 

Domandiamci:

l’abbiamo noi questa entità morale, questa base di partenza, questo primo gradino di una lunghissima scala da percorrere?

Siamo disponibili noi nel nostro ambiente religioso (limitiamolo pure ai 150 membri della cosiddetta “Provincia” Religiosa – che non dovrebbe voler dire “gente di provincia”) ?

Abbiamo questa tensione, questo desiderio di potenziare ogni legame fraterno magari attraverso ad “una profonda revisione di vita” ?

In una parola: siamo uniti? “Ogni regno diviso in se stesso cadrà in rovina” (Matteo 12,25)

Beh! Capisco, non è possibile rendere omogeneo un gruppo di centocinquanta persone sul piano psicologico, dove solo la disparità di età gioca un ruolo determinante; però… C’è un punto sostanziale e unificatore ed è la Fraternità. Oggi dobbiamo trovarci tutti coinvolti nella sua realizzazione attraverso una buona (retta, sana, santa) volontà. Essa è la disposizione alla benedizione del Signore sul nostro impegnativo lavoro. “Il Signore bendice i buoni e i retti di cuore”, dice il Salmista, e ancora: “Faticano invano quelli che costruiscono senza di Lui”.

 

Questa buona volontà si traduce per noi in sincerità, chiarezza, manifestazione generosa e aperta della propria personalità. Fuori dunque dalla trincea nella quale è comodo nascondersi e avvilente rifugiarsi per sparare (colpendo e uccidendo) senza essere visti, mantenendo l’anonimato.

 

Oggi la guerra di trincea è sorpassata. Tutti dunque sono chiamati a combattere in campo coperto, disponendosi coraggiosamente (se necessario anche eroicamente) a tutti gli attacchi, che si esige di ricevere però a viso aperto o fronte a fronte.

 

E’ bello scambiarsi lealmente le proprie opinioni, contrastanti fin che si vuole, poterle dire alla luce del sole, metterle in comune per un vero dialogo, spesso solo reclamizzato fino all’usura. Assemblee, conferenze, dibattiti, convegni, giornate di studio, tavole rotonde, stampa, sono questi i metodi moderni per affrontare seriamente i problemi. Non è certo con quel vecchio e insulso metodo di critica da salotto (per noi leggi “refettorio”) che in medioevale linguaggio ascetico si chiama mormorazione, sussurro.

 

Attraverso la strada del dialogo si risponde all’angoscioso appello della Chiesa post-conciliare. E con il dialogo, più che la “democrazia” si realizza la “comunione”.

 

Guardate però, cari confratelli, ch a questa fraterna lotta costruttiva non basta più portare il solo bagaglio intellettuale dell’antico trattato di perfezione evangelica di felice memoria: il RODRIGUEZ; non regge più una critica che si basi sulla cultura fatta di soli libri d lettura spirituale, anche se fatta in Coro, davanti al SS. Sacramento. Lo stesso Gesù ci chiede oggi qualcosa di più impegnativo o forse anche di maggior sacrificio, ci chiede di rinunciare persino a un comodo pietismo sterile. Altrimenti, non riteniamoci capaci e nemmeno autorizzati a criticare, intaccando e danneggiando la buona volontà di coloro che sono seriamente impegnati e ritardando la traduzione vitale dei “segni dei tempi”.

 

Ecco come noi dobbiamo incominciare a concepire la nostra Fraternità. Ed è urgente.

 

Non si arriva subito ad un accodo sul piano ideologico, si creeranno senz’altro delle correnti, dei contrasti di gruppo, ci cozzeremo perfino, però…sarà tutto su un piano di amicizia e di carità, con un unico ideale: l’avvento del Regno di Dio.

 

Noi che siamo il Nuovo Popolo di Dio dobbiamo dare al mondo contemporaneo l’esempio di questa disponibilità.


 

Ciò che i fedeli attendono da noi è una povertà che si traduce in una libertà totale di fronte alle potenze terrene: potenza economica, politica, ecc.

Bisogna che la Chiesa sia libera, bisogna che sia povera, povera in spirito, distaccata dai beni terreni: quei beni della terra che sono il desiderio di potenza, il desiderio di dirigere tutto” (P. E. Léger)


 INDIGNAZIONE – CARITA’ – RISPETTO

 

Da OPZIONI ’70  – N. 5  Giugno 1970

 

Questa premessa s’ era resa necessaria per tentar di far passare in modo accettabile sia l’articolo “vigoroso” che Fra Angelo Bertoglio aveva spedito alla redazione per la pubblicazione,  che di altre, non meno sincere ma poco diplomatiche riflessioni. Da come sono andate le cose, evidentemente non è stata convincente

 

 

Editoriale

 

Quando noi affermiamo che certe posizioni di apertura sono tutt’altro che infrequenti, anzi costituiscono il patrimonio mentale ormai comune di una larghissima zona della Chiesa, ci si risponde, con sufficiente sufficienza, che il realtà si tratta di pochi gruppi del dissenso: “isoliti fanatici”, come ormai si dice in Vaticano, tentando di screditarli e metterli in tal modo fuori gioco.

 

Quella della forma in chi scrive è una questione nevralgica. Molti sono disposti ad accettare i contenuti critici, purché siano espressi in un modo diverso. Ma non è facile distinguere il contenuto dal linguaggio e, in genere, bel giustamente, gli scrittori contestati rifiutano di ammorbidire la forma perché sembra loro di devitalizzare la sostanza. In effetti, un sentimento vivace va espresso con vivacità, un’indignazione va espressa con forza e con violenza. Se la si esprime con dolcezza la si tradisce: non è più indignazione ma puro e semplice dissenso.

 

C’è differenza tra dissenso e indignazione ed il linguaggio deve registrarlo. Ma la realtà è che non siamo più capaci di indignazione. Forse, quando si critica un linguaggio forte. Si contesta questa legittimità di indignazione o il suo possibile convivere con la carità e con il rispetto. Ma noi non crediamo che le cose siano tra loro incompatibili, e basterebbe un richiamo al linguaggio evangelico per rendercene convinti.

 

Certo, i nostri critici avrebbero fatto al Signore le medesime obiezioni: che si potevano dire le stesse cose in modo diverso. E invece no: il modo diverso dice cose diverse.

 

Non si può esprimere tutta la carica di sdegno racchiusa nella formula “razza di vipere” con locuzioni più pacate: magari con “gente poco sincera”. “Gente poco sincera” non vuol dire “razza di vipere” ma assai meno. Insomma, la contestazione della forma non è mai solo della forma ma investe direttamente la sostanza; e l’incapacità di ammettere un linguaggio robusto forse deriva da un certo stile di dipendenza clericale che ci rende incapaci di robusto dissenso.

 

*   *   *  

 

La verità non si manda a dire per procura. Di particolare interesse è la critica diretta, semplice e franca: critica che, naturalmente, è definita “irriverenza” e peggio. E dobbiamo essere davvero “cortigianizzanti” per ritenere irriverente una diversità di opinione su problemi tanto discutibili.

 

E’ invece da queste divergenze conosciute ed espresse che nasce una coscienza ecclesiale robusta, filiale e aliena da falsi feticismi. E’ di questa coscienza che abbiamo bisogno noi e di cui più di noi ha bisogno la stessa Autorità, attorniata talvolta da un silenzio osannante che gli nasconde la verità.

 

Quest’operazione falsificatoria è il servizio peggiore che gli si possa rendere, soprattutto se è reso dai collaboratori più prossimi.

 

L’Autorità ha bisogno di essere aiutata a sostenuta. Ma per aiutarla non serve la pietosa bugia o l’adulatorio consenso; serve la parola franca e, all’occasione, anche il filiale dissenso.

 

Non si vien meno al dovuto rispetto e alla necessaria disciplina solo perché si esprime un diverso parere.

                                                                                              **

 

Fra Angelo Bertoglio o.h.“CHI METTE MANO ALL’ARATRO…”

 

Di Angelo Bertoglio

 

Una delle interpretazioni al noto testo evangelico potrebbe essere questa: chi mette mano, chi punta su un programma d’azione, lo espone, lo illustra, lo propone entusiasmando i seguaci e poi…si volta indietro, tergiversa nelle idee, cambia rotta illudendo i discepoli e abusando della obbligatorietà di sottomissione cui benevolmente si sono impegnati, costui no, non è atto…

 

Il Regno dei Cieli esige l’impegno incondizionato di uomini dalle idee chiare, coraggiose, che non ricorrono al sopruso della contraddizione sistematica ingannando se stessi e gli altri. Sì, è vero, questo vale per ogni cristiano, perché in Paradiso o all’Inferno nessuno mai ci va da solo, ma soprattutto riguarda colui che nella comunità ha una giuridica responsabilità di severissimo rendiconto.

Devo dire che troppe volte ho visto anche nel nostro ambiente religiosi miei fratelli con impressionante leggerezza accedere ai posti di comando quasi desiderandoli…

E’ incredibile! C’è da dubitare che costoro abbiano coscienza del valore, della natura delle anime che i prendono l’ impegno di guidare e di governare. Perché, si noti bene, non si tratta di cavalli o di macchine per i quali vale una tecnica umana, ma di anime…che valgono quanto vale Dio, di cui sono immagine.

 

Ebbene, senza tanti preamboli, mi sia lecito dire subito come con questo scritto io intenda entrare in aperta polemica col Padre Provinciale.

 

Così si è espresso recentemente Mons. Camàra: “ Non parlo contro il Brasile, parlo contro la tortura. Non tradisco il Brasile, lo tradirei se tacessi”. E io dico: “Non parlo contro il Provinciale, parlo contro il suo modo di agire. Non tradisco il Provinciale, lo tradirei se tacessi”.

 

 Il vescovo ha soggiunto. “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò stasera,intendo parlarne francamente”. E io ripeto con lui: “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò ora, intendo parlarne francamente”.

 

Mons. Elder Camàra è un ometto fragile, dal volto mobilissimo, che parla in modo convincente senza alzare la voce e quasi ipnotizzando l’uditorio. E appassionato, combattivo, sincero, ardente, commovente pur non trascendendo nel tono. Costui è un uomo di Dio che piace a me come piace a molti.

 

Il mio Provinciale no. Cosa devo dire? Non piace a me come non piace a molti della nostra piccola comunità religiosa provinciale. Si capisce, piacere a tutti e anche solo a molti, è impresa ardua perché, ragionando con una mentalità ecclesiale, governare le anime non è mestiere, è missione sacrosanta; non occorre un’arte, ci vuole un carisma, una personalità trasparente, tersa come cristallo, che dia prova di sincerità, di lealtà, di saggezza, di sapienza, di…coerenza. E in questo il Leader innamora, attrae, seduce, trascina, s’impone, non tanto con la forza dell’autorità che indispone, spoetizza, ma disponendo con la simpatia che piace o meglio con la carità.

 

Perché, come asserisce San Francesco di Sales, lui che ne compose anche una preghiera per ottenerla, “la carità è simpatica, è dolce, amabile”. Ed è risaputo come un tale santo si distinse proprio per questa luminosità di carattere acquisito.

 

Affermando che Padre Pierluigi non si è cattivato la simpatia dei suoi figli in questa maniera, mi affretto tuttavia a premettere il mio più alto sentimento di sudditanza a lui, con ubbidienza e rispetto. E constatando, forse anche con rassegnato stupore, come questo atteggiamento di sudditanza esista in tutti i suoi sudditi, devo tuttavia affermare che a un tale doveroso atteggiamento non è più unita purtroppo l’antica stima e fiducia che da principio godeva.

 

Soprattutto nel ceto giovanile Pierluigi poteva essere l’emblema dei giovani, il loro prototipo, la personificazione di essi. Furono i giovani a guardare a lui, a volere lui, l’unico che dava loro garanzia di idee giovani e su di lui puntarono i loro voti.

 

Oggi dobbiamo dire con tristezza, quasi con una stretta al cuore e a nostra confusione di fronte a Dio: ci ha delusi! Non fu l’uomo del tempo, dell’ora presente, come credevamo, come pensavamo, come speravamo… E purtroppo l’uomo di alte responsabilità che fallisce oggi, non può sperare di rifarsi domani; è troppa la vertiginosità con cui gli uomini mutano in un progressivismo tecnologico pari a quello filosofico, e chi si ferma è realmente…perduto !

 

E rimane travolto lui e tutta la sua compagnia se è ad un posto di responsabilità.

 

Comunque, per ora, prima che sia ormai  troppo tardi, sperando di scongiurare almeno il peggio, non posso fare altro che ripetere ancora una volta con rassegnato scoramento, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: pazienza! E ancora una volta, piegati ma non spezzati, sperando sempre con indomito coraggio, non volendo cessare di sognare tempi migliori sempre imminenti, volgiamo il nostro sguardo ai giovani che hanno mentalità fresche, perché solo da essi si può sperare qualcosa, non certo da chi giovane non è più.

 

Anche il Provinciale ha commesso l’errore di quasi tutti gli anziani: non ha saputo capire, intuire, colpire giusto nel loro presente. Su questo punto, se ce lo permetteranno, quanto, quanto ci sarà da dire! Che il proibircelo sarà l’ultimo errore a consumarsi, poi basta, poi la catastrofe definitiva.

 

La libertà di pensiero, di parola, è la caratteristica dei tempi nuovi e con questo mezzo caratteristico si dovrà poter cambiare radicalmente le vecchie strutture che sanno di muffa, di antiquato anche nella nostra Istituzione.

 

Come ogni anno il corpo umano si rinnova biologicamente,  così anche psicologicamente l’uomo, la società, si rinnovano e quello che era dell’anno scorso nella composizione delle idee, nella problematica della vita, , della convivenza, quest’anno è già passato alla preistoria. Bisogna dunque essere capaci di camminare coi tempi, non fermarsi su un metodo acquisito cinque, dieci, vent’anni fa, altrimenti c’è da ridere!  Bisogna aggiornarsi continuamente, cambiare sempre le posizioni con agilità di spirito, agilità che in ultima analisi ci viene dal mistero pasquale. Ogni giorno ci viene proposto ed è lì che dobbiamo costantemente rifarci, In Cristo risorto ( e in coloro che sono risorti con Lui) la prima prerogativa dello  spirito è l’agilità e non la stasi d’intontimento.

 

Sopra accennai ai mezzi coercitivi usati in Brasile che il vescovo Camàra sdegnosamente condanna. Ma, al dire di P. M: Turoldo, “non esistono solamente campi di concentramento fatti di reticolati, am ci sono anche la prigionia morale e il genocidio dello spirito” (prefazione  a “Libertà dello Spirito” di G. Vannucci).

 

E nel suo giudizio espresso a riguardo della “Marcia di Parma”, il fratello Dionigi si esprimeva così: “sono uscito per un momento dai silenzi prudenti e dalle calcolate paure” (OPZIONI ’70 – n.2). Bravo Dennis e fortunato te che almeno per un momento hai potuto uscire dalla tortura morale a cui sono sottoposti i nostri poveri spiriti. Io p.e. che da trent’anni subisco in silenzio una tale tortura, questo sia pur anche breve sospirato momento di “libertà” non l’ho provata mai e ne ho il cervello liso a motivo dei continui ininterrotti lavaggi che ho subito e ai quali ho dovuto soggiacere passivamente, dietro l’esempio dei Santi (!?) che i comodi pseudo-maestri di una santità interessata, mi andavano insinuando fino alla ossessione spasmodica.

 

Il troppo che ho sofferto anch’io da giovane avrò poi occasione di dirlo un’altra volta per denunciare la mentalità ottusa degli anziani che  in ogni tempo, (da secoli, da millenni) ha sempre prevalso sulle forze esplosive fella giovinezza, carica di preziosissima energia dinamica che mai loro hanno saputo sfruttare quale ricchezza donativa di Dio Provvido all’umanità.

 

Hanno preferito usare solo  e attuare sempre il metodo di un “comodo” negativismo ispirantesi (l’abbiamo detto prima) a cervellotica santità che non vuole disturbi e fastidi. E da ciò il sistema oppressivo di giudici inappellabili a cui solo appartiene (eterni detentori) il diritto di governo assolutista rendendo nulle le nuove vite in germoglio nella fase del loro massimo rendimento, ritardandone lo sviluppo, anzi soffocandone la normale e regolare maturazione intellettiva stabilita dal Creatore a beneficio dell’umanità intera.

 

Sembra quasi che solo le guerre siano capaci di rivoluzionare questa ottusa mentalità a carattere tradizionalista impostata unicamente sulla saggia esperienza, refrattaria, ostile al rischio.

 

L’attempata esperienza che certo non è da disprezzarsi da nessuno, deve essere integrata dalla fresca intelligenza e dal genio dei giovani. Deve accettare il contributo costruttivo anche di chi esperto non è ma ha una maggiore apertura mentale ed è più informato e aggiornato. Altrimenti, il conflitto tra giovani e anziani è inevitabile e continueremo a perdere le migliori speranze.

 

Ora dunque basta. E’ l’ora della rivendicazione sacrosanta delle forze nuove, delle energie fresche, delle menti aggiornate, delle anime giovanili, agili.

 

Avanti anche a chi con ottant’anni sulle spalle ha saputo conservarsi un’anima non aggravata dalla deleteria psicosi dell’ottusità.

 

Quello che fa tanto male anche a me è il constatare come si siano persi due anni preziosissimi, o almeno non impegnati come si doveva, in questa urgente conquista di libertà, di democratica convivenza comunitaria fondata su solide basi di carità che vuole il bene temporale (prima che Eterno) di tutti e non solamente di chi comanda. Dio di nulla è più geloso che della libertà dell’uomo.  Prerogativa dell’uomo di “essere creato a sua immagine e somiglianza” sta proprio nell’essere libero e volontario nelle sue azioni deliberatamente scelte che lo rendono responsabile, cosciente e maturo.

 

Un’altra volta,(sempre se ci sarà permesso) torneremo a sviluppare questo tanto profanato, deforma pro e deturpato argomento della personalità del religioso e dell’ubbidienza. Per adesso lasciamolo lì.

 

In questo avvio di libertà il Fratello Pierluigi quale nuovo Provinciale, ce ne aveva dato ampia speranza, anzi diciamo generosa promessa, quasi iaspettato trionfo. Poi…capovolgimento completo della situazione! Alludo certo alla parte giovani: quale e quanta delusione! A parte i frequenti casi singoli il cui racconto mette tanta tristezza nell’animo, ultima amara constatazione del genere è la lettera di programmazione  “Esercizi Spirituali – Vacanze 1970”: è una cosa avvilente, scoraggiante nel constatare la marcia in dietro di quei pochi passi che  faticosamente si erano fatti in avanti.

 

fra mosè bonardi oh priore generale1 (2)Cosa devo dire io? Sì, dirò innanzitutto il mio disappunto personale per tanto errore, E dirò ancora che a questo punto mi si stringe il cuore nel dover rimpiangere la persona di Padre Mosé (nelle sue alte qualità di despota, qualcosa di buono l’aveva anche lui – Dio ce l’abbia in gloria -) che proprio qui a Solbiate  nelle parole di presentazione alla comunità religiosa dei “libri rossi” (formulario per le proposte di rinnovamento delle Costituzioni) disse, tra l’altro, proprio testuali parole di santa memoria che io, sì, mi piace dirlo, ho raccolto come suo testamento spirituale, sua ultima volontà: “Ascoltiamo i giovani (e lo ripeté quasi con insistenza), ascoltiamo i giovani, può d’arsi che abbiano ragione!”.

Può darsi…Quindi, come sempre nella vita, i casi sono due: o non hanno ragione, come dicono (come hanno sempre detto) gli anziani ora capitanati, come sembra chiaro da un certo atteggiamento politico, dal successore di P. Mosé che, a quanto pare ha cambiato bandiera, ha deluso i giovani (non uso la parola “traditi” che non mi piace), li ha lasciati, “ha volto lo sguardo dall’aratro”; Che…se per caso, a dispetto degli anziani, l’avessero, come io ne sono profondamente convinto? Se l’avessero…quale errore spaventoso e irreparabile sarà allora quello di non averli ascoltati!

 

E la fatale responsabilità cadrà ancora sugli anziani che da soli, senza i giovani hanno voluto assumersi il delicatissimo e difficile impegno del governo della Chiesa, del Popolo di Dio.

 

E allora dall’alto se ne avrà l’accusa e non certo la benedizione di P. Mosé che ben ce lo disse, ce ne avvisò, ce ne premunì del pericolo, ci mise in guardia e raccomandò.

 

E per ascoltare i giovani, certo bisogna farli parlare, o almeno “lasciarli” parlare: “Lasciate che i fanciulli vengano a me e non vogliate ad essi impedirlo” (Mt 19,14).

 

Mi si dirà subito che i giovani oggi (premesso che si allude qui a i giovani della nostra Congregazione) possono parlare fin troppo! Io invece dico e confermo se volete, che, come non possono dire ancora nulla del tanto che vorrebbero, che hanno da dire, così rimane ancora tutto da dire; al che corrisponde ed equivale il tanto che vorrebbero fare e ancora non hanno fatto perché non possono!.

 

Ho prova di come il Provinciale abbia loro chiuso la bocca o meglio non ha loro permesso di aprirla addirittura; che più di una volta abbia tagliato loro le gambe, quasi deprimendoli nel loro alto ideale di azione.

 

Il peggio è che due volte si è fatto sentire da me a parlar male dei giovani: loro atteggiamento, operato, loro presa di posizione! Da me che sento di vivere solo per loro, la cui anima giovanile è la mia passione ospedaliera, il tormento del mio apostolato nella Chiesa, nell’Ordine.

 

Ho sentito  e strasentito fino alla nausea, letto e strariletto che i giovani vanno diretti, governati, fatti studiare, giocare, pregare, mangiare, viaggiare, lavorare ecc. ecc. , ma mai che abbia avuto conferma anche una sola volta di leggere o sentir dire nell’ambiente religioso F.B.F. che il giovane va amato, mai!

E pensare che questo è nell’ordine di Dio, questo deve essere nel programma della nostra santità. Non si può avere un’insensata rivalsa sul giovane solamente perché noi giovani non siamo più, o perché il giovane non è anziano come noi, non ha i nostri anni quasi che lui nel pieno diritto alla vita usurpi la nostra. E’ una mentalità sbagliata di persone che uomini non lo saranno mai perché mai raggiungeranno la maturità, la superiorità del pensiero.

 

Puntiamo dunque il nostro impegno di doverosa santificazione, non solamente sulla fedeltà intransigente ad una pietà unicamente formale (Mt 7, 21), bensì e soprattutto nella conoscenza e nella scoperta inesauribile del Comandamento Nuovo di Gesù, impegno che coinvolge intelligenza e cuore in una infinità di sfumature e rami particolari che richiede l’amore del prossimo.

 

Nel nostro caso un ramo particolare da amare sono i giovani. E amare i giovani vuol dire entrare nella loro mentalità, capirla, assimilarla, viverla.

 

Il giovane è molto intuitivo e sensibile e percepisce immediatamente l’atmosfera di affetto che lo circonda. Trovandosi a suo agio, capirà subito di essere in un ambiente religioso bello, ove solo regna carità e amore (Deus ibi est), si guarderà bene dal lasciarlo e ripagherà amore con altrettanto amore. Si troverà bene perché qui potrà esplicare la sua personalità, trafficare i suoi preziosi talenti avuti da Dio (prestito bancario di altissimo reddito).

 

I nostri giovani religiosi si aspettano tanto dal Padre Provinciale, onde tendono a lui non una ma quattro mani se ne avessero! In lui si attendono di trovare un vero padre che li ami, che li comprende, sempre pronto ad accoglierli a braccia aperte, a incoraggiarli nei loro entusiasmi, a compatirli nei loro errori che essi per primi sanno ammettere quando ci sono, a sostenerli nelle loro debolezze.

 

Il giovane come è facile all’entusiasmo così è facile  allo scoramento, onde nei suoi sbagli ha bisogno di sentirsi non declassato con brutale drasticità, ma aiutato con amore a correggersi, a rialzarsi se caduto.

 

Se un’infinità di giovani è uscito dalle nostre file è unicamente perché nessuno li ha sostenuti nelle loro crisi giovanili, molte causate dal non poter “fare”, onde vedevano le loro persone intristirsi miseramente in un andazzo di vita metodica tipicamente conventuale di sapore tutt’ora medioevale.

 

Anziché paternamente e fraternamente intesi, si son sempre visti da tutti solo biasimati, criticati, quasi tollerati e persino disprezzati dall’arroganza dei saggi anziani.

 

Ma consolatevi o seniori (e ora lo sono già anch’io che scrivo)!  Ne andranno via ancora, ne usciranno ancora dalle nostre file, tutti forse, fin che non ci decidiamo, fin che noi non ci rendiamo capaci di renderci “giovani coi giovani” come ad esempio Don Barra, di cui io leggo sempre le numerose rubriche per i giovani.

 

Il peggio è che nessuno più è disposto ad entrarvi perché sanno (abbiamo già detto come il giovane è intuitivo e ora poi intelligente più che mai) che “dai frati c’è casino”, come ho sentito io qualche domenica fa dai ragazzi che ho avvicinato in un oratorio. Alludevano proprio al dissidio tra due mentalità: conservatrice e innovatrice che loro sanno esista anche nei conventi, e se ne guardano bene dal cascarci dentro.

 

Il nostro ambiente religioso non è atto a ricevere i giovani della società di oggi, onde è impossibile che un ragazzo dall’esterno si innamori, se ne entusiasmi, è letteralmente impossibile.

 

Portarne io qui le testimonianze, enunciarne i motivi concreti? Oppure farne le accuse, tentare una diagnosi?

 

E’ cosa audace quasi impossibile con tanta diffidenza, permalosità, personalismi, disistima nostra interna! Non sarei creduto: “nemo propheta in domo sua”.  Ma che il profeta venga dall’esterno, se ne disilluda ognuno. La situazione peggiorerà sempre più, fino allo sfacelo fino all’annullamento forse di tutta un’istituzione vecchia, oggi che fioriscono quelle nuove con nuovi concetti costituzionali, nuovi metodi formativi, nuove strutture. L’ha detto anche Gesù: “è impossibile mettere una pezza nuova su un vestito vecchio o vino nuovo in botti vecchie”. E’ lui non sbaglia mai.

 

Io speravo che queste cose bel le sapesse il Provinciale (che sarebbe stato già troppo triste il dovergliele far capire), e invece…

 

Certo questa mia polemica susciterà la reazione non solo da parte sua, ama anche da parte dei suoi sostenitori che non mancheranno di gridare allo scandalo e soprattutto di chi ha contribuito con tutte le sue forze a infangare il suo bellissimo programma iniziale di coraggiosa apertura. Comunque, sono pronto a subirle tutte e  a combattere. Però mi siano fatte con lealtà e apertamente alla luce del sole e non ancora con l’antico sistema poliziesco che perdura anche nei conventi come nella Chiesa, quella degli uomini, s’intende, non quella di Dio.

 

Del resto, noi non intendiamo litigare, scendere a dissidio, creare partiti e schierarci per la battaglia, no, ma unicamente intendiamo scendere, si noti bene: “scendere”. Quindi un po’ di umiltà anche da parte dei superiori come dei sudditi per un dialogo aperto e sincero sullo stesso piano, quale espressione di buona volontà da parte di tutti per attuare quel bene che urge l’impegno di tutti con sincerità e sacrificio.

 

Sacrificio-rinuncia all’amor proprio che non può sopportare la critica sfavorevole perché troppo farisaicamente avido di lode e plauso. Onde, quasi indicando un’ultima tavola di salvezza, voglio scongiurare in ginocchio a mani giunte il Provinciale (e consigliare i suoi collaboratori a farlo): non chiudete più la bocca a nessuno (salvo si denoti in chi parla cattiva volontà, cattiveria di mal’intenzionati che, del resto, è subito individuabile). Che se non basta un periodico =OPZIONI ’70) se ne dia vita ad un altro, purché tutti possano dire e ridire, nel tentativo di costruire e di rimuovere.

 

Su mille cose dette, anche se solo dieci risultassero apprezzabili, non sarebbe poco, basti pensare che se nessuno parlava, non ci sarebbero state neanche quelle dieci unità di contributo positivo.

 

E siccome fra coloro che oggi hanno molte cose da dire sono principalmente i giovani, io insisto ancora, quasi portavoce di Padre Mosé: fate parlare i giovani, lasciate parlare i giovani e fermatevi un momento ad ascoltarli, date peso alle loro idee, soppesatele bene, vagliate minutamente quanto dicono, non scartate così, di primo acchito quanto esprimono: “PUO’ DARSI CHE ABBIANO RAGIONE”.

                                                                               Angelo Bertoglio o.h.

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