GESU’ E IL MALATO MENTALE – Fra Marco Fabello o.h.

 PASTORALE DELLA SALUTE E CURA PASTORALE DEI MALATI PSICHIATRICI

COSENZA 30 SETTEMBRE 2008 – 0RE 17,30

INAUGURAZIONE IV ANNO ACCADEMICO DELLA SCUOLA REGIONALE DI UMANIZZAZIONE ED ETICA SANITARIA “BEATO ANGELO D’ACRI”.

Premessa

 Nel prendere la parola in questa significativa circostanza, mi preme ringraziare Fra Ugo Maria Brogno per il cortese invito che se da un lato mi fa piacere, dall’altro mi preoccupa non poco sia per il tema che è conturbante in se stesso, sia per il luogo e per il contesto in cui viene trattato, ma soprattutto, come forse non tutti sanno, perché io  sono una persona che avendo condiviso molti anni della mia vita con i malati psichici, sono più attratto dalla realtà della loro vita che dalle molte considerazioni che anche clinici psichiatri  e vari operatori possono mettere in campo. In questo momento sono anche il Direttore Generale dell’Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico “San Giovanni di Dio” per la ricerca in psichiatria e nelle demenze. Come penso saprete, io sono un religioso Fatebenefratello, dei figli, quindi di San Giovanni di Dio, che Cesare Lombroso criminologo molto conosciuto e non certo vicino alla Chiesa, dichiarò alla fine del 1900, “il creatore dell’ospedale moderno”.

Anche lui non ebbe molte occasioni per incontrarsi con il sapere umano che, anzi, nel momento in cui lo prese la crisi mentale e interiore, finì per disfarsi di tutti i libri della sua edicola (diremmo oggi) a chi gli stava accanto per liberarsi di ogni cosa. Di passaggio ricorderò come questo Santo sia oggi oltre che il Patrono dei malati, degli ospedali e degli operatori sanitari unitamente a San Camillo de Lellis, anche il Patrono dei librai e degli edicolanti la cui massima espressione  avviene col premio Bancarella, che consiste, tra l’altro, in una ceramica che raffigura Giovanni di Dio che trascina il carretto dei suoi libri. Io spero quindi che nessuno si attenda da me cose trascendentali, perché mi sento molto più un operaio del campo che ara il terreno, che lo prepara per la semina,  piuttosto del contadino che si dedica al raccolto. uno che si dedica al raccolto. E infatti uno di questi campi che per molti anni ho cercato di dissodare, di arare, di preparare per la migliore semina è appunto il campo rappresentato dalla persona che soffre disturbi psichiatrici. Quindi il mio sarà un parlare quasi da contadino, spero con la stessa saggezza di cui sono ricchi molti contadini che amano la loro terra. 

Una data significativa: 10 0ttobre 

            Questo nostro incontro avviene a pochi giorni dalla celebrazione della Giornata mondiale per la salute mentale, che, come sappiamo, si tiene il giorno 10 ottobre di ogni anno. Nulla avviene a caso e io sono contento di poter celebrare con tutti voi, sia pure con qualche giorno di anticipo, questa ricorrenza che molto spesso passa senza grande risalto da parte della stampa e delle istituzioni ma che quest’anno assume un significato particolare ricorrendo il trentesimo anniversario della promulgazione della legge 180, più comunemente conosciuta come legge Basaglia.

-    In questa occasione ho visto con gioia come l’Arcivescovo di Milano  il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha inviato alla chiesa Ambrosiana un Messaggio che sviluppa alcuni temi significativi.

 Ho voluto ricordare questo messaggio all’inizio del mio intervento perché credo che la prima azione pastorale significativa verso i malati psichici sia quella che i Pastori mostrino sensibilità, apertura e coraggio nei confronti delle persone più sofferenti e le loro famiglie.    Come sappiamo, infatti, circa un quinto dell’umanità soffre di disturbi mentali.

 Dividerò il mio intervento nei soliti tre punti ed una conclusione, come facevano un tempo i bravi conferenzieri.

 

1. Gesù e il malato mentale;

2. La società e il malato mentale

3. La Chiesa e il malato mentale

 1. GESU’ E IL MALATO MENTALE

 Troviamo il primo accenno di Gesù che guarisce in Mt 4,24 “La sua fama si sparse per tutta la siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici, ed egli li guariva”. Noi sappiamo che possiamo interpretare alcune di queste malattie come malattie della mente e in particolare in riferimento agli  indemoniati e agli epilettici.

 L’evangelista però ci pone di fronte ad una sofisticata considerazione quando dice: “condussero a lui tutti i malati”. E’ interessante questa affermazione perché potrebbe significare che i malati mentali non erano così emarginati dalla società del tempo.  Nei nostri anni, quando parliamo di malati tendiamo a fare molte differenze e a vivere comportamenti molto diversi tra loro  se si tratta di malati fisici, psichici, malati di AIDS o malati per così dire “diversi”.

Riprenderemo questa considerazione più avanti.  

Ancora in Mt8,16-17,  leggiamo: “Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua preghiera e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: “egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie”. Notiamo il particolare di come  agisce Gesù: “egli scacciò gli spiriti con la sua preghiera”. Le malattie dell’anima si curano spesso con strumenti spirituali. Non a caso nelle terapie psichiatriche, oltre alle classica cura farmacologica si ricorre alla psicologia, alle scienze umane, all’amicizia, all’incontro, al sostegno, alla comprensione, al dialogo. In molti casi la preghiera svolge una funzione importante. Infatti non sono infrequenti, soprattutto all’estero, come “medicina” gli  incontri di preghiera con persone sofferenti mentali. In Mt 8, 28-33 possiamo leggere tutto il racconto degli indemoniati Gadaréni di cui due uscirono dai sepolcri e, ci dice Matteo, che “erano tanto furiosi che nessuno poteva passare da quella strada”. Il vangelo poi prosegue ma anche da queste poche parole possiamo considerare come  il mondo non sia molto cambiato dai tempi di Gesù ad oggi. Non molti anni fa in molti dei nostri paesi ci si poteva imbattere in qualche persona di cui si dovesse avere paura con la raccomandazione dei genitori ai figli di non passare da una certa strada.

L’altra considerazione, piuttosto amara che vale anche per i giorni di oggi è la cattiva considerazione che la società ha di queste persone, lo stigma di cui le fa vittime, la lontananza in cui le mantiene. Certamente molti di loro si saranno domandati perché i lazzaretti, i manicomi di un tempo fossero posti al limitare dei centri abitati e, addirittura, non infrequentemente, in centri molto isolati attorniati spesso da molto verde che non significava voler dare una migliore qualità ambientale ma solo possibilità di nascondere quanto più possibile una realtà che si voleva a tutti i costi fingere di non conoscere e di non voler vedere. Sul racconto di Gerasa si sofferma anche Lc 5, 1 e segg. con una maggiore dovizia di particolari. E leggiamo in  Mc 5, 3-5 “…nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”.

Mi sembra qui di rivivere la storia del mio fondatore, San Giovanni di Dio,  nel momento della grande crisi quando diede in escandescenze di ogni tipo, quando venne portato al manicomio e frustato a sangue. Ma per chi ha una certa età, almeno come la mia, potrebbe essergli accaduto di assistere a situazioni come quella che Matteo, Luca e Marco descrivono. Malati violentissimi, con una forza erculea che potevano essere domati solo da cinque o sei uomini. Questi casi non erano infrequenti fino al momento in cui  videro la luce  i  psicofarmaci. Ma già nel 1700 era sorta nel mio Ordine la scuola non ufficiale di come avere ragione di questi furiosi istinti: la scuola dell’amore!

San Giovanni di Dio, ricoverato in manicomio, legato e più volte picchiato a sangue, piano piano mise in atto la carità verso i suoi compagni di sventura, cercò di farsi ben accettare da chi lo controllava, qualcuno ebbe fiducia in lui, lo slegarono ed egli si mise a servire gli altri malati. Tutti avevano paura ma non lui e, ad uno ad uno li fece liberare dai ceppi e dalle catene. Stava ormai bene e tra il rimpianto dei malati e dei così detti operatori, lasciò il manicomio per iniziare la sua avventura di carità. Era stata la sua prima vittoria! Sempre in Mt 17 14 e segg. troviamo l’episodio dell’epilettico indemoniato che si gettava nell’acqua e nel fuoco. E Gesù per guarirlo “gli parlò minacciosamente” e il demonio lo lasciò. Notiamo la conclusione di Gesù al v.21: “Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno”.

Non vorrei interpretare troppo liberamente ma mi piacerebbe che ogni operatore sanitario che legge queste parole, che ascolta questo rimprovero di Gesù, che si trova a prestare il suo servizio con persone che hanno problematiche psichiatriche, che vivono la depressione, che in altre parole soffrono della malattia dell’anima, non si scordassero che la preghiera, la convinzione che il Signore è capace di sanare anche oggi, che la farmacologia non è tutto, che la psicologia non è tutto, può rappresentare quella medicina spirituale che ,a volte, ancora oggi, è l’unico rimedio. D’altra parte nello stesso episodio raccontato da Mc al Cap. 9,  Gesù ci dà la conferma quando risponde al padre dell’indemoniato: “Tutto è possibile per chi crede”. Mi fermo qui per la prima parte perché mi pare che possano già essere emersi alcuni spunti di riflessione.

 2. LA SOCIETA’ E IL MALATO MENTALE

 Per poter successivamente soffermarci sulla pratica pastorale con il malato psichiatrico è necessario che facciamo un po’ il punto della situazione su chi è per la società di oggi questa persona, di quale considerazioni gode, che diritti e doveri le sono riconosciuti teoricamente e di quanti ne gode di fatto. Intanto dobbiamo dire con molta chiarezza che dal 1700 fino al 1904 la vita del malato mentale era rimasta pressoché la stessa. Ma ciò poteva valere anche per tante altre realtà. La vita contadina stessa non era mutata di molto.

Nel 1904 si ebbe una prima riforma della psichiatria in Italia ma la riforma che a noi interessa maggiormente è quella conosciuta come Legge  180 del 1978, a cui ho accennato all’inizio. Da allora ad oggi sono stati fatti passi enormi pur se rimangono zone d’ombra e, soprattutto, l’incompiutezza della legge stessa. Va ricordato che la Legge Basaglia fu approvata senza una copertura finanziaria e già questo fatto può portare a qualche riflessione che io non farò ma l’affermazione è già di per sé un commento significativo. Per apprezzare i contenuti della legge Basaglia dovremmo fare una disamina di cosa erano i manicomi fino a quel giorno e, in alcuni casi, forse anche oggi. I manicomi erano realtà più simili ad un carcere che ad un luogo di cura. A tutto ciò è doveroso aggiungere che esistono in Italia ancora oggi 4 manicomi criminali che sono la somma del peggior carcere e del peggior manicomio. Per fortuna è proprio di questi giorni la riforma di queste quattro tristi realtà che passano dal sistema carcerario al sistema sanitario-assistenziale. Nei manicomi la persona viveva senza una propria dignità, non godeva di alcun diritto, non possedeva nulla, spesso non era di nessuno, molto spesso era un secondo figlio se non un primogenito da punire o da interdire per questioni di interesse o a motivo di beghe familiari, Spesso era la fine destinata ai figli illegittimi. Dopo un mese di ricovero la persona perdeva ogni diritto civile con la probabilità di vivere tra quelle mura tutta la sua vita, alla pari di una persona condannata all’ergastolo.

La persona ricoverata in manicomio non aveva diritto ad alcuna eredità e non godeva di alcun beneficio sociale o pensionistico. In manicomio i malati non potevano usare le posate, se non il cucchiaio, non potevano portare la cintura dei pantaloni per timore che la usassero  nei tentativi di suicidio, l’unica cosa che avevano era la divisa spesso di tela per tutti uguale che indossavano. La giornata dei malati era una uguale all’altra. Il vitto era scadente, la pulizia spesso fatta dagli stessi malati con metodi davvero preistorici. Vi fu qualche eccezione a partire dalla fine degli anni 1950 quando cominciarono a sorgere delle coscienze critiche che, piano piano, diedero impulso ad una forma di protesta silenziosa che in pratica prese corpo e si concretizzò con l’avvento del giovane prof. Basaglia che circondato da pochi coraggiosi e da molti critici riuscì tuttavia con la forza della terminazione e della convinzione a ribaltare il sistema ridando sostanzialmente dignità ai malati mentali, facendo in  modo che si riappropriassero dei loro diritti civili, come ad esempio, il diritto di voto, aprendo i manicomi, cercando di realizzare piccoli ambienti più di cura che di custodia, dovendo vincere non  solo le preoccupazioni politiche per la spesa ma soprattutto la resistenza della popolazione che non vedeva di buon occhio la chiusura dei manicomi trincerandosi dietro la paura per la presupposta violenza dei malati che vi vivevano. E’ di quegli anni la nascita all’interno della comunità cristiana di un movimento di psichiatri che prese il nome di “Cristiani in psichiatria”. Medici psichiatri che cercarono di dare senso cristiano alla riforma vista come “redenzione” del malato psichico ridotto in schiavitù.

 

Ai giorni nostri è ancora forte lo stigma verso il malato mentale e la sua famiglia nonostante siano trascorsi trent’anni dalla riforma e nonostante , come dicevo prima, siano stati fatti passi enormi rispetto al punto di partenza. Ma ancora oggi, come allora, la società tende ad isolare il diverso, qualunque sia la specificità della diversità che lo distingue. Non è di molti anni fa la resistenza, ma anche l’opposizione, di tante popolazioni   all’instaurarsi nelle loro vicinanze delle comunità per tossicodipendenti o per malati di AIDS. Come è sempre avvenuto chi non è ben vestito e non ha un buon reddito rischia oggi molto più di ieri l’emarginazione sociale. Il rischio è che, sia pure in buona fede, anche la Chiesa partecipi più o meno direttamente a questo processo di emarginazione dei più derelitti, dei più poveri o dei più indifesi. Ne sia un esempio il divieto sostenuto anche da alcune personalità del mondo della Chiesa di vietare l’elemosina  e altri atteggiamenti tipici della povera gente. E’ di pochi giorni or sono la presa di posizione dell’Osservatore Romano sul problema dei ricongiungimenti familiari degli extracomunitari.

E’ fuori dubbio che questo grande movimento migratorio pagherà un forte scotto a livello di aumento di malati mentali tra gli extracomunitari. E’ davvero molto strano come alcuni vescovi del terzo e quarto mondo aprano le loro cattedrali ai poveri in molte notti mentre in altri continenti dia fastidio una persona seduta sui gradini davanti ad una chiesa. Molto spesso si tratta di persone che hanno problemi psichici o gravi problemi sociali di assoluta indigenza, problemi di alcool, di droga, di abbandono familiare ecc. Si tratta cioè di quelle categorie di persone che un tempo in Galilea la gente portava da Gesù perché fossero guariti: noi rischiamo di allontanarli da Gesù il quale ci ha detto che “i poveri li avrete sempre con voi”.

Non sono populista o, come si dice oggi, buonista.

 Vale la pena ricordare che a volte anche le stesse leggi nate con le migliori intenzioni, possono essere strumenti di dolore per tanti uomini e donne che hanno solo la colpa di essere diversi dalla grande parte delle persone, di essere state svantaggiate dalla vita, spesso di pagare lo scotto di una educazione che la famiglia e la società non è stata in grado di offrire loro, non raramente frutto del dissesto della famiglia cui va incontro inesorabilmente questa società e la stessa Chiesa che vede cadere a pezzi uno dei baluardi in cui ha sempre creduto e,in cui, nonostante tutto, deve ancora continuare a credere, la famiglia appunto. Pensiamo per un momento a quali gravi problemi anche di ordine mentale può portare la disoccupazione a livello sia degli adulti che, di conseguenza, anche sui bambini.

 Scrive il Card. Tettamanzi: “Sebbene la famiglia mostri segni di malattia al suo interno e una certa fragilità strutturale che la rende talora poco capace di affrontare e gestire i tanti ostacoli che incontra sul suo cammino, forse una certa difficoltà a vivere la sua vocazione, resta comunque quel luogo nativo e insostituibile, ove sperimentare di essere amati gratuitamente”. La Chiesa ha anche il dovere di richiamare i valori fondamentali dell’uomo e tra questi certamente c’è il valore dell’educazione, del vivere in società,  del diritto al lavoro e ad una casa,  di non essere emarginati dalla vita di tutti gli uomini. Il rispetto delle diversità. La comprensione delle debolezze umane, la capacità di capire, comprendere, aiutare, sostenere le persone che nella società sono meno considerate o dalla stessa respinte.  Il Santo Padre in occasione della giornata mondiale del malato del 2005 sollecitava l’urgenza di dare a tutti i malati le cure necessarie e si augurava che  potesse crescere la “cultura dell’accoglienza e della condivisione, grazie pure a leggi adeguate e a piani sanitari che prevedano sufficienti risorse per la loro completa applicazione”. Per concludere questo secondo punto ritengo che la Comunità cristiana debba partecipare attivamente ad “umanizzare le nostre città, tornare a salutarsi ossia a considerarsi persone e, di fronte al prevalere di paura e sospetto, è necessario scegliere nuovamente di aprire le porte delle proprie case e del proprio cuore per favorire la relazione e l’incontro”.

 3. LA CHIESA E IL MALATO MENTALE – RIFLESSIONI PASTORALI

            Introducendo questo terzo punto faccio mia una esortazione frutto dell’esperienza personale che è tanto semplice quanto evidente: la pastorale accoglie tutti e non respinge alcuno. Ci sono ,molti modi di accogliere e altrettanti di respingere; a volte certi atteggiamenti che sembrano di accoglienza si rivelano altrettanti rifiuti. E allora cerchiamo di comprendere come essere accoglienti con i malati mentali e le loro famiglie. E’ questo il primo atteggiamento che dobbiamo porre in essere se vogliamo chiamare in causa la pastorale. Io non sono, come dicevo all’inizio,un pastoralista. Probabilmente se lo fossi non potrei dire molte delle cose che verrò dicendo. Con il malato mentale e la sua famiglia non tiene la rigidità di una pastorale legata a norme a volte di difficile comprensione. 

I muri cadono adagio

Mi sovviene alla mente il titolo di un libro: “I muri cadono adagio”.

Come è vero che cadono adagio i muri dei manicomi, degli ospedali psichiatrici, così cadono adagio i muri dell’ipocrisia.Ci dice il vangelo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Chi è il mio prossimo? La comunità cristiana crede davvero che il malato psichico sia per lei il prossimo? Si parla molto, dal Concilio in poi di Comunità Cristiana ma forse non si è ancora scoperta una nuova solidarietà intergenerazionale con chi soffre. La storia continua e contraddice l’utopia di un cammino idealmente perfetto. Ci troviamo a fare i conti con guadagni e perdite, con i problemi risolti e con quelli che sono aperti.

Il futuro che pure avevamo intravisto come una promessa di progresso ci appare di nuovo come una ambiguità che non rassicura e che, anzi, spesso sgomenta. Le fedi ideologiche dicono il loro smarrimento; ma non si tratta di rimpiangere ma piuttosto di comprendere.La pastorale della salute in Italia sta cercando di recuperare il tempo perduto e lo fa, in diverse realtà e in diverse forme,  anche con una certa determinazione. Basti pensare all’impegno del rinnovato Ufficio della Pastorale sanitaria della CEI, ma anche all’impegno dell’Associazione di Pastorale della salute che ho l’onore di presiedere come l’AIPaS, della quale molto religiosi Cappuccini sono animatori. Purtroppo, però, la stessa cosa non può dirsi dell’attenzione pastorale verso i malati mentali. Un esempio chiarisce meglio il concetto:  è dimostrato, infatti, che il cappellano o l’assistente spirituale o lo stesso parroco nella comunità parrocchiale, dedicano molto più tempo nell’incontro con i malati normali che non con i malati mentali. Le ragioni possono essere diverse come la difficoltà di relazione, la paura o la stessa impreparazione dell’operatore pastorale. E’ certamente vero che la pastorale è crescita nella fede, tuttavia però per operare bene pastoralmente è necessaria una adeguata formazione. Un operatore pastorale impreparato già di per sé non agisce pastoralmente, allo stesso modo che un medico incapace è profondamente disumano e ingiusto nei confronti del malato.

L’Ordine Sacro abilità il sacerdote alla celebrazione dei sacramenti ma non lo abilita ad essere esperto in ogni campo: per ogni campo di azione pastorale deve darsi la necessaria formazione.

I malati mentali e i Sacramenti

Come per tutti i cristiani, anche per  i malati mentali i sacramenti sono un dono, sono una grazia, spesso sono l’unico  segno di Speranza.E’ quindi naturale che le celebrazioni dei sacramenti devono essere adeguate alla capacità di comprensione delle persone con problemi psichici o mentali in genere, anche se qui non ci soffermiamo ad esempio sul problema delle persone colpite da demenza che meritano davvero un capitolo a parte.

La Chiesa deve essere generosa con queste persone in riferimento ai Sacramenti. La sofferenza è per molti malati psichici una vera purificazione del cuore e dell’anima. Andando per sommi cenni mi permetto di condividere alcune considerazioni come esemplificazione dei problemi legati alle celebrazioni liturgiche. In particolare all’Eucaristia. n particolare vorrei mettere in evidenza come molto spesso la Liturgia della parola sia incomprensibile per gran parte dei malati psichici: se mi è concesso vorrei qui ricordare che è falsa la preoccupazione di salvaguardare la norma  quando non viene rispettata la persona. Come posso parlare con una persona che non comprende il linguaggio che sto usando? Quindi o si prepara prima la celebrazione con le persone interessate o si adatta il testo alla comprensione delle persone presenti. Naturalmente mi riferisco ad una celebrazione di  gruppo per queste persone. E tale celebrazione non potrà essere prolungata nel tempo perché il tempo di attenzione di queste persone è molto modesto. Altra situazione problematica è l’Omelia che ha il compito di sbriciolare e far comprendere la Parola di Dio mentre, a volte, la complica. In effetti il celebrante dovrebbe essere  umile e fare lo sforzo di farsi comprendere dalle persone più semplici e sarebbe certo che tutti  comprenderebbero. Un altro esempio possiamo trarlo dalla terminologia che può nuocere alla persona con problemi psichici. E’ frequente in molti malati psichici il tentato suicidio. Ebbene in molti passi dell’Antico Testamento ricorrono episodi o descrizioni che lo evocano.

 E’ necessario avere una buona conoscenza dei malati e farsi aiutare da chi li conosce per cercare di evitare questi passi o di modificare correttamente taluni termini. Tuttavia molte di queste considerazioni possono essere fatte anche per diverse categorie di malati: anziani, dementi; ma le stesse attenzioni vanno poste anche nelle celebrazioni per i più piccoli. E’ molto importante anche favorire la partecipazione diretta dei malati psichici alla celebrazione. Infatti queste persone sono capaci di leggere, di cantare, di raccogliere le offerte, di portare i doni all’altare, e inoltre, hanno anche molto tempo libero da occupare utilmente. Dobbiamo sempre di più convincerci che è la pastorale e la Liturgia a servizio dell’uomo perché possa lodare Dio e deve adattarsi alle persone e non viceversa: che sia difficile è certamente vero, che sia doveroso è altrettanto necessario. Osservazioni analoghe, attenzioni simili devono essere poste in atto nell’amministrazione dei Sacramenti ma anche nella preparazione di incontri di preghiera, pellegrinaggi, ecc.

 La sofferenza psichica ci interpella

Pr attivare forme e possibilità concrete di animazione liturgica è necessario avere verso il malato mentale atteggiamenti di condivisione e di accoglienza. Possiamo quindi affermare che il saper accogliere il malato mentale e condividere con lui atteggiamenti e sentimenti, rappresenta il primo gesto di  animazione “liturgica”, in quanto accogliamo l’uomo malato e accogliere nel nome di Gesù il malato è “fare Eucaristia, fare comunione”. Possiamo allora porci la domanda: come aiutare i malati psichici a comprendere meglio i gesti e le azioni liturgiche e a renderli partecipi consapevoli?

Io credo che una delle prime attenzioni che dobbiamo porre in essere con una persona malata è che tra lui e me non esistono differenze fondamentali: abbiamo gli stessi desideri, cerchiamo le stesse cose, siamo capaci di gioie e di piangere: ciò che cambia è l’intensità di questi sentimenti. Siamo quindi persone con altre persone più che essere persone sane con persone malate; soprattutto siamo persone libere con persone libere. Anche nella vita liturgica, come in ogni altro campo d’azione, l’altro, il malato non deve mai essere considerato un qualcuno cui dedicare del tempo o su cui chinarsi con una benevolenza sospetta: non possiamo decidere per lui, non possiamo presumere di sapere ciò che è bene per lui! Anche nella Liturgia è la stessa cosa: la persona non è tutta malata da non comprendere nulla, come noi non siamo sempre in grado di comprendere il significato di ogni discorso e non per questo siamo malati. Ricordiamoci sempre che nella Celebrazione Liturgica l’uomo forse si agita ma è il Signore opera: allo stesso modo per ogni persona.

Anche gli ammalati sono mandati come operai nella vigna

La vigna del Signore è sconosciuta ai più. Essa ci è sempre stata raccontata come il luogo dei chiamati: sacerdoti, religiosi, religiose, consacrati in genere e di tutti i credenti, anche quelli di poca fede come anche di tutti gli uomini di buona volontà. Quindi anche questo campo di lavoro è luogo di salvezza per i malati. Ma c’è molto di più: i malati sono mandati come operai nella vigna. I malati sono chiamati ad essere missionari nella vigna del Signore, potremmo dire che sono mandati in questa vigna come tecnici specializzati, come operai “qualificati”, come novelli enologi chiamati a lavorare il vino perché sia buono, a seguirne la lavorazione perché diventi vino pregiato come pregiata è la sofferenza agli occhi di Dio. E quindi attori della pastorale e non passivi raccoglitori. Quindi non persone qualsiasi ma uomini e donne che sono chiamati in forza del loro essere malati. Non so se questo possa essere un segno di predilezione del Signore, certamente è un segno di grande attenzione che riconosce alla persona malata una grande dignità. La riabilita a tal punto da rendere la malattia un punto di forza, la sofferenza motivo di predilezione, quasi il passaporto per il cielo.

 Ma nella vigna del Signore non si lavora per se stessi. Nella vigna del Signore ci si pone al servizio del Signore stesso. Ma la straordinarietà di questo servizio si caratterizza nel servizio al prossimo.

Ma c’è qualcuno che ha più bisogno di un malato psichico? Come allora lo stesso malato si pone al servizio degli altri nella vigna del Signore? Non so neppure io se quanto sto dicendo abbia una sua logica, ma frequentemente le vie del Signore non seguono le logiche di questo mondo.

 Conclusione

Dopo tutte queste considerazioni abbiamo ancora verso il malato psichico diffidenza, paura, stigma? E’ un cristiano tra i cristiani, confuso nella sua sofferenza, più vicino a Dio per i meriti del suo soffrire, nostro fratello in Cristo, missionario nella comunità cristiana molto ascoltato dal Signore, a motivo della forte condivisione della stessa croce su la via di un Calvario che spesso non terminerà mai. Non ci rimane se non fare come quel parroco che vedendo il sacrestano allontanare un malato di mente in fondo alla chiesa, chiamò quel malato sull’altare accanto a sé sino al termine della Eucarestia. Forse una delle celebrazioni più belle e un esempio di accoglienza non da commentare ma da imitare.

 Fra Marco Fabello oh

PRESIDENTE NAZIONALE AIPaS

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