PER UNA CHIESA AUDACE – P. Bartolomeo Sorge s.j. legge Martini

Posted on Dicembre 26th, 2008 di Angelo  

 martini-carlo-maria-card-arciv-300x283OGGI, fra le persone care, oggetto di ricordo nella mia preghiera si è ripetutamente presentata l’immagine del Card. Carlo Maria Martini  a cui mi lega affetto filiale per avere alimentato la mia fede lungo tutti gli anni del suo ministero epicopale in Milano.

 Non ho ancora letto il suo ultimo libro.  

 Nell’augurargli le benedizioni del Bambino Divino, mi sovvengono le calde Notti di Natale passate con la mia famiglia in Duomo. Affido le considerazioni sulla Chiesa che tanto ama e che mi ha insegnato ad amare, al commento di Padre Bartolomeo Sorge, suo confratello gesuita.

 A TUTTI un rinnovato augurio natalizio di non cedere alle delusioni che il tempo presente non ci risparmia.

Angelo Nocent

  

PER UNA CHIESA AUDACE

  

bartolomeo_sorge s.j. jpgDi Bartolomeo Sorge S.I.

 Direttore di «Aggiornamenti Sociali»  

  

  

 martini-stemma-cardinalizio-268x300Che fine ha fatto la Chiesa coraggiosa e aperta, di cui il Concilio Vaticano II aveva tracciato il profilo?

È la domanda che oggi molti si pongono. Le risposte manifestano più delusione e preoccupazione che fiducia e speranza. La Chiesa – si dice – oggi non guarda più al futuro, ma al passato. E si citano l’involuzione in atto nei confronti della riforma liturgica; l’impasse del movimento ecumenico; l’insistenza sui «valori non negoziabili» che ostacola il dialogo; gli interventi della Gerarchia che condizionano l’autonomia dei laici in politica. In realtà, non ci si può fermare a questi (e altri) casi, per quanto significativi. La questione è più di fondo.

 
Con la parresia evangelica che lo contraddistingue, il Cardinale inizia rilevando che oggi «vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio. Il coraggio e le forze non sono più grandi come a quell’epoca e subito dopo».

Una risposta seria viene ora dal volume, fresco di stampa, del card. Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede (Mondadori, Milano 2008).

È un condensato della ricca esperienza dottrinale, spirituale e pastorale del Cardinale, che si traduce in un chiaro invito al coraggio e alla speranza. Non è senza significato che, per lanciare questo messaggio, egli si rivolga ai giovani. Infatti, il volume contiene una serie di risposte alle domande di ragazzi, ospiti in un Centro per giovani in Romania, animato dal gesuita Georg Sporschill, che nel libro svolge la funzione di intervistatore. Il vero pregio della lunga intervista sta certamente nella sensibilità pastorale che Martini dimostra verso il mondo giovanile e i suoi problemi, ma in realtà il messaggio riguarda tutti.

 

Come mai? «È indubbio – riconosce – che nel primo periodo di apertura alcuni valori sono stati buttati a mare. La Chiesa si è dunque indebolita»; pertanto non devono sorprendere le paure e le resistenze di molti: «Posso ben comprendere le loro preoccupazioni se solo penso a quanti in questo periodo hanno abbandonato il sacerdozio, a come la Chiesa sia frequentata da un numero sempre minore di fedeli e a come nella società e anche nella Chiesa sia emersa una sconsiderata libertà» (p. 103).

Tuttavia, i limiti del postconcilio non tolgono nulla alla grandezza dell’evento conciliare. Nonostante tutto – conclude Martini – «Dobbiamo guardare avanti. [...] credo nella prospettiva lungimirante e nell’efficacia del Concilio» (p. 104).

 
Talune riflessioni contenute nel libro potranno risultare ostiche e discutibili. Non è un caso che i mass media insistano soprattutto su quanto Martini ha detto circa l’ordinazione di viri probati per fare fronte alla crisi di sacerdoti (p. 100); a proposito della «timidezza» della Chiesa nella valorizzazione piena della donna (p. 108); sulla ripresa del dialogo ecumenico e interreligioso (p. 112); intorno al tema della sessualità (p. 91 ss.). In realtà, il contributo più importante del libro è la «ventata» di fiducia e di speranza che da esso emana e si trasmette a chi legge. Il vero messaggio del lungo dialogo con i giovani si può riassumere in tre prospettive, che costituiscono la chiave dell’intero colloquio: 1) la necessità per i cristiani di «pensare in modo aperto»; 2) il bisogno che la Chiesa ha di riscoprire il ruolo dei giovani; 3) l’urgenza di costruire una nuova «cultura della relazione».

  1. «Pensare in modo aperto»

 

L‘invito a «pensare in modo più aperto» (p. 21) è esplicito e continuo. Esso richiama alla mente il «sogno» di cui l’Arcivescovo parlò, nel 1999, al Sinodo dei Vescovi d’Europa.  Martini non chiedeva un Concilio Vaticano III, come erroneamente gli attribuirono i mass media; auspicava invece la convocazione, di tempo in tempo, di assemblee rappresentative di tutto l’episcopato per affrontare i nodi che il Concilio non aveva risolto. Oggi, a dieci anni di distanza, il Cardinale fa rivivere con parole diverse il medesimo «sogno» di una Chiesa coraggiosa e aperta.

«Un tempo - dice – avevo sogni sulla Chiesa.

  • Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà,

  • una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata.

  • Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto.

  • Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane.

Oggi non ho più questi sogni. A settantacinque anni mi sono deciso a pregare per la Chiesa» (p. 61 s.).

Il libro, però, lo smentisce. Dal lungo colloquio con i giovani traspare un cardinal Martini capace, come sempre, di «pensare in modo aperto». Nonostante gli anni e la malattia, continua a «guardare avanti», a sognare, esortando i cristiani a fare altrettanto. Questa volta, però, insiste sul criterio educativo fondamentale a cui ispirarsi perché il «sogno» divenga realtà: «Il fondamento dell’educazione cristiana - dice - è la Bibbia [...]. Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi non consentendoci di cogliere l’ampiezza della visione di Dio» (p. 20). Il pericolo nel quale si può incorrere (anche nella Chiesa) è quello di lasciarsi condizionare dalla «mentalità ristretta» dell’individualismo imperante, dalla paura del diverso e dall’indifferenza per i bisogni dell’altro, preoccupati soltanto di guardare a se stessi, fino a fare di se stessi un assoluto.

È necessario, dunque, formarsi alla scuola della Parola. Infatti, spiega Martini, «in tutta la Bibbia, Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini» (p. 20). Secondo la Bibbia, neppure le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, sono un assoluto: certo, ne abbiamo bisogno, ma Dio non si può ridurre a esse: «Non puoi rendere Dio cattolico. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo» (p. 20). «Per proteggere questa immensità [di Dio] non conosco modo migliore che continuare sempre a leggere la Bibbia» (p. 21). È importante la formazione biblica, per imparare a «pensare in modo aperto». Questa, oggi, è una necessità, se «dobbiamo aiutare il mondo a trovare una direzione [...], [se] dobbiamo decidere dove la società debba andare» (ivi); altrimenti si rimane asserviti alle mode culturali del momento e a tendenze ideologiche, che rendono incapaci di discernimento e di iniziative efficaci.

Ugualmente, se manca una formazione biblica, non è possibile progredire nel cammino con le altre confessioni religiose: non basta infatti essere informati, leggere e studiare. In proposito, Martini dà ai ragazzi un consiglio molto pratico: «Fatti invitare a una preghiera dal tuo interlocutore e un giorno portalo con te a messa. Se vuoi entrare in un altro mondo religioso, hai bisogno di un amico che ti accompagni. Questo non ti allontanerà dal cristianesimo, anzi renderà il tuo essere cristiano più profondo. Non avere paura dello straniero» (p. 28). Più conosceremo i fedeli di altre confessioni, più saremo tenuti a dare ragione della speranza e della fede che sono in noi. Così facendo, ameremo ancora di più la Chiesa: «Sarai felice di essere cattolico, e altrettanto felice che l’altro sia evangelico o musulmano. Queste diverse famiglie esistono per aiutare il maggior numero possibile di persone a trovare una patria in Dio» (p. 33). «Nella gioventù, cristiani e musulmani possono imparare con ancor maggiore facilità a convivere, a comunicare nella fede e a servire insieme l’umanità» (p. 46).

Ma il fondamento di questo «pensare in modo aperto» dovrà sempre essere la formazione biblica. Solo così infonderemo nei giovani gioia e coraggio, proponendo loro non solo riflessioni teoriche, ma anche grandi traguardi concreti.

 

2. Riscoprire il ruolo dei giovani

 

Il libro rende ragione di questo approccio positivo verso i giovani da parte del Cardinale. Esso sta sostanzialmente nella capacità di ascolto. Nessuno – spiega Martini – può essere considerato «oggetto» di pastorale. Tanto meno i giovani: «Sono soggetti che stanno di fronte a noi, con cui cerchiamo una collaborazione e uno scambio. I giovani hanno qualcosa da dirci. Essi sono Chiesa, a prescindere dal fatto che concordino o meno con il nostro pensiero e le nostre idee o con i precetti ecclesiastici. Questo dialogo alla pari, e non da superiore a inferiore o viceversa, garantisce dinamismo alla Chiesa» (p. 47). Il Cardinale insiste molto su questa metodologia pastorale per avvicinare i giovani d’oggi: «Il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà [...]. L’essere umano che incontro è fin dal principio un collaboratore e un soggetto. Dialogando insieme giungiamo a nuove idee e a nuovi passi condivisi» (p. 59 s.).

A questo proposito, Martini fa due affermazioni coraggiose. La prima riguarda l’importanza del ruolo critico (o profetico) che i giovani, per loro stessa natura, sono chiamati a svolgere nella Chiesa e nella società: «La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa» (p. 60). Ovviamente la funzione critica non contrasta con la necessità che i giovani hanno di essere aiutati e accompagnati. Il problema, appunto, è come formarli: non imponendo loro una educazione, quasi siano incapaci di giudicare e di scegliere – insiste il Cardinale -, ma considerandoli sul serio collaboratori responsabili della loro stessa crescita umana e spirituale.

La seconda affermazione, che farà discutere, è contenuta nella risposta a un giovane che gli chiede se non abbia mai avuto paura di prendere decisioni sbagliate: «Alcune decisioni prese sono senz’altro da riconsiderare – risponde -. Ma [...] ritengo che una scelta sbagliata sia preferibile a non scegliere affatto», perché, in fondo, una decisione sbagliata si può anche correggere; «mi angustiano, invece, le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi» (p. 64).

Lo stesso – pare di capire – si deve dire dei giovani: è meglio che abbiano un ideale sbagliato, piuttosto che non ne abbiano alcuno; l’ideale sbagliato certo è pericoloso, perché conduce fuori strada; ma si può correggere. Invece, un giovane senza ideale, è già vecchio; non nel senso che gli anziani non abbiano ideali, ma nel senso che senza ideali la giovinezza è bruciata. «Vorrei individui pensanti – conclude perciò Martini -. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti» (ivi).

 

3. Costruire una «cultura della relazione»

 

La terza prospettiva aperta dal dialogo di Martini con i giovani costituisce il cuore di tutta l’intervista. Non è un caso che essa si trovi nella risposta alla difficile domanda sull’enciclica Humanae vitae e sulla barriera che il divieto della pillola e della contraccezione affermato da Paolo VI avrebbe eretto tra la Chiesa e la gioventù. «L’enciclica – risponde il Cardinale – ha posto in giusta evidenza molti aspetti umani della sessualità. Oggi, tuttavia, abbiamo un orizzonte più ampio in cui affrontare le questioni della sessualità» (p. 92). E qui il Cardinale introduce la prospettiva di una «nuova cultura della tenerezza» (o della relazione), che si dovrà elaborare nella direzione di una convivenza cristiana; di essa il Cardinale coglie i primi segni nei discorsi che oggi si fanno in tema di sessualità. In che cosa consiste questa nuova cultura?

Movendo dal principio evangelico secondo cui ogni rinuncia può essere solo conseguenza di amore e abnegazione, Martini parla di un modo positivo – migliore di quello seguito fin qui dalla Chiesa – per affrontare i temi delicati della sessualità, della vita e dell’amore. «In confronto a quando ero giovane, oggi il mondo è assai diverso, quanto meno più aperto e sincero. Una volta non si poteva e non si voleva quasi parlare dell’argomento sessualità, era relegato al confessionale e all’ambito della colpa. Non è quello il posto che gli compete, lo è solo quando si tratta davvero di colpa e di problemi. Oggi c’è una grande spigliatezza. Nell’incontro e nel dialogo tra genitori, figli e figlie, adulti e bambini, vedo un’opportunità per una sessualità sana e umana» (p. 96).

«La dedizione – dice – è la chiave dell’amore: questo per me è fondamentale. L’essere umano è chiamato ad andare oltre se stesso. Ciò significa essere presente per gli altri e avere bisogno di loro. La dedizione, tuttavia, riguarda anche la trascendenza. Possiamo salire da un livello a un altro superiore. Nell’amore coniugale è insita questa dinamica, che parte dall’elemento animale e dalla riproduzione della specie, ma ha uno scopo. Tramite l’amicizia e la collaborazione, la protezione dei deboli e l’educazione, la trascendenza conduce al regno di Dio. Nella dedizione di sé gli esseri umani si aprono a Dio. Nell’incontro fisico si tende verso questo traguardo. Guardare la meta è più importante che domandarsi se sia permesso o se sia peccato» (p. 95).

«Se vogliamo proteggere la famiglia e promuovere la fedeltà coniugale, dobbiamo rivedere il nostro modo di pensare. Illusioni e divieti non portano nulla» (p. 96).

«Soprattutto in queste problematiche profondamente umane, come sessualità e corporeità, non si tratta di ricette, ma di percorsi che iniziano e proseguono con le persone» (p. 97). Ecco perché «la Chiesa deve lavorare a una nuova cultura della sessualità e della relazione» (p. 99).

 

4. Conclusione

 

Abbiamo offerto solo alcuni assaggi della lunga intervista, sperando di aver invogliato a leggere il libro. In conclusione, per realizzare la Chiesa coraggiosa e aperta, annunziata dal Concilio, Martini insiste sulla necessità di prendere la Bibbia come punto di riferimento, consapevole che ciò condurrà ineluttabilmente – come è successo a Karl Rahner, Pierre Teilhard de Chardin, Henri de Lubac tra altri grandi teologi -, a «confrontarsi con chi nutriva timori e voleva salvare qualcosa della teologia neoscolastica» (p. 103). In altri termini, è maturo il tempo di riaprire la questione ermeneutica sul Concilio Vaticano II.

Infatti, di fronte alla svolta antropologica della cultura postmoderna, le categorie filosofiche e teologiche neoscolastiche, usate dai Padri conciliari, si rivelano insufficienti per rispondere agli interrogativi di oggi. Il suggerimento di Martini sta nel superare (o integrare) le categorie ecclesiastiche tradizionali, attraverso un ricorso maggiore a quelle bibliche. Del resto, lo suggerisce anche la costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II, quando riconosce che per la Chiesa la Bibbia ha valore normativo:

«È necessario, dunque, che la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (n. 21). «In ultima istanza – commenta il Cardinale -, la Chiesa può e deve tuttavia richiamarsi alla Bibbia» (p. 97). Dunque, la «novità» delle prese di posizione di Martini non sta nel supposto tentativo di prendere le distanze dalle posizioni ufficiali della Chiesa, bensì nel ripensarle prendendo a punto di riferimento la Sacra Scrittura e renderle così più comprensibili alla cultura moderna.

Occorre, cioè, – come fa la Bibbia – enunciare con chiarezza alcuni principi e riferirsi poi alla responsabilità dei singoli. Il Cardinale è convinto che la valorizzazione della responsabilità della coscienza personale faciliterà il dialogo e la mutua comprensione tra culture. La ragione è che la verità di Dio è accessibile solo attraverso le mediazioni storiche e culturali. Pertanto, alla luce della Bibbia, l’«inculturazione» della fede non è la rigida trasmissione, da una generazione all’altra, di un sistema dottrinale certo e immutabile (il depositum fidei), ma è fare storia e cultura attraverso le necessarie «mediazioni». Il discorso sulla verità non si può disgiungere da quello sulla prassi pastorale.

È molto diverso intendere la nuova evangelizzazione come mero adeguamento della verità rivelata (intesa come un sistema dottrinale astorico) ai problemi del mondo moderno, oppure intenderla nel senso di quel «pensare in modo più aperto» (e biblico), di cui Martini offre un esempio nelle sue risposte ai giovani. Ciò consente di ampliare gli orizzonti pastorali e di entrare in dialogo con la cultura dei nostri giorni, anche se molte riflessioni del libro difficilmente saranno condivise da quanti sono fermi all’impostazione scolastica, prevalente negli stessi documenti conciliari.

Ritorna il dilemma di sempre: primato della verità o primato della carità? Cultura della presenza o cultura della mediazione? Il contributo del card. Martini può aiutare a superare questa contrapposizione, in realtà più artificiale che reale. La soluzione va cercata nella direzione indicata da san Paolo, quando parla di «fare la verità nella carità» (Efesini 4,15). La verità, cioè, non «s’impone»; la verità «si fa» nel servizio, nella vita, nella storia, nella cultura. Il modo più efficace di trasmettere la verità evangelica alle nuove generazioni è testimoniarla con la parola e con la vita, mediandola nel linguaggio, nella storia e nella cultura.

Inverando la fede nella carità, direbbe Benedetto XVI: «Il cristiano sa - scrive nell’enciclica Deus caritas est – quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cfr I Giovanni 4,8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare» (n. 31 c).

Questo, appunto, chiede Martini ai cristiani adulti, rispondendo all’ultima domanda: come tramandare ai giovani il cristianesimo e farlo rifiorire? Conclude lapidariamente il Cardinale: «Consegna ai tuoi figli un mondo che non sia rovinato. Fa’ sì che siano radicati nella tradizione, soprattutto nella Bibbia. Leggila insieme a loro. Abbi profonda fiducia nei giovani, essi risolveranno i problemi. Non dimenticare di dare loro anche dei limiti. Impareranno a sopportare difficoltà e ingiurie se per loro la giustizia conta più di ogni altra cosa» (p. 126).

 

 

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