01 – SAN GIOVANNI DI DIO: IL PUNTO VERO DA DIFENDERE – Angelo Nocent

 
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IL

PUNTO VERO

 

 

DA

DIFENDERE 

  

 

Questo blog nasce solo ora ma il sogno di far conoscere al vasto pubblico uno dei più grandi campioni della carità quale è San Giovanni di Dio, il santo di Granada  che in Spagna è equiparabile per fama al nostro San Francesco d’Assisi, il sogno – dico – rimasto nel cassetto  dodici anni, potrebbe realizzarsi ora.

Benedetto XVI nella sua prima enciclica DEUS CARITAS EST cita espressamente alcune figure somme della carità cristiana: Francesco d´Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de´ Paoli, Luisa di Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta.

Il Papa ne è convito: i santi «Rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all´interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (40). Naturalmente, tra essi eccelle Maria, la donna che ama, serve, accoglie i discepoli di Gesù come suoi figli e continua dal cielo la sua opera di intercessione materna. 

 

 MELOGRANA e chicchiNel v° centenario della nascita

 

 

 

  

Scritti nel 1995, per tale ricorrenza, credo che i seguenti appunti mantengano ancora intatta la la loro attualità.

Cinque secoli fa, l’otto Marzo 1495, nasceva a Montemor o Novo, in Portogallo, Giovanni Cidade, l’attuale San Giovanni di Dio.

Qual è il modo possibile di lettura di una vita così insignificante, (se si esclude l’ultimo decennio) quale appare quella del Santo, e lo straordinario messaggio che si tramanda nei suoi figli spirituali?

Tralasciando [qui] la biografia, [Nei fratelli vedeva Gesù] resta, comunque, la straordinaria figura di un uomo qualsiasi, che ha fatto di tutto nella vita e che, improvvisamente, a quarantacinque anni, rompe i confini della nostra visione terrena e conquista di colpo un’altra dimensione. Tutte le volte che si scandagliano gli atteggiamenti di questo innamorato pazzo di Dio e dei suoi simili, si registra un primo atto di profonda umiltà, un atto che davvero lo prostrava fisicamente ai piedi della croce del Salvatore.

 D’altra parte, l’efficacia di questo suo atteggiamento è confermata dal fatto che in nessun momento veniva sfiorato il pericolo di mettersi come esempio, di proporsi, di fare scuola. Al contrario, si deve aggiungere che, più andava avanti in quest’opera di totale dedizione a Dio e al prossimo, più si allargava e si arricchiva il suo spirito di umiltà. Prova ne sia che non si è mai sognato di fondare un ordine religioso, bensì di sopperire con tutti i mezzi alle necessità di coloro che incontrava sul suo cammino. (*) Bisogna ammettere che di strada ne ha fatta tanta e tutta a piedi, nel vero senso della parola.

 Rileggere trent’anni dopo – come sto facendo – le lettere di chi ha affascinato la mia giovinezza, è come scoprire un tesoro dimenticato in un vecchio baule riposto in solaio. Tali, infatti, mi appaiono i suoi scritti, i pochi rimasti. [lettere di san giovanni di dio] Devo riconoscere che allora, pur attratto dal Santo, le sue lettere mi apparivano prolisse, datate, non più di tanto rivelatrici del suo animo. Erano i tempi avvincenti del Concilio Vaticano II e del vino nuovo in fermento nelle nostre coscienze.

Dei vecchi libri di spiritualità si faceva volentieri senza e, nel tentativo di eliminare la bigiotteria poteva succedere di scartare involontariamente anche pietre preziose. Oggi, proprio grazie al Concilio, tralasciando le considerazioni stilistiche sulla prosa che risente inevitabilmente del tempo, esse mi appaiono rivelatrici di una spiritualità essenziale, robusta, capace di resistere ai mutamenti delle variabili storiche.

L’itinerario spirituale di uno dei più curiosi scherzi della Grazia manifestatisi nel XIV secolo e tutt’ora palese negli eredi spirituali, i Fatebenefratelli, è attuale perché la sua risposta alla chiamata assomiglia a quella di Abramo, nostro padre nella fede. Ma anche a quella di Paolo di Tarso. Ed è un peccato che nessuno abbia tentato una lettura della sua vita alla luce delle Scritture.

Il nostro Patriarca è un vero discepolo del Signore Gesù la cui esperienza umana andrebbe riletta non soltanto accostandola alla parabola del Buon Samaritano, come s’è fatto fin’ora. Tale è certamente il motivo dominante della sua conversione ma il suo poema sinfonico di carità è costellato di passaggi meno sottolineati ma altrettanto interessanti.

La sua è un’esistenza tempestata di divine chiamate fin dalla fanciullezza che, apparentemente, sfociano in vicoli ciechi. La conversione si manifesta in forme che il senso comune definisce follia, cioè malattia mentale. Quest’uomo fatto a suo modo, quasi inimitabile, frequenta case principesche e tuguri, l’arcivescovado ma anche il carcere, il manicomio e le case di prostituzione. E’ un persistente indebitato per Dio fin sul letto di morte, sempre in affanno per onorare gli impegni e farsi aprire nuovo credito, ogni volta con l’acqua alla gola e col rischio di insolvenza che puntualmente svanisce per mani caritatevoli di nobili soccorritori. Lascia debiti in eredità ai primi discepoli che resteranno contagiati nei secoli dalla stessa malattia. I primi discepoli? Nessuno può immaginarlo: si tratta di gente strappata alla galera, al facile guadagno, all’odio, alla vendetta e segnata, come lui, nel profondo, dal marchio indelebile della carità inarrestabile.

 E’ uomo di grandi intuizioni e animato dal senso pratico, ma segue umilmente anche la direzione spirituale ed i consigli del Santo Giovanni d’Avila e mantiene costanti legami con il suo Vescovo. Nel suo ospedale l’altare è al centro della corsia. Il Vangelo è il metro di valutazione e di giudizio degli avvenimenti. Preghiera e penitenza sono le quotidiane sue armi di difesa interiore ed esterna. L’ospitalità, l’accoglienza, la condivisione sono pane quotidiano. I doni dello Spirito, la sua unica ricchezza. 

Uno sforzo di lettura approfondita in tali direzioni, lo renderebbe ancor più attuale nel nostro contesto storico, per certi versi molto simile al suo. 

 Si pensi al terzo mondo che i paesi progrediti si ritrovano in casa, incapaci di risposte adeguate, un fiume in piena che nessuno riesce ad arginare. 

O alla pestifera droga, destinata chissà fino a quando a mietere giovani vite, avvilite esistenze.

O ancora agli ospedali che sembrano aver proprio dimenticato la lezione profetica del Santo e riducono il malato a caso clinico e la struttura a deficit amministrativo da colmare.

La nostra sanità ed assistenza sociale occidentale, perenne mediatrice di interessi contrapposti e alla ricerca di consenso, avrebbe davvero bisogno della fantastica incoscienza di un San Giovanni di Dio. Infatti, ciò che accade sotto i nostri occhi smarriti non è che l’inevitabile risultato derivante dalla limitata prospettiva ottica di cui dispone l’uomo psichico, ossia l’uomo laicizzato e secolarizzato, rispetto alla vastità di orizzonti che si aprono all’uomo pneumatico ( 1 Cor. 2,14-15).

La dimensione spirituale e divina della persona, gratuito dono di Dio, abbraccia tutto ciò che nell’uomo è iscritto e all’uomo appartiene a partire non dalla sua psiche ma dai desideri dello Spirito secondo i disegni di Dio (Rom. 8,26-27). Nessun progresso scientifico o tecnico può mai sperare di giungere a scoprire le profondità divine dell’uomo. La sapienza laica di questo mondo (1 Cor.2,6) può al massimo concepire di liberare l’uomo mediante la umanizzazione del mondo, della società, delle sue strutture, delle relazioni sociali e internazionali, “ ma quel che nasce da carne è carne, e quel che nasce dallo Spirito è Spirito “ (Gv. 3,6). I risultati sono sotto gl’ occhi di tutti.

Si dirà che ognuno è figlio del suo tempo e che San Giovanni di Dio è un caso irripetibile. Ma forse no: la sua lezione è ripetibilissima. A patto di restare con lo sguardo assorto, in attesa di una rivelazione che appartiene soltanto allo Spirito e al cuore.

L’uomo d’oggi, il vecchio piccolo dio di se stesso che consuma l’esistenza in tragiche contraddizioni, talvolta si pone una domanda fondamentale e importante: è possibile riscattare attraverso i nostri atti terreni la lezione di Cristo? E se sì, in che modo dobbiamo regolarci? La tendenza a spegnere il fuoco interiore per accontentarsi di una religione intesa soltanto come ragione ed esaltazione dell’uomo è sempre in agguato. Il segreto del cristianesimo è questo: i discepoli di Cristo devono diventare non divini come Dio ma umani come Dio.

Giovanni di Dio è l’uomo che non ha alcuna illusione e presunzione di imitare Cristo. Egli sa, per esperienza interiore, di essere in Cristo Gesù (Fil.2,1,5. Il quarantacinquenne sradicato, proveniente da un paese insignificante del Portogallo, accostabile a un altro paese un tempo irrilevante, Betlemme, ha potuto mettere in atto un’esplosione nucleare di carità i cui effetti perdurano, semplicemente perché si è lasciato trascinare nell’umanità di Dio. Ecco descritta la miopia umana di allora e di ogni tempo che vede nella sua conversione i sintomi della follia di un esaltato schizofrenico, invece di magnificare Colui “che innalza i miseri”. Di qui l’estrema attualità della sua proposta di “dare per darsi”, il fascino di questa storia d’amore tra un uomo e il suo Dio e, nello stesso tempo l’evidenza della nostra tragica cecità .

 

Il rischio dei Fatebenefratelli oggi è di lasciare in piedi lo scenario delle grandi strutture ospedaliere mentre il palcoscenico si svuota delle voci significative e creative indispensabili.

 Il punto vero da difendere è quello della sostanza e della continuità della fede. Sul resto permane un grande margine di confusione che può produrre rotture e devastazioni locali e storiche anche oggi come in passato. Giocare d’astuzia sui numeri del silenzio e delle troppo facili allusioni non paga. Sta in noi cercare il Vangelo. Epperò il confronto spirituale interiore tra il nuovo e la tradizione s’impone.

La misura dell’eterno, la conferma di una speranza che va ben oltre l’attualità e il contingente, sono ben presenti nel vecchio cristianesimo, quello di Giovanni di Dio, di cui si è tentati di cantare la morte e la sconfitta.

Nella sua tomba si conserva una luce di vita, un segno eterno di attesa che nessuna riforma umana, pur auspicabile, necessaria, urgente, riuscirà mai a sostituire. Giovanni si è presentato a Dio in tutta la sua fragilità di uomo ma anche in tutta la coscienza dell’ultima, della sola verità: Cristo, e Cristo crocifisso.

Strumenti essenziali d’ogni vera rivoluzione cristiana sono sempre due: carità e preghiera. Giovanni di Dio li ha usati per compiere il miracolo, per noi così ovvio, dell’ospedale moderno di cui, a buon diritto è ritenuto l’ideatore.

Ma di quale ospedale? Quello sotto i nostri occhi, più che un gioiello di famiglia, sembra un’eredità lapidata.

                                                                                     Angelo Nocent

(*) Il dottor Fra Giuseppe Magliozzi, o.h., studioso di San Giovanni di Dio e memoria storica dell’Ordine, mi ha fatto un appunto che merita di essere tenuto presente: Mi permetta una piccola osservazione alla sua affermazioneProva ne sia che non si è mai sognato di fondare un ordine religioso”. Si tratta di un’affermazione frequente in chi scrive sul Santo, ma in realtà, almeno negli ultimi tempi, egli divenne assolutamente cosciente d’aver fondato una nuova Famiglia Religiosa, tant’è vero che confidò, come annota il Castro, che “ci sarebbero stati fratelli del suo abito in tutto il mondo“…e noi nelle Filippine siamo l’ennesima conferma della sua profezia!” (Manila, 05.07.2007)

  

angelonocent-150x150Voi non ci crederete ma, dopo aver scritto questa riflessione, rimasta tra le carte, è successo un miracolo: con l’incarico affidatomi di portarle a destinazione, son cominciate a piovere numerose LETTERE DAL CIELO e ancora adesso ogni tanto ne arriva qualcuna. Da bravo postino, ho provato a recapitarle ma per carenza d’indirizzo o perché respinte, mi son tornate tutte indietro. Così ora mi son deciso per un fermo posta e chi vi è interessato non ha che da frugare nella colonna di destra. Le lettere sono state classificate con un numero, in sequenza non cronologica perché prive di data, seguìte dalla sigla ldc (lettere dal cielo)Col tempo si spera di poter semplificare ulteriormente. Ma, tanto per cominciare, ecco la prima:
 

 San Giovanni di Dio e i giovani discepoli di oggi

L’allora Priore Provinciale  della Provincia Lombardo-Veneta, Fra Raimondo Fabello (nella foto), sempre in concomitanza con il Quinto Centenario, ha presentato una biografia inedita sul Santo in questi termini: 

fra raimondo“Celebriamo quest’anno il Quinto Centenario della Nascita del nostro padre Fondatore ed è in questo anno giubilare che la presentazione di questo nuovo libro sulla vita di San Giovanni di Dio, scritto da Juan Félix Bellindo, scrittore giornalista spagnolo, tradotto da Giuseppe Pessa ed edito da Città Nuova, è per noi motivo di gioia e di sicuro arricchimento per l’Ordine e per tutta la Chiesa.

Il fatto che un giornalista, abituato ad interrogare la storia attraverso i suoi contemporanei, si sia interessato ad un uomo vissuto nel XVI secolo diventa anche motivo di riflessione e ci fa pensare che questo uomo non appartenga solo al passato ma sia di un’attualità straordinaria anche per gli uomini del nostro tempo e non solo per i religiosi.

Siamo riconoscenti all’autore che si è impegnato in una ricerca approfondita per ricostruire in modo nuovo e il più possibile fedele le esperienze del portoghese Giovanni Ciudad, poi Giovanni di Dio, da papa Alessandro VIII elevato alla gloria degli altari nel 1690.
.

Siamo tutti chiamati, credenti e non credenti, a creare una società nella quale venga eliminata la violenza, l’emarginazione, la competitività, la manipolazione e sia instaurata la giustizia, la solidarietà, il rispetto e la dignità di tutti nell’amore. Assumere gli atteggiamenti di San Giovanni di Dio significa lanciarsi nella vita senza paura, con coraggio, con speranza. Questa nuova biografia è sicuramente uno strumento di conoscenza, di studio e di approfondimento degli atteggiamenti che hanno caratterizzato la vita di Giovanni diDio e ne hanno determinato l’impegno totale verso i più bisognosi nell’imitazione di Cristo” . San Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo; lo dimostrano oltre all’interesse che continua a suscitare nel mondo della cultura, le opere di noi successori che, attraverso il carisma dell’Ospitalità, rinnoviamo quotidianamente nel mondo della sanità la missione del fondatore.

 San Giovanni di Dio ha iniziato la sua opera a Granada, praticamente sulla strada; senza mezzi è riuscito ad affascinare persone sensibili che con la loro generosità gli hanno permesso di aprire un luogo dove accogliere tutti i bisognosi.

Come i nostri predecessori, che seguirono le orme di Giovanni di Dio, noi Religiosi Fatebenefratelli, conosciuti dal 1571 nella Chiesa col nome di Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, siamo chiamati oggi sulla spinta della nuova evangelizzazione ad attin-gere alla ricchezza del nostro Carisma e a rispondere ai bisogni dell’uomo del nostro tempo per giungere preparati a vivere il Terzo Millennio con rinnovata vitalità”.

  

 Siate miei imitatori come anch’io lo sono di Cristo.1 Cor 11,1)

 

 

 

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