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ST. RICHARD PAMPURI UNIVERSITY

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Chi siamo?  

 - DISAGIO TEMPORANEO -

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UNA FINESTRA

 

SUL MONDO

 

     

C’ERA UNA VOLTA…

 

 

Tutto si è svolto lentamente sotto questo cielo,

ma la scintilla è scoccata a Granada,

il 20 Gennaio 1539,

all’Eremo dei Martiri,

festa di San Sebastiano,

presente San Giovanni d’Avila…

il grande predeicatore della Spagna

BENVENUTO NELLA

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Tanto si ha lo Spirito,

quanto si ama la Chiesa.

“Se vedi la carità, vedi la Trinità”

 (S.Agostino)

 Salutiamo voi che, santificati in Cristo Gesù,

chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che che in ogni luogo

invocano il nome di Gesù Cristo, nostro Signore e loro:

grazia a voi e pace

da Dio e dal Signore Gesù Cristo ”.

(1Cor 2-3)


 

Chi siamo?

SCHIENE A DISPOSIZIONE DI DIO…

nel cuore del Vangelo a farGli strada:

“Andate…guarite…annunciate…” (Mt 10,5 ss) .

“PORTATE GL’UNI I PESI DEGL’ALTRI” (Gal. 6,2)

“L’indefesso camminatore di Granada, colui che faceva appello alla carità dei fratelli, era GIOVANNI DI DIO. Facendosi carico di ogni bisogno, ha fatto ri-palpitare nella Chiesa il cuore del vangelo, ossia la “Charitas-Hospitalitas”, la cura paupeum senza frontiere: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv. 20,21).

 

PANE E’ OGNI BISOGNO UMANO

Epperò: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” (Deut 8,3)

Questa dunque è un’oasi per prendere fiato, parlarsi, con-dividere:

  • MALATI A DOMICILIO CON LA COMUNITA’ TERAPEUTICA,

  • OPERATORI SANITARI TRA LORO E CON I PAZIENTI,

  • LA CHIESA LOCALE CON LA CHIESA SANANTE.

Un farsi del bene… per amore di Dio, alla scuola del sofferente.

Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono tra le cose Non Non abbiate paura delle nuove tecnologiemeravigliose che Dio ha messo a nostra disposizione per  scoprire, usare, far conoscere la verità”. (Giovanni Paolo II)

  

E’ Movimento di Laici e Consacrati, uomini e donne, sani e malati, giovani e adulti che si ispirano a San Giovanni di Dio, il profeta dell’ Hospitalitas,

Russotto - San Riccardo Pampuri fotoa San Riccardo Pampuri, il medico suo discepolo, santo dei nostri giorni:

“Andate…guarite…annunciate…” (Mt 10,5ss). Testimoni del Vangelo e Chiesa sanante al servizio del mondo.

L’INIZIO

Nel 2008 ricorrono i 469 anni della prima compagnia che ha seguìto san Giovanni di Dio e preso in mano le sue opere. Egli è  l’ignaro fondatore della prima “Compagnia delle Opere” che si registri in sanità.

Poiché la petizione al Pontefice di formale costituzione del Gruppo Ospedaliero risale al 1570, ossia vent’anni dopo la morte del Santo ed è precisamente del 1571  che  avviene il riconoscimento della Congregazione, è giusto evidenziare che per Giovanni di Dio i discepoli – senza distinzione - furono dei necessari collaboratori da subito.

José Cruset, lo scrittore e poeta che ha occupato uno dei primi posti nella letteratura spagnola degli anni ‘50 e che, dopo ricerche e profonda meditazione, ha inteso scrivere la vita di san Giovanni di Dio, riuscendovi egregiamente, fa questa considerazione:

“Aveva bisogno di mani, di volontà, e se le procurò. Ma niente più. Non arrivò a pensare all’importanza che aveva la compagnia di quegli uomini semplci, come lui stesso, pieni di fede; e nemmeno la possibilità di espansione, grazie al germe che lasciava. L’impulso di Giovanni di Dio fu talmente importante che trascinò questi primi uomini alla necessità spirituale di ampliare l’area della sua attività” (J. Cruset in Un avventuriero illuminato, p.352)

 

Egli così riassume l’attività di fondazione dei Fatebenefratelli che, per praticità di lettura e messa fuoco di concetti essenziali, esprimo sotto forma di elenco:

  1. “Giovanni di Dio non aveva pensato, in nessun momento, di fondare un Ordine. Il desiderio di Giovanni di Dio, manifestato fino all’ora della morte, fu semplicemente che l’ospedale di Gomeles non interrompesse la sua assistenza.

  2. I discepoli, per Giovanni di Dio, furono dei necessari collaboratori. Aveva bisogno di mani, di volontà, e se le procurò, Ma niente di più. Non arrivò a pensare all’importanza che aveva la compagnia di quegli uomini semplici, come lui stesso, pieni di fede; e nemmeno le possibilità di espansione, grazie al germe che lasciava.

  3. L’impulso di Giovanni di Dio fu talmente importante che trascinò questi primi uomini alla necessità spirituale di ampliare l’area della sua attività.

  4. Anton Martin, il successore voluto, designato da Giovanni di Dio, assume la direzione di questo gruppo. Ha l’esempio di Giovanni di Dio scolpito nell’anima; e va innanzi. Quella primitiva audacia, quella inerzia di ciò che apparentemente è sconsiderato in Giovanni di Dio, spiega ogni cosa.

  5. La morte di Giovanni di Dio rimane scolpita nei cuori. Ma nulla s’interrompe. Incomincia l’attività. La popolazione d’infermi e poveri cresce. La necessità obbliga ad andare innanzi. L’opera lo merita.

  6. A Granata, con l’aiuto dell’arcivescovo, due anni dopo la morte di Giovanni di Dio (1552) si acquistò un’area fabbricabile nella via san Girolamo. Di fronte all’idea, con l’attività incessante di tutti i discepoli, sotto la direzione di Antòn Martìn, con l’appoggio dell’arcivescovo, e con la divulgazione del progetto, effettuata dal Maestro Giovanni d’Avila [ora santo n.d.r], la popolazione di Granata risponde senza distinzione. Ognuno con quel che può. E si fonda il nuovo ospedale.(Attualmente Ospedale Provinciale di Granata).

  7. Ma l’espansione varca subito i confini di Granata: Anton Martin, un anno prima di morire, fonda a Madrid un altro ospedale, sotto gli auspici di Filippo II (1553), che dopo la sua morte giunge a piena realizzazione: Questa casa di Madrid si convertirà in residenza generalizia.

  8. Morto Anton Martin, gli succede nella direzione Juan Garcìa, l’ultimo dei cinque amici e compagni, testimoni della vita di Giovanni di Dio. Figurano altri nomi accanto ai primi, nomi illustri dei nuovi pr4opagatori dell’Ordine: Rodrigo de Siguenza, Pedro Soriano, e Sebastiano Arias. Prosegue il lavoro creativo.

  9. Nel 1564: Montilla. La casa si chiama “Nostra Signora de los Remedios”.

  10. el 1565, Lucena. L’ospedale prende il nome di “San Giovanni Battista”.

  11. 1568. L’insurrezione dei mori a Granata registra giorni di sangue. L’attività assistenziale degli ospedalieri acquista risonanza. L’efficachia delle loro attività viene commentata. Questa data è, come dice Pazzini, il battesimo del fuoco dell’istituzione. Anche in quell’anno, un nuovo ospedale: Jerez de la Frontiera. E, subito un altro a Utrera”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma chi furono i primi partecipanti alla Compagnia delle opere di Dio?

 Bisogna partire da una data precisa: Gennaio 1538. E’ l’anno in cui Giovanni ha una netta visione di Dio, come conseguenza della predica del P. Giovanni d’Avila. E’ l’anno della permanenza nell’Ospedale Reale, dove fa l’esperienza di pazzo con i pazzi, rognosi, infermi d’ogni specie. Dopo tale esperienza, di lui così racconta il Cruset:
 
 “Uscitone appena, destinato a provare e orientare la sua chiara vocazione, [si ritrova] di nuovo la povertà e la miseria, ambiente ormai definitivo in quanto è oggetto della sua attività. In esso si muoverà fino alla morte. La persistenza dell’ambiente d’or’innanzi è stabile. Potremmo dire professionale.
 
 E poiché tutto sempre nella sua vita è stato semplice, povero, lacero, un fatto di somma importanza come quello della fioritura, vale a dire della prima risonanza del suo esempio – inconscia nascita della sua opera – con l’apparizione di un discepolo, il primo, ha da collocarsi in circostanze di assoluta semplicità e in un ambiente piccolo, oscuro e negativo. Dinanzi al nuovo personaggio si rende ancora una volta attuale l’affermazione che le origini della virtù, del bene o della santità hanno un interesse relativo. Quel che conta è l’efficacia. Quanto più grande la sproporzione, tanto maggiore l’ascesa e più visibile il potere della grazia . Non mi stancherò di ripeterlo”.(p.210)
La grazia dello Spirito a questo punto mette in scena il primo discepolo della compagnia, il primo anello di aggancio della catena che si aggancia al Profeta di Granada.
Lo Spirito alita e nasce il Movimento, prende corpo l’idea (la caritas-hospitàlitas) che si trasforma in compagnia di testimoni, in aggregazione di intenti e di mani operose all’insegna di “Un criterio ideale, un’amicizia operativa”. intesa come mutua collaborazione e assistenza tra soci, sotto forma di Impresa Missionaria.
E’ affascinante andare a rileggere quella pagina di storia che può ispirare le opzioni di ADESSO e la rifondazione dei primi collaboratori non religiosi in Compagnia dei GLOBULI ROSSI.
Sempre secondo il Cruset, la tesi della visibilità del potere della grazia “trova una dimostrazione nell’apparizione in scena di Antòn Martìn, ruffiano di un postribolo: sordido il luogo di origine, di basso livello morale la persona.
Naturalmente Giovanni di Dio lo ha conosciuto nel suo ambiente. Lo conosce nelle sue visite ai postriboli o a motivo di esse. Nonostante la sua spregevole occupazione, Giovanni di Dio gli si avvicina. Tutti possono aver bisogno del suo aiuto. Egli la pensa così.
E’ evidente che, dietro ogni cosa, v’è una zona sconosciuta, forse di bene, che a volte non affiora, non giunge a scoprirsi perché nessuno s’è trattenuto a contemplarla o a presentirla o a desiderarla con una ferma speranza.
Anton Martin è un uomo alto che porta sempre in capo un berretto rosso. E’ un uomo forte, giovane, lussurioso e freddo, di buon aspetto e di vita cattiva.
Il motivo della sua presenza a Granada è una strana vendetta familiare, mezzo umana e mezzo primitiva. Il suo vero nome è Anton de Argon. Nativo del borgo di mira, provincia di Cuoenca, figlio di Petro de Argon e Maria Martinez de la Cuesta.
E’ venuto a Granada un po’ alla ventura, condotto dall’idea fissa di vendicare suo fratello Pedro, assassinato da un certo Pedro Velasco (sarà il secondo discepolo del Santo).Lo ha inseguito fino a Granada ed è riuscito a farlo mettere in carcere. Il processo procede lentamente. Il Velasco è di famiglia ricca e non gli mancano buoni patrocinatori per rinviare la sentenza. La vita di Anton Martin si svolge nei bassifondi della città. Il suo modo di vivere è amorale.
Questi sono i dati fondamentali, i lineamenti essenziali di quest’uomo, tipo da postribolo, accecato dall’idea fissa di vendicare un assassino. Quest’uomo che giungerà ad essere il discepolo prediletto di Giovanni di Dio, modello di virtù.
Per ora ci interessa solo quel che egli è in questo momento e come inizia il suo contatto con Giovanni di Dio, le circostanze della sua prodigiosa conversione e la sua conseguenza immediata. Il resto verrà dopo.” (p.212)
Il miracolo della Grazia è provocato da Giovanni di Dio che introduce il discorso sul perdono:
E quando Anton Martin parla del sangue del fratello, Giovanni di Dio parla del sangue del Cristo nelle cui labbra del color di viola morta è il perdono per tutti” .
Anton Martin si induce a perdonare. Giovanni di Dio che dispone di amici influentia Granada, ottiene l’incontro di lui con Pedro Velasco nel carcere, e si riconciliano. Poi viene il perdono ufficiale, legale, di Anton Martin, del quale dovrà rimanere il documento negli atti, per l’ottenimento della libertà di Pedro Velasco che, finalmente – certo per mediazione di Giovanni di Dio -, è ottenuto“.
E’ il primo passo. Dopo, si susseguono gli avvenimenti, come se una mano invisibile aprisse la cortina per far penetrare la luce. E comincia l’azione. Anton Martin si converte. L’ascesa è gloriosa, se si pensa alla sua vita. Inoltre si arrende senza condizioni, si offre come collaboratore di Giovanni di Dio. Rinunzia a tutto, e lo seguirà fino alla morte. Sarà – col tempo – suo successore eminente e discepolo preferito.
Ma c’è di più. Pedro Velasco, colpito dall’avvenimento, si converte anche lui e decide di mettersi a fianco di Giovanni di Dio. E’ quasi in coincidenza con Anton Martin il secondo discepolo. L’Andaluso Velasco “seguirà Giovanni di Dio, commosso dalla sua opera. La sua vita si dividerà tra la carità e la più dura penitenza.
…La conoscenza di di Anton Martin avviene quando Giovanni di Dio, disponendo di personale che lo aiuta nel suo lavoro ospedaliero, può estendere l’area della sua attività a zone bisognose propriamente aliene all’ospedale, come la sua campagna nei postriboli.
L’affermazione è incerta, ma l’importanza è il fatto esemplare. La condotta di Giovanni di Dio colpisce e l’opera inizia“.

Altri tre discepoli vengono a collaborare con Giovanni di Dio dopo Anton Martin e Pedro Velasco. Imprecisa la data ma, ma sicuri i nomi e l’ordine della loro comparsa.

Simon de Avila:

” Di Granata. Se non nemico di Giovanni di Dio, è considerato come uno dei fabbricatori della maldicenza che lo avvolge. E’ sicuramente di umile condizione.

Spia e commenta le visite che Giovanni di Dio effettua, occupazione poco dignitosa. Inquisisce, va curiosando. Temperamento frivolo, dedito alla sterile attività di spiare i passi di Giovanni di Dio e poi commentarli. Prende contatto con lui, alfine si converte, e ripara il male che aveva fatto con importanti servizi, austero e fattivo, in favore dei poveri.”

Domenico Piola:

“Sposato, genovese, noto mercante di Granada. Danaroso. Giovanni di Dio lo conosce perché va da lui a chiedere elemosina. Nei primi tentativi il rifiuto del mercante è categorico e il suo atteggiamento è cipiglioso. Una volta l’elemosina viene strappata sotto forma di prestito. Un prestito di trenta ducati. Il genovese gli chiede garanzia. Giovanni di Dio non gli rappresenta alcuna garanzia. Nella discussione attorno all’avvallo che il mercante pretende, Giovanni di Dio prende a parlare delle garanzie divine, le uniche di cui dispone. Domenico Piola, colpito dalle parole di Giovanni di Dio, gli dà il denaro. Dopo, si converte in un protettore abituale, e più tardi, “a tempo opportuno, quando fu libero dal matrimonio” [si suppone vedovo], liquida i suoi beni e rimane in compagnia di Giovanni di Dio. Si esercita nel chiedere elemosina gridando il solito richiamo per la città e, giacché tutti conoscono la sua provenienza, riesce commovente ed efficace”.

Juan Garcia:

“Anche lui di Guardafortuna, come Pedro Velasco. Povero in canna. Uomo virtuoso e austero che si avvicina a Giovanni di Dio e, passando da una vita solitaria e contemplativa alla massima attività, giunge ad essere infermiere maggiore. Muore a sett’antanni, in opinione di grandissima virtù.”

La conclusione cui giunge l’Autore, sempre attento ad evidenziare “la grande sproporzione” tra l’insignificanza della risorsa umana che è in gioco e i potere della grazia, è questa:

Anton Martin, Pedro Velasco, Simon de Avila, Domenico Piola e Juan Garcìa, attorno a Giovanni di Dio, rappresentano la continuità. Sono i cinque primi compagni di Giovanni di Dio. Compatto manipolo votato al sacrificio, con una croce in mano, senz’altra risorsa che la speranza, travolti dall’esempio prodigioso del pastore di Oropesa, già circonfuso dai primi inspiegabili raggi della santità, si arruolano nella sua grande avventura. Sono i depositari del suo esempio, testimoni delle sue virtù e mandatari verbali della sua idea. Sono l’opera.

Tengasi presente che son tutti, nonostante la buona posizione economica di Domenico Piola, uomini senz’alcuna formazione e senza interessi intellettuali. Questo spiega l’assenza di una versione diretta della vita di Giovanni di Dio, quanto meno del Giovanni di Dio di quel periodo. Questo spiega che siano, come lui stesso, uomini d’azione. Come lui stesso, che non pensò ad una continuità organizzata. Se così fosse, sarebbe stato logico pensare che si sarebbero preoccupati di annotare tutta la sua dottrina e le caratteristiche della sua personalità, E, anche senza esplorare la sua vita interiore, ne avrebbero descritto il colorito del volto, la forma delle labbra o lo strano potere illuminato delle parole. Ma non è così. Ben poco sappiamo. Ben poco.” (p.217)

Sappiamo quel tanto che basta dalle fonti stesse dove ha attinto il Cruset.

Disponiamo di elementi sufficienti a giustificare la presenza della Compagnia dei GLOBULI ROSSI, Movimento con DNA O.H., che si ispira agli inizi della Fondazione e si muove nel segno della continuità. E’ il testimone che passa di mano in mano, di generazione in generazione, fiamma che non si spegne perché alimentata dalla carità di Dio riversata, per lo Spirito, nei cuori dei discepoli ed espressa secondo il mutare dei tempi.

La domanda che nasce spontanea è come abbia potuto questa forte-debolezza resistere a tutte le intemperie, a varcare i secoli. La risposta è racchiusa nella 2 Lettera di Paolo ai Corinti: “Quando sono debole, è allora che sono forte“.

Il testo Scritturale va letto per intero perché è la sintesi della biografia spirituale di san Giovanni di Dio, del suo rapporto con il Mistero della Grazia che ha vissuto segretamente nella sua anima e riassumibile nell’espressione ricorrente all’inizio di ogni sua lettera:

Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e di nostra Signora la Vergine Maria sempre integra, Dio avanti e sopra tutte le cose del mondo. Amen Gesù“. Questo è il suo Cielo in cui si trova rapito.

“1 Non è bello vantarsi, eppure devo farlo. Perciò vi parlerò delle visioni e delle rivelazioni che il Signore mi ha concesse.

2 Conosco un credente che quattordici anni or sono fu portato fino al terzo cielo. (Io non so se vi fu portato anima e corpo, o se lo fu soltanto in spirito: lo sa Dio).

3-4 So che quell’uomo fu portato sino al paradiso. (Se lo fu fisicamente o solamente in spirito – lo ripeto – io non lo so: Dio solo lo sa). Lassù udì parole sublimi che per un uomo è impossibile ripetere.

5Di quel tale sono disposto a vantarmi, ma per quanto riguarda me, mi vanterò soltanto delle mie debolezze.

6Se avessi voglia di vantarmi non sarei un pazzo perché direi la pura verità. Tuttavia non lo faccio: voglio che la gente mi giudichi in base a ciò che faccio e dico, e che non abbia di me un’opinione più alta.

“7 Io ho avuto grandi rivelazioni. Ma proprio per questo, perché non diventassi orgoglioso, mi è stata inflitta una sofferenza che mi tormenta come una scheggia nel corpo, come un messaggero di Satana che mi colpisce per impedirmi di diventare orgoglioso.

8 Tre volte ho supplicato il Signore di liberarmi da questa sofferenza.

9 Ma egli mi ha risposto: “Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole”. È per questo che io mi vanto volentieri della mia debolezza, perché la potenza di Cristo agisca in me.

10 Perciò io mi rallegro della debolezza, degli insulti, delle difficoltà, delle persecuzioni e delle angosce che io sopporto a causa di Cristo, perché quando sono debole, allora sono veramente forte.

“11 Ho parlato come se fossi pazzo! Siete voi che mi avete costretto” (2 Cor 12, 1-11).

L’Apostolo prima, Giovanni di Dio poi, hanno colto dove sta la potenza del Vangelo: non nella “forza” dell’imposizione ma nella “debolezza” della proposta.

  • ”DEBOLEZZA” non è assumere una posizione rinunciataria nei confronti dell’annuncio di Cristo che è e rimane “Via, Verità e Vita”.

  • Vuol dire invece accettare la logica divina di un amore convincente perché è donato, e senza pretese.

  • Non c’è nulla di più “debole” al mondo di un Dio che muore e la cui opera si presenta agli occhi della insipienza umana come una sconfitta.

 E’ il segreto della riuscita di San Giovanni di Dio, il brevetto che la Compagnia si tramanda:

“Quando sarete afflitta [scrive alla duchessa di Sessa] ricorrete alla Passione di Gesù Cristo nostro Signore e alle sue preziose piaghe e proverete gran consolazione”.

Ricorrere per provare. Ma a chi, a un Crocifisso? Che coraggio! Che follia!

Ha scritto il teologo Bruno Forte che “I più grandi movimenti della filosofia occidentale hanno riconosciuto proprio nella parola della croce, nel fatto che Dio faccia sua la morte per amore del mondo, quanto di più alto la mente umana abbia potuto raggiungere” (Avvenire 21 giugno 2000, p. 23).

L’attrattiva che scaturisce dal messaggio evangelico consiste allora in questo: nel rinunciare ad ogni genere di potenza umana (armi, denaro, potere politico) per contare unicamente sulla forza dello Spirito, l’unica che alla fine può riuscire vittoriosa. Poiché conta su di un amore che è un “amore onnipotente” (F. Varillon).

Chi si lascia catturare da questo fascino, impara che Dio sta dalla parte di chi non cerca l’arroganza, di chi resiste alla tentazione della violenza per affidarsi unicamente a quegli strumenti “deboli” quali l’annuncio, il dialogo, la testimonianza, la carità, il perdono.

Senza andare lontano, sono esattamente i martiri della giustizia e della carità del XX secolo a mettere in evidenza come una parte del patrimonio cristiano può essere terreno di condivisione con gli stessi non credenti.

Proprio perché ciò che Gesù insegna sui rapporti tra gli uomini, se non è per essi oggetto di fede, rappresenta tuttavia un grande valore umano, prende il via il Movimento dei GLOBULI ROSSI che trova ispirazione nella debolezza divina.

Chiamato ad immischiarsi nelle contraddizioni umane, si rifà a San Giovanni di Dio ed ai cinque della prima ora, nell’ordine di comparsa sulla scena dell’hospitalitas: Anton, Pedro, Simon, Domenico, Juan. Ma anche agli ultimi big della cordata, San Riccardo Pampuri.

Le armi della Compagnia sono quelle di sempre: “Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole” (v.9) .

Shema Israel !

ASCOLTA, ISRAELE:

IL SIGNORE È NOSTRO DIO,

IL SIGNORE È UNO.

(a voce bassa)

Benedetto il Nome glorioso del suo Regno  in eterno e per sempre.

LA FEDE

E’ UN FUOCO

LA CARITA’

E’ COME L’INCENDIO

CHE SI ALIMENTA

PROPAGANDOSI

 

 

 

Alla voce Pagine, sulla colonna di sinistra, trovi ulteriori spiegazioni sulla GLOBULI ROSSI COMPANY.

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PER ME IL VIVERE E’ CRISTO

Fil 1,12 – 2,18

OPZIONI

*

Voluntariado San Juan de Dios
11 min

Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annunciò agli apostoli “un altro consolatore”. L’evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole:

  • Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio…

  • Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga convoi sempre, lo Spirito di verità”.

  • Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama Paraclito — e parákletosvuol dire “consolatore”, e anche “intercessore”, o “avvocato”.

  • E dice che è “un altro” consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore della Buona Novella.

Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l’opera della Buona Novella di salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce.

Le parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel Vangelo di Giovanni. Ognuna di esse aggiunge un certo contenuto nuovo a quell’annuncio e a quella promessa.

Al tempo stesso, esse sono intrecciate intimamente tra di loro non solo dalla prospettiva dei medesimi eventi, ma anche dalla prospettiva del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova un’espressione così rilevata come qui.

Poco dopo l’annuncio surriferito Gesù aggiunge:

“Ma il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”.

Lo Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre presente in mezzo a loro — anche se invisibile — come maestro della medesima Buona Novella che Cristo annunciò.

Quell’ “insegnerà” e “ricorderà” significa non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze.

Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella Chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro.

PAOLO APOSTOLO DI GESU’ CRISTO

Paolo di Tarso apostolo identikit polizia scientifica tedesca

  1. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

  2. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.

  3. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

  • La carità è paziente,

  • è benigna la carità;

  • non è invidiosa la carità,

  • non si vanta,

  • non si gonfia,

  • non manca di rispetto,

  • non cerca il suo interesse,

  • non si adira,

  • non tiene conto del male ricevuto,

  • non gode dell’ingiustizia,

  • ma si compiace della verità.

  • Tutto copre,

  • tutto crede,

  • tutto spera,

  • tutto sopporta.

  • La carità non avrà mai fine.

  • Le profezie scompariranno;

  • il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.

  • La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia.

  • Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.

  • Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino.

  • Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato.

  • Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa;

  • ma allora vedremo a faccia a faccia.

  • Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.

  • Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità;

  • ma di tutte più grande è la carità!

Sono parole che sappiamo a memoria. Ma se diventano preghiera, non restano parole. La missione di religiosi e laici è  questa:contagiare.

“Accoglietevi gli uni gli altri così come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio ” (Rm 15, 7).
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LA COMPAGNIA E IL CARDINALE

REGOLA della COMPAGNIA…

L’idea di COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI vine da lontano.

Ma questa inseminazione dello Spirito nei cuori di alcuni, poveri, pavidi, tribolati , esitanti, incerti… si è ripetuta nel contestodel calendario lunare della Chiesa Ambrosiana, guidata dal ministero episcopale del Cardinale Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, successore del santo vescovo Ambrogio.

A provocarla è proprio la sua predicazione evangelica, a cominciare dalla prima scossa avvertita con l’invito alla CONTEMPLAZIONE DELLA VITA, seguita da altre forti provocazioni: IN PRINCIPIO LA PAROLA, FARSI PROSSIMO, il SINODO, …fino alla REGOLA DI VITA da lui stesso tracciata per il cristiano contemporaneo che vive tra casa, studio, lavoro, Chiesa, impegno sociale e tempo libero, quali siamo anche noi. Così è parso logico adottarla come strumento pedagogico per vivere più coerentemente il Vangelo della miserricordia.

La ricchezza dell’insegnamento del Pastore, la sua pluriventennale meditazione condotta nel tessuto della Città degli Affari, senza esclusioni di persone o di categorie, è così ampia e profonda che permetterà a lungo di attingere al cospicuo patrimonio, sia per la quotidiana LECTIO DIVINA che per la SCUOLA DELLA PAROLA, passioni che ha saputo inculcare fin dall’inizio del suo ministero episcopale a giovani, aduli ed anziani, al clero ed ai laici, indistintamente. La nota CATTEDRA DEI NON CREDENTI ne è una prova.

Sin dai primi giorni a Milano, si è percepito che il linguaggio tecnico dello studioso esegeta lasciava il posto a parole che avevano una rispondenza interiore. Una semplicità modellata su quella del linguaggio biblico. Spirito teso a cogliere il “tutto” nel frammento, ed in esso la coincidenza degli opposti:

  • ha sviluppato il concetto di “utopia” (non-luogo),

  • accostandolo a quello di “realismo” del vivere quotidiano;

  • “ricordo” e “speranza”, sinonimi di passato e futuro, sono andati di pari passo.

Nel suo linguaggio risultano ricorrenti parole chiave come “cuore”, “mistero”, “discernimento” ed altre ancora, precedute dal suffisso “RI“. Per lui sono verbi fondamentali: ri-cominciare, ri-partire, ri-pensare, ri-educare. ri[e]-cuperare.

Mi ha sempre fatto molta impressione quell’atteggiamento tipico di Dio che parla attraverso il profeta Isaia, 49,2, ma non facilmente riscontrabile sulla bocca di tanti cristiani super-ortodossi, anche giovani, sempre in assetto di partenza per le crociate contro questo mondo  certamente riprovevole in tanti suoi aspeti. Il Cardinale ha spronato la sua Chiesa, dandone l’esempio, ad avere viscere di misericordia e compassione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme…”.

L’Arcivescovo conosce la radice biblica del termine cuore che spesso è riferito al cuore dell’uomo, incline a fare il male (cfr.Gen 8,21), radice di male (cfr Mc 7,21-22), pietrificato, indurito, non libero, sfasato rispetto al cuore di Dio, chiuso, ma anche luogo dove Dio si comunica, il terrerno dove avviene il misterioso scambio di doni tra il Creatore e la creatura, la sede dell’interiorità, dei sentuimenti, la sede della ricchezza degli affetti e delle emozioni.

Se Martini utilizza questo termine come chiave ermeneutica per leggere i contesti, le situazioni e le problematiche a tutti i livelli, è perché il Pastore chiede al suo gregge di tenere lo stesso atteggiamento verso tutti:

· Prendere a cuore,

· portare al cuore,

· comunicare “cuore a cuore”,

Queste espressioni ricorrenti, “stanno ad indicare di come simbolicamente il cuore sia espressione di radicalità in ogni relazione, in ogni ricerca, in ogni desiderio umano e divino. E’ anche l’unico presupposto ad ogni discorso sulla Chiesa nella quale trascendenza e immanenza, santità e peccato, convivono in na misteriosa unità; così per l’uomo il cui cuore rimane un enigma eccetto che all’occhio divino.

Dunque il concetto di mistero è l’unica possibilità rimasta all’uomo per restare aperto all’infinita novità di Dio, del quale non si può che essere ustodi, sentinelle; mil mistero non si può svelare, si può rivelare, lo si può raccontare senza violarlo”(Damiano Modena – C.M.Martini- EP)

In Alzatevi, andiamo ! , Giovanni Paolo II che lo ha voluto e consacrato vescovo, così scriveva: “…nulla può sostituire la presenza del vescovo  che si siede sulla cattedra o si presenta allambone della sua chiesa vescovile e personalmente spiega la Parola di Dio a coloro che ha radunato attorno a sé.  Anch’egli come lo “scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”(Mt 13,52). Mi piace qui menzionare il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, le cui catechesi nella cattedrale della sua città attiravano moltitudini di persone, alle quali egli svelava il tesoro della Parola di Dio. Il suo non è che uno dei numerosi esempi che provano come sia grande nella gente la fame della Parola di Dio“.

Con lui, padre, maestro di fede e di vita, resta vivo il legame di comunione, specie in questi suoi momenti di cedimento fisicho che non intacca  l’ardore spirituale del testimone zelante e fedele al Vangelo anche nell’ora della prova. Terminato il  mistero episcopale, vissuto come servizio, oggi, nella Casa dei Gesuiti di Gallarate, riemerge il gesuita che vive in povertà, castita e obbedienza, secondo lo spirito di Sant’Ignazio di Loiola, nello studio e nella preghiera, sacrificando anche il sogno di chiudere i giorni a Gerusalemme: “Eulàbeia, prendere bene tutte le cose…Bisogna cercare Dio là dove si è“. Una nuova testimonianza che viene a completare la lezione di questi anni, vissuti nella logica del suo motto episcopale: PRO VERITATE ADVERSA DILIGERE.

l'arcivescovo di milano, card. carlo maria martini partecipa*

Arcivescovo emerito di Milano cardinale Carlo M…

Il Porporato parla della sua malattia, il Morbo di Parkinson

Interviste o citazioni di: Martini Carlo Maria mercoledì, 28 maggio 2008 • tg1 20:00 • notizia n.5 | 02:08

Il Porporato parla della sua malattia, il Morbo di Parkinson

Interviste o citazioni di: Martini Carlo Maria mercoledì, 28 maggio 2008 • tg1 20:00 • notizia n.5 | 02:08

GRANADA – Basilica di San Giovanni di Dio

UNA SPORTA…

UN BASTONE DA VIAGGIO…

UN CUORE DA SAMARITANO…

PER CINQUE SECOLI…

OGGI

PRENDE FORMA ANCHE LA

NEL SEGNO DELLA CONTINUITA’…

Di buon mattino andremo alle vigne,

vedremo se mette gemme la vite,

sbocciano fiori, se fioriscono i melograni ” .

(Cantico dei Cantici 7,1).

Shalôm!

SOTTO IL SEGNO

DELLO SPIRITO

“Accoglietevi gli uni gli altri così come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”. (Rm 15,7).

“Fate bene a voi stessi, fratelli, per amore di Dio !”

http://www.lachiesa.it/liturgia/

NELLA NOTTE IN CUI FU TRADITO…
 
 

“Chiamati ad essere santi insieme

 
 
ANGULO

 

 

PAMPURI: LA PAROLA NEL CUORE

una musica nel cuore

Discover Maurane!

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