DON VITO PALAZZINI – Angelo Nocent

Vito PALAZZINI

E’ un sacerdote che non ho mai conosciuto di persona ma che sembra venirmi a cercare.

  • Di lui  ho sentito parlare da ragazzo. Di un suo discorso ho citato qualche riga su Cronace in “Fatebenefratelli”. Non ricordo la data precisa ma è nei primi anni sessanta. Ricorreva un  anniversario  della Cappella Madonna di Loreto, che si venera nell’Ospedale San Giuseppe di Milano e mi avevano chiesto due righe per evidenziare la ricorrenza, probabilmente centenaria. Non conoscendo la storia delle origini, frugando, avevo trovato un suo scritto sull’agomento.
  • Di lui ho letto “San Giovanni di Dio”, Ed. S.Paolo,  terza ed. 1957, Imprimatur: Brixiae, 12 Augusti 1943.
  • Di lui  conservo un’immagine che ricorda il XXV Anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale ricevuta dal Beato Card. Ildefonso SChuster il 23 luglio 1933. L’ho rinvenuta  recentemente  in un volume, da anni in letargo nella mia libreria:  MESSAGGIO SOCIALE DEL CRISTIANESIMO, un’opera ponderosa di Igino Giordani, altro narratore di San Giovanni di Dio .
  • Non so nulla della sua biografia, al di fuori di ciò che ho sempre saputo: che è appartenuto alla Famiglia Spirituale dei Fatebenefratelli. Poiché l’immagine riporta i passaggi salienti del suo peregrinare, ho pensato di lasciarne traccia sul web.
  • Si tratta di un figlio di San Giovanni di Dio che ha voluto molto bene a suo padre  e che di lui ha scritto cose molto dificanti.S o che nella sua ultima Parrocchia di Cremignane d’Iseo lo ha fatto immortalare in una tela – non quella qui riportata – che ha voluto riprodurre anche sull’immaginetta-ricordo, quasi a sigillo di un legame mai venuto meno. E lo si evince anche dalla  sofferta preghiera posta sotto l’effigie.

SAN GIOVANNI DI DIO

Fondatore dei Fatebenefratelli

Celeste patrono degli ammalati.

O Padre diletto,

ottienimi lo spirito della tua dolcezza

- ardore di carità –

amore alla croce

affinché dopo tanti dolori e tante prove

possa nell’esultanza

ottenere la mercede del mio lavoro!

Cremignano di Iseo, 23 luglio 1958

….

 

 

ITER AD CRUCEM…AD LUCEM

 

“Iter ad crucem…ad Lucem”, così il sacerdote VITO PALAZZINI definiva il suo cammino nel XXV di Ordinazione Sacerdotale. Di lui ho sentito parlare da ragazzo ma non l’ho mai conosciuto.

 

 

Egli è l’ultimo dei biografi del Santo che abbia ritenuto di riproporre ai lettori anche alcuni dei cosiddetti “FIORETTI” di San Giovanni di Dio, citandone la fonte e con la seguente motivazione: “Raccolgo sotto questo titolo quegli episodi della vita di S. Giovanni di Dio che per essere formati i fatti soprannaturali o comunque straordinari hanno un sapore tutto speciale e potrebbero far sorgere sulle labbra di alcuni, che si chiamano spiriti superiori, il sorriso della incredulità. Noi li accogliamo così con semplicità di cuore ed edificazione delle anime nostre”.

 

A dire il vero, anche Igino Giordani lo ha fatto, ma come lui stesso scrive nella sua agiografia, ha usato “con molta parsimonia, la Historia de la esclarecida vida, i miraglos del bienaventurad san Juan de Dios…, escrita por D.FR.ANTONIO DE GOVA, obispo di Sirene, Madrid, P. de Val,1659.

Il Govea, vescovo titolare di Cirene, agostiniano, morto nel 1628, scrisse la vita di San Giovanni di Dio dopo il 1620, durante lo svolgimento del processo per la beatificazione, col titolo: Historia de la  esclarecida vida, i miraglos del bienaventurad del Glorioso Patriarca Juan de Dios, Fundador de la Religion de lo pobres infermos. L’edizione  del 1659 fu curata ed ampliata dal sacerdote fatebenefratello P. Agostino Vitoria”.

Oggi, 7 Dicembre 2008, festa di Sant’Ambrogio, patrono della Provincia Lombardo-Veneta dei Fatebenefratelli, ho sentito come un forte richiamo a riportare in superficie uno dei suoi figli che il tempo ha eclissato dalla memoria di cui ormai pochissimi sarebbero in grado di riferire di lui. Una data in particolare mi ha bloccato e stupito ed è la prima che figura nella scaletta delle sue peregrinazioni che riproduco: il 1927, l’anno in cui il Dr. Erminio Pampuri entra in noviziato ed assume il nome di Fra Riccardo.

 

  • GENNAIO 1927 – Ingresso nella famiglia spirituale di San Giovanni di Dio. “Questa è la mia dimora…in essa abiterò perché me la sono scelta” (Sal. 131, 14)
  • 27 luglio 1933 – Ordinazione Sacerdotale ricevuta dal Beato Card. Ildefonso Schuster.
  • MAGGIO 1937 – “Parti dalla tua terra da (questa) casa di tuo padre, e vieni nel paese che io ti mostrerò” (Genesi 12,1)
  • 31 LUGLIO 1938 – Fondazione della parrocchia di S: Rocco in Voghera. Ritornando a Tortona riferite all’Angelo della diocesi i miei sentimenti, assicuratelo che tutti i fedeli che partecipano alla nuova famiglia spirituale sono a Lui uniti, intorno alla sua cattedra. Ma se per questa Unione occorresse una vittima: Eccomi pronto.” (Dal discorso di inaugurazione – Parole rivolte al Cancelliere Vescovile che dava esecuzione al decreto di erezione della Parrocchia).
  • 6 AGOSTO 1939 – Fondazione della Parrocchia di Salice Terme. “Dammi, o Signore, anime; toglimi tutto il resto”.
  • LUGLIO 1942 – “Miei Salicesi, ancora una volta la mia infermità mi obbliga a partire; parto ammalato, povero, abbandonato. Ma quando sarò partito comprenderete quanto vi ho amato; ogni cosa, ogni pietra, ogni mattone, ogni sacra suppellettile, tutto dirà a voi, ai vostri figli, ai vosri nipoti come il povero primo Parroco di Salice abbia compiuto il suo programma di amore disinteressato, di dedizione completa! (Dal discorso di addio ai Parrocchiani di Salice Terme).
  • 1947 – 1958 – Predicazione di 132 corsi di Missione. (Pregate per me…affinché dopo aver predicato agli altri, non diventi reprobo io stesso” (1 Cor 2,47).
  • 1 LUGLIO 1958 – Sesto anniversario della venuta a Cremignane d’Iseo. “Siam passati attraverso il fuoco e l’acqua, ma Tu ci hai tratto in luogo di refrigerio!” (Salmo 65,12) “Non entrare in giudizio col tuo servo, o Signore, perché nessuno sarà trovato giusto presso di Te”. (Liturgia dei defunti).

 

Qui si fermano le notizie cronologiche in mio possesso. Ma mi piace riportare la dedica della menzionata vita di San Giovanni di Dio, la cui prefazione è del Vescovo di Brescia Mons. Paolo Guerrini (Novembre 1943):

 

AI FIGLI DI S. GIOVANNI DI DIO

E’ DEDICATA QUEST’OPERA

CHE DESCRIVE E ILLUSTRA

LE RICCHEZZE INESAURIBILI

DEL PADRE

PERCHE’ A PIENE MANI ATTINGANO

TESORI DI CARITA’ E DI SACRIFICIO

 

FRATERNAMENTE L’AUTORE

Granada – Basilica di San Giovanni di Dio – Qui è conservata l’urna che raccoglie le sue spoglie mortali

Sacerdote Vito Palazzini 5

Sacerdote Vito Palazzini 2

Sacerdote Vito Palazzini

Sacerdote Vito Palazzini 2

 

 

DALLA BIOGRAFIA DI SAN GIOVANNI DI DIO

 

 

LA LAMPADA SI SPEGNE   

 

Riporto due capitoli del volume che suscitano nostalgia di Cielo e passione ardente per questo Mondo tanto amato da Dio:

 

“Durante i primi giorni di malattia nonostante la febbre e il progressivo peggioramento, voleva essere informato dell’andamento dell’ospedale. Non potendo andare alla questua, scriveva ai suoi benefattori sollecitando le loro offerte; offerte che non mancavano, che anzi abbondavano in quei giorni in modo particolare [1]

 

Ma ecco che Iddio voleva un altro sacrificio da lui:l distacco dai suoi poveri, dai suoi confratelli, dall’ospedale! Non può misurare, se non chi l’ha provato, lo strazio del distacco e dell’abbandono forzato di un’opera che abbiamo fatta nascere nel dolore, che abbiamo irrigato con le nostre lagrime e col nostro sangue, che ci è costata privazioni, incomprensioni, critiche, calunnie! La debolezza umana ama quest’opera come una madre può amare il suo figliuolo, non può pensare se non con immensa afflizione al doloroso momento in cui l’obbedienza o altra disposizione di avvenimenti reciderà (sia pure soltanto materialmente) i legami che uniscono l’opera e il suo ideatore e costruttore!

 

Se, chi ha autorità, ponesse sulla bilancia questo dolore che dilania un cuore, in rapporto ai calcoli meschini di opportunità. Di convenienza e forse di semplice capriccio, come cercherebbe di evitare di essere causa di questo Martirio che, se non è cruento, non è per questo meno straziante.

 

Certo Giovanni di Dio avrà desiderato terminare i suoi giorni là nel suo ospedale, in mezzo ai suoi, finire la sia vita nella sua cella, non importa se disadorna e priva di qualsiasi comodità, ma là dove aveva tanto pregato, dove aveva lottato con lo spirito delle tenebre, dove il Cielo si era aperto tante volte alle sue suppliche, ai suoi richiami.

 

Ma ecco che la premura umana, unita al desiderio sincero di poter riuscire a vincere il male, lo toglie di là per fargli passare gli ultimi giorni in una casa ricca e confortevole.

 

Entra in campo una delle principali signore di Granata, la signora Anna Ossorio, maritata a Don Garzia de Pisa, donna di grande pietà e di grande carità. Alla nobiltà dei natali univa nobiltà di sentimenti [2]

Risaputa l’infermità di Giovanni di Dio, si recò a visitarlo. Lo trovò nella sua misera e squallida cella, vestito dell’abito religioso, disteso sopra tavole con una semplice stuoia per materasso, un mantello lacero per coperta, e la sporta che usava per la questua, come guanciale, tutto ansimante per la febbre.

 

Anche in  quello stato i poveri non lo lasciavano tranquillo, ma si avvicendavano nella cella e lo importunavano con le loro richieste.

 

Nella decisione di toglierlo di là entrò anche affezione del fratello Antonio Martino che alla signora raccontò come sarebbe stato impossibile sperare in un miglioramento lasciandolo in quell’ambiente.

 

La signora de Pisa, donna energica e fattiva, decise di toglierlo dall’ospedale e di portarlo in casa sua per esservi meglio curato.

 

Si vede però che conosceva bene il servo di Dio, perché, prima di proporgli la cosa, si recò dall’Arcivescovo a cui espresse le circostanze in cui si trovava Giovanni di Dio e il proposito che aveva di trasportarlo in sua casa, pregò il prelato di intervenire con la sua autorità, che altrimenti egli a nessun costo avrebbe abbandonato l’ospedale.

 

L’Arcivescovo ben volentieri aderì al desiderio della nobile Signora e le consegnò per lui un ordine scritto con cui gli comandava di lasciarsi trasportare in casa di donna de Pisa e di attenersi alle prescrizioni dei medici.

 

Munita di questo scritto ritornò dall’infermo e dopo aver cercato di persuaderlo a lasciarsi trasportare a casa sua per farsi curare onde guarire più prontamente e ritornare poi al suo santo ministero, visto che la sua voce e le sue insistenze non l’avrebbero rimosso dalla decisione di terminare i suoi giorni tra i suoi poveri, gli presentò l’ordine dell’Arcivescovo. Ubbidì allora come il Divin Figliuolo obbedì all’Eterno Padre fino alla morte e alla morte di Croce.

 

E’ sempre con grande commozione che io penso a questa traslazione prima della morte.

 

E’ il passaggio di un tenero padre e di un pontefice attraverso le corsie dell’ospedale e le strade della città di Granata. Vuol rivedere la cappella, pregare dinnanzi a Cristo Sacramento e ivi vorrebbe prolungare la sua adorazione e la sua preghiera e ne è tolto quasi a viva forza: sorretto dai confratelli passa nelle corsie dell’ospedale per salutare i suoi poveri, meglio i suoi signori, come egli li chiamava.

 

Il pianto di lui e dei suoi beneficati si fonde insieme, strazio di cuori che sentono la tortura del distacco; li vuol rivedere ad uno ad uno e tutti conforta e tutti benedice. “Vivete in pace e, se non ci rivedremo più, pregate il Signore per me!”.

 

Il dolore fu troppo grande e cadde in deliquio. Ritornato in sé, venne trasportato subito fuori dall’ospedale, fatto  sedere sopra una poltrona e, alzata da quattro persone, trasportato attraverso le strade della città alla casa de Pisa.

 

Era il pontefice della carità, che seduto sulla portantina dei poveri, passava alto su tutti, a tutti monito e benedizione!

Vorrei essere pittore sommo per poter riprodurre la scena così come la vede la mia anima, come la sente il mio cuore; la penna mi cade dalle mani, impotente alla descrizione sublime.

 

E’ il trionfo della grazia, dell’umiltà, del sacrificio, della santa ospitalità!

Granata vive di lui in quei giorni della sua malattia, la folla si assiepa intorno al palazzo De Pisa, fortunato chi può raggiungere la sua stanza e sentire la parola stanca ma sempre affabile.

 

 

Quando si volle impedire l’entrata, venne forzata la posta e fu necessario porre delle guardie al palazzo per evitare l’ingresso.

 

I maggiorenti della città deputarono una commissione perché fosse presso di lui l’interprete dei sentimenti di riconoscenza e dei voti di tutti i cittadini.

 

L’Arcivescovo don Piero Guerrero lo visitò ripetutamente, lo assistette con affetto paterno, a lui Giovanni affidò la sua opera, da lui ebbe la promessa che i debiti dell’ospedale sarebbero stati tutti pagati.

 

Intorno al suo letto si succedevano i confratelli e specialmente Antonio Martino. A lui manifestò il segreto della visita dell’Arcangelo Raffaele e l’assistenza che la Vergine Santa, S. Giovanni Evangelista e lo stesso Arcangelo avrebbero sempre avuto per l’ospedale e per coloro che avrebbero in esso esercitata la carità.

 

Ricevette gli ultimi conforti di nostra santa religione dalle mani stesse dell’Arcivescovo che celebrò la S. Messa nella sua camera.

 

Nell’ardore della febbre egli parlava con la Vergine, la stella della sua vita, con l’Arcangelo Raffaele, il celeste infermiere che aveva con lui condiviso le fatiche della ospitalità; li vedeva a lui presenti invitarlo alla suprema beatitudine.

 

Devotissimo della passione del Signore, desiderò che se gliene leggesse la storia secondo il racconto di S. Giovanni.

 

La lettura degli spasimi sofferti da Cristo Signore e dell’amore suo infinito, rianimò le stanche membra di Giovanni, gli brillarono gli occhi, il volto pallido si soffuse di calore, sembrava che il suo corpo si rinnovasse e si rinvigorisse.

 

Il racconto evangelico lo rapì in estasi dolcissima, rispettata dai presenti che ad essa assistettero riverenti ne silenziosi.

 

La notte di quel venerdì era calata sopra Granata. Intorno al letto di Giovanni di Dio con Antonio Martino e con la signora Ossolo c’erano alcuni intimi.

 

Quando rinvenne dall’estasi, pregò i presenti che lo lasciassero solo per avere un po’ di riposo, ed essi vedendolo rianimato lo accontentarono.

 

Quando fu solo, sentendo vicino il momento del suo trapasso,raccolse le ultime forze del fragile corpo, indossò l’abito religioso, prese in mano il Crocefisso e si trascinò fino all’altare dove l’arcivescovo aveva celebrato la S. Messa. Si inginocchiò e, stringendo Cristo Crocefisso, in quella posizione, sorretto forse dagli Angeli, spirò e volò in seno a Dio, suo divino tormentatore, suo supremo premio.

 

Era passata da poco la mezzanotte del giorno otto marzo dell’anno di grazia millecinquecentocinquanta.

Quando i suoi assistenti entrarono nella stanza, lo pensarono assorto in preghiera, poi avvicinatisi ne constatarono il supremo trapasso.

Così concludevasi la vita terrena di Giovanni di Dio, spegnevasi la lampada che Cristo aveva acceso  nel cielo della Spagna, per riaccendersi, stella lucentissima nella storia della santità cristiana.

 

...E SI RIACCENDE IN CIELO

 

Alla morte di S. Giovanni di Dio la camera fu inondata da profumo soavissimo e il suo corpo rimase nella posizione in cui era spirato per lo spazio di sei ore [3]

 

La notizia del sereno trapasso commosse la città. La sua camera, trasformata in cappella ardente, divenne la meta del pellegrinaggio di tutti i cittadini di Granata. Vennero eretti altri due altari e si succedettero molti sacerdoti nella celebrazione del Divin Sacrificio, primo l’Arcivescovo Don Pietro Guerrero.

 

Si decise di dargli sepoltura nella chiesa della Madonna della Vittoria dei Minimi di S: Francesco nel sepolcro gentilizio dei signori de Pisa.

 

I suoi funerali riuscirono la vera apoteosi della carità, i suoi biografi  ce ne tramandarono la descrizione nei più minimi particolari.

 

Dalla Cappella ardente alla porta di casa, quattro personaggi dei più illustri della città trasportarono la salma ed essi furono:

i marchesi di Tariffa e di Senalvo, Don Pietro di Bodaglia e Don Giovanni di Guervara.

Dalla casa alla chiesa si succedettero nel pietoso ufficio a turno i religiosi della città incominciando dai Minimi di San Francesco.

 

Aprivano il corteo i poveri dell’ospedale assieme ai confratelli del Santo, seguivano le donne convertite e beneficate dal Santo[4], venivano poi le confraternite con labari e croci a ci succedevano le comunità religiose e da ultimo il clero, il capitolo della Cattedrale, l’Arcivescovo in abiti pontificali. Seguiva il feretro l’autorità civile e una fiumana di popolo.

 

Le campane di tutte le chiese suonarono a mesti rintocchi durante la cerimonia funebre[5]. Il corteo che era partito alle ore nove dalla casa de Pisa raggiunse a mezzogiorno la chiesa della Madonna della Vittoria, tal era la ressa che ne intralciava lo svolgersi; ressa che si era fatta ancora più fitta sulla piazza antistante alla chiesa.

 

Tutti volevano ancora vedere il sacro corpo, toccare la bara.

 

Quando Iddio volle, il corteo entrò in chiesa. Cantò la Messa da Requiem il Generale dei Minimi e tenne l’orazione funebre un altro religioso dello stesso Ordine.

 

La bara fu lasciata per nove giorni in chiesa e nove diversi oratori si succedettero sul pulpito a tessere l’elogio del Padre dei poveri.

 

La sua morte commosse tutta la Spagna ed in modo particolare l’Adalusia e Granata.

 

L’Arcivescovo Don Pietro Guerrero, che lo chiamava quando era in vita “l’uomo nascosto” ora lo soprannominava “l’uomo esaltato”.

 

Il Beato Giovanni d’Avila, suo Direttore spirituale e depositario della sua coscienza, nelle sue prediche lo proponeva come modello di penitenza e di umiltà.

 

Il Cardinale Deza, che l’aveva conosciuto nel suo soggiorno a Granata come presidente della grande cancelleria lo chiamava “l’uomo meraviglioso” e quando a Roma gli giunse la notizia della sua morte narrò al Papa e ai Cardinali le sue opere meravigliose.

 

La camera dove spirò venne convertita in Cappella e nel 1607 venne eretta una chiesa a Montemaggiore il Nuovo sul luogo dove sorgeva la casa dove egli vide la luce e divenne santuario famoso a cui accorrevano pellegrini innumerevoli.

 

Fioriscono sulla sua tomba grazie e miracoli, il suo Crocefisso e il suo bastone operano prodigi.

 

La fama della sua santità varca i confini della Spagna, dell’Europa. Si iniziano i processi per la beatificazione.

 

La bolla di beatificazione è del 21 Settembre 1630, il 16 Ottobre 1690 Alessandro VIII nella Basilica Vaticana ne celebra la solenne canonizzazione [6].

 

Il corpo di S:Giovanni di Dio, sepolto nella tomba gentilizia dei de Pisa nella Chiesa della Madonna della Vittoria, enne il 6 settembre 1625 trasportato e posto sotto l’altare della Cappella e il 28 novembre 1664 venne solennemente traslato dalla Chiesa dei Minimi alla Chiesa del Convento degli ospitali eri.

 

Sorse là “uno splendido tempio; esso s’impone per la maestosa grandezza e per le magnifiche opere d’arte che l’ornano, tanto all’esterno quanto all’interno, alcune delle quali risalgono alla metà del secolo XVIII…il tempio è riccamente arredato e vi si conservano molte reliquie di santi, custodite in preziose urne e teche. Vi si venera particolarmente il Sacro Corpo di S. Giovanni di Dio, racchiuso in una grande urna d’argento situata sopra l’altare maggiore”.

 



[1] Penso che di questo tempo sia una delle lettere alla duchessa di Sessa, quella che nel libro citato dal Padre Meyer viene come prima. Ricorda parecchie volte in questa lettera la grave malattia da cui è afflitto e termina così: “Mia cara sorella in Gesù Cristo, il dolore che io mi sento mi riduce all’estremo e non mi permette più di scrivere: io desidero prendere un po’ di riposo per poter in seguito scrivere più lungamente se noi non potremo più vederci, Gesù Cristo sia con Voi e con tutta la vostra famiglia”.

[2] Il Padre Santos, a pagina 40 de “I cinco primeros compañeros etc.”, dice che essa era “Muyer del Veinte i Quatro Pisa”.

Anche la bolla di canonizzazione parla diffusamente del trasporto alla casa di Madama Ossorio (Bollario, P. RISI, pag.8, paragr.11).

[3] Tutti gli autori parlano del profumo che inondò la sua stanza e nella posizione in cui restò il corpo di S.Giovanni di Dio, ciò è anche ricordato dalla Bolla di canonizzazione (Bollario del P.RISI, pag.3, paragr. 16). “La suave odeur dont on parlé là-dessus, continua pendant neuf jour non seulment dan la chambre où le Saint avait rendu le dernier soupir, mais encore par toute la maisone de dona Ossorio; elle se renouvela dans la souite toutes les semines dans la nuit du vendredi au samedi; et cela plus de 50 ans.

 

La chambre où mourut nostre Fondateur fut convertie en une chapelle ed devint un lieu de pé lerinage trés fréquenté et trés célèbre, par le grand nombre de miracles que Dieu y a opéréen faveur de ceux qui y ont inviqué sainy Jean de Dieu. Cette chapelle a été desservie, pendant longtemps, par les prȇtres de nôtre Ordre; mais, malheureusement, il n’en est plus ainsi ajourd’hui” (P. R. MEYER, opera cit., pag.3-4)

[4] Erano certamente quelle che, come a suo tempo abbiamo detto, egli raccoglieva in diverse case e che vivevano  una specie di vita comune.

[5] Alcuni biografi vogliono che alla sua morte si rinnovasse il miracolo del suono spontaneo delle campane di Granata, come era avvenuto a Montemaggiore il Nuovo il giorno della sua nascita.

[6] Dopo la beatificazione la causa di canonizzazione restò sospesa fino al 1667: ai quattro ottobre di quell’anno Clemente IX segnava la Commissione per la riassunzione e prosecuzione della causa: ai 20 dicembre 1678 nella Congregzione generale tenuta innanzi al Pontefice Innocenzo XI, venivano discussi i miracoli e il 13 giugno 1679 veniva emesso dalla S.Congregazione dei Riti il decreto col quale si dichiarava potersi venire sicuramente (Tuto) alla solenne canonizzazione del B.Giovanni di Dio. La solennissima cerimonia della canonizzazione (si veda l’ampia descrizione nel Bollario del CUGGIO’, pag.6-12) fu fatta dal Papa Alessandro VIII al 16 Ottobre 1690.

 

Questo Pontefice non potè spedire la bolla di canonizzazione perché morì pochi mesi dopo (1° febbraio 1691), il ché fece il successore Innocenzo XII il 15 luglio 1691.

[7] Dal Rescritto col quale Benedetto XV dichiarava la Chiesa di S.Giovanni di Dio in Branata Basilica minore.

Angelo Nocent

 

 

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