05 SAMARITANI O ALBERGATORI ? – Chi è un votato all’Ospitalità – A. Nocent

  

I votati all’Ospitalità sono donne e uomini che si lasciano soccorrere e curare dalle Scritture nelle quali Dio si fa prossimo. 

 

  CHI E’ UN VOTATO ALL’ OSPITALITA’

 

fra-onorio-tosini-un-votato-allospitalita-150x150La Parabola Evangelica del Samaritano io la vedo come la definizione del voto di ospitalità, carisma “sempre nuovo ed antico” che, in realtà, come la parabola, non si lascia definire perché si adatta alle situazioni ed ai tempi, mantenendo la sua matrice originaria: l’amore di Dio sperimentato nella carne.  

Emette il voto di ospitalità colui che riceve il carisma della “compassione”, ossia di colui che si ritrova, senza suo merito, in preda a un amore viscerale e si mette a totale disposizione di Dio perché lo usi e utilizzi nelle situazioni più impensate.  

Egli è un prescelto e destinato per la comunità dei sofferenti. E’ una luce che discende dalla Croce e dalla risurrezione di Cristo: “Voi siete la luce del mondo”. Com’è possibile? E’ possibile proprio perché Lui “è la luce del mondo”. Questa luce consente di leggere il mondo nella sua dimensione naturale e storica.   

Nella nostra carne e ancor più radicalmente, dentro la carne dell’universo, vi è un processo scritto. Ogni organismo è un frenetico mutare. Di statico non c’è niente. Se è vero che nello stesso fiume non ci si può bagnare due volte, non è solo perché muta il fiume, come diceva Eraclito, ma perché colui che s’immerge muta continuamente.  

Corpo, pelle, sangue, sistema immunitario, cuore, con una velocità vertiginosa di un milione di nuove cellule al secondo, continuano a rigenerarsi. La struttura di fondo che muove ogni organismo vivente è la dinamica di vita e di morte. Alla base della vita c’è quella realtà che i biologi chiamano apoptosi, traducibile come caduta delle foglie, una specie di suicidio cellulare. E’ la cellula che muore perché si dà in pasto alle altre cellule. Ciò accade milioni e milioni di volte al giorno e accompagna tutte le fasi della vita umana.  

fra-mose-bonardi-oh-priore-generale1-150x150Nell’essere vivente si assiste al fenomeno della “morte creatrice”. All’origine della malattia e della morte c’è il rifiuto di alcune cellule di morire. Quando tendono a immortalizzarsi ha origine il cancro. Nella rivista scientifica “La Recherche”, ripresa da “Internazionale” del 9 Febbraio 2001, è riportata un’intervista ad Ameisen che dice: “ Ciò che fa invecchiare e scomparire è forse la stessa cosa che ha permesso ai nostri antenati di farci nascere, e che consente anche a noi di avere dei figli… Nel mondo vivente tutti i fenomeni di riproduzione si accompagnano a una forma di invecchiamento”: L’intervistato afferma inoltre: “ E’ probabile che il problema dell’autodistruzione e quello dell’invecchiamento abbiano qualcosa a che vedere con l’idea di un aumento locale della complessità e dell’organizzazione (in altre parole, una diminuzione locale di entropia non possa prodursi senza un parallelo e contemporaneo aumento del disordine”, V. Mancuso “Il dolore innocente, pag,163.  

Strettamente collegato alla nozione di entropia è il secondo principio della termodinamica: il calore passa soltanto dal corpo più caldo al corpo più freddo, sicché ogni trasformazione di energia comporta una degradazione, una perdita di energia. Questo processo, in un sistema chiuso conduce all’equilibrio termico, ossia alla morte. Che la vita sia lotta è sperimentato da tutti. Sembra che la vita possa vivere solo grazie alla sofferenza e alla morte. E’ come se l’essenza stessa della vita fosse impastata di morte. L’una non può fare a meno dell’altra, non possono esistere.  

Se questo procedimento è scritto, come è scritto, vita e morte non solo duellano, come canta la liturgia medioevale ( mors et vita duello conflixére mirando), ma si sposano, celebrano un fecondo matrimonio. E la scena di questo mondo è sotto i nostri occhi.  

Davanti a questo spettacolo vi sono coloro che vengono presi da sentimenti di orrore, dalla sensazione del nulla: “ Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo” (Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica nel 1979).  

In “Viandanti dell’universo – Astronomia e senso della vita” , Mondatori 2000, pag,151, i sacerdoti cattolici e astronomi Georghe Coyne e Alessandro Omizzolo scivono che “l’immensa ricchezza del cosmo, dal microcosmo al macrocosmo…può condurci a una sorgente che trascende la nostra comprensione e alla quale ci si avvicina meglio pensandola come amore. Questo amore si autorivela in tutte le pieghe della creazione”.  

In questa intuizione si scorge il pensiero di  Marta Nussbaum, uno dei maggiori filosofi americani viventi, titolare della cattedra Ernst Freund in Legge ed Etica della Chicago University. La Nussbaum sostiene che l’amore non è solo un’impennata improvvisa di sentimenti. L’amore, come le altre emozioni, è parte fondamentale di ogni processo di apprendimento e di conoscenza delle cose del mondo. Esattamente come lo studio di discipline scientifiche, come la fisica e la medicina. Per lei amare, in ultima analisi, vuol dire essere capaci di focalizzare la propria attenzione su un’altra persona. Una persona a cui associamo grande valore e importanza nel contesto dei progetti e degli obiettivi della nostra vita. “Quella di Platone – scrive – è una concezione narcisistica. Per Platone soddisfare l’amore significa cessare di sentire il bisogno e dunque smettere di amare. Io credo, al contrario, che oggi non dovremmo seguire il paradigma platonico, ma tentare di comprendere perché così tante persone inseguono l’amore secondo i dettami di Platone, sbagliando”.   

A coloro che subito si arrendono al metodo scientifico, allo “scientificamente dimostrato”, è chiesta una pausa di riflessione. In tempi di dominio della realtà virtuale, in cui il reale sembra un gioco, un’apparenza priva di senso e di ragioni, quindi inutile, Don Giussani va ripetendo la tesi di Aristotele, ossia che è da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza mostra come fatto. La realtà infatti si mostra all’evidenza come esistente. Lo scetticismo nei confronti del reale è all’origine del terrore dell’uomo moderno, che finisce nel tragico nichilismo contemporaneo. Egli così ha scritto su Avvenire alla vigilia di Natale 2003: “La ri-creazione operata da Cristo è la verità della creazione… l’esistenza del fatto che vince su tutte le miscredenze e su tutti i dubbi degli uomini, vince! E il fatto è l’annuncio che Dio è diventato uomo”. Senza questa certezza il rischio di schiantare è costante.    

Lo scrittore e poeta Franco Loi ricava da questa lettura che “la Natività in sé è un evento cosmico – riguarda l’intera galassia , e tutti gli uomini, gli animali, i vegetali, i minerali. Ma tutta la vita di Cristo illustra all’uomo l’inversione di tendenza: riafferma la natura divina dell’uomo (Io sono la Verità), gli ripropone la via (Io sono la Via) e, come tale, si qualifica come Vita. Sin dal miracolo di Cana e poi con la Cena, e infine con la Passione viene resa concreta la Nuova Santa Alleanza. Quando Giovanni (1,14) dice: “E il Verbo si è fatto carne”, anticipa il percorso di Gesù sino alla risurrezione, che sancisce: “Affinché la carne divenga Verbo”.  

Purtroppo le impressioni dell’uomo della strada sono di perplessità: nel teatro del mondo, ora nobile ora osceno, ciò che appare regnare è la libertà, generatrice di oppressione e delitto ma anche del suo contrario, l’amore. Epperò, questa appare come una possibilità di continuo negata; non fatto naturale ma evento spirituale.  

Nella Summa Teologica Tommaso d’Aquino indicava nella natura una delle cinque vie che conducono all’esistenza di Dio. Le sue sono argomentazioni argute e logiche ,anche se non hanno mai convertito nessuno. Se la scena descritta è vera,  porterebbe all’epifania ed apoteosi della contraddizione, fortunatamente solo apparente. Ma proprio perché anche il pensiero, a cominciare dal mio, è messo in seria difficoltà, preferisco lasciare agli esperti, senza perderli di vista, il compito di pensare insieme la scienza e le discipline spirituali, di attraversare questo mare mai colmo che tutti racchiude. Il problema esiste ed anche per l’uomo di fede lo scenario non può essere che tenebroso, seppur attraversato da lampi di luce, da squarci luminosi. Ciò che mi preme è che il discorso resti aperto:  

  • Se la dialettica è il sale della vita, non può che bruciare, tanto sulle nostre ferite aperte che sui nostri desideri e speranze.

  • Se fede e ragione sono la vita dello stesso uomo, il discepolo del Signore è tale perché accetta il paradosso cristiano, vive sul serio, gioca la vita, agisce nella certezza che il vero esiste, il bello è riconoscibile, il buono deve prevalere.    

L’uomo votato all’ospitalità è uno che passa nel fuoco lacerante delle contraddizioni della vita quotidiana – il malato ne è l’espressione macroscopica – non per districare il groviglio inestricabile di grano e zizzania ma con la sola consapevolezza che il peccato è la malattia dell’essere, causa prima, generatore dello scompiglio che postula ri-aggregazione, ri-equilibrio, ri-stabilimento, ri-generazione, guarigione.  

Egli pone al centro l’incarnazione di Dio in un uomo: Gesù, detto il Cristo, è vero Dio e, insieme, vero uomo. Se questa pienezza della divinità e la pienezza dell’umanità, ripugna alla ragione che lo ritiene impossibile, è perché, come sostiene il fecondo pensatore Gianni Baget Bozzo, “il pensiero della Cristologia è un pensiero oltre la ragione. E’ l’avventura del pensiero oltre il principio stesso di non contraddizione…quindi come forma ultima del pensiero”, (Dio e l’Occidente – Lo sguardo nel divino pag.139). Parafrasando: l’amore come forma ultima del pensiero.  

Ma, proprio perché “c’è una dialettica della rivelazione: “Dio comunicandosi si nasconde, manifestandosi si cela, dicendosi si tace, rivelandosi si vela”, il cristiano si propone di leggere spiritualmente la natura e naturalmente, materialmente lo spirito, contro gli gnostici di sempre. (Bruno Forte, La sfida di Dio. Dove fede e ragione s’incontrano, Mondadoti pag.180),  

Questa lunga e necessaria premessa è per dire che il votato all’ospitalità possiede dunque un carattere dialettico che, se è veramente se stesso, lo mette in grado di non mortificare la realtà, ma di servirla adeguatamente. Tuttavia, la sua dialettica non è proiettata all’infinito ma si ferma davanti al punto preciso che unisce i due poli: l’amore, ossia il mistero trinitario, dove le tre persone possono essere radicalmente una sola sostanza grazie all’atto d’amore. Ed è proprio nell’amore che si sciolgono tutte le antinomie cristiane. Il quale amore non è frutto del pensiero, ma dono gratuito, il primo in assoluto. 

 

Cosa ne deriva?  

 

1.      Il votato all’ospitalità è un uomo trasformato  che cammina sulle orme di  Maria, donna di fede e di umiltà,”scelta da Dio stesso per farsi riconoscere da noi, metodo del suo comunicarsi all’uomo attraverso il “caldo” del suo grembo” (Giussani). Egli si rende totalmente disponibile al volere di Dio che lo rende profondamente umano nella misura in cui è aperto al divino.

2.      Il votato all’ospitalità è uomo di memoria. Egli ricorda che quando Dio bussa alla porta dell’umanità dell’uomo, Maria risponde “Sì!”, dando a Dio il permesso dei entrare nella storia.

3.      Il votato all’ospitalità è un uomo raggiunto dall’ avvenimento “Gesù” che ha veduto, udito, toccato ( cfr.1Gv 1,1-3), il quale, attraverso di lui, mostra ai malati chi è.

4.      Il votato all’ospitalità appartiene alla compagnia dei credenti, grembo dove si sperimenta il calore dell’umanità di Gesù, in cui dimora tutta la pienezza della Sua divinità (cfr. Col.2,9)

5.      Il votato all’ospitalità è come l’acqua di Cana: doveva servire per lavarsi i piedi, ma quando vide il suo Signore, l’acqua arrossì. Potenza trasformatrice di Dio che può tramutare la pochezza individuale in strumento di letizia, gioia, redenzione e consolazione per gli altri.

6.      Il votato all’ospitalità è uomo crocifisso con Cristo in Dio. Egli porta in un vaso di creta la pienezza della   Divinità. Per lui ormai il vivere è Cristo.

7.      Il votato all’ospitalità è un uomo povero, obbediente e casto. Cristo è tutto ciò che ha, che possiede, che lo attira e lo realizza.

8.      Il votato all’ospitalità guarda in faccia la dura e spietata realtà che vede negli altri e sperimenta nella sua carne. Non rifugge. Per governarla, la assume, la fa sua, se la carica in spalle, cerca di cambiarle segno con il proprio sangue. Sangue che poi non è suo, ma solo trasfuso nelle sue vene direttamente dal costato del Crocifisso.

9.      Egli “si muove, agisce, portando sempre e dovunque nel suo corpo la morte di Gesù” (2 Cor 4,10). Questo è il solo mezzo che ha per combattere il “mors tua, vita mea” scritto nella natura. Egli combatte quotidianamente per favorire la vita altrui. Non “anche la vita degli altri”, ma “la vita altrui a scapito della propria”.

10.Il votato all’ospitalità è un uomo consapevole d’imbarcarsi in un’impresa difficile, innaturale. Proprio per questo, si pone nell’atteggiamento di ogni vera madre di famiglia. Non essendo un astratto, fuori dalla realtà, è consapevole che, se la sua azione assume dimensioni sociali o politiche, diviene impossibile per via del “principe di questo mondo” che lo fermerebbe ed ostacolerebbe, constatazione che la Chiesa sperimenta ogni giorno. Ma sa che la sua impresa è possibile dove “due o tre sono riuniti” (Mt 18,20): non uno solo, né molti, ma due o tre. Quindi non la dimensione socio-politica, ma quella comunitaria, la dimensione evangelica: “E ancora vi assicuro  che se due di voi, in terra, si troveranno d’accordo su quel che devono fare e chiederanno aiuto nella preghiera, il Padre mio che è in cielo glielo concederà, perché, se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro”.

11.Il votato all’ospitalità, dunque, non è un uomo che marcia da solo, è votato alla comunità che diventa allora comunità sanante. Essa si trova davanti al mondo che non è né inferno, il male personificato, ma neppure solo il bene. Quindi un mondo sofferente perché grano e zizzania, cioè bene e male, crescono insieme in un intreccio che non spetta all’uomo districare. Lo farà il Signore a suo tempo perché segue le leggi sue proprie. E’ l’atteggiamento di Gesù che, prima di illustrarle, ha vissuto Lui stesso per primo le parabole che ha raccontato.

12.Il voto di ospitalità è uno scambio:

  • mi prendo sulle spalle la tua croce di malato,

  • ti cedo la gioia del Risorto, mia speranza che risana.

13.Il voto di ospitalità è passione:

  • passione della Chiesa per il mondo,

  • passione del pastore per il gregge.  

14.Il votato all’ospitalità è un Cireneo, soccorritore della sofferenza del mondo, una schiena messa a disposizione per aiutare il mondo a portare la croce.

15.Il votato all’ospitalità è un uomo del Vangelo che “non vuole dominare la fede degli altri, perché è già salda. Vuole soltanto lavorare col mondo per la sua gioia” (2 Cor 1,24).

16. Il votato all’ ospitalità è un uomo “rinato con Cristo”, “nuova creatura”.

17.Il votato all’ospitalità è l’incaricato di suonare le campane di Pasqua, le campane della risurrezione.

18.Il votato all’ospitalità è un samaritano che versa sulle ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.

19.Il votato all’ ospitalità è l’uomo del Magnificat.

20.Il votato all’ospitalità è un uomo che ha lo stesso chiodo fisso di Dio: il mondo, l’umanità che gli passa accanto.

21.Il votato all’ospitalità è come la pròtesi di Gesù Cristo: dalla SS.Trinità a Gesù, da Gesù all’Eucaristia, dall’Eucaristia alla Chiesa. Lui è questa Chiesa, la pròtesi, il prolungamento, la propaggine della SS. Trinità.

22.Il votato all’ospitalità è un uomo in sim-patia con il mondo, un uomo di Chiesa, un battezzato per il mondo, che simpatizza col mondo, soffre col mondo, gioisce con il mondo.

23.Il votato all’ospitalità è un uomo che non chiude occhio per il mondo del dolore, che è il suo chiodo fisso, l’idea dominante, la sua trepidazione, che su di lui veglia, che si lascia assorbire come il sale, che vuole bene alla gente per la quale il suo Signore ha dato la vita.

24.Il votato all’ospitalità è un contemplatore di Maria, l’immagine della Chiesa peregrinante, punto di riferimento del suo pellegrinare. E’ consapevole che Maria è la prima campionatura di come Dio vuole la Chiesa che un giorno sarà tutta bella, tota pulchra, senza macchia, et macula originalis non est in te, proprio come il modello originale.

25.Il votato all’ospitalità è un uomo risorto (anastàsa), levatosi, alzatosi in piedi, che si mette in viaggio verso la montagna, come Maria (Lc.1,39-40) e raggiunge in fretta la città, animato da un’ansia e una passione per il luogo della sua missione, per i progetti di salvezza di Dio.

26.Il votato all’ospitalità è uno che lava i piedi agli altri e se li lascia lavare (Gv 13,14), che si mette al servizio senza l’orgoglio del servire ma con l’umiltà del suo Maestro, perché viene da forti esperienze di fede: “entrata nella casa di Zaccaria, Maria salutò Elisabetta”.

27.Il votato all’ospitalità è un uomo coinvolto in una fraternità modellata sulla Comunità descritta dagli Atti degli Apostoli: “Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli Apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfea, Simone che era stato  del         partito degli zelati, e Giuda figlio di Giacomo. Erano tutti concordi, e      si riunivano regolarmente per la preghiera con le donne, con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (Att.1,13-14).

28.Il votato all’ ospitalità è un frammento di Chiesa che fa proprie le gioie e le speranze, i dolori, le ansie, le angosce e le sofferenze, tutto.

29.Il votato all’ospitalità è un mandato a “trasformare il lamento in danza, a svestire degli abiti di lutto per rivestire degl’abiti della festa” (Sal. 29,12).

30.Il votato all’ ospitalità è un uomo del giubileo che ha accolto la grazia di entrare nella Chiesa dalle porte spalancate e che giubila quando può invertire la rotta, ritornare sulla piazza, la strada, e poter occupare tutte le arterie che conducono in luoghi di sofferenza: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo” (Giovanni Paolo II).

31.Il votato all’ospitalità è un uomo che offre una mano per servire, curare, e con l’altra addita un “oltre” di qualsiasi progetto terapeutico umano, incapace da solo di raggiungere le radici di ogni male.

32.Il votato all’ospitalità è un messaggero che porta annunci di liberazione e di speranza per condividere il momento critico della città malata, della persona malata.

33.Il votato all’ospitalità è un uomo che non si comprime l’esistenza nelle strettoie del tornaconto, nei vicoli ciechi dell’interesse, nei labirinti delle piccole ritorsioni vicendevoli.

34.Il votato all’ ospitalità è un uomo che non si deprime per i sussurri pettegoli, un calo d’immagine, un’umiliazione, perché nulla può mandargli la vita in frantumi.

35.Il votato all’ospitalità è un uomo che non fa discorsi freddi, senza sapienza e senza cuore.

36.Il votato all’ospitalità è un uomo capace di risalire la china perché sa di essere amato, aiutato, perdonato dal Signore.

37.Il votato all’ ospitalità è un uomo misericordioso nei giudizi, che dice bene degl’altri che rispetta e stima.

38.Il votato all’ospitalità è un uomo che parla solo dopo aver servito, che indossa il camice, fa servizi, diaconia, dopo essersi alzato da quella tavola che è l’Eucaristia. Egli passa  dalla carità delle opere di Dio alle opere di carità.

39.Il votato all’ ospitalità è un uomo che la Pasqua ha configurato a Cristo e che si fa servo per ricapitolare tutte le cose a Gesù Cristo Capo, che non ha esitato a farsi servo per ricompattare la frantumazione di un’umanità sgretolata.

40.Il votato all’ ospitalità è un uomo che, deposte le vesti, ha indossato il saio. E’ il gesto di deporre la vita volontariamente, offrirla come Gesù, del perdere la vita, lasciarci la pelle, lasciarsi crocifiggere.

41.Il votato all’ospitalità è un uomo dallo sguardo disarmato:

  • creatore, perché chiama all’esistenza un disperato,

  • rivelatore, perché gli manifesta la sua vera dimensione,

  • libero perché aperto all’altro in un atteggiamento di accoglienza, simpatia, discrezione, cordialità, delicatezza, benevolenza,

  • cristiano che non sfiora le persone che incontra,

  • che non è sfuggente,

  • che accoglie ma non forza.

42.Il votato all’ ospitalità è un uomo che si sforza di rendere reali i sogni e la fatica di attuarli, ha il coraggio dei propri sogni, il coraggio del proprio ideale.

43.Il votato all’ ospitalità è un uomo che coglie il presente, l’istante, “…perché le cose di prima sono passate”(Ap 21,4).

44.Il votato all’ ospitalità è un uomo che sa volare utilizzando le ali della Croce.

45.Il votato all’ ospitalità è un uomo che soffre ma non soccombe.

46.Il votato all’ospitalità è un uomo ambizioso perché ambisce a…Non è orgoglioso perché sarebbe il suo contrario.

47.Il votato all’ ospitalità è un uomo che sale sul calvario per assistere alla fine di ogni fantasia su Dio. Lassù c’è un uomo con altri due uomini. Dio è un uomo ferito, debole, che non salva se stesso ma gli altri. Lì impara che un uomo libero sa fare della stessa morte un gesto vitale.

48.Il votato all’ospitalità è uno che si scopre uomo, solo dopo aver trovato Cristo. E lo va a dire in giro.    

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Dunque, samaritani o albergatori?  

Dopo aver ammirato la luminosità di questa collana di perle che certamente matte non sono e che riproducono l’anima dell’ospitalità nella storia della Chiesa, non dovrebbe essere difficile dare una risposta. Ma potrebbe non essere quella che hanno in mente i Fratelli Ospedalieri della Provincia Lombardo-Veneta o di qualche altra Provincia nel mondo. Personalmente posso timidamente limitarmi a invitare i consacrati a porsi seriamente la domanda.   

Leggendo i vari documenti che sono stati sfornati in questi anni, mi sono fatto l’impressione che, almeno nel contesto italiano, ci sia una forzata tendenza a passare dal ruolo di samaritano a quello di albergatore. La colpa sarebbe del numero sempre più risicato di religiosi. Forse questa motivazione è vera solo in parte. Temo sia anche un fatto culturale, maturato lentamente. Un tempo non lontano sembrava che stare accanto al malato fosse meno prestigioso che stare in ufficio. Si è infiltrata subdolamente l’idea che i ruoli amministrativi spianassero la strada a posizioni di comando: mi sento realizzato se ho ricevuto una carica, molto meno se sono stato assegnato al fronte,  in prima linea, tra i malati. Il bravo amministratore era sempre vittima del tempo non aveva mai tempo di dedicare al malato, all’evangelizzazione…

Se la diagnosi è vera, l’insinuazione è stata veramente diabolica.  

Fare il samaritano è impegnativo e, talvolta, eroico. Non per niente l’impegno nell’ospitalità viene chiesto attraverso un voto che esprime disponibilità a dare la vita e anche il sangue, se necessario.  

Fare l’albergatore viene più facile, coinvolge molto meno in prima persona. Nella parabola, protagonista è il samaritano, è lui che viene additato come modello da imitare. L’albergatore è un prezioso comprimario che viene anche pagato con un acconto di due monete d’argento.  

Mi viene da fare una banale considerazione: un’automobile è fatta anche di viti. Ma chi produce viti, non può dire che fabbrica automobili. Così, se faccio l’albergatore, non posso fregiarmi di samaritano nella chiesa e nella società.  

A questo punto si pone il problema dei laici collaboratori. Essi, in effetti, stanno in prima linea, a contatto diretto con il malato.  Coloro che una volta svolgevano mansioni da albergatore, oggi si troverebbero nel ruolo di  samaritani. Come si vede, lo scenario sta profeticamente mutando in sordina, sotto gl’occhi attoniti di tutti.  

E’ bene o e male? La “Christifideles laici” è ottimista. Gli Istituti religiosi, per il momento, lo sono un po’ meno per due ragioni:

  • Per una crisi d’identità che inevitabilmente comporta il mutamento;

  • Perché i laici collaboratori non hanno alle spalle, come i religiosi,  una propria storia, pazientemente costruita e sofferta, essendo ancora tutta da scrivere.  

Se camminare insieme è la parola d’ordine del momento, dormirci sopra è il rischio latente che corre l’Istituzione religiosa, tentata o costretta a lasciare agli eredi la soluzione che non può passare se non per un travaglio difficile. Al di là del dovuto, per il rapporto di lavoro pattuito, quei laici collaboratori che si vorrebbero, non s’improvvisano. Che bastino i convegni per ereditare i carismi dell’ospitalità e del servizio non lo crede nessuno. Farli partecipare ai Capitoli è utile e doveroso. Ma poi? Se non c’è un seguito, se non vengono preparati…

Cosa fare? Non è la sede per svolgere l’argomento che ho provato ad approfondire altrove ( vedi “MOCRISAN: per un movimento di cristiani in sanità”. Dico solo che, per non inventare l’acqua calda e tenendo conto di un giudizio formulato dal Card. Martini che in seguito viene anche riportato, personalmente non vedrei male un contatto con il MEIC – Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale che ha alle spalle una lunga e qualificata storia, cominciata nel 1932-33 con il nome di Movimento laureati di Azione Cattolica e continuata/rinnovata con l’attuale denominazione dal 1980 che comprende anche i non laureati ed è presente sui diversi fronti della società non solo italiana, ma internazionale.

Qualora si decidesse di procedere ad una seria implantatio di un Movimento Cristiani in Sanità, affinché non nasca pieno di entusiasmi sullo spontaneismo disimpegnato per ritrovarsi senza radici al primo sole, lo Statuto guida potrebbe essere quello del MEIC, approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana. In seguito il MOCRISAN potrebbe diventare un affluente riconosciuto di quel movimento ispiratore. E poi…chissà!  

Comunque sia, l’accento della parabola è posta sul samaritano. Sulla base delle considerazioni emerse, è realistico pensare che il samaritano nell’ospedale odierno, ad di là di ogni rapporto personale col malato, potrebbe essere la Comunità Terapeutica

Nella sigla CTE  - Comunità Terapeutica Evangelica -  se la lettera T è dominante è perché rimanda alla Tau , lettera dell’alfabeto greco, simbolo della Croce. (L’ argomento è sviluppato a parte).

Sono problemi molto seri e complessi che richiedono il Lumen, ossia lo Spirito Santo, lo studio, la riflessione pregata, il coinvolgimento, la sperimentazione.

Nel mio piccolo, la riflessione dura da più di trent’anni, ma io sono veramente nessuno e quanto ho scritto è certamente opinabile. Ma dalla risposta dipende il futuro di tanti, Fatebenefratelli compresi.  

A conclusione di questo percorso mi sono posto una domanda che funge da test: chi mi piacerebbe avere accanto al mio letto nell’infermità?  

La risposta appare scontata, le considerazioni no:

  • a.      Vorrei essere assistito da un buon samaritano, interprete del Samaritano Gesù

  • b.      Se poi viene a trovarmi anche l’albergatore, benissimo! Vuol dire che ha capito che non gli basta fare l’albergatore: aspira a farsi prossimo.

  • c.       Il samaritano dev’essere religioso o laico?

  • d.      Dev’essere samaritano. E di questi tempi sarebbe un gran lusso.

  • e.      Mi va benissimo se l’albergatore si prende a cuore le mie esigenze, ma lui non è chiamato a con-dividere, com-patire. Il suo ruolo è di con-fortare, nel senso di rendere meno penosa la mia sosta, meno indigesto il distacco dalla casa, dalle abitudini, dalle cose.

  • f.        E’ difficile mostrare la propria anima al cappellano che passa di lì per via della “pastorale dei malati”. Non ho nulla in contrario, ci mancherebbe! Dico solo che viene più spontaneo affidarla all’ osservazione di colui al quale hai messo in mano l’organo malato. Tra una considerazione e l’altra, nasce la confidenza, il desiderio di… Poi sarà lui a dirmi: ti consiglio il medico dell’anima. Ho in mente Gesù e la Samaritana al pozzo. Qui il Samaritano provoca il desiderio di Dio e la samaritana, bevendo la Sua acqua, guarisce da quell’arsura che il pozzo non riesce a placare.

  • g.      Tornando all’albergatore, avverto che non mi toccherebbe più di tanto sapere che lui fa sacrifici, si espone finanziariamente, rischia di fallire, per venirmi incontro. La sento come un’entità astratta e i suoi problemi né li conosco né mi sfiorano.

  • h.      Proprio perché albergatore, talvolta mi viene il sospetto che abbia un interesse, un tornaconto che io gli procuro con la mia degenza. Del resto, anche quello della parabola l’aveva. Era il suo lavoro, il suo mestiere, il modo per vivere.

  • i.         Il samaritano per me, oggi, è una comunità terapeutica che mi piacerebbe evangelica, non meccanicistica.

  • j.         Desidererei essere guarito radicalmente dalle cause di malattia, non dai sintomi e dalle patologie organiche.

  • k.      Vorrei che nel processo terapeutico venisse coinvolta tutta la mia persona per tornare in famiglia ri-sanato, ri-nato.

  • l.         Mi piacerebbe scoprire come vive la “comunità dei samaritani”, poter stabilire un contatto, una relazione con loro anche dopo la degenza, partecipare qualche volta alla loro vita, diventare a mia volta un piccolo samaritano, uno che ha scoperto il gusto del farsi prossimo nel suo contesto familiare, di lavoro, sociale.

  • m.    Gradirei molto che a Natale e Pasqua , la Fraternità mi scrivesse che sono presente nelle sue preghiere. Mi diletterebbe altresì che si ricordasse per il mio compleanno di inviarmi gli auguri, possibilmente senza il vaglia postale per l’offerta, che non mi dispiacerebbe ricevere, magari con una rivista, in altre circostanze.

  • n.      Quando la mia vita è giunta al capolinea, mi piacerebbe avere accanto un samaritano. Vorrei che fosse lì al momento dei sudori freddi a darmi una mano, a sussurrarmi parole di gran forza: “Ràsati la barba, véstiti bene, méttiti la camicia pulita, quella battesimale…Prendi, bevi               l’ Aperitivo…oggi sarai con Lui alla festa, in Paradiso. Non temere la “valle oscura”, quando passerai nel tunnel della morte non sarai solo: Lui sarà conte a darti sicurezza ”. (sal.23 (22)

  • o.      Pensando ai miei familiari, mi piacerebbe tanto che un samaritano fosse di conforto a coloro che si trovano nella prova della separazione e che, dopo il funerale, con la partenza del carro funebre, non si chiudessero per sempre i cancelli della Fraternità. Come sarebbero contenti i miei se, almeno per un anniversario, arrivassero due righe di fede, di conforto, di rasserenante fiducia in Dio!  

Già che ci sono, esprimo un ultimo desiderio, solo in apparenza poco pertinente: mi piacerebbe che il Capitolo Provinciale Lombardo-Veneto del 2004 si decidesse per una comunità di Fratelli contemplativi non vedenti, estensione del carisma dell’ospitalità. Nella comunità di Don Dossetti ho incontrato tanti anni fa una suora non vedente. Assomigliava a Teresa di Gesù Bambino ed era la gioia della Comunità. A quando il primo postulante? Lavoro ne avrebbero di sicuro: adorazione e intercessione eucaristica, insostituibili strumenti di guarigione per i malati, ministero di consolazione degli afflitti,  discernimento spirituale, ecc…quanti carismi da esercitare per la comunità dei sofferenti!  Che non ci sia un San Benedetto Menni in circolazione da destinare per l’innesto di questo ramo sulla pianta plurisecolare? Il contributo di queste riflessioni è assai modesto. Serva almeno come testimonianza di un affetto mai venuto meno.   

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