EUCARESTIA: COMUNIONE O ATTO DI ESCLUSIONE? – Marcelo Baros

EUCARESTIA:

COMUNIONE O ATTO DI ESCLUSIONE?

 

LETTERA APERTA DEL MONACO

MARCELO BARROS AL PAPA

 

 

DOC-1374. GOIÁS VELHO-ADISTA.

 

Sono molto critici i commenti sull’ultima enciclica papale, “Ecclesia de Eucharistia”, da parte del monaco benedettino p. Marcelo Barros, priore del Monastero dell’Annunciazione a Goiás Velho, nello Stato brasiliano di Goiás. Commenti che il noto teologo della liberazione brasiliano, da sempre attivo nel campo dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, avanza direttamente a Giovanni Paolo II, in una lettera a lui personalmente rivolta. Con accenti assolutamente schietti, che molto di rado si incontrano in una lettera al papa, Marcelo Barros finisce per delineare il volto di una Chiesa più umana, più solidale, più aperta alla ricchezza delle differenze. Di seguito la sua coraggiosa lettera, in una nostra traduzione dal portoghese.

 

Caro fratello Giovanni Paolo II,

 

 

 

nel mondo intero si è data notizia che il 17 aprile, giovedì santo, lei ha divulgato la sua 14.ma enciclica: Ecclesia de Eucharistia. Negli ultimi anni, il Vaticano ha pubblicato tanti documenti che uno in più non farebbe molta differenza. Ma questa lettera sull’eucarestia nella sua relazione con la Chiesa sta provocando molte discussioni e sofferenze nei gruppi ecumenici e io sento personalmente di rappresentare molti cristiani nel cercare di comprenderla e di parlare con lei di questo. Pertanto, mi prendo la libertà di commentarla e di farle alcune domande. In primo luogo, vorrei ringraziarla ed evidenziare il valore della sua testimonianza di fede e di amore per il ministero. È cosa buona sapere come lei interpreti la fede e la missione della Chiesa. Sulla base di questo stesso amore, tenterò di riassumere alcuni punti su cui mi piacerebbe parlare con lei.
1 – La Chiesa vive dell’eucarestia o dell’amore solidale al popolo?

“L’Eucarestia è il nucleo stesso del mistero della Chiesa” (n. 1). Questo è vero a livello di segni. I sacramenti sono segni efficaci che contengono ciò di cui sono segno, ma non smettono di essere segni. Non sarà che questa lettera confonde il segno con la realtà? Dire che l’eucarestia è il nucleo del mistero della Chiesa non è come affermare che l’asse portante dell’amore tra due persone è la tenerezza del corpo? Il nucleo del mistero della Chiesa è l’eucarestia o la solidarietà, traduzione del termine greco agape? Non è più corretto dire che la Chiesa vive dell’amore solidale, del servizio e della testimonianza del Regno di Dio e che questo si esprime come segno nell’eucarestia e negli altri sacramenti?
La lettera dedica un paragrafo (il 20) alla relazione tra l’eucarestia e “la responsabilità nei riguardi della terra”. Dice che, nel quarto Vangelo, il racconto del lavaggio dei piedi “illustra il profondo significato del sacramento”. Ricorda che Paolo definisce “indegna” la comunione di una comunità che partecipi alla Cena in un contesto di discordia e di indifferenza nei confronti dei poveri (cfr 1 Cor 11). Ma tocca questa relazione tra eucarestia e giustizia solo alla fine del capitolo 1, come se fosse una conseguenza dell’eucarestia e non il suo presupposto fondamentale. Cosa denota questo come visione della Chiesa e della fede?

2 – La Messa, sacrificio a quale Dio?

Nella lettera, lei cita varie volte il Concilio Vaticano II e alcuni documenti del magistero romano recente, ma la dottrina che vi è espressa sull’eucarestia è quella del Concilio di Trento nel XVI secolo, che lei ritiene attuale e propone come riferimento dogmatico per tutta la Chiesa (n. 9). Poiché lei conosce tutto il lavoro teologico che, negli ultimi secoli, è stato elaborato sull’eucarestia, deduco che lei, semplicemente, non ritiene importante questa evoluzione. Anzi, persino nel linguaggio arretra rispetto al Vaticano II. Parla di “santo sacrificio della messa” e non di Cena del Signore, così come chiama i ministri sacerdoti e non presbiteri.
La teologia è chiara: “La missione rende presente il sacrificio della croce. Non lo ripete, né lo moltiplica. Quello che si ripete è la celebrazione memoriale” (n. 12). Se è così, non sarà che oggi il linguaggio sacrificale non è il più adeguato per esprimere la verità del memoriale? Non sarà ostaggio di una cultura, presente nel Nuovo Testamento, legata al giudaismo dell’epoca e ad altre religioni? Come si può parlare, oggi, di Dio Amore se si tratta di un Padre che ha bisogno che il Figlio muoia per riconciliarsi con l’umanità? La fede non è più ampia della sua spiegazione in concetti teologici, sempre legati a una determinata cultura? Perché imporre a tutti un’interpretazione della fede come se fosse la fede stessa, soprattutto quando questo modo di parlare dell’eucarestia non dice più niente a molti cattolici e ci divide dai fratelli delle altre Chiese che, in passato, sono già state condannate per questo? Non sarebbe più in accordo con la fede nell’eucarestia seguire il consiglio di papa Giovanni XXIII e affermare la fede in una maniera che unisca i fratelli e non li divida?

3 – Celebrazione eucaristica domenicale e celibato

Lei insiste sul fatto che l’eucarestia è essenziale e dipende dal sacerdote ordinato che la celebra. Ripete che le comunità non possono celebrarla senza il prete e che i culti domenicali senza prete non sostituiscono l’eucarestia. In Brasile, sono migliaia le comunità cattoliche che la domenica non hanno il prete e celebrano il culto della Parola. Lei sa perché tutte queste comunità non hanno il prete e perché alcune ricevono la visita di un prete due volte all’anno. È per il fatto che lei non accetta di aprire la questione del celibato obbligatorio e di ordinare uomini sposati, degni e preparati per il ministero. E non riconosce la validità del ministero dei preti che si sono sposati, i quali, con gioia, accetterebbero di esercitare il ministero. Senza parlare del fatto che, in America Latina, la Chiesa cattolica è l’unica delle Chiese occidentali storiche che non accetta di ordinare donne. Cosa è per lei più importante: l’eucarestia domenicale, come insegna nell’enciclica, o mantenere come legge prassi latina del celibato obbligatorio?

4 – Cena di inclusione e di amore

Lei lega l’eucarestia alla persona di Gesù per affermare il suo “sacrificio” ma non fa riferimento alla sua vita concreta. Non ricorda come Gesù abbia mangiato con i peccatori e con gente di malaffare. Ricorda come norma che si può avvicinare all’eucarestia solo chi sia libero da peccati gravi e noi sappiamo cosa la Chiesa ha considerato peccato grave. Lei stesso ha dato l’esempio nei suoi tanti viaggi per il mondo. Nel pieno della dittatura cilena, ha celebrato l’eucarestia nel palazzo presidenziale e ha dato la comunione al generale Pinochet perché, malgrado il sangue versato dagli oppositori che egli aveva potuto trucidare, è sposato in chiesa ed è contro il divorzio. Lei insegna che per fare la comunione è necessario confessarsi e questo presuppone la confessione individuale a un sacerdote ordinato. Mi piacerebbe che lei mi aiutasse a scoprire questa esigenza nei Vangeli o anche nella prassi della Chiesa primitiva. Quello che leggo è che Gesù dice: “sono venuto per i peccatori e non per i giusti”. Le mense alle quali egli partecipava erano segnali di inclusione e della profezia del Regno di Dio che accoglie tutti, soprattutto gli esclusi e i diseredati. A causa della nozione di sacerdozio che la nostra Chiesa ha sviluppato, lei ripete ciò che già appariva nella dichiarazione Dominus Iesus e distingue i cristiani gli uni dagli altri. Riconosce come “Chiese” solo le ortodosse e chiama la Chiese evangeliche “comunità ecclesiali”. E proibisce ai cattolici di accostarsi alla comunione in celebrazioni eucaristiche di queste chiese “per non avallare ambiguità su alcune verità di fede” (n. 44). Cosa ha a che vedere questa nozione di Chiesa con l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II? Come continuare il cammino ecumenico con quest’altro passo indietro? Perché disconoscere e disprezzare gli accordi ecumenici già raggiunti tra alcune Chiese? Il Documento di Lima sul battesimo, l’eucarestia e il ministero (1983) è ignorato. L’accordo con la Chiesa luterana sulla giustificazione è praticamente passato sotto silenzio. Perché? È più importante la chiarezza intellettuale o la carità e la testimonianza dell’amore? La “chiarezza su alcune verità di fede” è più importante dell’accoglienza mutua e dell’unità reale vissuta da cristiani che la pensano in maniera differente ma celebrano con grande rispetto e affetto il memoriale del Signore, in questo contesto di un mondo diviso e nel quale le religioni rappresentano forze di opposizione e non di unità?
Ho letto in una rivista italiana che questa lettera sarebbe stata diretta specialmente ai cattolici tedeschi che hanno praticato l’ospitalità eucaristica e l’intercomunione. Pochi giorni prima della divulgazione della sua lettera, essi hanno persino pubblicato un importante documento mostrando come sia stato valido questo loro cammino. Come argomento contrario all’intercomunione lei dice che l’eucarestia ha senso solo quando esprime l’unità già vissuta. È interessante che, nel campo dell’ecumenismo, lei insista su questa esigenza di unità già realizzata quando non esige la stessa cosa parlando della giustizia e dell’impegno a favore della vita sul piano sociale. Ma anche se questo argomento è vero, perché non considerare questo cammino di alcuni gruppi come esperienze pilota che possono essere utili a tutta la Chiesa?

5 – “Riceviamo dal Signore anche quello che insegniamo”

Alla fine, in relazione all’Eucarestia, cosa mi impegno con lei a credere e testimoniare? Quello che ha scritto Paolo nella lettera ai Corinzi: che nella notte in cui fu tradito, Gesù cenò con i suoi discepoli e mettendo in relazione questo pasto con la cena pasquale distribuì il pane e il vino ai discepoli significando l’offerta della sua vita, la passione che di lì a poche ore avrebbe vissuto. I primi cristiani chiamavano l’eucarestia “condivisione del pane” e certamente non a caso. È bene ricordarlo al popolo brasiliano in questo momento in cui il governo federale propone il progetto Fame Zero.
“Mangiare è un gesto fondamentale della vita. Per il popolo biblico, i pasti hanno uno spazio considerevole. Un elemento culturale fondamentale per l’israelita è il carattere relazionale del pasto. Questo appare nella benedizione dei figli riuniti intorno alla mensa (Sal 128,3). Alla mensa, mangiando con i tre uomini misteriosi che gli fanno visita, Abramo riceve l’annuncio della nascita di Isacco (Gen 18). È alla mensa che Èlkana distribuisce i suoi beni tra le due donne e Anna decide di chiedere a Dio che la liberi dalla sterilità (1Sam 1, 1-8). È alla mensa che il levita di Efraim cerca di riequilibrare i legami familiari scossi dalla fuga di sua moglie (Gdc 19, 4-8). David e Abner si riconciliano attorno a una mensa (2Sam 3, 20). È a partire dalla realtà quotidiana del mangiare insieme che Dio si rivela e ci dice il suo progetto” (A. Marchadour, La Pâque: son évolution jusqu’au temps de Jésus, in L’eucharistie dans la Bible, Cahiers Èvangile, 37, pp. 6-7). Prima di dare la parola dell’alleanza a Mosè, Dio gli dà l’alimento ed esige che lo mangi, riunita, ogni famiglia (Es 16 e poi Es 19; L. Monloubou, L’Ancien Testament à table, in L’Eucaristie dans la Bible, Cahiers Èvangile, pp. 5ss). I rabbini insegnano: “A partire dalla distruzio-ne del tempio, ogni mensa in ogni casa è diventata un altare” (Talmud, Pesachim 4b).
I pasti hanno uno spazio importante nella vita di Gesù. È in un pranzo che egli conosce più in profondità Levi, il discepolo, Marta e Maria, il fariseo Simone, Zaccheo, i discepoli di Emmaus e altri personaggi della sua vita quotidiana. Questi pasti presi con il suo gruppo hanno una tale importanza che quando mancano, due volte, il Vangelo riferisce la lamentela: “Non avevano tempo neppure di mangiare” (Mc 3,30 e 6, 31). E la prima accusa che gli avversari lanciarono contro Gesù fu: “Mangia con i peccatori” (cfr. Lc 15,2).
“Durante i pasti, Gesù si rivela e rivela un volto di Dio” (Jacques Guillet, Jésus dans la foi des premiers disciples, Desclée de Brouwer, 1995).
Il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Commissione Fede e Costituzione hanno lavorato anni e anni per arrivare a un consenso tra le Chiese storiche sul Battesimo, l’Eucarestia e il Ministero. Hanno ottenuto che le Chiese firmassero il “Documento di Lima” (1983) nel quale il capitolo sull’Eucarestia inizia così: “I pasti che Gesù ha condiviso durante il suo ministero terreno, e dei quali abbiamo notizia, proclamano e rappresentano la prossimità del Regno: la moltiplicazione dei pani ne è un segnale. Nell’ultima cena, la comunione del Regno è stata messa in relazione con la prospettiva delle sofferenze di Gesù. Dopo la sua resurrezione, il Signore manifestò la sua presenza e si fece conoscere dai suoi discepoli allo spezzare il pane. L’eucarestia si trova, così, sulla linea della continuità dei pasti che Gesù ha preso con i suoi e significa la partecipazione all’atto di donare la vita a servizio di tutti come fece Gesù e la testimonianza del Regno di Dio”.

 


Forse lei si meraviglierà che io non mi riferisca al sacrificio. Lavorando contro la pena di morte nel mondo di oggi e cercando di testimoniare che Dio è Pace e dono di vita, penso che dovremmo sostituire questa categoria del sacrificio con una equivalente che dia risalto all’offerta di Gesù ai suoi e alla fedeltà al progetto del Padre, al suo affidare la sua vita a Dio e a come sulla croce egli ci ha rivelato un nuovo volto di Dio. Secondo il quarto Vangelo, quando, nell’orto degli ulivi, egli domanda ai soldati: “Chi cercate?” e questi gli rispondono: “Gesù il nazareno!”, egli risponde loro con il nome con il quale Dio si rivela a Mosè nel rogo ardente: “Sono io” o “Io sono”. E, secondo il Vangelo, quei soldati, che non sono specialisti in mistica, cadono terrorizzati di fronte al Nome.

  

Celebrare la Cena è dare testimonianza a un Dio Amore che dà la sua vita a tutti gli uomini e le donne, perdona tutti e non esclude nessuno dalla sua vita. Per me non esiste pienamente Cena del Signore se manteniamo privilegi o esclusioni come quella delle donne dai servizi ministeriali e dei laici considerati “meno capaci di consacrare” dei presbiteri ordinati. Il sacrificio di Gesù, se si può ancora parlare di sacrificio, è stato l’offerta della sua vita “per l’unità di tutti i figli e le figlie di Dio dispersi per il mondo” (Gv 11, 52). Questo è il suo sacrificio: che, come insegna Sant’Agostino, pone fine a tutti i sacrifici.

  

A partire da esso, non è più necessario alcun sacrificio. “La nuova alleanza annunciata dai profeti Ezechiele e Geremia parla dello Spirito di Dio versato nei nostri cuori, in templi di carne invece che in templi di pietra, ma non parla di sacrificio o di sangue versato. Si può vedere questo in Geremia (da 31, 31 in avanti) e in Eze-chiele 36″ (S. Legasse, L’Eucharistie, nouvelle alliance, in idem, p. 33).

 

 

 

Con molta gioia, lei scrive nella sua lettera: “Annunciare la morte del Signore ‘fino alla sua venuta’ (1Cor 11, 26) include, per quanti partecipano all’Eucarestia, l’impegno a trasformare la vita, in modo tale che questa diventi, in certo modo, tutta eucaristica” (n. 20). E poi cita S. Agostino, in una delle sue belle omelie per i neobattezzati nella notte di Pasqua: “L’apostolo dice: ‘voi siete il corpo di Cristo e le sue membra’ (1 Cor 12, 27). Se siete il corpo di Cristo e le sue membra, è il vostro sacramento che è collocato sulla mensa del Signore; è il vostro sacramento che ricevete (…). Cristo Signore (…) ha consacrato nella sua mensa il sacramento della nostra pace e della nostra unità” (n. 40).

6 – Domanda finale

Formato nella teologia e nella spiritualità del Concilio Vaticano II, la riconosco come vescovo di Roma e primate dell’unità tra le Chiese ma non come un supervescovo o un definitore della fede delle persone. Accetto il primato del papa come ministero amato da Dio, ma questo non include la nomina dei vescovi, né la definizione di un diritto universale, o di un catechismo a cui tutti i cattolici del mondo devono credere. Perché imporre a tutte le Chiese un modello unico di ministeri e un’unica liturgia: quella romana? Non sarebbe più in accordo con la verità dell’eucarestia promuovere la vita e la libertà di tutti? Sarebbe una testimonianza: crediamo che, così come molte spighe formano un solo pane, Dio fa della diversità delle Chiese e della varietà delle celebrazioni l’unità di una sola comunione.

Lascio a lei e ai fratelli che leggeranno queste righe tali domande e continuo a pregare per la nostra Chiesa perché sia, come hanno affermato un giorno i vescovi dell’America Latina: “una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale, slegata da ogni potere temporale e coraggiosamente impegnata nella liberazione di ogni essere umano e di tutta l’umanità” (Medellín 5, 15).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da ADISTA del 7.6.2003

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