FORMIDABILI QUEGL’ANNI – Fra Angelo Bertoglio o.h.

 

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E’ UNO SPEZZONE DI STORIA CONTEMPORANEA DEI FATEBENEFRATELLI

Un documento storico che si ripropone  alla vigilia di una svolta importante:   IL CAPITOLO GENERALE STRAORDINARIO 2009.

OPZIONI ’70 -

Centro Studi Fatebenefratelli – Erba (Como)

Gennaio 1970  -  Anno I  -  N. 1

SOMMARIO

  1. Editoriale (d. nocent)

  2. Ai nostri fratelli (équipe)

  3. “Regula aurea” (c. medaglia)

  4. Comunità e individuo (f. zecchini)

  5. La formazione della personalità nella vita religiosa (a cura di T. Quadri)

  6. l dialogo (s.manera)

  7. Per una sana educazione affettiva (p. zamborlin)

  8. Una certa coscienza di Povertà

  9. Dall’Osservatore Romano (Maria Soledad Torres Agosta sugli altari)

  10. Preghiera di uno che non sa più pregare.

EDITORIALE

Non ci è dato di sapere  che cosa ci riserveranno gli anni ’70. Saranno certamente di grandi impegni e decisioni. Forse anche di successi.

  • La scienza è impegnata nella lotta contro il cancro;

  • i politici  nel ristabilimento di una pace e sicurezza mondiale e nell’impostazione di una economia di sviluppo del terzo mondo;

  • la Chiesa deve dare una risposta vitale ai grandi problemi del Concilio Vaticano II.

  • Anche la nostra Fraternità dovrà fare una profonda revisione di vita per mettersi in sintonia con la storia e tradurre vitalmente i “segni dei tempi”. Con il Capitolo Generale speciale, ma non soltanto.

“OPZIONI  ‘ 70″ perche?

Dire opzione è dire scelta, preferenza deliberata. Questa scelta si presenta come una ricerca e una interpretazione; è legata a una certa lettura – sempre discutibile – di un mondo in evoluzione e della vita religiosa in trasformazione.

A ciascuna epoca appaiono linee di sensibilità profonda che generano comportamenti e modi di essere: questi tratti fondamentali indicano alla nostra fede qual è il conntrassegno dello Spirito  sul nostro tempo, il suo cammino e il suo campo d’azione più favorevole.

“OPZIONI  ‘ 70″, che non ha niente di esclusivo, vorrebbe tentare di rispondere a questi “segni”.

Più volte ci ha tormentato il pensiero della sua accoglienza nelle comunità. Sarà inteso come strumento di contestazione giovanile?

Ebbene: vuol essere semplicemente un periodico di opinioni e confronti, scritto nella libertà e nella carità e aperto a tutti i Fratelli, in comunione e responsabilità.  Palestra di idee, vuol essere costruttore e apertamente impegnato nella riscoperta del Vangelo, particolarmente di Cristo medico, offerto alla giovane generazione ed anche a quanti giovani non sono forse ormai più, ma conservano freschezza di spirito e tensioni giovanili. Più che di noi, vogliamo parlare di ciò che non siamo e non vogliamo essere . Più che definire (assurda impresa), intendiamo precisare.

“OPZIONI  ‘ 70″, si colloca al centro di tutti gli slanci che vengono dalla periferia. Vuol  essere

  • punto di convergenza della chiamata  del Signore in tutti i fratelli,

  • vincolo di fratellanza,

  • perno della ricerca comunitaria di perfezione evangelica,

  • momento di verifica della fedeltà allo Spirito.

Tra uomini, ogni comunione vera esige il rispetto più assoluto della intrinseca dignità dell’altro. Per noi questa dignità non è altro che la qualità di “figlio adottivo del Padre”  con la liberta dello Spirito che essa conferisce. E lo Spirito è inventivo, creatore, soffio di un perpetuo rinnovamento.

Chi scrive e chi legge faranno bene a tenere un atteggiamento di povertà e schiettezza:

  • Povertà dello scrittore che si mette in ascolto dello Spirito e, considerandosi servo della fraternità, riversa in essa il suo carisma.

  • Povertà del lettore che accoglie ogni cosa, senza sospetti, senza nemmeno disprezzo, come una parola che il Padre gli rivolge nello Spirito, attraverso i suoi fratelli e per essi.

  • E schiettezza: piedi a terra e fronte alta , con gl’occhi spalancati sulle cose e sul Cielo.

Giudicare, discutere, consultare, accettare o rifiutare o modificare devono essere il frutto della fraternità vissuta, non un gesto macchiato da autarchia o autocrazia. Una fraternità non è infatti una semplice agglomerazione di persone, ma esige una osmosi delle intelligenze e dei cuori.

Noi crediamo all’obbedienza. Essa ci appare ancora una virtù. A patto che i singoli e le comunità siano interessati in un modo attivo e personale nella lettura e nell’interpretazione di questa chiamata di Dio per l’ oggi. Allora diventa più grande  la dignità dell’atto di obbedienza perché è adesione cosciente e amante a un volere divino che si sa incarnato in qualcosa di concreto, percettibile attraverso il segno degli eventi, e di cui si coglie più chiaramente la relazione col mistero della salvezza.

C’è un domani per i Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio? Crediamo di sì. A patto che le nostre mani non taglino i ponti delle grandi strade del domani. Dice don Primo Mazzolari che “un uomo d’onore non lascia agli altri la pesante eredità dei suoi “adesso” traditi “.

Iniziamo con speranza perché la causa ci sembra buona. Proseguiremo con gioia se sapremo di aver servito, almeno un poco, agli ideali che abbiamo dichiarato.   .

D. Nocent

Il clima che si respirava era quello del  ’68.  Ma anche del post Concilio Vaticano II. Mentre i voli spaziali occupavano la mente degli scienziati e delle cronache, il Papa faceva quotidianamente i conti con “l’aggiornamento” della Chiesa che sembrava avere dei costi elevatissimi. Le sue parole sono sintomatiche delle tensioni presenti nella Chiesa di allora ma illuminanti anche per il nostro tempo, con vecchie e nuove contraddizioni.

INDIGNAZIONE – CARITA’ – RISPETTO

Da OPZIONI ’70  – N. 5  Giugno 1970

Questa premessa s’ era resa necessaria per tentar di far passare in modo accettabile sia l’articolo “vigoroso” che Fra Angelo Bertoglio aveva spedito alla redazione per la pubblicazione, che di altre, non meno sincere ma poco diplomatiche riflessioni. Da come sono andate le cose, evidentemente non è risultata convincente.

Editoriale

Quando noi affermiamo che certe posizioni di apertura sono tutt’altro che infrequenti, anzi costituiscono il patrimonio mentale ormai comune di una larghissima zona della Chiesa, ci si risponde, con sufficiente sufficienza, che il realtà si tratta di pochi gruppi del dissenso: “isoliti fanatici”, come ormai si dice in Vaticano, tentando di screditarli e metterli in tal modo fuori gioco.

Quella della forma in chi scrive è una questione nevralgica. Molti sono disposti ad accettare i contenuti critici, purché siano espressi in un modo diverso. Ma non è facile distinguere il contenuto dal linguaggio e, in genere, bel giustamente, gli scrittori contestati rifiutano di ammorbidire la forma perché sembra loro di devitalizzare la sostanza. In effetti, un sentimento vivace va espresso con vivacità, un’indignazione va espressa con forza e con violenza. Se la si esprime con dolcezza la si tradisce: non è più indignazione ma puro e semplice dissenso.

C’è differenza tra dissenso e indignazione ed il linguaggio deve registrarlo. Ma la realtà è che non siamo più capaci di indignazione. Forse, quando si critica un linguaggio forte. Si contesta questa legittimità di indignazione o il suo possibile convivere con la carità e con il rispetto. Ma noi non crediamo che le cose siano tra loro incompatibili, e basterebbe un richiamo al linguaggio evangelico per rendercene convinti.

Certo, i nostri critici avrebbero fatto al Signore le medesime obiezioni: che si potevano dire le stesse cose in modo diverso. E invece no: il modo diverso dice cose diverse.

Non si può esprimere tutta la carica di sdegno racchiusa nella formula “razza di vipere” con locuzioni più pacate: magari con “gente poco sincera”. “Gente poco sincera” non vuol dire “razza di vipere” ma assai meno. Insomma, la contestazione della forma non è mai solo della forma ma investe direttamente la sostanza; e l’incapacità di ammettere un linguaggio robusto forse deriva da un certo stile di dipendenza clericale che ci rende incapaci di robusto dissenso.

*   *   *

La verità non si manda a dire per procura. Di particolare interesse è la critica diretta, semplice e franca: critica che, naturalmente, è definita “irriverenza” e peggio. E dobbiamo essere davvero “cortigianizzanti” per ritenere irriverente una diversità di opinione su problemi tanto discutibili.

E’ invece da queste divergenze conosciute ed espresse che nasce una coscienza ecclesiale robusta, filiale e aliena da falsi feticismi. E’ di questa coscienza che abbiamo bisogno noi e di cui più di noi ha bisogno la stessa Autorità, attorniata talvolta da un silenzio osannante che gli nasconde la verità.

Quest’operazione falsificatoria è il servizio peggiore che gli si possa rendere, soprattutto se è reso dai collaboratori più prossimi.

L’Autorità ha bisogno di essere aiutata a sostenuta. Ma per aiutarla non serve la pietosa bugia o l’adulatorio consenso; serve la parola franca e, all’occasione, anche il filiale dissenso.

Non si vien meno al dovuto rispetto e alla necessaria disciplina solo perché si esprime un diverso parere.

**

“CHI METTE MANO ALL’ARATRO…”

Di Angelo Bertoglio

Una delle interpretazioni al noto testo evangelico potrebbe essere questa: chi mette mano, chi punta su un programma d’azione, lo espone, lo illustra, lo propone entusiasmando i seguaci e poi…si volta indietro, tergiversa nelle idee, cambia rotta illudendo i discepoli e abusando della obbligatorietà di sottomissione cui benevolmente si sono impegnati, costui no, non è atto…

Il Regno dei Cieli esige l’impegno incondizionato di uomini dalle idee chiare, coraggiose, che non ricorrono al sopruso della contraddizione sistematica ingannando se stessi e gli altri. Sì, è vero, questo vale per ogni cristiano, perché in Paradiso o all’Inferno nessuno mai ci va da solo, ma soprattutto riguarda colui che nella comunità ha una giuridica responsabilità di severissimo rendiconto.

Devo dire che troppe volte ho visto anche nel nostro ambiente religiosi miei fratelli con impressionante leggerezza accedere ai posti di comando quasi desiderandoli…

E’ incredibile! C’è da dubitare che costoro abbiano coscienza del valore, della natura delle anime che i prendono l’ impegno di guidare e di governare. Perché, si noti bene, non si tratta di cavalli o di macchine per i quali vale una tecnica umana, ma di anime…che valgono quanto vale Dio, di cui sono immagine.

Ebbene, senza tanti preamboli, mi sia lecito dire subito come con questo scritto io intenda entrare in aperta polemica col Padre Provinciale.

Così si è espresso recentemente Mons. Camàra: “ Non parlo contro il Brasile, parlo contro la tortura. Non tradisco il Brasile, lo tradirei se tacessi”. E io dico: “Non parlo contro il Provinciale, parlo contro il suo modo di agire. Non tradisco il Provinciale, lo tradirei se tacessi”.

Il vescovo ha soggiunto. “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò stasera,intendo parlarne francamente”. E io ripeto con lui: “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò ora, intendo parlarne francamente”.

Mons. Elder Camàra è un ometto fragile, dal volto mobilissimo, che parla in modo convincente senza alzare la voce e quasi ipnotizzando l’uditorio. E appassionato, combattivo, sincero, ardente, commovente pur non trascendendo nel tono. Costui è un uomo di Dio che piace a me come piace a molti.

Il mio Provinciale no. Cosa devo dire? Non piace a me come non piace a molti della nostra piccola comunità religiosa provinciale. Si capisce, piacere a tutti e anche solo a molti, è impresa ardua perché, ragionando con una mentalità ecclesiale, governare le anime non è mestiere, è missione sacrosanta; non occorre un’arte, ci vuole un carisma, una personalità trasparente, tersa come cristallo, che dia prova di sincerità, di lealtà, di saggezza, di sapienza, di…coerenza. E in questo il Leader innamora, attrae, seduce, trascina, s’impone, non tanto con la forza dell’autorità che indispone, spoetizza, ma disponendo con la simpatia che piace o meglio con la carità.

Perché, come asserisce San Francesco di Sales, lui che ne compose anche una preghiera per ottenerla, “la carità è simpatica, è dolce, amabile”. Ed è risaputo come un tale santo si distinse proprio per questa luminosità di carattere acquisito.

Affermando che Padre Pierluigi non si è cattivato la simpatia dei suoi figli in questa maniera, mi affretto tuttavia a premettere il mio più alto sentimento di sudditanza a lui, con ubbidienza e rispetto. E constatando, forse anche con rassegnato stupore, come questo atteggiamento di sudditanza esista in tutti i suoi sudditi, devo tuttavia affermare che a un tale doveroso atteggiamento non è più unita purtroppo l’antica stima e fiducia che da principio godeva.

Soprattutto nel ceto giovanile Pierluigi poteva essere l’emblema dei giovani, il loro prototipo, la personificazione di essi. Furono i giovani a guardare a lui, a volere lui, l’unico che dava loro garanzia di idee giovani e su di lui puntarono i loro voti.

Oggi dobbiamo dire con tristezza, quasi con una stretta al cuore e a nostra confusione di fronte a Dio: ci ha delusi! Non fu l’uomo del tempo, dell’ora presente, come credevamo, come pensavamo, come speravamo… E purtroppo l’uomo di alte responsabilità che fallisce oggi, non può sperare di rifarsi domani; è troppa la vertiginosità con cui gli uomini mutano in un progressivismo tecnologico pari a quello filosofico, e chi si ferma è realmente…perduto !

E rimane travolto lui e tutta la sua compagnia se è ad un posto di responsabilità.

Comunque, per ora, prima che sia ormai  troppo tardi, sperando di scongiurare almeno il peggio, non posso fare altro che ripetere ancora una volta con rassegnato scoramento, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: pazienza! E ancora una volta, piegati ma non spezzati, sperando sempre con indomito coraggio, non volendo cessare di sognare tempi migliori sempre imminenti, volgiamo il nostro sguardo ai giovani che hanno mentalità fresche, perché solo da essi si può sperare qualcosa, non certo da chi giovane non è più.

Anche il Provinciale ha commesso l’errore di quasi tutti gli anziani: non ha saputo capire, intuire, colpire giusto nel loro presente. Su questo punto, se ce lo permetteranno, quanto, quanto ci sarà da dire! Che il proibircelo sarà l’ultimo errore a consumarsi, poi basta, poi la catastrofe definitiva.

La libertà di pensiero, di parola, è la caratteristica dei tempi nuovi e con questo mezzo caratteristico si dovrà poter cambiare radicalmente le vecchie strutture che sanno di muffa, di antiquato anche nella nostra Istituzione.

Come ogni anno il corpo umano si rinnova biologicamente,  così anche psicologicamente l’uomo, la società, si rinnovano e quello che era dell’anno scorso nella composizione delle idee, nella problematica della vita, , della convivenza, quest’anno è già passato alla preistoria. Bisogna dunque essere capaci di camminare coi tempi, non fermarsi su un metodo acquisito cinque, dieci, vent’anni fa, altrimenti c’è da ridere!  Bisogna aggiornarsi continuamente, cambiare sempre le posizioni con agilità di spirito, agilità che in ultima analisi ci viene dal mistero pasquale. Ogni giorno ci viene proposto ed è lì che dobbiamo costantemente rifarci, In Cristo risorto ( e in coloro che sono risorti con Lui) la prima prerogativa dello  spirito è l’agilità e non la stasi d’intontimento.

Sopra accennai ai mezzi coercitivi usati in Brasile che il vescovo Camàra sdegnosamente condanna. Ma, al dire di P. M: Turoldo, “non esistono solamente campi di concentramento fatti di reticolati, ma ci sono anche la prigionia morale e il genocidio dello spirito” (prefazione  a “Libertà dello Spirito” di G. Vannucci).

E nel suo giudizio espresso a riguardo della “Marcia di Parma”, il fratello Dionigi si esprimeva così: “sono uscito per un momento dai silenzi prudenti e dalle calcolate paure” (OPZIONI ’70 – n.2). Bravo Dennis e fortunato te che almeno per un momento hai potuto uscire dalla tortura morale a cui sono sottoposti i nostri poveri spiriti. Io p.e. che da trent’anni subisco in silenzio una tale tortura, questo sia pur anche breve sospirato momento di “libertà” non l’ho provata mai e ne ho il cervello liso a motivo dei continui ininterrotti lavaggi che ho subito e ai quali ho dovuto soggiacere passivamente, dietro l’esempio dei Santi (!?) che i comodi pseudo-maestri di una santità interessata, mi andavano insinuando fino alla ossessione spasmodica.

Il troppo che ho sofferto anch’io da giovane avrò poi occasione di dirlo un’altra volta per denunciare la mentalità ottusa degli anziani che  in ogni tempo, (da secoli, da millenni) ha sempre prevalso sulle forze esplosive fella giovinezza, carica di preziosissima energia dinamica che mai loro hanno saputo sfruttare quale ricchezza donativa di Dio Provvido all’umanità.

Hanno preferito usare solo  e attuare sempre il metodo di un “comodo” negativismo ispirantesi (l’abbiamo detto prima) a cervellotica santità che non vuole disturbi e fastidi. E da ciò il sistema oppressivo di giudici inappellabili a cui solo appartiene (eterni detentori) il diritto di governo assolutista rendendo nulle le nuove vite in germoglio nella fase del loro massimo rendimento, ritardandone lo sviluppo, anzi soffocandone la normale e regolare maturazione intellettiva stabilita dal Creatore a beneficio dell’umanità intera.

Sembra quasi che solo le guerre siano capaci di rivoluzionare questa ottusa mentalità a carattere tradizionalista impostata unicamente sulla saggia esperienza, refrattaria, ostile al rischio.

L’attempata esperienza che certo non è da disprezzarsi da nessuno, deve essere integrata dalla fresca intelligenza e dal genio dei giovani. Deve accettare il contributo costruttivo anche di chi esperto non è ma ha una maggiore apertura mentale ed è più informato e aggiornato. Altrimenti, il conflitto tra giovani e anziani è inevitabile e continueremo a perdere le migliori speranze.

Ora dunque basta. E’ l’ora della rivendicazione sacrosanta delle forze nuove, delle energie fresche, delle menti aggiornate, delle anime giovanili, agili.

Avanti anche a chi con ottant’anni sulle spalle ha saputo conservarsi un’anima non aggravata dalla deleteria psicosi dell’ottusità.

Quello che fa tanto male anche a me è il constatare come si siano persi due anni preziosissimi, o almeno non impegnati come si doveva, in questa urgente conquista di libertà, di democratica convivenza comunitaria fondata su solide basi di carità che vuole il bene temporale (prima che Eterno) di tutti e non solamente di chi comanda. Dio di nulla è più geloso che della libertà dell’uomo.  Prerogativa dell’uomo di “essere creato a sua immagine e somiglianza” sta proprio nell’essere libero e volontario nelle sue azioni deliberatamente scelte che lo rendono responsabile, cosciente e maturo.

Un’altra volta,(sempre se ci sarà permesso) torneremo a sviluppare questo tanto profanato, deforma pro e deturpato argomento della personalità del religioso e dell’ubbidienza. Per adesso lasciamolo lì.

In questo avvio di libertà il Fratello Pierluigi quale nuovo Provinciale, ce ne aveva dato ampia speranza, anzi diciamo generosa promessa, quasi iaspettato trionfo. Poi…capovolgimento completo della situazione! Alludo certo alla parte giovani: quale e quanta delusione! A parte i frequenti casi singoli il cui racconto mette tanta tristezza nell’animo, ultima amara constatazione del genere è la lettera di programmazione  “Esercizi Spirituali – Vacanze 1970”: è una cosa avvilente, scoraggiante nel constatare la marcia in dietro di quei pochi passi che  faticosamente si erano fatti in avanti.

Cosa devo dire io? Sì, dirò innanzitutto il mio disappunto personale per tanto errore, E dirò ancora che a questo punto mi si stringe il cuore nel dover rimpiangere la persona di Padre Mosé (nelle sue alte qualità di despota, qualcosa di buono l’aveva anche lui – Dio ce l’abbia in gloria -) che proprio qui a Solbiate  nelle parole di presentazione alla comunità religiosa dei “libri rossi” (formulario per le proposte di rinnovamento delle Costituzioni) disse, tra l’altro, proprio testuali parole di santa memoria che io, sì, mi piace dirlo, ho raccolto come suo testamento spirituale, sua ultima volontà: “Ascoltiamo i giovani (e lo ripeté quasi con insistenza), ascoltiamo i giovani, può d’arsi che abbiano ragione!”.

Può darsi…Quindi, come sempre nella vita, i casi sono due: o non hanno ragione, come dicono (come hanno sempre detto) gli anziani ora capitanati, come sembra chiaro da un certo atteggiamento politico, dal successore di P. Mosé che, a quanto pare ha cambiato bandiera, ha deluso i giovani (non uso la parola “traditi” che non mi piace), li ha lasciati, “ha volto lo sguardo dall’aratro”; Che…se per caso, a dispetto degli anziani, l’avessero, come io ne sono profondamente convinto? Se l’avessero…quale errore spaventoso e irreparabile sarà allora quello di non averli ascoltati!

E la fatale responsabilità cadrà ancora sugli anziani che da soli, senza i giovani hanno voluto assumersi il delicatissimo e difficile impegno del governo della Chiesa, del Popolo di Dio.

E allora dall’alto se ne avrà l’accusa e non certo la benedizione di P. Mosé che ben ce lo disse, ce ne avvisò, ce ne premunì del pericolo, ci mise in guardia e raccomandò.

E per ascoltare i giovani, certo bisogna farli parlare, o almeno “lasciarli” parlare: “Lasciate che i fanciulli vengano a me e non vogliate ad essi impedirlo” (Mt 19,14).

Mi si dirà subito che i giovani oggi (premesso che si allude qui a i giovani della nostra Congregazione) possono parlare fin troppo! Io invece dico e confermo se volete, che, come non possono dire ancora nulla del tanto che vorrebbero, che hanno da dire, così rimane ancora tutto da dire; al che corrisponde ed equivale il tanto che vorrebbero fare e ancora non hanno fatto perché non possono!.

Ho prova di come il Provinciale abbia loro chiuso la bocca o meglio non ha loro permesso di aprirla addirittura; che più di una volta abbia tagliato loro le gambe, quasi deprimendoli nel loro alto ideale di azione.

Il peggio è che due volte si è fatto sentire da me a parlar male dei giovani: loro atteggiamento, operato, loro presa di posizione! Da me che sento di vivere solo per loro, la cui anima giovanile è la mia passione ospedaliera, il tormento del mio apostolato nella Chiesa, nell’Ordine.

Ho sentito  e strasentito fino alla nausea, letto e strariletto che i giovani vanno diretti, governati, fatti studiare, giocare, pregare, mangiare, viaggiare, lavorare ecc. ecc. , ma mai che abbia avuto conferma anche una sola volta di leggere o sentir dire nell’ambiente religioso F.B.F. che il giovane va amato, mai!

E pensare che questo è nell’ordine di Dio, questo deve essere nel programma della nostra santità. Non si può avere un’insensata rivalsa sul giovane solamente perché noi giovani non siamo più, o perché il giovane non è anziano come noi, non ha i nostri anni quasi che lui nel pieno diritto alla vita usurpi la nostra. E’ una mentalità sbagliata di persone che uomini non lo saranno mai perché mai raggiungeranno la maturità, la superiorità del pensiero.

Puntiamo dunque il nostro impegno di doverosa santificazione, non solamente sulla fedeltà intransigente ad una pietà unicamente formale (Mt 7, 21), bensì e soprattutto nella conoscenza e nella scoperta inesauribile del Comandamento Nuovo di Gesù, impegno che coinvolge intelligenza e cuore in una infinità di sfumature e rami particolari che richiede l’amore del prossimo.

Nel nostro caso un ramo particolare da amare sono i giovani. E amare i giovani vuol dire entrare nella loro mentalità, capirla, assimilarla, viverla.

Il giovane è molto intuitivo e sensibile e percepisce immediatamente l’atmosfera di affetto che lo circonda. Trovandosi a suo agio, capirà subito di essere in un ambiente religioso bello, ove solo regna carità e amore (Deus ibi est), si guarderà bene dal lasciarlo e ripagherà amore con altrettanto amore. Si troverà bene perché qui potrà esplicare la sua personalità, trafficare i suoi preziosi talenti avuti da Dio (prestito bancario di altissimo reddito).

I nostri giovani religiosi si aspettano tanto dal Padre Provinciale, onde tendono a lui non una ma quattro mani se ne avessero! In lui si attendono di trovare un vero padre che li ami, che li comprende, sempre pronto ad accoglierli a braccia aperte, a incoraggiarli nei loro entusiasmi, a compatirli nei loro errori che essi per primi sanno ammettere quando ci sono, a sostenerli nelle loro debolezze.

Il giovane come è facile all’entusiasmo così è facile  allo scoramento, onde nei suoi sbagli ha bisogno di sentirsi non declassato con brutale drasticità, ma aiutato con amore a correggersi, a rialzarsi se caduto.

Se un’infinità di giovani è uscito dalle nostre file è unicamente perché nessuno li ha sostenuti nelle loro crisi giovanili, molte causate dal non poter “fare”, onde vedevano le loro persone intristirsi miseramente in un andazzo di vita metodica tipicamente conventuale di sapore tutt’ora medioevale.

Anziché paternamente e fraternamente intesi, si son sempre visti da tutti solo biasimati, criticati, quasi tollerati e persino disprezzati dall’arroganza dei saggi anziani.

Ma consolatevi o seniori (e ora lo sono già anch’io che scrivo)!  Ne andranno via ancora, ne usciranno ancora dalle nostre file, tutti forse, fin che non ci decidiamo, fin che noi non ci rendiamo capaci di renderci “giovani coi giovani” come ad esempio Don Barra, di cui io leggo sempre le numerose rubriche per i giovani.

Il peggio è che nessuno più è disposto ad entrarvi perché sanno (abbiamo già detto come il giovane è intuitivo e ora poi intelligente più che mai) che “dai frati c’è casino”, come ho sentito io qualche domenica fa dai ragazzi che ho avvicinato in un oratorio. Alludevano proprio al dissidio tra due mentalità: conservatrice e innovatrice che loro sanno esista anche nei conventi, e se ne guardano bene dal cascarci dentro.

Il nostro ambiente religioso non è atto a ricevere i giovani della società di oggi, onde è impossibile che un ragazzo dall’esterno si innamori, se ne entusiasmi, è letteralmente impossibile.

Portarne io qui le testimonianze, enunciarne i motivi concreti? Oppure farne le accuse, tentare una diagnosi?

E’ cosa audace quasi impossibile con tanta diffidenza, permalosità, personalismi, disistima nostra interna! Non sarei creduto: “nemo propheta in domo sua”.  Ma che il profeta venga dall’esterno, se ne disilluda ognuno. La situazione peggiorerà sempre più, fino allo sfacelo fino all’annullamento forse di tutta un’istituzione vecchia, oggi che fioriscono quelle nuove con nuovi concetti costituzionali, nuovi metodi formativi, nuove strutture. L’ha detto anche Gesù: “è impossibile mettere una pezza nuova su un vestito vecchio o vino nuovo in botti vecchie”. E’ lui non sbaglia mai.

Io speravo che queste cose ben le sapesse il Provinciale (che sarebbe stato già troppo triste il dovergliele far capire), e invece…

Certo questa mia polemica susciterà la reazione non solo da parte sua, ama anche da parte dei suoi sostenitori che non mancheranno di gridare allo scandalo e soprattutto di chi ha contribuito con tutte le sue forze a infangare il suo bellissimo programma iniziale di coraggiosa apertura. Comunque, sono pronto a subirle tutte e  a combattere. Però mi siano fatte con lealtà e apertamente alla luce del sole e non ancora con l’antico sistema poliziesco che perdura anche nei conventi come nella Chiesa, quella degli uomini, s’intende, non quella di Dio.

Del resto, noi non intendiamo litigare, scendere a dissidio, creare partiti e schierarci per la battaglia, no, ma unicamente intendiamo scendere, si noti bene: “scendere”. Quindi un po’ di umiltà anche da parte dei superiori come dei sudditi per un dialogo aperto e sincero sullo stesso piano, quale espressione di buona volontà da parte di tutti per attuare quel bene che urge l’impegno di tutti con sincerità e sacrificio.

Sacrificio-rinuncia all’amor proprio che non può sopportare la critica sfavorevole perché troppo farisaicamente avido di lode e plauso. Onde, quasi indicando un’ultima tavola di salvezza, voglio scongiurare in ginocchio a mani giunte il Provinciale (e consigliare i suoi collaboratori a farlo): non chiudete più la bocca a nessuno (salvo si denoti in chi parla cattiva volontà, cattiveria di mal’intenzionati che, del resto, è subito individuabile). Che se non basta un periodico =OPZIONI ’70) se ne dia vita ad un altro, purché tutti possano dire e ridire, nel tentativo di costruire e di rimuovere.

Su mille cose dette, anche se solo dieci risultassero apprezzabili, non sarebbe poco, basti pensare che se nessuno parlava, non ci sarebbero state neanche quelle dieci unità di contributo positivo.

E siccome fra coloro che oggi hanno molte cose da dire sono principalmente i giovani, io insisto ancora, quasi portavoce di Padre Mosé: fate parlare i giovani, lasciate parlare i giovani e fermatevi un momento ad ascoltarli, date peso alle loro idee, soppesatele bene, vagliate minutamente quanto dicono, non scartate così, di primo acchito quanto esprimono: “PUO’ DARSI CHE ABBIANO RAGIONE”.

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Angelo Bertoglio o.h.

 

 

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E’ UNO SPEZZONE DI STORIA CONTEMPORANEA DEI FATEBENEFRATELLI

Un documento storico che si ripropone  alla vigilia di una svolta importante:   IL CAPITOLO GENERALE STRAORDINARIO 2009.

 

OPZIONI ’70

 

 

OPZIONI ’70

 

 

 

Centro Studi Fatebenefratelli – Erba (Como)

 

Gennaio 1970  -  Anno I  -  N. 1

SOMMARIO

  1. Editoriale (d. nocent)
  2. Ai nostri fratelli (équipe)
  3. “Regula aurea” (c. medaglia)
  4. Comunità e individuo (f. zecchini)
  5. La formazione della personalità nella vita religiosa (a cura di T. Quadri)
  6. l dialogo (s.manera)
  7. Per una sana educazione affettiva (p. zamborlin)
  8. Una certa coscienza di Povertà
  9. Dall’Osservatore Romano (Maria Soledad Torres Agosta sugli altari)
  10. Preghiera di uno che non sa più pregare.

EDITORIALE

Non ci è dato di sapere  che cosa ci riserveranno gli anni ’70. Saranno certamente di grandi impegni e decisioni. Forse anche di successi.

  • La scienza è impegnata nella lotta contro il cancro;
  • i politici  nel ristabilimento di una pace e sicurezza mondiale e nell’impostazione di una economia di sviluppo del terzo mondo;
  • la Chiesa deve dare una risposta vitale ai grandi problemi del Concilio Vaticano II.
  • Anche la nostra Fraternità dovrà fare una profonda revisione di vita per mettersi in sintonia con la storia e tradurre vitalmente i “segni dei tempi”. Con il Capitolo Generale speciale, ma non soltanto.

“OPZIONI  ‘ 70″ perche?

Dire opzione è dire scelta, preferenza deliberata. Questa scelta si presenta come una ricerca e una interpretazione; è legata a una certa lettura – sempre discutibile – di un mondo in evoluzione e della vita religiosa in trasformazione.

A ciascuna epoca appaiono linee di sensibilità profonda che generano comportamenti e modi di essere: questi tratti fondamentali indicano alla nostra fede qual è il conntrassegno dello Spirito  sul nostro tempo, il suo cammino e il suo campo d’azione più favorevole.

“OPZIONI  ‘ 70″, che non ha niente di esclusivo, vorrebbe tentare di rispondere a questi “segni”.

Più volte ci ha tormentato il pensiero della sua accoglienza nelle comunità. Sarà inteso come strumento di contestazione giovanile?

Ebbene: vuol essere semplicemente un periodico di opinioni e confronti, scritto nella libertà e nella carità e aperto a tutti i Fratelli, in comunione e responsabilità.  Palestra di idee, vuol essere costruttore e apertamente impegnato nella riscoperta del Vangelo, particolarmente di Cristo medico, offerto alla giovane generazione ed anche a quanti giovani non sono forse ormai più, ma conservano freschezza di spirito e tensioni giovanili. Più che di noi, vogliamo parlare di ciò che non siamo e non vogliamo essere . Più che definire (assurda impresa), intendiamo precisare.

“OPZIONI  ‘ 70″, si colloca al centro di tutti gli slanci che vengono dalla periferia. Vuol  essere

  • punto di convergenza della chiamata  del Signore in tutti i fratelli,
  • vincolo di fratellanza,
  • perno della ricerca comunitaria di perfezione evangelica,
  • momento di verifica della fedeltà allo Spirito.

Tra uomini, ogni comunione vera esige il rispetto più assoluto della intrinseca dignità dell’altro. Per noi quuesta dignità non è altro che la qualità di “figlio adottivo del Padre”  con la liberta dello Spirito che essa conferisce. E lo Spirito è inventivo, creatore, soffio di un perpetuo rinnovamento.

Chi scrive e chi legge faranno bene a tenere un atteggiamento di povertà e schiettezza:

  • Povertà dello scrittore che si mette in ascolto dello Spirito e, considerandosi servo della fraternità, riversa in essa il suo carisma.
  • Povertà del lettore che accoglie ogni cosa, senza sospetti, senza nemmeno disprezzo, come una parola che il Padre gli rivolge nello Spirito, attraverso i suoi fratelli e per essi.
  • E schiettezza: piedi a terra e fronte alta , con gl’occhi spalancati sulle cose e sul Cielo.

Giudicare, discutere, consultare, accettare o rifiutare o modificare devono essere il frutto della fraternità vissuta, non un gesto macchiato da autarchia o autocrazia. Una fraternità non è infatti una semplice agglomerazione di persone, ma esige una osmosi delle intelligenze e dei cuori.

Noi crediamo all’obbedienza. Essa ci appare ancora una virtù. A patto che i singoli e le comunità siano interessati in un modo attivo e personale nella lettura e nell’interpretazione di questa chiamata di Dio per l’ oggi. Allora diventa più grande  la dignità dell’atto di obbedienza perché è adesione cosciente e amante a un volere divino che si sa incarnato in qualcosa di concreto, percettibile attraverso il segno degli eventi, e di cui si coglie più chiaramente la relazione col mistero della salvezza.

C’è un domani per i Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio? Crediamo di sì. A patto che le nostre mani non taglino i ponti delle grandi strade del domani. Dice don Primo Mazzolari che “un uomo d’onore non lascia agli altri la pesante eredità dei suoi “adesso” traditi “.

Iniziamo con speranza perché la causa ci sembra buona. Proseguiremo con gioia se sapremo di aver servito, almeno un poco, agli ideali che abbiamo dichiarato.   .

D. Nocent

 

 

Il clima che si respirava era quello del  ’68.  Ma anche del post Concilio Vaticano II. Mentre i voli spaziali occupavano la mente degli scienziati e delle cronache, il Papa faceva quotidianamente i conti con “l’aggiornamento” della Chiesa che sembrava avere dei costi elevatissimi. Le sue parole sono sintomatiche delle tensioni presenti nella Chiesa di allora ma illuminanti anche per il nostro tempo, con vecchie e nuove contraddizioni.

 

 

 

INDIGNAZIONE – CARITA’ – RISPETTO

 

Da OPZIONI ’70  – N. 5  Giugno 1970

 

Questa premessa s’ era resa necessaria per tentar di far passare in modo accettabile sia l’articolo “vigoroso” che Fra Angelo Bertoglio aveva spedito alla redazione per la pubblicazione, che di altre, non meno sincere ma poco diplomatiche riflessioni. Da come sono andate le cose, evidentemente non è risultata convincente.

 

 

Editoriale

 

Quando noi affermiamo che certe posizioni di apertura sono tutt’altro che infrequenti, anzi costituiscono il patrimonio mentale ormai comune di una larghissima zona della Chiesa, ci si risponde, con sufficiente sufficienza, che il realtà si tratta di pochi gruppi del dissenso: “isoliti fanatici”, come ormai si dice in Vaticano, tentando di screditarli e metterli in tal modo fuori gioco.

 

Quella della forma in chi scrive è una questione nevralgica. Molti sono disposti ad accettare i contenuti critici, purché siano espressi in un modo diverso. Ma non è facile distinguere il contenuto dal linguaggio e, in genere, bel giustamente, gli scrittori contestati rifiutano di ammorbidire la forma perché sembra loro di devitalizzare la sostanza. In effetti, un sentimento vivace va espresso con vivacità, un’indignazione va espressa con forza e con violenza. Se la si esprime con dolcezza la si tradisce: non è più indignazione ma puro e semplice dissenso.

 

C’è differenza tra dissenso e indignazione ed il linguaggio deve registrarlo. Ma la realtà è che non siamo più capaci di indignazione. Forse, quando si critica un linguaggio forte. Si contesta questa legittimità di indignazione o il suo possibile convivere con la carità e con il rispetto. Ma noi non crediamo che le cose siano tra loro incompatibili, e basterebbe un richiamo al linguaggio evangelico per rendercene convinti.

 

Certo, i nostri critici avrebbero fatto al Signore le medesime obiezioni: che si potevano dire le stesse cose in modo diverso. E invece no: il modo diverso dice cose diverse.

 

Non si può esprimere tutta la carica di sdegno racchiusa nella formula “razza di vipere” con locuzioni più pacate: magari con “gente poco sincera”. “Gente poco sincera” non vuol dire “razza di vipere” ma assai meno. Insomma, la contestazione della forma non è mai solo della forma ma investe direttamente la sostanza; e l’incapacità di ammettere un linguaggio robusto forse deriva da un certo stile di dipendenza clericale che ci rende incapaci di robusto dissenso.

 

*   *   *

 

La verità non si manda a dire per procura. Di particolare interesse è la critica diretta, semplice e franca: critica che, naturalmente, è definita “irriverenza” e peggio. E dobbiamo essere davvero “cortigianizzanti” per ritenere irriverente una diversità di opinione su problemi tanto discutibili.

 

E’ invece da queste divergenze conosciute ed espresse che nasce una coscienza ecclesiale robusta, filiale e aliena da falsi feticismi. E’ di questa coscienza che abbiamo bisogno noi e di cui più di noi ha bisogno la stessa Autorità, attorniata talvolta da un silenzio osannante che gli nasconde la verità.

 

Quest’operazione falsificatoria è il servizio peggiore che gli si possa rendere, soprattutto se è reso dai collaboratori più prossimi.

 

L’Autorità ha bisogno di essere aiutata a sostenuta. Ma per aiutarla non serve la pietosa bugia o l’adulatorio consenso; serve la parola franca e, all’occasione, anche il filiale dissenso.

 

Non si vien meno al dovuto rispetto e alla necessaria disciplina solo perché si esprime un diverso parere.

**

 

“CHI METTE MANO ALL’ARATRO…”

 

Di Angelo Bertoglio

 

Una delle interpretazioni al noto testo evangelico potrebbe essere questa: chi mette mano, chi punta su un programma d’azione, lo espone, lo illustra, lo propone entusiasmando i seguaci e poi…si volta indietro, tergiversa nelle idee, cambia rotta illudendo i discepoli e abusando della obbligatorietà di sottomissione cui benevolmente si sono impegnati, costui no, non è atto…

 

Il Regno dei Cieli esige l’impegno incondizionato di uomini dalle idee chiare, coraggiose, che non ricorrono al sopruso della contraddizione sistematica ingannando se stessi e gli altri. Sì, è vero, questo vale per ogni cristiano, perché in Paradiso o all’Inferno nessuno mai ci va da solo, ma soprattutto riguarda colui che nella comunità ha una giuridica responsabilità di severissimo rendiconto.

Devo dire che troppe volte ho visto anche nel nostro ambiente religiosi miei fratelli con impressionante leggerezza accedere ai posti di comando quasi desiderandoli…

E’ incredibile! C’è da dubitare che costoro abbiano coscienza del valore, della natura delle anime che i prendono l’ impegno di guidare e di governare. Perché, si noti bene, non si tratta di cavalli o di macchine per i quali vale una tecnica umana, ma di anime…che valgono quanto vale Dio, di cui sono immagine.

 

Ebbene, senza tanti preamboli, mi sia lecito dire subito come con questo scritto io intenda entrare in aperta polemica col Padre Provinciale.

 

Così si è espresso recentemente Mons. Camàra: “ Non parlo contro il Brasile, parlo contro la tortura. Non tradisco il Brasile, lo tradirei se tacessi”. E io dico: “Non parlo contro il Provinciale, parlo contro il suo modo di agire. Non tradisco il Provinciale, lo tradirei se tacessi”.

 

Il vescovo ha soggiunto. “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò stasera,intendo parlarne francamente”. E io ripeto con lui: “Quali che possano essere le conseguenze di ciò che dirò ora, intendo parlarne francamente”.

 

Mons. Elder Camàra è un ometto fragile, dal volto mobilissimo, che parla in modo convincente senza alzare la voce e quasi ipnotizzando l’uditorio. E appassionato, combattivo, sincero, ardente, commovente pur non trascendendo nel tono. Costui è un uomo di Dio che piace a me come piace a molti.

 

Il mio Provinciale no. Cosa devo dire? Non piace a me come non piace a molti della nostra piccola comunità religiosa provinciale. Si capisce, piacere a tutti e anche solo a molti, è impresa ardua perché, ragionando con una mentalità ecclesiale, governare le anime non è mestiere, è missione sacrosanta; non occorre un’arte, ci vuole un carisma, una personalità trasparente, tersa come cristallo, che dia prova di sincerità, di lealtà, di saggezza, di sapienza, di…coerenza. E in questo il Leader innamora, attrae, seduce, trascina, s’impone, non tanto con la forza dell’autorità che indispone, spoetizza, ma disponendo con la simpatia che piace o meglio con la carità.

 

Perché, come asserisce San Francesco di Sales, lui che ne compose anche una preghiera per ottenerla, “la carità è simpatica, è dolce, amabile”. Ed è risaputo come un tale santo si distinse proprio per questa luminosità di carattere acquisito.

 

Affermando che Padre Pierluigi non si è cattivato la simpatia dei suoi figli in questa maniera, mi affretto tuttavia a premettere il mio più alto sentimento di sudditanza a lui, con ubbidienza e rispetto. E constatando, forse anche con rassegnato stupore, come questo atteggiamento di sudditanza esista in tutti i suoi sudditi, devo tuttavia affermare che a un tale doveroso atteggiamento non è più unita purtroppo l’antica stima e fiducia che da principio godeva.

 

Soprattutto nel ceto giovanile Pierluigi poteva essere l’emblema dei giovani, il loro prototipo, la personificazione di essi. Furono i giovani a guardare a lui, a volere lui, l’unico che dava loro garanzia di idee giovani e su di lui puntarono i loro voti.

 

Oggi dobbiamo dire con tristezza, quasi con una stretta al cuore e a nostra confusione di fronte a Dio: ci ha delusi! Non fu l’uomo del tempo, dell’ora presente, come credevamo, come pensavamo, come speravamo… E purtroppo l’uomo di alte responsabilità che fallisce oggi, non può sperare di rifarsi domani; è troppa la vertiginosità con cui gli uomini mutano in un progressivismo tecnologico pari a quello filosofico, e chi si ferma è realmente…perduto !

 

E rimane travolto lui e tutta la sua compagnia se è ad un posto di responsabilità.

 

Comunque, per ora, prima che sia ormai  troppo tardi, sperando di scongiurare almeno il peggio, non posso fare altro che ripetere ancora una volta con rassegnato scoramento, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: pazienza! E ancora una volta, piegati ma non spezzati, sperando sempre con indomito coraggio, non volendo cessare di sognare tempi migliori sempre imminenti, volgiamo il nostro sguardo ai giovani che hanno mentalità fresche, perché solo da essi si può sperare qualcosa, non certo da chi giovane non è più.

 

Anche il Provinciale ha commesso l’errore di quasi tutti gli anziani: non ha saputo capire, intuire, colpire giusto nel loro presente. Su questo punto, se ce lo permetteranno, quanto, quanto ci sarà da dire! Che il proibircelo sarà l’ultimo errore a consumarsi, poi basta, poi la catastrofe definitiva.

 

La libertà di pensiero, di parola, è la caratteristica dei tempi nuovi e con questo mezzo caratteristico si dovrà poter cambiare radicalmente le vecchie strutture che sanno di muffa, di antiquato anche nella nostra Istituzione.

 

Come ogni anno il corpo umano si rinnova biologicamente,  così anche psicologicamente l’uomo, la società, si rinnovano e quello che era dell’anno scorso nella composizione delle idee, nella problematica della vita, , della convivenza, quest’anno è già passato alla preistoria. Bisogna dunque essere capaci di camminare coi tempi, non fermarsi su un metodo acquisito cinque, dieci, vent’anni fa, altrimenti c’è da ridere!  Bisogna aggiornarsi continuamente, cambiare sempre le posizioni con agilità di spirito, agilità che in ultima analisi ci viene dal mistero pasquale. Ogni giorno ci viene proposto ed è lì che dobbiamo costantemente rifarci, In Cristo risorto ( e in coloro che sono risorti con Lui) la prima prerogativa dello  spirito è l’agilità e non la stasi d’intontimento.

 

Sopra accennai ai mezzi coercitivi usati in Brasile che il vescovo Camàra sdegnosamente condanna. Ma, al dire di P. M: Turoldo, “non esistono solamente campi di concentramento fatti di reticolati, am ci sono anche la prigionia morale e il genocidio dello spirito” (prefazione  a “Libertà dello Spirito” di G. Vannucci).

 

E nel suo giudizio espresso a riguardo della “Marcia di Parma”, il fratello Dionigi si esprimeva così: “sono uscito per un momento dai silenzi prudenti e dalle calcolate paure” (OPZIONI ’70 – n.2). Bravo Dennis e fortunato te che almeno per un momento hai potuto uscire dalla tortura morale a cui sono sottoposti i nostri poveri spiriti. Io p.e. che da trent’anni subisco in silenzio una tale tortura, questo sia pur anche breve sospirato momento di “libertà” non l’ho provata mai e ne ho il cervello liso a motivo dei continui ininterrotti lavaggi che ho subito e ai quali ho dovuto soggiacere passivamente, dietro l’esempio dei Santi (!?) che i comodi pseudo-maestri di una santità interessata, mi andavano insinuando fino alla ossessione spasmodica.

 

Il troppo che ho sofferto anch’io da giovane avrò poi occasione di dirlo un’altra volta per denunciare la mentalità ottusa degli anziani che  in ogni tempo, (da secoli, da millenni) ha sempre prevalso sulle forze esplosive fella giovinezza, carica di preziosissima energia dinamica che mai loro hanno saputo sfruttare quale ricchezza donativa di Dio Provvido all’umanità.

 

Hanno preferito usare solo  e attuare sempre il metodo di un “comodo” negativismo ispirantesi (l’abbiamo detto prima) a cervellotica santità che non vuole disturbi e fastidi. E da ciò il sistema oppressivo di giudici inappellabili a cui solo appartiene (eterni detentori) il diritto di governo assolutista rendendo nulle le nuove vite in germoglio nella fase del loro massimo rendimento, ritardandone lo sviluppo, anzi soffocandone la normale e regolare maturazione intellettiva stabilita dal Creatore a beneficio dell’umanità intera.

 

Sembra quasi che solo le guerre siano capaci di rivoluzionare questa ottusa mentalità a carattere tradizionalista impostata unicamente sulla saggia esperienza, refrattaria, ostile al rischio.

 

L’attempata esperienza che certo non è da disprezzarsi da nessuno, deve essere integrata dalla fresca intelligenza e dal genio dei giovani. Deve accettare il contributo costruttivo anche di chi esperto non è ma ha una maggiore apertura mentale ed è più informato e aggiornato. Altrimenti, il conflitto tra giovani e anziani è inevitabile e continueremo a perdere le migliori speranze.

 

Ora dunque basta. E’ l’ora della rivendicazione sacrosanta delle forze nuove, delle energie fresche, delle menti aggiornate, delle anime giovanili, agili.

 

Avanti anche a chi con ottant’anni sulle spalle ha saputo conservarsi un’anima non aggravata dalla deleteria psicosi dell’ottusità.

 

Quello che fa tanto male anche a me è il constatare come si siano persi due anni preziosissimi, o almeno non impegnati come si doveva, in questa urgente conquista di libertà, di democratica convivenza comunitaria fondata su solide basi di carità che vuole il bene temporale (prima che Eterno) di tutti e non solamente di chi comanda. Dio di nulla è più geloso che della libertà dell’uomo.  Prerogativa dell’uomo di “essere creato a sua immagine e somiglianza” sta proprio nell’essere libero e volontario nelle sue azioni deliberatamente scelte che lo rendono responsabile, cosciente e maturo.

 

Un’altra volta,(sempre se ci sarà permesso) torneremo a sviluppare questo tanto profanato, deforma pro e deturpato argomento della personalità del religioso e dell’ubbidienza. Per adesso lasciamolo lì.

 

In questo avvio di libertà il Fratello Pierluigi quale nuovo Provinciale, ce ne aveva dato ampia speranza, anzi diciamo generosa promessa, quasi iaspettato trionfo. Poi…capovolgimento completo della situazione! Alludo certo alla parte giovani: quale e quanta delusione! A parte i frequenti casi singoli il cui racconto mette tanta tristezza nell’animo, ultima amara constatazione del genere è la lettera di programmazione  “Esercizi Spirituali – Vacanze 1970”: è una cosa avvilente, scoraggiante nel constatare la marcia in dietro di quei pochi passi che  faticosamente si erano fatti in avanti.

 

Cosa devo dire io? Sì, dirò innanzitutto il mio disappunto personale per tanto errore, E dirò ancora che a questo punto mi si stringe il cuore nel dover rimpiangere la persona di Padre Mosé (nelle sue alte qualità di despota, qualcosa di buono l’aveva anche lui – Dio ce l’abbia in gloria -) che proprio qui a Solbiate  nelle parole di presentazione alla comunità religiosa dei “libri rossi” (formulario per le proposte di rinnovamento delle Costituzioni) disse, tra l’altro, proprio testuali parole di santa memoria che io, sì, mi piace dirlo, ho raccolto come suo testamento spirituale, sua ultima volontà: “Ascoltiamo i giovani (e lo ripeté quasi con insistenza), ascoltiamo i giovani, può d’arsi che abbiano ragione!”.

Può darsi…Quindi, come sempre nella vita, i casi sono due: o non hanno ragione, come dicono (come hanno sempre detto) gli anziani ora capitanati, come sembra chiaro da un certo atteggiamento politico, dal successore di P. Mosé che, a quanto pare ha cambiato bandiera, ha deluso i giovani (non uso la parola “traditi” che non mi piace), li ha lasciati, “ha volto lo sguardo dall’aratro”; Che…se per caso, a dispetto degli anziani, l’avessero, come io ne sono profondamente convinto? Se l’avessero…quale errore spaventoso e irreparabile sarà allora quello di non averli ascoltati!

 

E la fatale responsabilità cadrà ancora sugli anziani che da soli, senza i giovani hanno voluto assumersi il delicatissimo e difficile impegno del governo della Chiesa, del Popolo di Dio.

 

E allora dall’alto se ne avrà l’accusa e non certo la benedizione di P. Mosé che ben ce lo disse, ce ne avvisò, ce ne premunì del pericolo, ci mise in guardia e raccomandò.

 

E per ascoltare i giovani, certo bisogna farli parlare, o almeno “lasciarli” parlare: “Lasciate che i fanciulli vengano a me e non vogliate ad essi impedirlo” (Mt 19,14).

 

Mi si dirà subito che i giovani oggi (premesso che si allude qui a i giovani della nostra Congregazione) possono parlare fin troppo! Io invece dico e confermo se volete, che, come non possono dire ancora nulla del tanto che vorrebbero, che hanno da dire, così rimane ancora tutto da dire; al che corrisponde ed equivale il tanto che vorrebbero fare e ancora non hanno fatto perché non possono!.

 

Ho prova di come il Provinciale abbia loro chiuso la bocca o meglio non ha loro permesso di aprirla addirittura; che più di una volta abbia tagliato loro le gambe, quasi deprimendoli nel loro alto ideale di azione.

 

Il peggio è che due volte si è fatto sentire da me a parlar male dei giovani: loro atteggiamento, operato, loro presa di posizione! Da me che sento di vivere solo per loro, la cui anima giovanile è la mia passione ospedaliera, il tormento del mio apostolato nella Chiesa, nell’Ordine.

 

Ho sentito  e strasentito fino alla nausea, letto e strariletto che i giovani vanno diretti, governati, fatti studiare, giocare, pregare, mangiare, viaggiare, lavorare ecc. ecc. , ma mai che abbia avuto conferma anche una sola volta di leggere o sentir dire nell’ambiente religioso F.B.F. che il giovane va amato, mai!

E pensare che questo è nell’ordine di Dio, questo deve essere nel programma della nostra santità. Non si può avere un’insensata rivalsa sul giovane solamente perché noi giovani non siamo più, o perché il giovane non è anziano come noi, non ha i nostri anni quasi che lui nel pieno diritto alla vita usurpi la nostra. E’ una mentalità sbagliata di persone che uomini non lo saranno mai perché mai raggiungeranno la maturità, la superiorità del pensiero.

 

Puntiamo dunque il nostro impegno di doverosa santificazione, non solamente sulla fedeltà intransigente ad una pietà unicamente formale (Mt 7, 21), bensì e soprattutto nella conoscenza e nella scoperta inesauribile del Comandamento Nuovo di Gesù, impegno che coinvolge intelligenza e cuore in una infinità di sfumature e rami particolari che richiede l’amore del prossimo.

 

Nel nostro caso un ramo particolare da amare sono i giovani. E amare i giovani vuol dire entrare nella loro mentalità, capirla, assimilarla, viverla.

 

Il giovane è molto intuitivo e sensibile e percepisce immediatamente l’atmosfera di affetto che lo circonda. Trovandosi a suo agio, capirà subito di essere in un ambiente religioso bello, ove solo regna carità e amore (Deus ibi est), si guarderà bene dal lasciarlo e ripagherà amore con altrettanto amore. Si troverà bene perché qui potrà esplicare la sua personalità, trafficare i suoi preziosi talenti avuti da Dio (prestito bancario di altissimo reddito).

 

I nostri giovani religiosi si aspettano tanto dal Padre Provinciale, onde tendono a lui non una ma quattro mani se ne avessero! In lui si attendono di trovare un vero padre che li ami, che li comprende, sempre pronto ad accoglierli a braccia aperte, a incoraggiarli nei loro entusiasmi, a compatirli nei loro errori che essi per primi sanno ammettere quando ci sono, a sostenerli nelle loro debolezze.

 

Il giovane come è facile all’entusiasmo così è facile  allo scoramento, onde nei suoi sbagli ha bisogno di sentirsi non declassato con brutale drasticità, ma aiutato con amore a correggersi, a rialzarsi se caduto.

 

Se un’infinità di giovani è uscito dalle nostre file è unicamente perché nessuno li ha sostenuti nelle loro crisi giovanili, molte causate dal non poter “fare”, onde vedevano le loro persone intristirsi miseramente in un andazzo di vita metodica tipicamente conventuale di sapore tutt’ora medioevale.

 

Anziché paternamente e fraternamente intesi, si son sempre visti da tutti solo biasimati, criticati, quasi tollerati e persino disprezzati dall’arroganza dei saggi anziani.

 

Ma consolatevi o seniori (e ora lo sono già anch’io che scrivo)!  Ne andranno via ancora, ne usciranno ancora dalle nostre file, tutti forse, fin che non ci decidiamo, fin che noi non ci rendiamo capaci di renderci “giovani coi giovani” come ad esempio Don Barra, di cui io leggo sempre le numerose rubriche per i giovani.

 

Il peggio è che nessuno più è disposto ad entrarvi perché sanno (abbiamo già detto come il giovane è intuitivo e ora poi intelligente più che mai) che “dai frati c’è casino”, come ho sentito io qualche domenica fa dai ragazzi che ho avvicinato in un oratorio. Alludevano proprio al dissidio tra due mentalità: conservatrice e innovatrice che loro sanno esista anche nei conventi, e se ne guardano bene dal cascarci dentro.

 

Il nostro ambiente religioso non è atto a ricevere i giovani della società di oggi, onde è impossibile che un ragazzo dall’esterno si innamori, se ne entusiasmi, è letteralmente impossibile.

 

Portarne io qui le testimonianze, enunciarne i motivi concreti? Oppure farne le accuse, tentare una diagnosi?

 

E’ cosa audace quasi impossibile con tanta diffidenza, permalosità, personalismi, disistima nostra interna! Non sarei creduto: “nemo propheta in domo sua”.  Ma che il profeta venga dall’esterno, se ne disilluda ognuno. La situazione peggiorerà sempre più, fino allo sfacelo fino all’annullamento forse di tutta un’istituzione vecchia, oggi che fioriscono quelle nuove con nuovi concetti costituzionali, nuovi metodi formativi, nuove strutture. L’ha detto anche Gesù: “è impossibile mettere una pezza nuova su un vestito vecchio o vino nuovo in botti vecchie”. E’ lui non sbaglia mai.

 

Io speravo che queste cose bel le sapesse il Provinciale (che sarebbe stato già troppo triste il dovergliele far capire), e invece…

 

Certo questa mia polemica susciterà la reazione non solo da parte sua, ama anche da parte dei suoi sostenitori che non mancheranno di gridare allo scandalo e soprattutto di chi ha contribuito con tutte le sue forze a infangare il suo bellissimo programma iniziale di coraggiosa apertura. Comunque, sono pronto a subirle tutte e  a combattere. Però mi siano fatte con lealtà e apertamente alla luce del sole e non ancora con l’antico sistema poliziesco che perdura anche nei conventi come nella Chiesa, quella degli uomini, s’intende, non quella di Dio.

 

Del resto, noi non intendiamo litigare, scendere a dissidio, creare partiti e schierarci per la battaglia, no, ma unicamente intendiamo scendere, si noti bene: “scendere”. Quindi un po’ di umiltà anche da parte dei superiori come dei sudditi per un dialogo aperto e sincero sullo stesso piano, quale espressione di buona volontà da parte di tutti per attuare quel bene che urge l’impegno di tutti con sincerità e sacrificio.

 

Sacrificio-rinuncia all’amor proprio che non può sopportare la critica sfavorevole perché troppo farisaicamente avido di lode e plauso. Onde, quasi indicando un’ultima tavola di salvezza, voglio scongiurare in ginocchio a mani giunte il Provinciale (e consigliare i suoi collaboratori a farlo): non chiudete più la bocca a nessuno (salvo si denoti in chi parla cattiva volontà, cattiveria di mal’intenzionati che, del resto, è subito individuabile). Che se non basta un periodico =OPZIONI ’70) se ne dia vita ad un altro, purché tutti possano dire e ridire, nel tentativo di costruire e di rimuovere.

 

Su mille cose dette, anche se solo dieci risultassero apprezzabili, non sarebbe poco, basti pensare che se nessuno parlava, non ci sarebbero state neanche quelle dieci unità di contributo positivo.

 

E siccome fra coloro che oggi hanno molte cose da dire sono principalmente i giovani, io insisto ancora, quasi portavoce di Padre Mosé: fate parlare i giovani, lasciate parlare i giovani e fermatevi un momento ad ascoltarli, date peso alle loro idee, soppesatele bene, vagliate minutamente quanto dicono, non scartate così, di primo acchito quanto esprimono: “PUO’ DARSI CHE ABBIANO RAGIONE”.

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Angelo Bertoglio o.h.

 

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 15 luglio 1970 P. Gabriele Russotto o.h. Postulatore Generale e storico dell’Ordine, ricevuto da Paolo VI. 

Abbiamo parlato tante volte, in queste Udienze generali, del Concilio, sempre in termini elementari per adeguarci alla natura di questi incontri brevi e familiari, e ci accorgiamo che molto, per non dire tutto, resterebbe da dire. Avremo sempre modo, a Dio piacendo, di ritornare a questa grande scuola per trarne insegnamenti antichi e nuovi, e specialmente per avere lumi direttivi all’opera di «aggiornamento» (secondo la celebre parola del nostro venerato predecessore Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio ecumenico), cioè all’opera di adattamento della vita e della esposizione della dottrina della Chiesa, sempre salva l’integrità della sua essenza e della sua fede, alle esigenze della sua missione apostolica, secondo le vicende della storia e le condizioni dell’umanità, a cui tale missione si rivolge.

Ma siamo tutti desiderosi di spostare lo sguardo dal Concilio al Post-Concilio, cioè ai risultati che da esso sono stati generati, alle conseguenze che ne sono derivate, all’accoglienza che la Chiesa ed il mondo hanno fatto agli avvenimenti e agli insegnamenti conciliari. Il Concilio, come episodio storico, è già di ieri; il nostro temperamento moderno ci porta a guardare al presente, anzi all’avvenire. Il Post-Concilio assume ora grande interesse. Quali effetti ha prodotto il Concilio? quali altri può e deve produrre? Tutti siamo convinti che cinque anni dalla conclusione del Concilio non bastano per dare su di esso e sulla sua importanza, sulla sua efficacia un giudizio esatto e definitivo; e siamo tuttavia tutti parimenti convinti che il Concilio non si può dire concluso allo scadere della sua durata, come succede di tanti avvenimenti che il tempo, passando, seppellisce e consente che solo gli studiosi delle cose morte ne conservino viva la memoria. È il Concilio un avvenimento che dura, non solo nella memoria, ma nella vita della Chiesa, e che è destinato a durare, dentro e fuori di lei, per lungo tempo ancora.

TENSIONI, NOVITÀ, TRASFORMAZIONI

Questo primo aspetto del Post-Concilio meriterebbe lunga considerazione, non foss’altro per determinare se l’eredità del Concilio è semplicemente una permanenza, o se è anche un processo in via di sviluppo; per stabilire cioè quali insegnamenti esso ci ha lasciati da ritenere stabili e fissi, come in genere succedeva dopo gli antichi Concili conclusi con delle definizioni dogmatiche, ancora oggi e per sempre valide nel patrimonio della fede; e quali altri esso ci ha annunciati da svolgere e da sperimentare in una successiva fecondità, come è da supporre che principalmente lo siano quelli del Vaticano secondo, qualificato piuttosto come Concilio pastorale, cioè rivolto all’azione. Esame questo importante e difficile, che non senza l’assistenza del magistero ecclesiastico può essere via via compiuto.

Un secondo aspetto, che impegna oggi l’attenzione di tutti, è lo stato presente della Chiesa, posto a confronto con quello anteriore al Concilio; e siccome lo stato presente della Chiesa si può dire caratterizzato da tante agitazioni, tensioni, novità, trasformazioni, discussioni, eccetera, subito i pareri si dividono: chi rimpiange la supposta tranquillità di ieri, e chi gode finalmente dei mutamenti in corso; chi parla di disintegrazione della Chiesa e chi sogna il sorgere d’una nuova Chiesa; chi trova che le novità siano troppe e troppo rapide, e quasi sovversive della tradizione e dell’identità della Chiesa autentica; e chi invece accusa lento e pigro e forse reazionario lo svolgimento delle riforme già compiute o iniziate; chi vorrebbe ricostituire la Chiesa secondo la sua figura primitiva, contestando la legittimità del suo logico sviluppo storico; e chi vorrebbe invece sospingere questo sviluppo nelle forme profane della vita corrente fino a dissacrare e a secolarizzare la Chiesa, disgregandone le strutture a vantaggio d’una semplice, gratuita e inconsistente vitalità carismatica; e così via. L’ora presente è ora di tempesta e di transizione. Il Concilio non ci ha dato, per adesso, in molti settori, la tranquillità desiderata; ma piuttosto ha suscitato turbamenti e problemi, certamente non vani all’incremento del regno di Dio nella Chiesa e nelle singole anime; ma è bene ricordare: questo è un momento di prova. Chi è forte nella fede e nella carità può godere di questo cimento (Cfr. S. TH. IIª-IIæ, 123, 8).

È NECESSARIO VIGILARE

Non diciamo di più. Le riviste e le librerie sono inondate di pubblicazioni circa la fase feconda e critica della Chiesa nella stagione storica Post-conciliare. Occorre vigilare. Lo Spirito di scienza, di consiglio, di intelletto e di sapienza è oggi da invocare con particolare fervore. Fermenti nuovi si agitano d’intorno a noi; sono buoni, o nocivi? Tentazioni nuove e doveri nuovi balzano davanti a noi. Ripetiamo le esortazioni di San Paolo: «Sempre siate lieti. E pregate senza smettere mai. In ogni cosa rendete grazie (a Dio); perché questa è la volontà di Dio, a voi manifestata in Gesù Cristo. Non spegnete lo spirito. Le profezie non le trascurate. Tutto esaminate; ritenete ciò ch’è buono. Da ogni specie di male astenetevi» (1 Thess. 5,16-22).

Aggiungeremo semplicemente la raccomandazione ad una triplice fedeltà.

Fedeltà al Concilio: procuriamo di conoscere meglio, di studiare, di esplorare, di penetrare i suoi magnifici e ricchissimi insegnamenti. Forse la loro stessa abbondanza, la loro densità, la loro autorità ha scoraggiato molti dalla lettura e dalla meditazione di così alta e impegnativa dottrina. Molti, che parlano del Concilio, non ne conoscono i meravigliosi e poderosi documenti. Alcuni, a cui preme più la contestazione e il cambiamento precipitoso e sovversivo, osano insinuare che il Concilio è ormai superato; serve, essi osano pensare, solo per demolire, non per costruire. Invece chi vuol vedere nel Concilio l’opera dello Spirito Santo e degli organi responsabili della Chiesa (ricordiamo la qualificazione teologica del primo Concilio, quello di Gerusalemme: Visum est Spiritui Sancta et nobis, è parso allo Spirito Santo e a noi . . . . ) (Act. 15, 28) prenderà in mano con assiduità e riverenza il «tomo» del recente Concilio, e procurerà di farne alimento e legge per la propria anima e per la propria comunità.

Seconda fedeltà. Fedeltà alla Chiesa. Capirla bisogna, amarla, servirla, promuoverla. Sia perché segno e perché strumento di salvezza. Sia perché oggetto dell’amore immolato di Cristo: Egli dilexit Ecclesiam et se ipsum tradidit pro ea, amò la Chiesa e diede se stesso per lei (Eph. 5, 25). E sia perché noi siamo la Chiesa, quel corpo mistico di Cristo, nel quale siamo vitalmente inseriti, e nel quale avremo noi stessi la nostra eterna fortuna. Questa fedeltà alla Chiesa, voi lo sapete, è oggi da molti tradita, discussa, interpretata a modo proprio, minimizzata; cioè né compresa nel suo profondo e autentico significato, né professata con l’ossequio e la generosità che, non per nostra mortificazione, ma per nostro esperimento e nostro onore, essa si merita.
E finalmente: fedeltà a Cristo. Tutto è qui. Non vi ripeteremo soltanto le parole di Simone Pietro, del quale siamo miseri, ma veri successori, e sulla tomba del quale ora qui ci troviamo: «Signore, a chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna» (Io. 6, 69).
Fedeltà a Cristo. Questo deve essere il Post-Concilio, Fratelli e Figli carissimi. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

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