LA FEDE E IL PROBLEMA DELLA VERITA’ – Emanuele Severino

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La fede e  il problema della verità

Emanuele Severino

Perché si ha fede? (1 , 2)

Severino Emanuele filosofoSEVERINO: Buongiorno. Sono Emanuele Severino e sono qui per discutere con voi il tema

La fede e il problema della verità.

Adesso vediamo la scheda filmata preparata dalla regia e poi sentiremo le Vostre domande.

C’è una tensione fondamentale al fondo della fede cristiana, poiché la fede è un atto gratuito, è un dono della grazia. Non siamo costretti a credere, dai fatti o dalla contemplazione dell’ordine naturale delle cose.

Credere in Dio presuppone che riconosciamo delle affermazioni, dei testi, come la sua parola. Può succedere che delle parole, pronunciate per caso per strada o lette in un libro, ci colpiscano e ci appaiano rivolte a noi.

I testi sacri e le enunciazioni delle Chiese devono entrare in questo processo speciale della comprensione, si devono trasformare da mere dottrine o concezioni del mondo in parole che Dio rivolge a ciascuno di noi, parole in cui crediamo, crediamo che dicano il vero. Ma questo atto di fede, di identificazione di Dio e di fiducia in lui, comporta un’immensa pretesa alla verità assoluta.

Il Dio in cui crediamo non è uno fra tanti, come nella concezione pagana della religione, ma è l’unico, vero Dio che parla con perfetta conoscenza delle cose. Perciò la sua verità è anche la verità in assoluto, l’unica verità. È proprio perché il Dio cristiano si presenta come l’unica autentica verità che il Cristianesimo ha sempre presentato un potenziale di fanatismo e di assolutismo.

Eppure la verità di Dio può esistere solo nel contesto della fede, nell’atto speciale e soprannaturale di credere che alcune parole siano rivolte a noi da Dio. Solo in quel contesto quelle parole si trasformano nella voce di Dio. Fuori dalla fede sono parole tra le parole, che trasmettono un messaggio tra gli altri. E in questo ambito non possono forse essere criticate o contestate ed essere dimostrate talvolta sommamente irragionevoli e false?

Solo nella possibilità di non essere credute, di non ispirare attenzione e fiducia, le parole della religione possono divenire in alcuni casi, per alcuni individui, la parola di Dio.

STUDENTESSA: Nel Suo libro: A Cesare e a Dio, Lei definisce il Cristianesimo come quell’alienazione che poi caratterizza la storia dell’Occidente. In che modo dobbiamo intendere questa affermazione?

SEVERINO: Ha incominciato con la parte più difficile. In tutta la storia dell’Occidente c’è la convinzione che l’uomo e le cose sono caduchi, precari. Dice il Vecchio Testamento: “Adamo è polvere e tornerà ad esser polvere”. È il vecchio Dio a dirlo. Ecco, si tratta di capire che qui sta l’alienazione, nel pessimismo estremo col quale anche il Cristianesimo, come tutte le altre forme della cultura occidentale, pensa l’uomo. Quindi la critica, che dal mio punto di vista viene rivolta al Cristianesimo, non è una critica riduttivistica, dove io mi pongo, mi schiero con coloro che dicono: “C’è soltanto il mondo”. No, c’è di più di Dio, c’è qualcosa di più di Dio. Ecco, questo tanto per dare una direzione a una risposta che, se fosse giusta, ci prenderebbe tutto il tempo della trasmissione.

STUDENTESSA: Un Suo libro, mi sembra nel ’71, è stato messo all’indice, è stato condannato dalla Chiesa. Può spiegarci dove nasce il contrasto con la Chiesa, dove è nato il problema?

SEVERINO: No, non è stato messo all’indice. A un certo momento c’è stato un divorzio consensuale tra me e la Chiesa. Nel senso che, a un certo momento, mi sono reso conto che il discorso filosofico, che già avevo fatto da tempo, implicava la negazione del Cristianesimo. Allora, io insegnavo all’Università Cattolica, un po’ per inerzia, perché ho sempre avuto un’educazione cattolica, la mia famiglia era cattolica – ho perfino degli zii che erano gesuiti -, ho studiato al Liceo Classico “Arici” di Brescia, dove ha studiato Paolo VI.

Però nel contempo c’era mio fratello che era a Pisa e sentiva Giovanni Gentile. Quella è stata la prima voce diversa che ascoltavo in sede cattolica, in scuole cattoliche. Allora, a un certo momento – andiamo però negli anni Sessanta -, mi resi conto che quel discorso che avevo già fatto non poteva tollerare una sorta di alleanza, di solidarietà col Cristianesimo, un po’ per i motivi che ho detto prima alla Sua compagna, perché i motivi erano appunto l’alienazione dal Cristianesimo.

Allora si addivenne a quello che probabilmente è rimasto l’ultimo vero e proprio processo, ma di altissimo interesse culturale. Non crediamo che la Chiesa faccia delle stupidaggini o delle malversazioni a livello spiccio. No. Eravamo anche, tra l’altro, tutti amici. C’erano esponenti della cultura cattolica, della gerarchia cattolica di alto rilievo. E, allora, ci incontrammo a Roma e venne celebrato questo processo, non la messa all’indice dei miei libri, ma la dichiarazione- che poi divenne pubblica – della essenziale incompatibilità del cosiddetto mio discorso filosofico col Cristianesimo.

Io, per conto mio, ero d’accordo di andarmene dall’Università Cattolica, perché penso che una scuola privata abbia tutto il diritto che si insegni all’interno della scuola privata ciò che essa vuole che si insegni. Da parte dell’autorità dell’Università Cattolica c’era il desiderio che io me ne andassi, e quindi per questo, prima dicevo, è stato un divorzio consensuale.

STUDENTESSA: Sì, ma io volevo sapere da dove nasce, proprio dal punto di vista concettuale, il divorzio.

SEVERINIO: C’è un discorso, il quale dice: “Badate, la fede di fondo di tutta la cultura occidentale è la persuasione che l’uomo e le cose sono polvere, sono cosa caduca” ed è una persuasione che è presente in campo filosofico, in campo scientifico, in campo artistico, e poi in campo istituzionale, è diffusa da per tutto, è il vero pensiero dominante dell’Occidente.

E poiché il Cristianesimo condivide questa concezione di un “esser uomo, come esser cosa caduca”, allora discende – ma si trattava di vedere poi, in concreto, il perché di queste affermazioni – che il Cristianesimo appartiene all’alienazione essenziale dell’Occidente, che è alienazione perché pensare che le cose sono caduche, che quindi escono e ritornano nel niente, significa pensare che le cose sono niente. Questa è la follia estrema.

Allora un discorso che dice: “All’interno della follia estrema sta anche il Cristianesimo”, è chiaro che doveva provocare la reazione da parte dei cristiani, ma anche da parte della Chiesa. Quindi nulla di particolarmente drammatico in questo senso. Anzi mi ricordo che ho avuto un’esperienza culturale estremamente interessante.

STUDENTESSA: Poiché la fede, come sappiamo, si basa su dogmi – la verginità della Madonna, la Trinità di Dio, eccetera – come può una persona che non ha fede, considerata come un dono di Dio, avvicinarsi alla religione con la ragione, tenendo presente che questa deve dare delle spiegazioni logiche e razionali, anche a fenomeni con metodologie, metodologie scientifiche?

SEVERINO: Ecco, ascoltando la scheda, ero già in disaccordo – anche se chi l’ha costruita ha fatto benissimo a costruirla come l’ha costruita -, ero già in disaccordo sentendo che la fede è un dono di Dio, un dono della grazia. Chi dice questo? Purtroppo lo sento dire anche da laici: “Io non ho il dono” – lo dice anche D’Alema o Indro Montanelli – “non ho il dono della fede”. Ma chi dice questo riconosce che la fede sia un qualche cosa che valga la pena di ricevere in dono, laddove invece potrebbe benissimo darsi che il dono vero e proprio sia quello di non avere fede.

Detto questo, inviterei voi giovani a non dimenticare l’importanza dell’esperienza ecclesiale, perché oggi – non so fino a che punto risponde alla Sua domanda, però siamo in tema – oggi è rimasta solo la Chiesa cattolica, a difendere l’importanza della filosofia.

Ieri – non lo dico in senso ironico o polemico -, ieri, oltre alla Chiesa cattolica, c’era l’Unione Sovietica, la quale diceva: “Alla radice della società sta la filosofia di Marx”, che è molto meno lontana di quanto si pensi dalla filosofia di Tommaso, perché entrambe confluiscono su Aristotele.

Oggi è rimasta solo la Chiesa cattolica a dire: “Non si può prescindere dalla filosofia”. Questo, direi, al di là di tutte le critiche, che noi possiamo rivolgere alla Chiesa cattolica e al cristianesimo. Non dimentichiamoci di questo formidabile contributo: l’imprescindibilità della filosofia rispetto alla comprensione del nostro secolo, de nostro tempo. Questo è uno dei meriti dell’Enciclica: Fides et ratio, che è uscita recentemente.

STUDENTESSA: Visto che Lei ha detto che la fede non è un dono di Dio, allora a questo punto, io Le chiedo: che cosa diventa la fede e in che modo può aiutarmi con le persone, ma anche a livello di comunità?

SEVERINO: Ecco, se la risposta fosse: “secondo me”, varrebbe la pena che Lei se ne andasse, dicendo: “Ciao, perché non mi interessa quello che pensi tu”. Si tratta di capire che c’è una dimensione in cui la voce che parla non è la voce di uno – tua o Sua – perché, se è la voce di qualcuno, lascia il tempo che trova. Non ho ancora risposto alla Sua domanda, eh! Se è la voce di qualcuno, è una voce storicamente condizionata. Allora si tratterebbe – ma qui non lo possiamo fare – di mettere in luce la dimensione in cui il pensiero possa pensare oggettivamente.

Lei mi dice: “Allora che cos’è la fede?”. Allora qui debbo dire a voi giovani – e dopo farò un piccolo predicozzo, ma brevissimo -, devo dire a voi giovani: “La fede è volere che il mondo abbia un senso piuttosto che un altro”. È d’accordo su questo? È la volontà che il mondo abbia un certo senso, per esempio il senso cristiano e non il senso buddhista. Allora questa volontà che il mondo abbia un certo senso è una prevaricazione, è violenza.

Cioè la fede – se Lei mi chiede così, ex abrupto, di dire: “Che cosa, dal punto di vista dell’oggettività, si deve dire”, allora nella fede non vede uno strumento che possa chiarire il senso della verità, anche se, non avendo fede, noi non staremmo seduti dove stiamo seduti, perché, per essere seduti, dobbiamo aver fede che ci sia un pavimento, una seggiola che ci sorregge, eccetera.

Allora la fede serve dal punto di vista pratico, ma dal punto di vista della verità è proprio lo sbandamento nella direzione opposta a quella della verità. È la prevaricazione, è dire: “Il mondo ha questo senso, non un altro”. Questo è il prevaricare, questo è la violenza. Il predicozzo che volevo fare lo faccio magari rispondendo a un’altra domanda.

STUDENTE: Nel Suo libro: A Cesare e a Dio, Lei dice che è nell’essenza della logica del Cristianesimo, l’interesse sul potere politico, riportando una frase di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”. Io non sono d’accordo su questo, perché, mi permetta, credo che quella frase di Gesù abbia un senso all’interno della situazione in cui si trovava. Cioè: quello era un tranello teso dai farisei ai danni di Gesù, perché i farisei mal tolleravano il governo politico romano.

A questo punto qualsiasi fosse stata la risposta di Gesù si sarebbe automaticamente auto danneggiato. Invece Gesù ha dato una risposta magistrale, che però ha senso all’interno della situazione in cui è stata espressa. Anche perché in altri passi, Gesù dice: “Il mio regno non è di questo mondo “. Per esempio, nel discorso a Pilato, dice: “Il mio regno non è di questo mondo”.

Il potere politico che si è arrogata la Chiesa nel corso dei secoli – e il Papa attualmente è ancora un importante capo politico – è un qualcosa di assolutamente contrario al Cristianesimo, secondo me, è qualcosa che non c’entra niente con il Cristianesimo. Il Cristianesimo riguarda la religione, riguarda il cuore. Lo Stato è un’altra cosa. Il potere politico è totalmente diverso. C’è soltanto un caso in cui il credente, secondo la Bibbia, è autorizzato a non rispettare il potere politico, quando il potere politico vuole dettare anche in campo religioso. Grazie.

SEVERINO: Lei crede che un Gesù, che parla e dice: “Io sono la verità”, quando dice: “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, sia un furbo, che vuole cavarsi d’impiccio, o pensa che nella sua risposta debba mantenere un minimum di verità?

STUDENTE: In questa risposta, ha spiegato la separazione totale che c’è fra religione e fede.

SEVERINO: Ma facendo il furbo oppure era coerente rispetto alla propria coscienza?

STUDENTE: Gesù, nella sua coerenza, ha saputo anche dare una risposta adatta alla situazione.

SEVERINO: Quindi, nella sua coerenza. Allora siamo d’accordo: è un discorso coerente. È un discorso da prendere sul serio, non in senso metaforico.

STUDENTE: Sì, ma il senso della frase lo vedo molto all’interno della situazione in cui è calato.

SEVERINO: Tutte le frasi evangeliche sono nella situazione, ma c’è un’altra frase di Gesù che può illuminarci: “Non si possono servire due padroni”. Ora, per quanto ogni frase è da interpretare contestualmente, il non poter servire due padroni, è il segreto della frase: “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”. Cioè Gesù può pensare che il vero credente dia a Cesare qualcosa che è contro Dio?

STUDENTE: Io in questo caso credo, quello che ho detto prima, l’unica soluzione è che, quando Cesare chiede qualcosa che sia contrario a Dio, non è possibile ubbidirgli.

SEVERINO: Bene, siamo d’accordo. E allora questo che cosa vuol dire? Vuol dire che non è soltanto la Chiesa attuale che è politica, ma è Gesù che originariamente dice: “Attenzione, il politico, la politicità deve essere intesa in modo tale che non si dia a Cesare quello che è contro Dio”. Allora l’istanza politica è immanente nel messaggio di Gesù. Lo Stato non deve essere contro Dio.

Quando incominciamo a dire questo, incominciamo a dire: “Allora, se in uno Stato c’è la violazione dei diritti di Dio, la violazione non può essere lasciata vivere”, perché, lasciarla vivere, sarebbe tollerare che nello Stato ci sia la violazione. Ma cosa vuol dire: “Non può esser lasciata vivere”? Vuol dire: devono esserci delle leggi che impediscono la violazione e quindi, siccome non ci sono leggi se non ci sono sanzioni, ci devono essere sanzioni che puniscono la violazione delle leggi, quindi ci deve essere uno Stato che sanziona un comportamento contrario al Cristianesimo.

Che la Chiesa, di fronte a queste conseguenze, si tiri indietro e cerchi di evitarlo, questo l’ho sempre riconosciuto, l’ho sempre detto, ma che il pensiero della Chiesa e del Cristianesimo e di Gesù, sibi permissus, cioè tralasciato a se stesso, conduca a queste conclusioni, questo è quanto sostengo.

STUDENTE: Questo lo condivido, però quello che dicevo io è il potere assolutamente politico. Per esempio il Papa ha criticato la Conferenza di Yalta. Non sono cose che riguardano la religione quelle. La Chiesa continua ad intromettersi nei fatti che non le riguardano, soprattutto nella nostra nazione.

SEVERINO: Sì. Ma io continuo a sostenere che una religione intimistica, per cui il cristiano è quello che si diletta nel proprio animo, lasciando che il mondo vada come vada, questa religione intimistica non è Cristianesimo, perché il cristiano non può disinteressarsi del modo in cui il mondo va. Questo doversi interessare del modo in cui il mondo va, Yalta compreso, questo è d’interesse originariamente politico del cristiano, in quanto discepolo di Gesù, in quanto appartenente a quella che si chiama: La Chiesa dei Santi. Non c’è bisogno di arrivare alla Chiesa di pietra, per avere quel carattere di violenza, che noi vogliamo distinguere, ponendo la storia del Cristianesimo come una desacralizzazione dell’originario messaggio cristologico.

STUDENTE: Divergenza di opinioni.

SEVERINO: Ma un cristiano che dicesse: “Il mondo vada come vada”, intanto non è un cristiano che dice: “Diamo a Cesare quel che è di Cesare”, perché sarebbe un cristiano che dice: “Mah, lasciamo che a Cesare si dia quel che capita che gli si dà”.

STUDENTESSA: Non pensa che il consensuale divorzio, che nel ’71 ha avuto con la Chiesa Cattolica, abbia potuto influenzare in un certo modo la Sua critica successiva alla Chiesa e ai dogmi della Chiesa.

SEVERINO: Va bene, se si impostano questi discorsi dal punto di vista psicologico, psicanalitico, si può dir tutto, no? Uno va a passeggio perché è arrabbiato con la fidanzata, però può darsi che uno vada a passeggio perché ha voglia di camminare. Fortunatamente la sostanza del cosiddetto discorso del sottoscritto era già scritta in un’epoca in cui tra l’altro il sottoscritto insegnava all’Università Cattolica. Quindi non è che prima pensassi ‘A’ poi è venuto lo scontro culturale con la Chiesa, e dopo ho pensato ‘B’; ma è perché inizialmente pensavo ‘A’ che è avvenuto lo scontro e dopo ho continuato a pensare ‘A’. Quindi non c’è un cambiamento di modo di pensare, se non la precisazione di quanto originariamente pensavo dal Sessanta al Settanta.

STUDENTESSA: Lei riconosce comunque una certa coerenza nel comportamento e nelle idee della Chiesa e quindi del Papa? E poi un’altra cosa: sempre nell’Enciclica il Papa sottolinea una grande crisi del pensiero e quindi dei pensatori in questi ultimi anni. È d’accordo con questa sua idea?

SEVERINO: Sono perfettamente d’accordo sul fatto che la Chiesa sia profondamente coerente. Proprio per questa coerenza nell’ultima Enciclica non c’è una virgola di novità. È fatta molto bene, è molto interessante, è uno di quei documenti che si dovrebbero moltiplicare, però il riferimento a Tommaso c’è sempre, eh! C’è insieme quel luogo comune per cui si formula questo discorso: la ragione umana è finita, non conosce tutto. Allora, proprio perché la ragione umana è finita, ecco che viene la fede a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla ragione umana. Questo discorso lo si trova anche adesso. Sentiamo quel passo di Anselmo d’Aosta, dopo concludo la mia risposta.

S. ANSELMO: La rivelazione immette nella nostra storia una verità universale ultima, che provoca la mente dell’uomo a non fermarsi mai, la spinge anzi ad allargare continuamente gli spazi del proprio sapere, fino a quando non avverte di avere compiuto quanto era in suo potere, senza nulla tralasciare. Ci viene in aiuto, per questa riflessione, Sant’Anselmo. Nel suo Proslogion, l’Arcivescovo di Canterbury, così si esprime:

“Volgendo spesso, e con impegno, il mio pensiero a questo problema, a volte mi sembrava di poter ormai afferrare ciò che cercavo, altre volte invece sfuggiva completamente al mio pensiero, finché, finalmente, disperando di poterlo trovare, volli smettere di cercare qualcosa che era impossibile trovare. Ma quando volli scacciare da me quel pensiero, perché, occupando la mia mente, non mi distogliesse da altri problemi, dai quali potevo ricavare qualche profitto, allora cominciò a presentarsi con sempre maggior importunità. A che cosa tendevo e a che cosa son giunto? A che cosa aspiravo? Di che sospiro? O Signore, tu non solo sei ciò di cui non si può pensare nulla di più grande, ma sei più grande di tutto ciò che si possa pensare! Se tu non fossi tale, si potrebbe pensare qualcosa più grande di te, ma questo è impossibile”.

SEVERINO: Non soltanto – e questo lo sapete tutti -, Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore, ma è ciò che sta al di là di tutto ciò che si può pensare. È il tema al quale mi ero riferito prima dicendo: “Il Cristianesimo prende, per così dire, per la collottola la ragione”, la quale dice: “Io certo non so tutto”. E allora dice: “Ecco, allora lo spazio che tu lasci aperto è al di là di tutto ciò che tu puoi pensare”.

Anselmo dice: “Dio sta al di là di tutto ciò che si può pensare”. Ora, la grossa questione che ho più volte rivolto ai miei amici cattolici e dai quali non ho mai ricevuto una risposta soddisfacente, è: perché che lo spazio vuoto deve essere riempito dalla fede cristiana e non da altre fedi? È come se io aprissi la porta e dicessi: “Va bene, entrino, entri, entrino qui, signori miei che state fuori”; e c’è uno, più prepotente degli altri, che emargina gli altri, entra e dice: “Ecco, io sono il personaggio che tu attendevi”.

Quindi, uscendo dalla metafora: è vero che la ragione è finita e non c’è stata nessuna filosofia o scienza che abbia fermato l’infinità della ragione. Neanche Hegel – lo dico per i giovani che fanno il Terzo Liceo -, nemmeno Hegel si è sognato di dire una stupidaggine del genere. Certo che ci sono dei campi non toccati, non esplorati. Ma perché deve esser proprio la fede cristiana a dire: “Ecco, io sono l’abitatrice legittima di questi campi”. E perché non allora tante altre fedi alternative. Ritornando a quanto dicevo prima sulla violenza della fede, questo entrare in campo, puntare i piedi e dire: “Io sono l’abitatrice degli spazi vuoti lasciati dalla ragione”, questa è la prevaricazione, questa è la violenza a cui mi riferivo.

STUDENTESSA:Scusi, ma la fede può essere considerata come qualcosa che è innato in noi oppure possono intervenire determinati fattori, quali la ragione, a svilupparla oppure a condizionarla in qualche modo?

SEVERINO: Se noi pensiamo alla fede cristiana, i grandi Padri della Chiesa dicono: “Fides ex auditu”, allora, si ha fede solo se si sente una voce che parla, in modo tale che l’uomo da solo non sarebbe mai arrivato a pensare quello che questa voce dice. Allora, dal punto di vista di questa grande ortodossia cristiano-cattolica, non si può parlare di un’anima naturale intercristiana. Non è innata la fede, perché, se fosse innata, non ci sarebbe bisogno della grazia del messaggio di Dio. Quindi è non innata, è storica, viene dal di fuori. Se si parla dell’innatezza della fede, si distrugge la soprannaturalità – o meglio si distrugge quella soprannaturalità – che per il Cattolicesimo è essenziale alla fede. Soprannaturalità vuol dire: il messaggio di Cristo contiene qualcosa che la ragione umana, da sola, non può raggiungere.

STUDENTESSA: Nel contesto del rapporto fra fede e ragione; fede e verità, io credo che il miglior punto di incontro è quello che ci fornisce Cartesio. Cioè fino al tempo di Cartesio, si era visto, nel nome di Dio, il blocco del progresso scientifico. Ora invece Cartesio ci pone Dio come il garante delle verità supreme, come il garante dell’intelletto umano. E si pone come garante di quelle verità supreme a cui l’uomo deve arrivare e che Dio stesso sprona ad arrivare.

SEVERINO: La storia della filosofia – io penso, anche sentendoVi parlare, che abbiate una bravissima insegnante -, la storia della filosofia non è quel campo di lotte senza fine, dove uno va da una parte e l’altro va dall’altra. C’è uno sviluppo dove, a un certo momento, Cartesio è inevitabile, così come c’è un momento in cui Aristotele è inevitabile, così come poi c’è un momento in cui Kant è inevitabile.

Allora, in relazione con la fase dello sviluppo del pensiero filosofico, certo Cartesio è un contributo inevitabile appunto. Ma se vogliamo dire qual’è, come mi pare che Lei voglia dire, qual’è la posizione che più adeguatamente stabilisce i rapporti tra fede e ragione, allora i due modelli sono: quello greco – e non esito a dire greco-kantiano -, il quale dice: “Se la fede contrasta la ragione, la fede è errore. Liberiamocene”. Questo è il gesto originario della filosofia. È inutile discutere.

Ma Platone, e prima Eraclito e lo stesso Parmenide e poi Aristotele, e poi Plotino e gli storici, e gli epicurei dicono questo: “Là dove la fede smentisce la ragione, la fede è un errore da cui l’uomo deve liberarsi”. È il discorso di Kant; badino, che il concetto di Illuminismo è molto più vicino al concetto greco di filosofia di quanto non si pensi. Illuminismo è luce.

Loro sanno che philosophia è amore di sophia, doce sophia è un sostantivo, che esprime saphes, che vuol dire chiaro. Quindi amore di sophia vuol dire amore della luminosità, di ciò che è in luce e che deve essere affermato perché è in luce, non perché è buio. Ecco, allora l’illuminista Kant, dice: “Ma Abramo ha un Dio che voleva il sacrificio di suo figlio? Avrebbe dovuto dire: “Ma questo Dio non è un vero Dio”, perché va contro i principi della ragione”. Allora questa prima posizione di conflitto tra ragione e fede, la parola ultima l’ha la ragione.

L’Enciclica, che è interessantissima, anche se non dice nulla di nuovo, ma insomma ha alle spalle Agostino, Tommaso, Anselmo. Ecco l’Enciclica invece fa questo discorso, riprendendo Tommaso: “Se c’è contrasto tra fede e ragione, allora, poiché la fede è rivelata da Dio e Dio non può rivelare l’errore, allora non ci può essere contrasto tra fede e ragione”. Dunque, quando la ragione smentisce la fede non è una vera ragione, ma è un abuso della filosofia.

Tommaso dice proprio: “Abusus phiolosophiae ex defecturationis”, cioè ” È un abuso della filosofia per mancanza di ragione”. Allora, qui il perno è la fede. Se c’è una ragione che smentisce la fede, quella è non verità. Soltanto che il guaio grosso è che la premessa di tutto questo discorso è che ci sia un Dio che dona una fede vera.

Ora questo discorso si costituisce all’interno della fede, è esso stesso un atto di fede, non è un qualche cosa che sta di fuori della fede e possa essere trattato come una verità oggettiva. È dal punto di vista del credente che Dio dà una fede e la dà in modo tale che questa fede non sia errore.

Allora è per questo che all’interno della storia del pensiero occidentale, il modello greco-kantiano è il modello autentico rispetto a questo che il Cristianesimo e la Chiesa hanno voluto introdurre. Dico un aspetto del Cristianesimo perché un altro filone che parte da Tertulliano, va su, fino a Dostoevskij, per cui la fede deve essere accettata perché è assurda. Per il cattolico questa è una pazzia: la fede è razionabile.

Però il dilemma -che anche qui non vedo come la Chiesa possa evitare, ma non solo la Chiesa, tutti coloro che si ispirano a questa concezione – è di spacciare come verità indiscutibile, l’affermazione che Dio rivela la fede e che la fede che Dio rivela sia una verità incontrovertibile. Ma questo vuol dire che si sa che c’è Dio, che Dio rivela, che l’uomo ascolta, che Dio rivela una fede e che la rivela vera.

STUDENTESSA: Credo che il problema sia proprio nella fede donata da Dio; credo che l’uomo che ha fede, ha fede perché l’educazione gli ha dato la fede, che sia un fatto di cultura.

SEVERINO: Siamo perfettamente d’accordo. La fede, quando dicevo prima, è una volontà e lo stesso Tommaso dice che “l’assenso all’atto di fede è un assenso della volontà”, è un atto della volontà, quindi non è un dono di Dio. Nietzsche diceva: “Se non abbiamo fede, non muoviamo neanche un passo”, però altro è aver fede, altro è che ciò che noi crediamo per poter vivere sia verità. È chiaro che per vivere dobbiamo essere pieni di fede, ma non soltanto in Cristo, ma anche nella stabilità del pavimento. Se vado a prendere l’aereo bisogna che creda che c’è un aeroporto. Cioè, non possiamo muovere un passo, un pensiero senza fede. Ma questo non vuol dire che ciò che è utile sia vero.

STUDENTESSA: Il problema è che io credo che, non solo sia l’educazione a dare l’idea di fede all’uomo, ma l’uomo si aggrappi alla fede soltanto in determinati momenti della sua vita. Cioè spesso la fede viene vista come il bastone della vita dell’uomo, a cui l’uomo si appoggia in un momento di crisi. Io credo che questo sia profondamente sbagliato, perché la fede, nella vita dell’uomo, ci deve essere sempre. Cioè, se uno ha fede, deve avere fede sempre, non fede solo quando si è angosciato.

SEVERINO: Ma anche questo è accettabile. Lei dice: la fede è un rimedio contro l’angoscia. Ma angoscia per che cosa? Angoscia per quello che dicevamo all’inizio della nostra chiacchierata. Angoscia perché l’uomo va nel nulla, perché, da ultimo, cari miei, il terrore estremo di tutti noi è perché si va nel nulla. E in genere quando si va? Si va nel nulla dal punto di vista della filosofia dell’Occidente, cosa che il mio discorso filosofico ha sempre messo in questione. Ma dal punto di vista dei maestri dell’Occidente si va nel nulla. E si va nel nulla in modi dolorosi.

Allora ecco che viene fuori il tentativo di costruire un rimedio contro l’angoscia del nulla. Sì, d’accordo. Lei dice nei momenti di crisi. Anche, ma sempre, il sottofondo è quello di trovare un rimedio, una stampella, un sostegno, un riparo, che ci consenta di allontanare il più possibile l’angoscia dal nulla. La nostra cultura cerca di mettere dei veli di fronte a questa faccenda. Dice ai giovani: “State allegri. Costruite, producete”. Ma, dal punto di vista della nostra cultura, sono veli che mascherano, come stanno le cose.

STUDENTESSA: Come mai ha portato quell’affresco di Raffaello? Che valore simbolico gli attribuisce?

SEVERINO: Ritorniamo a quello che dicevo prima. La grande scuola greca è di Socrate che diceva sempre: “Io in tutta la mia vita ho seguito la verità”. E per Socrate seguire la verità vuol dire non seguire la fede. Tutta questa gente del quadro di Raffaello è gente che dice: “L’uomo deve tener dietro alla verità”. Ma si fa presto a dire verità, che cosa significa verità? A questo punto dovremmo incominciare a vedere che cosa significhi verità per il pensiero greco.

STUDENTESSA: Quale sarebbe allora per Lei il ruolo dell’uomo che nasce dalla polvere e ritorna polvere? Ha comunque un ruolo in un disegno più grande?

SEVERINO: Loro comprendono che in questa sede, le risposte sono degli accenni di risposte. La follia, l’alienazione di cui parlavo prima, è un Dio, un Adamo e un serpente, i quali si dicono tra di loro: “L’uomo è polvere”, perché lo riconosce il serpente, perché dice: “Guarda che tu sarai Dio”, cioè uscirai dalla condizione di esser polvere. Lo pensa Dio, perché lo dice, e poi lo pensa Adamo, perché dà ascolto al serpente e vuole uscire dalla condizione di polvere. Invece il peccato, il peccato radicale, la colpa – peccato vuol dire errore – il peccato, l’errore consiste proprio nella condizione di Adamo di essere polvere, cioè consiste nelle – questo è quanto, nei cosiddetti miei scritti, vado sostenendo -, consiste nell’esser “cosa caduca”.

Se vogliamo rovesciare il discorso, lei mi chiedeva cosa penso dell’uomo. Ma io penso che l’uomo è l’eterna visione della verità, e che cioè noi siamo infinitamente di più di quello che crediamo di essere. E che io prima, quando sono entrato lì, dicevo: “Io sono Emanuele Severino” stavo sbagliando, perché anch’io, come Lei, come tutti, sono infinitamente di più di quello che tutta la cultura pessimistica dell’Occidente dice che noi siamo: povere cose, aiutate da un Dio, aiutate da un Salvatore, che però di per se stesse oscillano tra l’essere e il niente, che hanno bisogno di un sostegno, di un aiuto dal riparo di cui parlavamo prima.

Cosa penso dell’uomo? L’uomo è l’eterna – ripeto- visione dell’eterno, dell’eternità di tutte le cose. A questo punto Lei mi dice: “Ma queste sono chiacchiere”. Sono d’accordo, se non si giustificano. Vanno giustificate.

STUDENTESSA: Poiché un giorno questo mondo che è destinato a finire, che senso ha avuto tutto questo, se non abbiamo la fede come supporto per pensare a un mondo futuro? Altrimenti ogni cosa che avviene in questo mondo non ha poi un gran senso.

SEVERINO: Certo, se stiamo alla convinzione di fondo, all’alienazione di fondo del pensiero occidentale e cioè che le cose escono dal nulla e ritornano nel nulla, allora si deve arrivare per forza a posizioni, come quella di Nietzsche, il quale afferma che il mondo non ha proprio alcun senso. Ma data quella premessa, che è la premessa dei cosiddetti “ottimisti”, “ottimista Aristotele”, “ottimista Platone”, “ottimista Gesù”, “ottimista Vecchio Testamento”, data quella premessa del carattere essenzialmente precario dell’esistenza, allora, certo, la filosofia contemporanea non è quella stupidaggine a cui purtroppo anche l’Enciclica tende a ridurla, cioè come un semplice scetticismo.

No. La filosofia contemporanea – anche questo continuo a dirlo alla Chiesa -, è dire delle conseguenze inevitabili. Non c’è senso; Nietzsche consiste proprio nel dire questo, che non c’è senso. Allora il senso può venire da qualcosa di molto lontano, dal quale Lei si è subito allontanata. Quando io ho detto: “Tutto è eterno’”, Lei ha fatto finta di non sentirlo, e invece è da lì che può venir fuori il senso. Ma, si capisce, non possiamo qui esaurire questo discorso.

STUDENTESSA: Ma non è proprio il Cristianesimo a dire che l’uomo non finisce mai, che lo spirito, l’anima non finisce mai? Il corpo in realtà non è molto importante nella religione cristiana.

SEVERINO: Purtroppo, perché il corpo non si vede che cosa debba avere di inferiore alla psiche, alla coscienza, ai pensieri. Perché questo svilimento del corpo? Il corpo è un eterno, come gli altri eterni. In questo senso Platone diceva una cosa molto interessante: “Sono idee anche i peli della barba di Socrate”. Soltanto che per Platone, oltre le idee c’è il mondo. Allora non è solo il Cristianesimo a dire che c’è un eterno, ma è tutta la filosofia greca, è quel Cartesio di cui parlava la signorina.

STUDENTESSA: Però questa visione del mondo non è pessimistica.

SEVERINO: Aspetti, questo è un anelito verso il superamento del pessimismo. Però l’eternità riguarda soltanto una parte della realtà, la parte nobile, la parte spirituale. La parte caduca, e quindi i sensi, e quindi ciò che riguarda il rapporto dei sensi col pensiero, tutto questo è destinato a andarsene nel nulla, tant’è vero che è necessaria una resurrezione dei corpi, per il Cristianesimo.

Cos’è la resurrezione dei corpi? È un ritornare fuori dal nulla, da quel nulla che di per se stessi i corpi, ma anche l’intera personalità umana, è destinata. Quindi questo, che Lei chiama ottimismo, è un anelito fallimentare di ottimismo, perché alla propria radice ha la persuasione che ciò che da ultimo riguarda l’uomo più da vicino, che è la nostra corporeità, la nostra affettività più legata ai sensi, si perderà. Tutto questo è negativo, è possibilmente da tralasciare, da transvalutare in un mondo ultraterreno.

Poi Le vorrei dire: ma quando il Cristianesimo parla di resurrezione dei corpi, questo è fede. Non esiste un discorso filosofico che possa garantire ciò. Esiste la grande tradizione occidentale, la quale dice: c’è una dimensione del mondo che è eterna: Dio. Ecco, e questa tradizione va dai Greci fino a Hegel compreso, una tradizione che va anche nella scienza.

Anche la scienza da principio concepisce la realtà come una struttura eterna: il determinismo scientifico, la convinzione di Galileo che le leggi siano verità eterne, che le leggi matematiche siano verità eterne. Quindi esiste una struttura eterna. Ecco, questo eterno non è l’eterno di cui parlavo con la signorina, perché questo eterno è il Dio, che fa da padrone sul corpo, sul mondo, sul divenire, fa da padrone e finisce con lo schiacciare la realtà.

Dire che io non posso vivere se non conformemente a questo Dio, che esige il rispetto eccetera, quando si dice che tutto è eterno, si dice che non esiste un padrone e un servo. Tutto è eterno, tutto è paritario: il corpo, il pelo della barba è più sublime dei pensieri di Goethe o la melodia più sublime di Beethoven.. Cioè l’essere in quanto essere è eterno. Questo porta a una dimensione del tutto diverso da quella dell’eterno pseudo-ottimistico, in cui c’è un Dio eterno che trattiene presso di sé l’eternità.

Lei sa che, dopo che Dio manda via Adamo, mette un cherubino alla guardia dell’Albero della vita e dice: Ma costui è diventato quasi uno di noi, ma che non venga a mangiare l’albero della vita, a diventare eterno”. Quindi un Dio che è invidioso dell’eternità possibile dell’uomo.
Allora: mi pare che siamo arrivati al termine della nostra chiacchierata, se non sbaglio, e bisogna che dica loro il mio convincimento.

Riprendendo su quanto dicevo sul prima vivere e poi filosofare. Una educazione religiosa è necessaria. Quindi una scuola in cui l’insegnamento della religione sia bandito o sia mortificato, è una scuola fallimentare. È giusto che i giovani abbiano questo atteggiamento iniziale di fede, proprio perché lo possono mettere seriamente in questione. Quindi con questa esortazione a tenere viva la dinamica tra fede e critica della fede, io concluderei questo nostro incontro.

Da RAI EDUCATIONAL http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=339

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