GIOVANI DI DIO SERVO E PROFETA – Fra Brian O’Donnell o.h.

 Lunedì, 08 ottobre 2007 

 

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SERVO E PROFETA 

Come per San Giovanni di Dio il futuro per noi non è nè una promessa nè un avvenire dall’esito scontato, ma una sfida.

 

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TERZO CENTENARIO

DELLA CANONIZZAZIONE
DI SAN GIOVANNI DI DIO
 
 
 
Discorso del Priore Generale Fra Brian O’Donnell o.h.
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L’uomo a cui Fra Raimondo Fabello ha dato il massimo della collaborazione in veste di Consigliere Generale
 
 
SERVO E PROFETA
  
  
Introduzione
 
 
Ci siamo riuniti oggi qui a Granada per commemorare un evento ecclesiale con cui molto tempo addietro si è inteso riconoscere la santità eroica e l’esemplarità universale di un uomo che ha vissuto gli ultimi dieci anni della sua vita relativamente breve in questa città.
 
Siamo qui per gioire, perché a Roma trecento anni fa la Chiesa ha dichiarato santo un uomo che già ai suoi tempi era noto ai suoi concittadini con il nome di Giovanni di Dio, un uomo che dal suo primo biografo Francesco de Castro venne definito il “dispensiere dei poveri” di Granada (1).
 
Più che un momento di gioia
 
Questo anniversario non deve essere soltanto un’occasio­ne per gioire e ringraziare il Signore per i numerosi doni e le molte grazie che l’Ordine ha ricevuto da quando quell’uomo che noi “riteniamo giustamente come nostro Fondatore” è stato canonizzato (Cost. 1b).
 
Perché questo anniversario ci offre anche un’opportunità unica per riflettere sulla figura del Santo e sul significato della sua canonizzazione
 
Ispiratore di un istituto religioso
 
Avendo ispirato il Santo la fondazione di un istituto della vita religiosa, questa ricorrenza contiene un impor­tante messaggio per i membri di tale istituto, ossia i Fra­telli di San Giovanni di Dio.
 
Proposto al popolo di Dio
 
Essendo stato poi San Giovanni di Dio proposto alla Chiesa universale quale modello ed esempio di carità, l’anniversario contiene un messaggio non meno importante per i laici, i quali “si trovano in prima linea nella vita della Chiesa” (2).
 
Servo e profeta
 
Come Gesù il nostro Santo ha riunito nella sua persona due espressioni fondamentali: quella del servo e quella del profeta. Come Gesù il nostro Santo poteva dire di se che non era venuto “per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti’ (Mt 20, 28).
 
Il servo serve, il profeta annuncia il Regno e dà la sua vita. Così è stato per Gesù e ugualmente per San Giovanni di Dio.
 
Il messaggio del Santo e della sua canonizzazione
 
Il Governo Generale dell’Ordine ha ritenuto opportuno presentare in occasione di questa ricorrenza un’analisi approfondita sulla situazione dell’Ordine, sulle sfide attuali che è chiamato ad affrontare e sulle prospettive future che gli si aprono davanti. Il Definitorio Generale sta attualmente lavorando collegialmente all’elaborazione di questa analisi che sarà pubblicata più tardi nel corso dell’anno celebrativo.
 
Pertanto le parole che mi accingo a pronunciare non vogliono dare un quadro definitivo sulle questioni che stanno sul tappeto.
 
Esse riflettono semplicemente. i miei pensieri, con i quali intendo contribuire al processo di consultazione e di definizione, nel quale sono attualmente impegnati tutti i membri del Definitorio Generale.
 
Sono molto grato per poter esporre oggi a Voi la mia lettura del messaggio di San Giovanni di Dio e del significato della sua canonizzazione.
 
Questo anniversario mi ha indotto a riflettere su:
 
* il carisma dell’ospitalità;
 
* cosa intendo io, quando parliamo dell’Ordine oggi;
 
* lo stato fisico dell’Ordine, così come si presenta oggi;
 
* due importanti aspetti della spiritualità di San Giovanni di Dio, ossia  servizio e profezia;
 
* la vita religiosa;
 
* il futuro dell’Ordine.
 
  
L’ORDINE OGGI
 
L’uomo e il Santo a cui oggi, trecento anni dopo la sua canonizzazione, rendiamo omaggio, è tuttora presente nel mondo tramite le persone e le opere di coloro che condividono la stessa visione, gli stessi traguardi e gli stessi valori che sono stati alla base della sua vita.
 
San Giovanni di Dio e il suo spirito particolare continuano a manifestarsi in maniera tangibile in quella cosa che noi chiamiamo ‘l’Ordine’.
 
 
RISCOPRIRE IL CARISMA
 
Nel corso della sua lunga storia il nostro Ordine è passato e ripassato attraverso i vari cicli che caratterizzano la vita di un Ordine e che stando ad uno studio del gesuita francese Raymond Hostie possono assumere di volta in volta l’aspetto di fondazione, espansione e declino.
 
Questi cicli ricorrenti possono spingere un istituto religioso, anche più di una volta, verso un punto in cui deve decidere con la massima consapevolezza tra le tre seguenti alternative:
 
a) estinguersi
b) sopravvivere alla soglia della mera sopravvivenza
c) trasformarsi.
 
Un fatto che ha aiutato l’Ordine in tempi recenti ad optare coscientemente per la trasformazione è stata l’atten­zione che nel corso del Capitolo Generale Straordinario si è voluto dare al nostro carisma specifico (3).
 
 
Il carisma di San Giovanni di Dio – l’ospitalità
 
Noi diciamo che San Giovanni di Dio ha ricevuto da Dio il dono straordinario di aprirsi nella sua vita completamente agli altri e ai loro bisogni e di rispondere a questi bisogni a qualunque costo.
 
Il termine cristiano con cui si designa solitamente questo dono specifico dello Spirito Santo è ‘carisma’. Noi abbiamo voluto definire l’apertura del nostro Santo verso gli altri e il suo sacrificarsi per loro come ospitalità. Pertanto noi affermiamo che San Giovanni di Dio ha ricevuto il carisma dell’ospitalità. 
 
Lo stesso carisma di San Giovanni di Dio
 
Ogni Fratello di San Giovanni di Dio viene confermato dalla Chiesa nella sua convinzione di aver ricevuto lo stesso carisma di San Giovanni di Dio, quando la Chiesa accoglie pubblicamente la sua professione dei voti religiosi e di quello speciale dell’ospitalità.
 
Il pensiero dominante a livello dell’Ordine, fino a poco tempo fa, è stato sempre quello che questo carisma apparte­nesse esclusivamente a noi e che non lo condividessimo con nessuno, anche se abbiamo sempre accettato l’aiuto di altri nell’esercizio del nostro carisma.
 
 
Distribuendoli a ciascuno come vuole
 
Negli ultimi tempi la teologia emergente, in materia di carisma, ci ha invece fatto prendere consapevolezza del fatto che lo Spirito Santo quale donatore di tutti i carismi “li opera, distribuendoli a ciascuno come vuole” (1 Cor 12, 11).
 
Pertanto noi oggi riconosciamo che il carisma dell’ospi­talità viene donato anche ad altri e scopriamo la sua presenza in molte delle persone con cui veniamo a contatto.
 
Noi religiosi ospedalieri non continuiamo più a considerare il nostro carisma gelosamente come un nostro monopolio.
 
Siamo felici di aver ricevuto questo carisma particolare.
 
Siamo felici, quando vediamo che anche altri lo hanno ricevuto.
 
Siamo felici, quando ci scopriamo strumenti nelle mani dello Spirito Santo per la trasmissione di questo carisma ad altri, siamo felici, quando riusciamo a incoraggiare altri ad esercitarlo.
 
 
Visione, traguardi e valori
 
Nel carisma dell’ospitalità si sono conservati e sviluppati ulteriormente la visione, i traguardi e i valori propri di San Giovanni di Dio.
 
Questa visione, questi traguardi e questi valori hanno oggi la stessa validità che avevano ai tempi di San Giovanni di Dio e della sua canonizzazione. 
 
  
IL CONCETTO DI ORDINE
 
La visione, i traguardi e i valori di San Giovanni di Dio, essendo un dono dello Spirito, non possono essere motivo di separazione, ma debbono essere motivo di comunione.
 
“Unità nell’ospitalità”
 
“Unità nell’ospitalità” – all’insegna di questo motto si è svolta l’ultima grande assemblea dell’Ordine, ossia il 62° Capitolo Generale, nel 1988.
 
Questo Capitolo Generale è stato particolarmente significativo, perché “per la prima volta nella storia dell’Ordine hanno partecipato ad esso otto collaboratori laici delle varie aree linguistiche” (4).
 
Come è stato sottolineato dagli stessi Capitolari nelle dichiarazioni elaborate alla conclusione del Capitolo, “questo è stato il modo chiaro per manifestare la considera­zione dell’Ordine per i numerosi uomini e donne che, insieme ai Confratelli, si impegnano ad alleviare e a porre rimedio alle sofferenze e alle necessità dei destinatari della nostra missione. Questo avvenimento conferisce alle presenti dichiarazioni una dimensione più universale” (5).
 
 
Una dimensione più universale
 
Il Capitolo Generale ha riconosciuto che l’Ordine oggi, volendo agire come San Giovanni di Dio avrebbe voluto vedere agire un Ordine nel suo nome, deve assumere una dimensione più universale di quella di un gruppo esclusivamente composto da uomini che hanno emesso la professione dei voti religiosi a norma delle Costituzioni dell’Ordine. Giovanni di Dio stesso era un modello in materia di collaborazione, tanto che invitava tutti, dal giovane Juan Bautista alla Duchessa di Sessa e le sue dame, ad aiutarlo nella sua opera.
 
Il servizio alla salute
 
Quando oggi nella prassi comune usiamo il termine ‘Ordine’, intendiamo tutte le persone che in qualche modo contribuiscono a portare avanti l’opera di San Giovanni di Dio nel mondo della salute.
 
Ovviamente c’è da considerare che il termine ‘Ordine’ ha un senso più strettamente giuridico e canonico. Ma una comprensione dell’Ordine che è limitata a considerazioni giuridiche e canoniche mal si addice alla realtà in cui viviamo e non riflette fedelmente la sua storia,
 
L’Ordine non è un corpo che deve la sua vita a teorie espresse in regolamenti e leggi applicate a particolari situazioni. Si tratta piuttosto di un movimento che trae le sue radici dall’esperienza vissuta da San Giovanni di Dio e dai suoi primi compagni che erano uomini e donne laici.
 
 
LO STATO FISICO DELL’ORDINE
 
Questa “unità nell’ospitalità” che ha portato alla nascita dell’Ordine e che costituisce oggi di nuovo un tratto distintivo della sua vita, risulta oggi essere presente ed attiva in 47 paesi di tutto il mondo.
 
            Delle 35.000 persone che fra religiosi, dipendenti, volontari e benefattori rappresentano oggi l’opera dell’Ordine su scala mondiale, 1.503 sono Fratelli di San Giovanni di Dio (1474 religiosi professi e 29 oblati).
 
I nostri confratelli, collaboratori, volontari e benefattori operano in complessivamente 226 centri e servizi assistenziali.
 
Tali centri e servizi sono composti da 43 ospedali generali, 41 ospedali psichiatrici e relativi servizi, 14 case di cura, 26 centri per anziani, 6 ospedali per lungodegenti, 32 centri e relativi servizi per handicappati mentali, 16 centri di riabilitazione per handicappati fisici e persone con disturbi sociali e 9 dispensari e consultori.
 
A questi si aggiungono 17 altri centri che offrono una variegata gamma di servizi e tra cui figurano 2 centri idroterapici, -3 centri per bambini con disturbi emotivi e 8 asili notturni.
 
Da alcuni anni l’Ordine promuove poi l’avvio e la realizzazione di “nuove forme dell’ospitalità”. In questo ambito sono state costituite sin ora 22 comunità che fuori della rete ufficiale dei servizi istituzionali si sono inserite in ambienti difficili, dove praticano uno stile di vita e operano in maniera tale che si può parlare giustamente di una presenza religiosa significativa e di un aiuto prezioso alla popolazione del luogo. In quattro casi un confratello vive da solo per portare avanti questa presenza e questo aiuto nel nome dell’Ordine.
 
Quotidianamente circa 40.000 persone ricevono assistenza nelle diverse strutture assistenziali e sociali dell’Ordine.
 
Credo che si può affermare tranquillamente che l’attività caritativa dell’Ordine non è mai stata così intensa come oggi.
 
 
SERVO E PROFETA
 
Come ho già accennato nell’introduzione, San Giovanni di Dio ha saputo plasmare e modellare, sotto la spinta della figura e degli insegnamenti di Gesù, la sua carità in una duplice direzione, vale a dire come servo e come profeta.
 
A seconda dei tempi è emerso di volta in volta con maggiore incisività o l’uno o l’altro di questi due aspetti della figura e dello spirito di San Giovanni di Dio.
 
San Giovanni di Dio non era soltanto l’umile e fedele servo dei poveri e degli ammalati. L’uomo povero di Granada sapeva anche mostrarsi quale profeta impavido della carità nella città e nel paese che aveva adottato come suo.
 
La sua vita rispecchiava tutti i tratti distintivi del profeta.
  
I tratti distintivi del profeta
 
Era posseduto e guidato dallo Spirito, “desiderando la salvezza di tutti come la sua stessa” (1GL, 12).
 
Era messaggero della Parola, portandola persino alle prostitute di Granada e predicando “più con opere vive che a parole” (Castro cap. XIX).
 
Era critico di fronte alle realtà umane trascurate e trovandosi egli stesso immerso in una di queste drammatiche realtà decise di aprire “un ospedale, dove raccogliere i poveri abbandonati e privi della ragione” (Castro cap. IX).
 
Annunciava ai poveri la loro dignità dando una casa a loro; nello stesso tempo aiutava altri a trovare lavoro e per altri ancora provvedeva a tutto il necessario mantenendo sempre la massima riservatezza (castro cap. XII).
 
Denunciava lo stato d’abbandono in cui versavano i poveri e gli ammalati e quando uno di questi moriva, non temette di ricordare ai ricchi i loro obblighi di carità in virtù del loro comune essere cristiani (O’Grady) (6).
 
Esortava sulle strade di Granada i cittadini della città a “fare del bene a loro stessi facendo del bene agli altri per amore di Dio” (Castro cap. XII).
 
Si dedicava con passione all’assistenza dei poveri. “Li cercava di notte, buttati giù per quei portici, intirizziti e nudi, piagati ed infermi.” E ancora: ‘Vedendone la moltitudine, mosso da grande compassione decise di procurar loro con maggiore impegno il rimedio” (Castro cap. XI).
 
Metteva di fronte i potenti, i ricchi e i nobili ai disagi e ai bisogni patiti dai poveri (Castro).
 
Difendeva i deboli. Agli infermieri dell’ospedale reale disse infatti: “Perché trattate così male e con tanta crudeltà questi poveri infelici e fratelli miei… Non sarebbe meglio che aveste compassione di essi e delle loro sofferenze, e li puliste e deste loro di mangiare con più carità ed amore…” (Castro cap. VIII).
 
Patì molti disagi per la fame, il freddo e la nudità… e doveva mendicare per mangiare e andava scalzo” (Castro cap.X).
 
Venne perseguitato, allorché percorreva le strade di Granada, da “ragazzi e una numerosa plebaglia, che gridando e schiamazzando e tirandogli sassi e fango ed altre molte immondizie cominciarono a seguirlo” (Castro cap. VIII).
 
Anche altri lo perseguivano e “lo motteggiavano o mormoravano di lui, dicendo che tutto era un ramo di pazzia, che gli era rimasto.., e che presto sarebbe crollato, perché non aveva fondamento. E oltre a ciò, gli tenevano gli occhi addosso, osservando le case nelle quali entrava ed informandosi di quanto ivi diceva e faceva, ed anche appostandosi in luoghi occulti” (Castro cap. XII).
 
Era il più disonorato tra i suoi, perlomeno secondo il suo giudizio, e quando alcuni si lamentarono per il tipo di gente che accoglieva e assisteva nella sua casa, rispose: “Io solo sono il cattivo, l’incorreggibile ed inutile, che merito di essere scacciato dalla casa di Dio” (Castro cap. XX).
 
Ancor’una volta intervenne a difesa dei più deboli dicendo: “I poveri che stanno nell’ospedale sono buoni, e di nessuno di essi io conosco alcun vizio”.
 
Sacrificava la sua vita, allorché, già molto malato e provato da terribili sofferenze, si gettò nel fiume Genil per salvare la vita ad un povero ragazzo che vi era caduto dentro e trascinato via dalla corrente. Questo tentativo di salvataggio gli sarebbe costato più tardi la vita (Castro cap. XX).
 
Così come in determinati periodi ci dobbiamo far guidare da San Giovanni di Dio nel servizio umile all’umanità sofferente, dobbiamo farci dimostrare da lui in altri periodi come essere profeti impavidi e attuali della carità.
 
A questo proposito mi posso soltanto associare a quanto detto da T.F.O’Meara: “Dobbiamo riscoprire il passato cercando di captare i suoi molti significati, affinché, partendo dal passato, possiamo attingere la forza per affrontare con coraggio il presente e proiettarci con slancio nel futuro. Qui sta la differenza tra la speranza cristiana intesa come dinamismo e la religiosità statica.”
 
Questo è stato anche il messaggio di un grande profeta del Vecchio Testamento, il quale ebbe a dire: “Fermatevi ai bivi e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre” (“Ger 6, 16).
 
Quale migliore profeta ci può aiutare a scrutare i sentieri del passato e a individuare la strada buona verso il futuro, se non Giovanni di Dio?
 
 
LA VITA RELIGIOSA
 
In questo momento storico noi Fatebenefratelli, rivolgendo lo sguardo indietro ai sentieri che abbiamo percorso e alle opere che abbiamo compiuto e stiamo continuando a compiere per il Signore come servi e profeti, avremmo forse voluto sentire le seguenti parole indirizzate dal padrone al suo servo: “Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25, 21).
 
Ma il terzo centenario della canonizzazione del nostro santo Fondatore vede molti confratelli e molti dei nostri amici laici assaliti da un grande senso di confusione riguardo la vita religiosa, dato che la situazione in cui si trova, e il suo futuro non sembrano indurre all’entusiasmo.
 
Parte dell’edificio della Chiesa
 
Come fenomeno umano che fa parte dell’esperienza cristiana, non credo che vi possano essere dei dubbi sul fatto che la vita religiosa continuerà anche in futuro ad essere parte integrante dell’edificio della Chiesa. Se come guida ci affidiamo al passato, appare certo che ci saranno sempre degli uomini e delle donne il cui rapporto personale con Dio si può esprimere in maniera adeguata soltanto attraverso la vita consacrata vissuta in comunione con altri e posta al servizio del Regno,
 
Assodato ciò rimane ovviamente un ampio margine per discutere le forme, gli stili e le espressioni che la vita religiosa potrà o dovrà assumere. La vita religiosa nella Chiesa si è trovata sempre in un costante processo di evoluzione con i suoi alti e bassi.
 
Dopo il Secondo Concilio Vaticano
 
Coloro fra noi che hanno potuto sperimentare la vita nella Chiesa prima del Secondo Concilio Vaticano, sanno che la Chiesa e con essa la vita religiosa sono cambiate in una maniera che nessuno osava immaginare.
 
Accettazione, coinvolgimento e solidarietà
 
La Chiesa oggi non si considera più come qualcosa che sta sulla difensiva o addirittura in opposizione al mondo. Il suo atteggiamento si è andato sempre più improntando all’accettazione, al coinvolgimento e alla solidarietà. Pertanto non considera più il mondo come proprio nemico, ma come “la materia grezza del Regno di Dio” (S.M. Schneiders).
 
Questo sviluppo ha avuto ripercussioni drammatiche e di vasta portata per la vita religiosa. Esso ha provocato lo sgretolamento delle strutture istituzionali che spesso hanno permesso alla vita religiosa di funzionare come ‘un sistema chiuso’, come qualcosa di separato e non intaccato dalla società in cui era inserita.
 
Fino a poco tempo fa “i religiosi, nelle loro istituzioni e comunità, erano in grado di definire la realtà secondo i propri desideri e tali definizioni non venivano messe in questione. Così i religiosi potevano per esempio affermare che la povertà significava innanzitutto la dipendenza dai relativi permessi e che era perfettamente compatibile con la – ricchezza corporativa e le comodità personali. I religiosi potevano decidere liberamente, quale opera apostolica intraprendere, e nessuno esaminava le loro priorità” (7),
 
La sottocultura della vita religiosa intesa come sistema chiuso’ va rapidamente disintegrandosi. Oggi le parole e le azioni dei religiosi sono sottoposte costantemente all’esame e alla critica della società.
 
Le circostanze cambiate, così come le ho appena descritte, dimostrano chiaramente che:
 
1.    noi religiosi dobbiamo imparare a distinguere le strutture e le tradizioni, che conservano e trasmet­tono dei valori, da quelle che sono mere reminiscenze del vecchio sistema chiuso
 
2.    noi religiosi dobbiamo comunicare al mondo che la nostra vita ha un preciso significato e valore attuale che va oltre il mantenimento dello “status quo” o il rimpianto del passato;
 
3.    noi religiosi dobbiamo instaurare un nuovo rapporto con il mondo che non deve portare nè all’assimilazio­ne nè alla prosecuzione del nostro vecchio atteggia­mento di opposizione e di distacco.
 
La vita religiosa, di nuovo nelle mani del vasaio
 
In un’era come la nostra in cui il mondo intero è investito da trasformazioni sempre più rapide in campo sociale, demografico ed ecologico, tutto sembra indicare che la vita religiosa, così com’è stata vissuta dalla cristianità, debba tornare di nuovo nelle mani del vasaio, affinché egli rifaccia con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pare giusto (Ger. 18, 4).
 
Alcuni aspetti salienti della vita religiosa oggi (8)
 
I fattori predominanti che caratterizzano oggi la vita religiosa e che sono comuni alla maggior parte degli istituti della vita consacrata, tra cui appunto anche al nostro Ordine, debbono essere letti come segni del tempo. Essi sono:
 
  1. 1)   un calo numerico significativo dei religiosi; 
  2. 2)   riduzione delle attività e espansione stagnante; 
  3. 3)   la nascita di nuovi gruppi ecclesiali; 
  4. 4)  sfiducia verso la vita religiosa da parte degli stessi religiosi.
 
Calo numerico
 
Negli ultimi venticinque anni, tra decessi, abbandoni e una perseveranza diminuita delle nuove vocazioni, i ranghi dei religiosi sono andati via via sfoltendosi. Nello stesso tempo i religiosi e le religiose che sono rimasti nei ranghi sono invecchiati.
 
Nel 1965 l’Ordine contava ancora 2.176 membri professi. Nell’arco di venticinque anni questo numero è sceso a 1.474. Ciò equivale a un calo di circa un terzo.
 
Riduzione delle attività e dell’espansione
 
E’ vero che la crescita e la diffusione dei servizi sanitari a livello generale e l’avvento di un rapporto di collaborazione più stretto tra religiosi e laici permettono oggi all’Ordine di aiutare tante persone come non era successo mai prima nella storia. Tale attività è rimasta tuttavia circoscritta alle nostre istituzioni esistenti.
 
Le strutture presenti dell’Ordine che dipendono in larga misura dalla presenza e dall’influenza dei confratelli rendono difficile l’avvio di nuove iniziative. -
 
Difatti se una tale iniziativa richiede la presenza di un numero, seppure minimo, di confratelli, siamo costretti o a declinare gli inviti che ci vengono rivolti ad espandere la nostra opera o a chiudere e/o a affidare alcuni dei nostri centri assistenziali ad altre organizzazioni.
 
La nascita di nuovi gruppi ecclesiali
 
Oggi molte persone, invece di indirizzarsi verso la vita religiosa, si sentono attratte da nuovi gruppi ecclesiali che come gli istituti religiosi offrono loro un determinato programma di preghiera e di servizio nonché i mezzi necessari per la propria crescita sul piano spirituale.
 
Queste persone hanno evidentemente la sensazione che all’interno di questi gruppi possano trovare più facilmente, che nelle comunità religiose, i due elementi essenziali dell’ideale comunitario che cercano, e cioè:
  • il senso del proprio valore
  • e il senso di essere parte integrante del gruppo (9).
 
Sfiducia nella vita religiosa dei religiosi stessi
 
Oggi fra i religiosi si nota un diffuso senso di scoraggiamento. Molti di loro si chiedono, perché la forma di vita che essi amano e hanno scelto esercita un’attrazione così debole sugli uomini e sulle donne di questo tempo.
 
Alcuni credono addirittura che per l’antichità delle nostre istituzioni e per la perdita del nostro entusiasmo carismatico iniziale non siamo più in grado di mettere a disposizione dei nostri membri mezzi adeguati per la loro santificazione, credono che siamo mal equipaggiati per affrontare le nuove sfide apostoliche e che le nostre strutture non facilitano un impegno radicale evangelico in povertà e in fedeltà ai segni del tempo” (José Cristo Rey Garcia Paredes).
 
Nei convegni in cui ci si interroga sulla situazione attuale della vita religiosa, si sente spesso dire che è più facile fondare un nuovo istituto religioso, che rinnovare uno vecchio. Le cause dell’attuale crisi vengono attribuite in generale al fatto che i sentieri di una volta non sono più percorribili, mentre quelli nuovi non sono ancora sufficien­temente chiari.
 
Segni di estinzione o segni del tempo?
 
Alcuni tendono a interpretare i fatti che ho appena delineato come segni inequivocabili che la vita religiosa va estinguendosi e che altri gruppi prenderanno il suo posto all’interno della Chiesa e nel servizio al popolo di Dio.
 
Quello che sta succedendo, in realtà è che noi religiosi siamo chiamati a ricollocarci all’interno di una Chiesa che guarda sempre di più all’esterno (José Cristo Rey Garcia Paredes).
 
E in questo contesto siamo soprattutto chiamati a entrare in un nuovo rapporto con gli altri membri della Chiesa, in particolar modo con i laici.
 
Vedendo cessare noi religiosi il nostro ruolo di figure di comando nella missione della Chiesa, abbiamo preso coscienza come il Signore della messe, in una maniera che noi non ci saremmo mai immaginato, abbia già risposto tutto questo tempo alla nostra preghiera “perché mandi operai per la sua messe” (Lc. 10, 2).
 
Il calo numerico dei religiosi e la riduzione delle nostre attività insieme alla nascita di altri gruppi ecclesiali e la necessità che i religiosi riacquistino la fiducia nella vita religiosa ci mettono di fronte ad una realtà che ci aiuta a riconoscere una verità che altrimenti forse non saremmo riusciti a riconoscere. Questa verità è:
 
Il carisma della vita religiosa non è determinato nè dal numero dei religiosi, nè dal prestigio e dall’efficienza delle sue istituzioni e dei suoi servizi e nè dalle alte cariche che i suoi membri raggiungono nella società o nella Chiesa.
 
Ma se la vita religiosa non è più determinata dai criteri, ai quali ci siamo abituati, da che cosa sarà determinata in futuro?
 
 
IL FUTURO
 
Mentre nessuno può rivendicare la facoltà di prevedere il futuro della vita religiosa, in tutto il mondo i religiosi stanno identificando alcuni movimenti che sembrano di grande importanza per ciò che concerne lo sviluppo futuro della vita religiosa.
 
1.     Testimonianza profetica
 
Una cosa che sembra abbastanza chiara è che i religiosi in futuro saranno chiamati sempre di più a giocare un ruolo profetico nella Chiesa e nella società.
 
Questo è anche il motivo per cui, all’inizio di questo discorso, ho dedicato tanto spazio alla dimensione profetica della vita e dell’opera di San Giovanni di Dio,
 
Mediante il suo essere profeta chiamò sia la Chiesa che la società, che ambedue si perdono volentieri nei propri piani, ad attendere prima di tutto al disegno di Dio.
 
Animati dallo stesso spirito noi Fatebenefratelli non permetteremo mai che il nostro servizio ai poveri e agli ammalati diventi un tranquillante per la società, ma faremo di tutto, affinché il nostro servire, in qualunque forma esso venga attuato, serva “per la loro promozione, impegnandoci evangelicamente contro ogni forma di ingiustizia e manipolazione umana e collaborando al dovere di risvegliare le coscienze di fronte al dramma della miseria” (Cost. l2c).
 
2.     Atteggiamento contemplativo verso la vita
 
La dimensione contemplativa assumerà una valenza sempre più importante nella vita religiosa.
 
Il modo in cui San Giovanni di Dio ha contemplato il mondo lo ha portato a vederlo sempre di più come lo vede Dio e a comprendere sempre più in profondità il significato della sofferenza e del dolore. 
 
Noi saremo portati a vedere le nostre comunità sempre di più come centri di spiritualità, come luoghi in cui si speri­menta Dio e in cui anche i laici potranno pregare e interrogarsi sul significato della loro vita.
 
3.     I poveri e gli emarginati al centro del nostro servizio
 
I religiosi concentreranno le loro risorse spirituali, materiali e umane sul servizio ai poveri.
 
Il nostro orientamento di fondo è già quello di rispondere ai bisogni dei poveri, qualunque essi siano. La risposta a questi bisogni potrà anche portare a cambiamenti nelle strutture a favore dei poveri, degli ammalati e degli emarginati.
 
Facendo così ci faremo carico delle implicazioni che derivano dalla nostra chiamata di “essere voce di coloro che non hanno voce” e di fungere come loro interpreti nella società.
 
Scopriremo sempre di più la libertà derivante dai nostri voti di poter servire là dove altri non vogliono o non possono andare.
 
4.     Spiritualità dell’intregalità e dell’interconnessione globale
 
La contemplazione farà crescere nei religiosi la convinzione come la creazione formi un tutt’uno indivisibile.
 
Non ci batteremo soltanto per promuovere l’armonia tra i popoli, ma ci batteremo anche per promuoverla all’interno della creazione stessa. Dimostreremo più sensibilità per la questione ecologica e più responsabilità nell’uso delle risorse della terra.
 
Nel nostro campo specifico, vale a dire della salute, ci sforzeremo sempre di più a integrare all’insegna del Vangelo spiritualità e tecnologia.
 
5.     Vivere con poco
 
I religiosi continueranno a indirizzarsi verso uno stile di vita sempre più semplice rinunciando a tutte le cose non essenziali e accontentandosi del necessario.
 
Saremo sempre più coscienti che non siamo “padroni dei (nostri) beni temporali, ma solo rappresentanti e amministratori” (Cost. l00c).
 
Come religiosi il nostro ruolo nella missione della Chiesa sarà condizionato in maniera crescente dal fatto che potremo contare su sempre meno risorse materiali. Lo stile di vita e la configurazione delle comunità saranno determinati dalle esigenze della missione e non viceversa.
 
6.     Collaborazione con altri religiosi e i laici
 
I religiosi non vedono più l’antica dicotomia tra l’essere religioso e l’essere laico.
 
Il nostro Ordine ha già riconosciuto che le “numerose migliaia di uomini e donne che, come sacerdoti, religiosi o religiose, collaboratori laici, volontari e benefattori, partecipano con i confratelli nell’assistenza ai malati e ai bisognosi… manifestano l’amore di Dio per i deboli” (Capitolo Generale 1988).
 
Il Secondo Convegno Internazionale dei Collaboratori Laici dell’Ordine svoltosi nel 1988 ha permesso all’Ordine di raggiungere una nuova e più profonda dimensione nel rapporto tra laici e confratelli.
 
 
CONCLUSIONE
 
All’inizio del mio discorso ho detto che avrei tentato di mettere in risalto il messaggio che a mio avviso San Giovanni di Dio e la sua canonizzazione possono e vogliono trasmetterci oggi.
 
Per fare ciò ho parlato:
 
  • * del carisma dell’ospitalità;
  • * del nuovo concetto di Ordine;
  • * della situazione dell’Ordine;
  • * di San Giovanni di Dio come servo e profeta;
  • * della vita religiosa e
  • * del futuro.
  
IL CARISMA DELL’OSPITALITA’
 
Avrete notato che ho parlato del carisma dell’ospitalità come di una cosa che ci unisce come confratelli, e come cristiani collegando le nostre vite attraverso una visione comune, traguardi comuni e valori comuni.
 
La nostra visione è quella di un mondo trasformato dal “Cristo compassionevole e misericordioso del Vangelo” (Cost. 2a) la cui “presenza manteniamo viva nel tempo” (Cost. 2c).
 
Il nostro traguardo è di entrare nelle vite dei poveri, degli ammalati e degli emarginati, affinché “la nostra vita (diventi per loro) segno e annuncio della venuta del regno di Dio” (Cost. 3b).
 
I nostri valori comuni sono numerosi, ma questo non è certo il momento più adatto per dilungarsi su di essi. E’ sufficiente dire che i più importanti di essi sono:
 
FEDE centrata sull’amore e sulla misericordia di Dio;
 
OSPITALITA’ manifestata attraverso un profondo affetto e una dedizione senza risparmio all’intera famiglia umana,
 
SENZA DISCRIMINAZIONE ALCUNA e con
 
RISPETTO PER I DIRITTI UMANI e la
 
DIGNITA’ E IL VALORE DELLA VITA.
 
ATTENZIONE VERSO I POVERI e i loro bisogni, attenzione che non mira soltanto ad alleviare la sofferenza, ma anche e soprattutto a promuovere
 
LO SVILUPPO E LA CRESCITA PERSONALE di tutti.
 
COLLABORAZIONE che si esprime
 
NELL’APERTURA VERSO I LAICI e nel
 
DESIDERIO DI COLTIVARE IL DIALOGO E LA COMPRENSIONE MUTUA.
 
GIUSTIZIA che si manifesta attraverso
 
L’ALTRUISMO e
 
IL SERVIZIO EFFICIENTE che a sua volta promuove
 
L’INIZIATIVA E LA CREATIVITA’.
 
SPIRITUALITA’ che implica il
 
RISPETTO PER LE CONVINZIONI ALTRUI.
 
 
Tutti questi valori possono essere riassunti
nel valore-chiave che noi abbiamo chiamato
 

UMANIZZAZIONE.

 
Valori ‘come stelle’
 
Questi sono, a mio modo di vedere, alcuni dei valori più significativi dell’Ordine. Essi costituiscono i principi e gli ideali che contrassegnano il nostro cammino. Naturalmente non pretendo che l’Ordine onori questi valori o dia loro il peso che meritano in ogni circostanza e in ogni luogo.
 
A questo proposito mi sembra opportuno più che mai ricordare il famoso detto di Montaigne: “Gli ideali sono come le stelle. Non li raggiungiamo mai. Ma come i marinai in alto mare tracciamo la nostra rotta con il loro aiuto.”
 
All’inizio del mio discorso ho detto che desideravo illustrare il messaggio che la figura di San Giovanni di Dio e la sua canonizzazione contengono per me.
 
Secondo me questo messaggio può essere letto in diverse direzioni:
 
CARISMA
 
Il carisma dell’ospitalità è un dono che lo Spirito Santo distribuisce generosamente tra il popolo di Dio per il suo bene.
 
San Giovanni di Dio ha ricevuto questo dono. Collabo­rando pienamente con esso la sua vita è stata trasformata da esso facendolo diventare guaritore e evangelizzatore di coloro che avevano più bisogno dell’amore misericordioso di Dio.
 
Noi abbiamo ricevuto lo stesso dono e siamo chiamati a lasciarci trasformare da esso.
 
Il carisma è un dono che unisce coloro che lo ricevono.
 
L’effetto unificante del carisma dell’ospitalità è uno dei mezzi che Dio ci ha voluto offrire per affrontare il futuro.
 
L’ORDINE
 
L’Ordine è un corpo all’interno della Chiesa che incarna la visione, i traguardi e i valori di San Giovanni di Dio.
 
Come tale l’ordine si sta avvicinando ad una visione di se stesso che non è più ristretta al nucleo dei suoi membri professi, ma assume sempre di più una dimensione universale.
 
Secondo questa visione l’Ordine è presente e, attivo nelle persone e nelle azioni di tutti coloro che contribui­scono a portare avanti l’opera di San Giovanni di Dio nell’assistenza e nella cura dei poveri, degli ammalati e degli emarginati.

 

 
LA SITUAZIONE ATTUALE DELL’ORDINE
 
Oggi l’Ordine attraverso 35.000 tra religiosi e laici sta assistendo e aiutando quotidianamente migliaia di persone, probabilmente tante persone come mai prima nella sua storia.
 
E’ in atto un movimento chiaramente tangibile che mira ad aggiornare le nostre modalità tradizionali di realizzare l’ospitalità e l’Ordine si sta impegnando attivamente in nuove forme dell’ospitalità.
 
L’esercizio dell’ospitalità ovviamente non può essere ristretto al numero dei religiosi che hanno seguito una precisa vocazione a questo titolo.
  
SERVO E PROFETA
 
Come Gesù San Giovanni di Dio ha agito sia come servo sia come profeta e anche noi siamo chiamati ad operare in questa duplice direzione.
 
Il nostro tempo sembra chiamarci con particolare insistenza a farci profeti della carità.
 
Come profeti della carità abbiamo il compito di ricordare, attraverso l’azione e la parola, alle strutture della Chiesa e del mondo che i poveri, i deboli e gli emarginati hanno indelebili diritti umani che derivano dalla loro umanità e che non possono essere cancellati adducendo come pretesto la loro “improduttività”.
 
Dovendo l’Ordine come la Chiesa essere costantemente in atteggiamento di rinnovamento e di conversione, deve ascolta­re e seguire le voci profetiche che si levano dalle proprie file, anche se tali voci ci dicono delle cose sul nostro modo di vivere e di agire che noi preferiremmo non sentire.
  
LA VITA RELIGIOSA
 
Le profonde trasformazioni che stanno sconvolgendo numerosi aspetti della vita religiosa non debbono essere interpretate come un disastro inspiegabile.
 
Se consideriamo i fatti con gli occhi della fede, ci rendiamo conto che la vita religiosa è di nuovo tornata nelle mani del vasaio, affinché egli la rimodelli, come pare giusto a lui.
 
Il carisma della vita religiosa non è determinato dal numero dei religiosi, dal prestigio che godono o dall’efficienza delle loro istituzioni e dei loro servizi.
 
E’ determinato invece dal valore della testimonianza evangelica che i religiosi offrono al mondo e in particolare ai poveri, agli ammalati e agli emarginati di questo mondo.
 
 
IL FUTURO
 
La visione, i traguardi e i valori di San Giovanni di Dio e del suo Ordine non hanno perso nulla della loro validità e freschezza. Essi trovano espressione nel carisma dell’ospitalità, un dono di cui Dio non vorrà        mai privare il suo popolo.
 
Formando questo dono parte intima del patrimonio del popolo di Dio, esso continuerà ad essere esercitato. Nel futuro dell’ospitalità ci sarà anche spazio per noi. Ma non è uno spazio assicurato.
 
Si tratta piuttosto di uno spazio che vuole essere conquistato mediante una cooperazione instancabile con il dono dell’ospitalità e il suo donatore, una cooperazione che è stata vissuta e realizzata in maniera esemplare da San Giovanni di Dio.
 
Egli è stato fatto santo, perché ha saputo attingere a piene mani a questo dono trasmettendo la sua forza a tutti coloro che ne avevano bisogno e ai quali era destinato.
 
Questo anniversario ci ricorda e i costi e le glorie che comporta l’accettazione e la trasmissione di questo dono.
 
Come per San Giovanni di Dio il futuro per noi non è nè una promessa nè un avvenire dall’esito scontato, ma una sfida.
 

 

 
  
RIFERIMENTI
 
 
1.     Castro, Francesco, cap. 7.
 
2.     Pio XII, Discorso ai nuovi Cardinali, 20 febbraio 1946.
 
3.     Vedi le Dichiarazioni del Capitolo Generale Straordinario,
       1979.
 
4. Dichiarazioni del 62° Capitolo Generale, 1988, Introduzione.
 
5.    Ibid.                
 
6.     O’Grady, Benedict, “Sulle tracce di San Giovanni di Dio”, Roma, 1988.
 
7.     S.M. Schneiders 11114, “New Wineskins”, 1986, Paulist Press, New York.
 
8.         Questa sezione si basa in larga misura su un discorso tenuto da Padre José Cristo Rey Garcia Paredes dinanzi all’unione dei Superiori Generali sul tema “Laici e Religiosi nella Chiesa” il 23 maggio 1990.
 
9.    Cfr. Clark, David, “The Liberation of the Church”, 1984, Birmingham, NACCAN.   

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