PIERLUIGI MICHELI: “Eccomi! Sono pronto alla chiamata” – Angelo Nocent

 

PIERLUIGI MICHELI:

“Eccomi! Sono pronto alla chiamata.” 

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Il dottor Pierluigi Micheli, come si dice nel bel ritratto iniziale delineato da Andrea Martano, è stato un “uomo dei semitoni”, una persona “modesta” nel senso più nobile (purtroppo ignorato dall”‘urlato” e dall’arroganza dei nostri giorni) del termine. È stato un innamorato delle profondità ove i silenzi sono colmi di parole supreme, la superficialità è impossibile, l’ineffabile si svela.   

Laggiù, senza clamore, incontrava le grandi luci che hanno guidato la sua esistenza e la sua ricerca e che ques(te pagine vo- gliono attestare. Là egli penetrava nei misteri della fede, visti come la più alta risposta alle interrogazioni della ragione. Là egli in- contrava gli “spiriti magni” del pensiero e della letteratura, a partire dall’amatissimo Dante. In quell’orizzonte non striato dalla chiac- chiera e dal rumore egli attendeva il fiorire dell’armonia musi- cale, soprattutto quella dei prediletti Bach e Mozart. In quel luogo di speranza trovava l’entusiasmo per quella professione di medico che egli visse solo come vocazione e che per questo s’intrecciò inestricabilmente con la sua vita.

C’è un po’ di emozione nel leggere le sue righe qui raccolte: sembra quasi di rompere il cerchio del suo riserbo, del suo silenzio intimo, del suo viaggio in mari sempre più vasti. Ma forse è lui stesso per primo a “smitizzare” questa esitazione con quelle gocce di umorismo e di ironia che lasciava spesso cadere nei suoi dialoghi, consapevole di quanto aveva scritto Hermann Hesse: “Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell’uomo a prendere sul serio la propria persona“. 

 

Eppure è proprio questa la vera “serietà” che segna anche le pagine della sua ricerca privata a cui ora siamo ammessi. E a noi sembra, leggendole, che esse, nonostante la molteplicità dei temi, dei soggetti e dei profili che offrono, rivelino alla fine un solo volto, quello del loro autore, uomo assetato di fede e di sapienza, di verità e di bellezza. Proprio come confessava di sé ]orge Luis Borges al termine del suo zibaldone L’artefice: “Un uo-mo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni po- pola uno spazio con immagini di province, di regni, di monta- gne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”. 

Ogni ricordo, come dice la stessa etimologia del termine, è un “riportare al cuore”, cioè un far rivivere nell’affetto e nel sentimento una presenza che è forse stinta ma non estinta. Le pagine che ora scorreranno vogliono raggiungere proprio questa meta: desiderano riproporre dal vivo una figura amata da tante persone, la cui presenza, già prima silenziosa e discreta, dal 22 giugno 1998 esteriormente si è dissolta ma spiritualmente è ancora viva e intensa. lenzio intimo, del suo viaggio in mari sempre più vasti. Ma forse è lui stesso per primo a “smitizzare” questa esitazione con quelle gocce di umorismo e di ironia che lasciava spesso cadere nei suoi dialoghi, consapevole di quanto aveva scritto Hermann Hesse: “Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia del l’uomo a prendere sul serio la propria persona”.

Gianfranco Ravasi 

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Dr. PIERLUIGI MICHELI – Biografia http://www.tuoblog.it/pierluigimicheli     

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 Nel giorno dell’aggregazione all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (o.h.)

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 Con i vescovi milanesi

“QUEL NON SO CHE” CHIAMATO AGAPE

Quel “non so che”, chiamato da Paolo agàpe e che noi traduciamo con amore è paradossalmente l’opposto dei grandi doni: “se possiedo tutta la scienza e anche una fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io non sono niente “ ( 13,2).

Se la santità è agàpe, ossia amore, allora un santo altro non è che un innamorato. Di chi e di che cosa avremo modo di approfondirlo in seguito.

Il significato della parola “santo” però va ulteriormente precisato. L’uso del termine nel Vecchio Testamento, riservato agli uomini, è eccezionale. In genere viene usato per gli eletti del tempo escatologico. Nella Parola neotestamentaria, l’aggettivo “santo”  viene trattato quasi come un sostantivo, sottraendolo a quella istintiva valutazione per cui si vorrebbe riferirlo solo a personalità di elevata statura morale. All’origine c’è la persuasione d’essere stati semplicemente chiamati a un’oggettiva situazione di santità.

  • Paolo ai Corinzi: ”chiamati per essere santi” (1,2); 

  • Pietro: “15 Di fronte a Dio che vi ha chiamati, siate come figli ubbidienti; egli è santo e anche voi siate santi in tutto quel che fate. 16 Nella Bibbia infatti è scritto: Siate santi, perché io sono santo “.( 1Pt 1,15-16) 

Il mondo moderno ha subìto una caduta della capacità dialettica, più grave della caduta della morale. Agnosticismo filosofico, indifferentismo religioso, relativismo morale, le varie ideologie vegetariane, animaliste, i guru e i culti esoterici, il timore di trasmettere la vita. L’uomo di oggi non vuoI più sentirsi dire che la vita è una battaglia ” (Cf. 88).

 Non sembra di leggere Benedetto XVI ? Il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium (40) parla di “Universale vocazione alla santità nella Chiesa”. I sensi di lettura possono essere due, uno più esteso dell’altro: può indicare sia che nella Chiesa tutti i membri sono chiamati alla santità sia che tutti gli uomini sono chiamati alla santità nella Chiesa. Peguy l’ha risolta in questo modo: e rientra dalla finestra” (Pierluigi Micheli)  

 “Tutti i cristiani hanno la vocazione di essere santi e tutti gli altri uomini hanno la vocazione. Il PADRE NOSTRO è una preghiera corale che tutti gli uomini possono dire e che nella sua universalità non è legata a correnti di pensiero. E’ la preghiera dell’UOMO ” (f.73) 

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COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI…SCHIENE A DISPOSIZIONE DI DIO

  • Ci mettiamo a disposizione di Colui “che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi...”(2 Corinti 5,15);

  • Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attrarre dentro il suo “per tutti“: essendo con Lui possiamo esserci davvero “per tutti“. (Benedetto XVI Messa crismale giovedì santo 2007). 

“La carità esce dalla porta …

PIERLUIGI MICHELI  

 

Quasi alla fine del suo mandato di Primario presso l’Ospedale “San Giuseppe” dei Fatebenefratelli diMilano, il Dr. Pierluigi MICHELI ha accettato l’investitura di aggregatoall’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, come prevedono gli Statuti Generali nei seguenti articoli:

 

“23.    La carità cristiana chiede che, per quanto di­pende da noi, facciamo partecipi persone e gruppi dei beni spirituali del nostro Ordine.   Perciò, il Superiore Generale, a nome di tutto il nostro Istituto, può aggregare all’Ordine le persone fisiche e giuridiche proposte dal Definitorio Provinciale, per renderle partecipi, in virtù della comunione dei santi, dei meriti delle buone opere che i Confratelli compiono nel­l’ apostolato ospedaliero.

   

Le condizioni per poter ottenere questa aggrega­zione sono le seguenti:

  • professare la fede cristiana;

  • essere di condotta esemplare per i costumi e per la vita familiare e professionale;

  • aver manifestato stima al nostro Ordine, coope­rando alle sue opere di carità in modo notevole.

 24.   La Chiesa ci esorta a promuovere e favorire le opere apostoliche dei laici, secondo lo spirito del proprio istituto. Per questo, tenendo presente la varietà delle cir­costanze e secondo le diverse possibilità, ci sforzia­mo di creare e favorire le associazioni, i gruppi di volontari e i movimenti dei laici, che testimoniano Cristo specialmente con le opere di misericordia e di carità. Siamo attenti a questo, soprattutto, nei confronti dei nostri collaboratori più vicini, onde aiutarli a integrare i loro valori professionali con le qualità umane ed evangeliche che sono richieste nell’assistenza degli ammalati.

 25.   Ci sono persone e gruppi, non menzionate nel numero precedente, che, animate dall’esempio di San Giovanni di Dio e dalla sua azione misericordiosa, partecipano in maniera notevole alla missione dell’Ordine.         

Il Superiore Generale, su proposta del Definitorio Provinciale, esprimerà a queste persone la

gratitudine dell’Ordine, nel modo più opportuno”. (Statuti Generali -Testo Ufficiale approvato dal  Capitolo Generale Straordinario del 1997)

  

L’aggregazione ha, quindi, il significato di un riconoscimento da parte della Chiesa, dati i presupposti:

  • ha professato la fede cristiana;

  • Ha dimostrato una condotta esemplare per i costumi e per la vita familiare e   professionale;

  • ha manifestato stima al nostro Ordine, coope­rando alle sue opere di carità in modo    notevole.

In altre parole, possiamo dire che la sua vita è stata letta e riconosciuta come una interpretazione fedele ed autentica dello “spiritum hospitalitatis”, ossia del carisma peculiare che la Chiesa  riconosce ai discepoli dell’apostolo di Granada san Giovanni di Dio, patrono universale dei malati e degli operatori  sanitari.

  

Egli ha vissuto il carisma dell’hospitalitas da “Christifidelis laicus”, ossia di  discepolo del Signore che ha portato a maturazione il suo battesimo nello status di persona  coniugata ed esercitando la professione-vocazione di medico.

  

Che di vocazione si tratti è lui stesso ad ammetterlo:

  

Chiunque sia chiamato ad assistere i malati guarda a Cristo come esempio deve imitarlo nella discretio e nella misericordia. L’etica del medico non è tanto nell’atto di sanare quanto nel gesto di carità; la dignità è data dal sigillo del divino; l’arte medica deve essere ritenuta come coinvolgimento totale, come operazione caritativa che, per noi che la leggiamo in linguaggio  cristiano, vuoI dire vedere in ogni ammalato l’immagine di Cristo.

  

Infatti Pierluigi aveva già affermato che “l’orizzonte della medicina, dell’ars medica, se non  viene ridotto a coordinate puramente tecnico-strumentali e non si dimentica l’umano, l’etico, lo spirituale, è veramente grandioso. Diceva Platone che chi insegna medicina deve essere, secondo una antica immagine, l’hegoumenos che prende per mano il discepolo, aiutandoloa percorrere un tratto con sé, per lasciarlo poi proseguire sui suoi piedi con la forza dello slancio acquisito” ( Cf. 27).

L’uomo pensa, ama, soffre, ammira, prega, tutto insieme con il suo cervello, con tutti i suoi organi e con la sua anima (GarreI). La tecnica non è l’unico fattore determinante del progresso come credeva Renan. La persona umana è formata di carne (è l’Io,biologico), di intelletto (l’Io pensante), di speranza (l’Io credente).

  

Da questa coscienza procede che ”La medicina deve occuparsi dell’uomo nella sua totalità: l’avvenire della medicina è condizionato dal concetto che si ha dell’uomo.Il colloquio del medico ricorda la confessione.lppocrate insegnava che il medico deve mortificare l’insolente, il prepotente; ristabilire l’ordine, l’isonomia; è ministro digiustizia, deve essere messaggero di speranza, di ottimismo, di certezza nell’avvenire. Sua deve essere una sacralità caritativa e poetica: litteratissimus et humanus (Flavio Biondo). Deve essere come il samaritano che reca l’olio per ottenere attraverso la guarigione del corpo e la salute la ripresa delle ordinarie occupazioni, degli affetti domestici, della socialità Cf. 108).

  

Nel giugno del 1978 su invito del Padre Generale vi fu un incontro dei direttori sanitari e di un gruppo dei medici dei Fatebenefratelli sul tema: “I Fatebenefratelli tra la riforma e il rinnovamento”.In questo incontro un gruppo di loro definì l’ospedale religioso un ospedale configurato nella stretta osservanza dei principi cattolici, pur nella funzione pubblica del servizio.

  

“…Ma preferirei dire che l’ospedale religioso è un luogo di evangelizzazione. Evangelizzare vuoI dire vedere i problemi quotidiani con la lampada del Vangelo, vuoI dire vedere nel malato l’uomo condividendo con lui le sue sofferenze, le sue preoccupazioni, i suoi rim pianti, le sue speranze “ ( Cf. senza numero).

 

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