05 – PADRE NOSTRO – LA COMUNITA’ RELIGIOSA – Luca Beato oh

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LA COMUNITA’ RELIGIOSA

 

Dimensione spirituale

 

La vocazione religiosa è una chiamata di Dio al compimento di una missione speciale nella Chiesa per la salvezza del mondo. La chiamata è un carisma, un dono speciale per l’utilità di tutti. Non è soltanto un dono speciale di Dio per la santificazione personale, come si pensava una volta. L’ingresso in un Ordine religioso suppone una consonanza del carisma personale con il carisma del Fondatore, tramandato e vissuto nel tempo dall’Istituto religioso. Allora la vocazione personale ad una missione speciale diventa una con-vocazione per una con-missione. E qui viene fuori la dimensione comunitaria della vocazione e della missione.

 

La comunità religiosa è una comunità relazionale; il suo fine primario e proprio lo stare insieme, è la comunione personale. In secondo luogo viene l’aspetto funzionale: lo scopo da raggiungere insieme nella linea del carisma dell’Istituto. Tre cose si devono portare avanti contemporaneamente nella comunità religiosa:

  • la crescita personale,

  • il rapporto interpersonale

  • e il servizio ecclesiale.

La dimensione teologica della comunità religiosa si articola in diversi aspetti.

Comunità di fede: si tratta della fede viva, accompagnata dalla speranza e dalla carità, che si esprime nella risposta alla chiamata del Signore. Il nostro Fiat, come quello della Madonna, esprime fiducia totale nel Signore per il tempo e per l’eternità, ed insieme la disponibilità a mettere la propria vita a servizio del popolo di Dio.

 

Comunità di Amore: si tratta dell’Amore di Agape, come quello con cui ama Dio. Amore creativo, Amore oblativo, Amore gratuito ( qui si inserisce anche la castità consacrata ), Amore misericordioso, che sa compatire, che sa perdonare. Il sapersi amati da Dio riempie il cuore di gioia e rende disponibili all’amore verso il prossimo. Per converso, una comunità che manca di gioia, probabilmente ha perso di vista questa dimensione di fede e di amore, che è un dono dello Spirito Santo.

 

Comunità di culto: specialmente l’Eucaristia. Nella Liturgia riformata è possibile una vera partecipazione personale, mentre prima faceva tutto il sacerdote da solo in una lingua per molti incomprensibile e si credeva che valesse per tutti. Questo non esclude la preghiera personale, che anzi deve trovare un ampio spazio nella vita quotidiana.

 

Gli Statuti fissano due momenti, uno al mattino e uno alla sera per la preghiera Liturgica comunitaria. Il resto può essere fatto anche in privato. Sarà la Provincia, o la Comunità o il singolo religioso nel progetto di vita a farsi un programma. Si esclude la delega al clero o ai monaci: questo vale anche per le Messe di suffragio. E’ la Comunità religiosa che deve pregare per i suoi morti. Inoltre essa deve animare la Liturgia che sarà aperta per quanto è possibile a tutta la comunità ospedaliera: collaboratori, volontari, malati.

Comunità di ideali: su molti aspetti della vita consacrata, ma soprattutto sul carisma dell’Istituto, per una ricerca insieme delle soluzioni nuove in risposta ai nuovi problemi della nostra società, senza perdere mai di vista la dimensione escatologica della vita religiosa.

Comunità di beni: qui si inserisce il voto di povertà, non per arricchire il Convento, ma per aiutare i poveri, i malati, i bisognosi, gli ospedali del terzo mondo.

Comunità di servizio: sia all’interno della comunità religiosa, specie verso confratelli malati o anziani, sia all’esterno: la comunità ospedaliera. Gli Statuti scendono nei particolari per i malati ( n.43 ) per le missioni ( nn. 45-46 ) e la pastorale della salute ( nn. 47-49 ).

 

Appare evidente che per realizzare una comunità di questo tipo bisogna che i religiosi si ritrovino insieme di frequente nelle riunioni di famiglia per parlare di queste cose e prendere insieme le decisioni opportune.

Il Signore Gesù ci comunichi il suo Spirito d’amore per vivere il carisma dell’ospitalità secondo lo spirito del nostro Fondatore San Giovanni di Dio

 

Bibliografia essenziale

 

Per la Teologia della vita religiosa è fondamentale il libro:

J.AUBRY – F.CIARDI – S.BISIGNANO – M.FARINA – P.G.CABRA -B.MAGGIONI, Vita consacrata, un dono del Signore alla sua Chiesa, Editrice Elle Di Ci, 10096 Lewnann (Torino), 1993.

Per l’origine, l’evoluzione storica e giuridica della vita religiosa, può giovare: HANS KȔNG, Cristianesimo, Essenza e Storia, Rizzoli 1997.

 

 

Dimensione giuridica

 

Tempi apostolici

 

La Comunità cristiana prende le decisioni importanti, nella ricerca della volontà di Dio. Esempio classico: il Concilio di Gerusalemme dell’anno 50 d.C.

 

La Comunità cristiana, che ha deciso, si sente anche impegnata a realizzare le decisioni condivise.

Il Superiore, come primus inter pares:

  • rappresenta l’unità della comunità, ne è il simbolo,

  • è il principale responsabile del buon andamento della comunità,

  • è l’animatore del gruppo.

  •  

Impero – Medioevo

 

L’imperatore è l’incarnazione della divinità e il depositario di tutti i poteri: religiosi, politici, economici, giudiziari…

Le chiese cristiane si organizzano in senso monarchico già nei tempi sub-apostolici ( Cfr. Tito e Timoteo e Lettere di Sant’Ignazio d’Antiochia ), ma conservano al loro interno molta democrazia: i Vescovi sono eletti dal popolo e così pure i preti di campagna. Caso classico molto conosciuto è l’elezione di Sant’Ambrogio.

 

In seguito le nomine dei Vescovi vengono riservate al Papa e la scelta dei preti viene fatta dal Vescovo della diocesi.

Il Monachesimo presenta l’abate a vita.

 

In Occidente l’autorità del Papa si afferma ancora di più con la creazione del Sacro Romano Impero: è infatti il Papa che incorona l’imperatore. Prima avveniva il contrario: da Costantino in poi e in seguito nell’impero d’Oriente, il vero Papa in realtà era l’imperatore: era lui che dirimeva le questioni religiose, che convocava ed approvava i Concili ecumenici, ecc. Ora in Occidente il Papa è sopra l’imperatore.

 

L’autorità viene da Dio che la comunica tutta al Papa. Il Papa, quindi, è il Dio in terra ed il suo governo è la Teocrazia. Egli trasmette una parte della sua autorità all’imperatore per il settore civile. L’imperatore ha vassalli, valvassori e valvassini sotto di sè. Il Papa ha i Vescovi e questi hanno i preti. Poi per arrivare più direttamente al popolo il Papa crea gli Ordini religiosi esenti dalla giurisdizione dei Vescovi.

 

Il sistema in vigore è quello delle nomine, propriamente dette “investiture” del Feudo, laico per l’imperatore ed ecclesiastico ( diocesi ) per il Papa. Poi ci sarà anche la lotta tra il Papa e l’imperatore per le investiture.

Il criterio in base al quale vengono fatte le investiture è quello della fedeltà. Chi riceve l’investitura giura fedeltà a chi gliela concede. Non si tiene conto della bravura o dei meriti personali se non in maniera secondaria.

 

Ordini mendicanti

 

Con S. Francesco e gli Ordini mendicanti che ne sono seguiti ( quindi anche i Fatebenefratelli ) si ha un ritorno alla vita apostolica, alla fraternità.

Quindi si fanno i Capitoli: locali, provinciali e generali, che sono vere elezioni, dove chi decide è la base.

 

Concilio di Trento

 

Dopo il Concilio di Trento vanno di moda i Gesuiti, che sono un ordine militaresco ( anche se si definiscono Compagnia di Gesù ) con Generale a vita e quindi tutte le Congregazione religiose che sorgono dopo hanno questo tipo di organizzazione: l’autorità piove dall’alto con le nomine. E tutto questo viene coperto da una mistificazione: il Superiore nominato dall’alto viene definito ” eletto”, sottinteso, da Dio. Anche dei Cardinali si dice che sono eletti, invece sono nominati dal Papa.

Concilio Vaticano Il

 

Il Concilio Vaticano Il ha voluto un “aggiornamento” generale della Chiesa e in esso ha incluso anche una riforma degli Istituti religiosi.

Si parte dal diritto canonico e si dice che deve essere aggiornato con riferimento alla teologia morale, questa a sua volta deve essere aggiornata con riferimento alla teologia dogmatica, questa a sua volta deve essere aggiornata con riferimento alla Bibbia e questa deve essere interpretata con l’applicazione dei generi letterari. Ecco perché si parla di ritorno alle fonti o alle origini del cristianesimo.

 

Anche gli Istituti religiosi sono stati impegnati in questo lavoro di aggiornamento. E il criterio adottato è quello nuovo, apostolico, noi diremmo democratico, del coinvolgimento dei religiosi: prima a livello di comunità locali, poi a livello di Provincia e infine a livello di tutto l’Ordine. Dopo tanti anni di lavoro, possiamo essere contenti di avere le Costituzioni aggiornate e bellissime e adesso anche gli Statuti Generali nuovi di zecca ( 1997 ).

 

Possiamo anche affermare che il nostro Istituto, per quanto riguarda il governo dell’Ordine, grazie a S. Francesco e agli Ordini mendicanti, da cui ha preso i regolamenti, nella fase del rinnovamento, ha scoperto di essere già democratico, ( a differenza delle Congregazioni sorte dopo i Gesuiti ), con i suoi Capitoli locali, provinciali e Generale; con vere elezioni nel Capitolo Provinciale e Generale, e con larga rappresentatività della base mediante i vocali.

 

Certo, cambiamenti se ne possono fare sempre e quindi il discorso resta aperto anche dopo l’approvazione degli Statuti Generali. Tuttavia bisogna tenere presente che non ogni cambiamento è migliorativo, occorre sapere in quale direzione si sta andando. Per esempio, al tempo del Generalato di Padre Mosè Bonardi, c’era stato un cambiamento ad experimentum, chi dice voluto da lui, chi invece imposto dalla Santa Sede, nella elezione del Provinciale e del Generale, come pure nella durata di 12 anni del generalato, ma era antistorico perché ci allineava alle Congregazioni postgesuitiche, con elezioni solamente consultive.

 

Lo stesso dicasi per la modifica apportata dall’ultimo Capitolo Generale del Novembre 2000 sul modo di eleggere i Priori, dove il Capitolo Provinciale ne esce completamente esautorato: fa tutto il nuovo governo provinciale.

 

Norme per l’esercizio dell’Autorità nella Chiesa

 

Per non perdere di vista la via del rinnovamento, ricordiamo le norme indicate dal Concilio per l’esercizio dell’Autorità nella Chiesa, definita con l’affermazione giudicata rivoluzionaria di “popolo di Dio”, anche se poi nella pratica si procede lentamente e con fatica. L’Autorità nella Chiesa, a tutti i livelli, deve essere esercitata non come dominio, ma come servizio. Ma perché questo avvenga davvero, senza il pericolo che si trasformi in dominio, occorre osservare delle regole ben precise:

  • Collegialità. L’autorità non deve mai essere concentrata nelle mani di una sola persona. Per questo il Concilio ha voluto: che il Papa fosse aiutato dal Sinodo dei Vescovi per le questioni più importanti; che il Vescovo fosse coadiuvato dal Consiglio pastorale e dal Consiglio presbiterale; che il Parroco fosse coadiuvato dal Consiglio pastorale e dalla Commissione per gli affari economici.

  •  

  • Rinnovabilità. Nessuna carica deve più essere a vita. A tempo determinato ci devono essere le elezioni per i nuovi incarichi o rinnovi. La comunità è depositaria di tutti i poteri e mediante le elezioni conferisce i mandati a determinate persone, che ritiene capaci e meritevoli.

Compiti dell’Autorità:

 

- servizio: la ricerca del bene comune, non l’interesse personale o di gruppi; non il culto della personalità, ecc.

- sussidiarietà: si deve sempre privilegiare la base: non deve fare il Governo Provinciale ciò che può fare da solo il governo locale; non deve fare il Governo Generale ciò che può fare da solo il governo Provinciale. L’autorità superiore non deve annullare quella inferiore, ma valorizzarla, coordinarla, ecc.

  • solidarietà: l’aiuto dei più forti verso i più deboli, dei più ricchi verso i più poveri, dei sani verso i malati, ecc. delle Case più ricche a quelle più povere, delle Province più ricche a quelle più povere, ecc. di quelle del primo verso quelle del terzo mondo, ecc.

  • supplenza: solo come eccezione straordinaria, che conferma la regola della sussidiarietà.

Quelli che continuano a dire che la democrazia vale per la società civile e non per la Chiesa, cadono in un equivoco, perché nei documenti ecclesiastici non si usa il termine democrazia fino alla enciclica Centesimus annus ( 1991 ), ma si usa il termine comunione. Il contenuto però è in gran parte lo stesso, anzi vorrebbe essere più profondo. Ma resta vero il fatto che molte persone del clero e della vita religiosa appartengono al vecchio regime, precedente al Concilio, quando alla democrazia si guardava con sospetto e la si definiva “anarchia”.

 

Purtroppo ci sono anche dei giovani religiosi che sono ancora fermi all’autoritarismo di vecchio stampo. Vuol dire che non è questione di età, ma di maturità. Certo, per chi ha in mano il potere, è molto più comodo e sbrigativo usare il vecchio sistema: dare ordini e pretendere di essere obbedito e riverito. Ma le conseguenze sono: il malumore e la voglia di piantare lì tutto, di chi si sente esautorato, o scavalcato, o escluso dalle decisioni, ecc.

 

Il metodo democratico è più laborioso e più difficile da gestire, ma è coinvolgente e responsabilizzante: ognuno si sente protagonista nella carica o nell’ufficio che occupa, o nella decisione che viene presa assieme.

 

Se vogliamo essere cristiani, non dico religiosi, ma cristiani soltanto, dobbiamo recepire l’insegnamento di Cristo, chiaramente e ripetutamente espresso nel Vangelo, ( Mc 10,43; Gv 13,1-17 ) ( comunione fraterna, servizio reciproco, autorità come servizio alla comunità ) che ci viene riproposto oggi dalla Chiesa in maniera autorevole.

 

Conclusione

 

Gli Statuti Generali nel governo dell’Ordine si limitano a fissare alcune norme minimalistiche, anche se in modo più particolareggiato delle Costituzioni. Lo spirito evangelico, che dà valore di fronte a Dio a tutto quello che facciamo, sfugge ad ogni tentativo di fissarlo in una legge scritta.

 

Gli Statuti Generali sono necessari, ma la loro osservanza da parte nostra ha bisogno di essere animata dal soffio dello Spirito dell’amore, che ci fa andare al di là e al di sopra di ogni legge scritta. Ama et fac quod vis. Ama e fa’ quello che vuoi, diceva S. Agostino. Chi ama davvero non ha misura, non avrebbe neanche bisogno di leggi come il Diritto Canonico, le Costituzioni e gli Statuti Generali, perché arriva spontaneamente a dare la vita per i fratelli, come ha fatto Gesù per noi.

 

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