01 – SOFFERENZA E MALATTIA IN SANT’AMBROGIO – Luca Beato o.h.

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SOFFERENZA E MALATTIA

 

IN SANT’AMBROGIO

 

 

Luca Beato o.h.

 

Fra Luca Beato o.h.-1Per er un approccio valido ed appropriato al pensiero di S. Ambrogio, come pure degli altri Padri della Chiesa sulla sofferenza e la malattia, occorre fare alcune considerazioni previe. A questo proposito dobbiamo ringraziare “l’aggiornamento” del pensiero cristiano operato dal Concilio Vaticano II. Questo aggiornamento, è cosa risaputa, fu eseguito con il criterio del “ritorno

alle origini del Cristianesimo” per liberare l’insegnamento della Chiesa da tutte le incrostazioni che l’avevano deteriorato nei secoli precedenti. Queste incrostazioni non si sono verificate soltanto nel Medioevo, come pensano tanti, ma sono cominciate quasi subito nel processo di inculturazione del pensiero cristiano, proveniente dall’Ebraismo, con la cultura e la filosofia dominate nell’Impero Romano, di estrazione greca.

 

Questo processo è avvenuto in buona fede, come tentativo ritenuto non soltanto utile ma necessario per far accettare il cristianesimo alle persone intellettuali di quel tempo. L’impiego della filosofia greca venne iniziato ad Alessandria d’Egitto, divenuta la capitale della cultura greca, dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani, per opera di due grandi intellettuali cristiani Clemente e Origene.

 

Essi vedevano che molte cose, specialmente nel campo della morale, erano comuni sia ai Greci che ai Cristiani. Essi davano la spiegazione di ciò dicendo che i Filosofi dipendevano dalla Sacra Scrittura. Tra le varie correnti filosofiche ha prevalso il Neoplatonismo e lo Stoicismo. Il pensiero dei Padri Alessandrini passa ai Padri greci e arriva a Basilio Magno. Con Ambrogio, che fa da ponte tra l’Oriente e l’Occidente, il pensiero di Basilio arriva anche ad Agostino e ai Padri posteriori.

 

Dio e mondo materiale

Sia nell’Ebraismo, che nella Chiesa primitiva, si afferma che Dio ha creato il mondo, che il mondo è buono, altrimenti Dio non l’avrebbe creato; che l’incarnazione di Cristo è vera e non apparente. Nella Filosofia Neoplatonica il contrasto irriducibile tra Spirito e Materia rende impossibile che Dio crei il mondo materiale. Si introduce un Essere intermediario, detto Demiurgo.

 

L’evangelista Giovanni introduce nel pensiero cristiano una novità. Egli afferma che la creazione è opera del Logos, il Verbo di Dio. Partendo da qui, i Padri alessandrini trovano una consonanza tra la Filosofia Neoplatonica e il Cristianesimo. Così portano avanti il discorso dell’opposizione tra Spirito e Materia, tra Dio e il mondo, tra i beni spirituali e quelli materiali, introducendo una svalutazione dei beni terreni e vedendo in essi addirittura un ostacolo terribile al raggiungimento dei beni celesti. Dietro i beni terreni, infatti, fa sempre capolino il Diavolo con le sue tentazioni per far cadere l’uomo nel peccato. Viene coniata una serie di coppie di termini opposti presi dalla natura delle cose e li si carica di un significato morale positivo o negativo in se stessi: Dio- mondo, Cielo – terra, Spirito – materia, Divino – umano, eterno – temporale, carne – spirito, razionale – irrazionale, interiore – esteriore, corruttibile – incorruttibile…

 

Anima e corpo

 

Nei tempi recenti è entrato in uso il termine “olistico” per indicare l’unità del composto umano. La Redenzione di Cristo è olistica nel senso che non riguarda solo l’anima, ma anche il corpo. L’Ospitalità, ossia la cura dei malati, deve essere olistica cioè non limitarsi solo al corpo, perché la persona malata porta dentro di sé una grande sofferenza per i problemi che le si parano davanti riguardo la salute, la vita, il lavoro, la famiglia, il futuro…

 

Anche il pensiero ebraico-cristiano era così. Il “corpo” esprime tutta la persona sottolineando l’aspetto esteriore, visibile; “l’anima” esprime tutta la persona sottolineando l’aspetto spirituale e invisibile. Ma nei Padri della Chiesa non è così. La filosofia neoplatonica, di cui è imbevuto il loro pensiero, li porta a sottolineare l’antitesi che c’è nell’uomo tra i due elementi che lo compongono: il corpo e l’anima. Tra di loro c’è una lotta continua ed irriducibile. L’elemento carnale cerca di portare l’anima a peccare, con l’ambizione del potere, con la cupidigia, ossia la ricerca smodata dei beni terreni e l’attaccamento al denaro e con l’appetito insaziabile del piacere, specialmente quello sessuale. “Ecco quali sono le fragilità della carne: si lascia vincere dal timore, infiammare dalle cupidigie, rammollire dalla lussuria, snervare dai piaceri, infuocare dalle febbri, affliggere dal dolore, costernare dalle difficoltà”.

 

Per di più in questi settori interviene il Diavolo a tentare l’uomo per farlo cadere nel peccato, come ha fatto con i nostri progenitori. L’anima, detta anche “mens” nella parte superiore, per se è buona, ma può essere trascinata al male dal corpo con i suoi istinti peccaminosi. Il corpo, quindi, è un peso per l’anima, un carcere, da cui essa cerca di liberarsi.

 

Il corpo non è soltanto il vestito dell’anima, ma è un peso sotto il quale l’anima geme, un ergastolo, qualcosa che tiene l’anima prigioniera e la rende facile preda delle tentazioni, è un gurgustium luxuriae, è fango che lorda l’anima; è il nemico dal quale l’anima deve stare in guardia”.

 

La Redenzione di Cristo ha procurato ai credenti il dono dello Spirito Santo, il quale con la sua forza spirituale viene a rafforzare l’anima per il dominio del corpo. Ci sono dei passi, un po’ pochi, per la verità, in cui in cui si parla della lotta dell’anima contro il corpo non per distruggerlo ma per elevarlo. “Venne il Figlio di Dio, mise il suo spirito nei nostri cuori, siamo divenuti spirituali”.

 

L’anima del giusto usa del suo corpo come di uno strumento per compiere il bene, per praticare la virtù”. Ma anche nei credenti non cessa questa tensioni tra l’anima con le sue aspirazioni spirituali e il corpo con i suoi appetiti peccaminosi.

 

La vera liberazione dell’anima dal corpo avviene solo con la morte. Nella resurrezione finale l’anima riprenderà il suo corpo purificato e glorificato e vivrà con esso in armonia perfetta.

 

Fuga del mondo e ritorno in Paradiso

 

Il Concilio Vaticano II, rifacendosi al Cristianesimo originario, ha valorizzato la figura di Gesù Cristo in quanto uomo, impegnato nella predicazione del Regno di Dio ed nella liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù e di sofferenza. Ed ha aggiunto che i Cristiani devono continuare nel mondo l’opera iniziata da Gesù per la trasformazione del mondo. Essi, resi nuove creature dallo Spirito Santo, costituiscono il nuovo popolo di Dio che deve dar vita a un mondo nuovo mediante la pratica della giustizia, dell’amore fraterno e della solidarietà verso i poveri, i malati e gli oppressi. Ha anche rimproverato i cristiani come colpevoli del “peccato di omissione” e ha detto ai monaci e monache di Clausura che non devono pensare solo alla salvezza delle loro anime, ma devono dedicarsi ai laici secondo il proprio carisma: insegnare a pregare: fare orsi di esercizi, conferenze, raduni di carattere spirituale, scrivere libri per loro, ecc.

 

Invece, Sant’Ambrogio, come gli altri Padri della Chiesa, sotto l’influsso della Filosofia neoplatonica, esaspera la tensione del dualismo: spirito – materia e arriva al disprezzo di questo mondo materiale. Ambrogio ha scritto anche un libro sulla fuga del mondo “De fuga saeculi”. Il pensiero a questo riguardo ha influito in maniera determinante sullo stile di vita dei cristiani fino al Concilio Vaticano II, per cui merita un approfondimento. La fuga dal mondo è la via della redenzione fatta a ritroso del cammino fatto da Adamo a causa del peccato. Adamo prima del peccato era una creatura celeste e quindi abitava nel Paradiso celeste, al terzo cielo, luogo adatto per le persone sante e gli angeli fedeli a Dio. In seguito al peccato fu fatto precipitare sulla terra che è un luogo materiale, degna abitazione degli uomini terrestri e del diavolo con i suoi demoni, che stimolano continuamente gli uomini, mediante le tentazioni, a compiere il male. La fuga dal mondo avviene mediante la lotta contro il diavolo ed ha come traguardo il ritorno al Paradiso di Adamo.

Il luogo più datto per lottare contro il diavolo direttamente ed uscirne vittoriosi è il deserto. Anche Gesù nel deserto ha affrontato il diavolo direttamente e l’ha sconfitto. Per i cristiani il deserto è il monastero. Mentre l’ideale di vita cristiana all’inizio del cristianesimo era il martire che dava la vita per la fedeltà a Cristo, ora è il monaco. Chi tirerà le estreme conseguenze negative, specialmente riguardo l’esercizio della sessualità tra i coniugi,sarà Sant’Agostino, che risente della dottrina eretica dei Manichei, tra i quali aveva militato dieci anni. Al tempo di Sant’Ambrogio il monachesimo si era ben organizzato in Oriente per opera di S. Basilio.

 Esso era diffuso anche in Occidente, però bisognerà aspettare S. Benedetto per avere un monachesimo ben ordinato sotto una buona regola. La lotta contro il diavolo, specialmente nel monastero, si fa mediante l’ascetica, ossia le opere di penitenza, in particolare l’astinenza dalle carni e il digiuno. L’ascetica favorisce la mistica in base al principio che tutto ciò che diminuisce le forze del corpo aumenta le forze dell’anima, favorendo la preghiera, la meditazione e la contemplazione. In questa maniera avviene una elevazione mistica (spirituale, misteriosa, ma reale) che ci porta a vivere nella fedeltà al Signore come i nostri progenitori, una specie di ritorno alle origini, al Paradiso di Adamo.

 

Anche riguardo al Paradiso il nostro pensiero non è quello di Sant’Ambrogio e dei Padri. Il nostro Paradiso corrisponde non al terzo cielo, ma al Regno dei cieli, che si trova collocato nella zona che va dal quarto al settimo cielo. Dio non abita nel Regno dei cieli, ma sopra la volta del cielo, al di sopra di tutto e di tutti. I primi due cieli sono corruttibili. Tra questi e il terzo cielo c’è una barriera di fuoco, che tutti gli uomini devono attraversare per passare al terzo cielo e oltre, anche il Cristo uomo. La rapidità o lentezza del passaggio è legata al grado di santità. Si va dall’attimo infinitesimale di Gesù al tempo quasi interminabile dei grandi peccatori pentiti all’ultimo minuto.

 

Salute e salvezza

 

L’uomo possiede tre categorie di beni: beni dell’anima, beni del corpo e beni esterni. La salute, come la forza e la bellezza appartiene ai beni del corpo. Essa è dunque, più preziosa delle ricchezza, dei poteri, della Patria, dell’amicizia e della gloria, che sono beni esterni. La salute, la giovinezza e il dono dei figli costituiscono per l’uomo un motivo di gioia vera e profonda, e fanno da contrappeso alla tristezza che la malattia, la perdita prematura dei figli e la vecchiaia comportano. La salute, come la ricchezza, è un bene che ci proviene da Dio: dobbiamo dunque ringraziarlo di questi doni. La salute, la bellezza, l’agilità, le ricchezze, la gloria e la nobiltà della stirpe sono dei beni importanti che mostrano la bontà della natura umana. La salute è il più importante di questi beni e il giusto gode di essa. Per riacquistare la salute perduta l’uomo è disposto a fare qualsiasi sacrificio. Ne abbiamo un esempio nella emorroissa, di cui si parla nel Vangelo di S. Luca, che spese tutti i suoi beni in medici e medicine.

 

Ma al di sopra dei beni esterni e di quelli del corpo, stanno i beni dell’anima. Il giusto, infatti, è pronto a rinunciare alla salute ed anche alla vita per Cristo. Ma anche al di fuori del martirio, cioè nella sua vita quotidiana, il giusto ha sempre di mira il raggiungimento della perfezione spirituale e giudica il valore delle cose terrene in relazione alla vita futura. Ora, in questa prospettiva, i beni di questa terra presentano più svantaggi che vantaggi; essi sono laccio, visco, nodo, chiodo per le nostre anime. Le ricchezze finiscono col danneggiare chi le possiede; la prosperità materiale conduce alla superbia e alla dimenticanza di Dio. La bellezza e la grazia del corpo traggono al peccato più della deformità. La giovinezza è l’età in cui gli uomini più facilmente peccano e se ne vantano. Quando il corpo è ben pasciuto, più facilmente sentiamo gli stimoli della carne.

 

La salute fa parte di quel complesso di beni che concorrono a formare la prosperità che porta facilmente al peccato e perciò rappresenta un costante pericolo per l’anima nostra. Nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, da una parte abbiamo ricchezza, salute e malvagità e dall’altra povertà, malattia e vita virtuosa. Ambrogio, quindi, è perfettamente convinto che la felicità vera si trova soprattutto nei dolori.

 

Sofferenza e salvezza

S. Ambrogio non è così fanatico da dimenticare che la sofferenza, la malattia e la vecchiaia, dal punto di vista naturale, sono un male e costituiscono un impaccio, un impedimento per lo svolgimento di una vita normale. Bisogna tenere conto, però, che gli scritti che abbiamo sulla salute e sulla malattia non sono trattati neutri e obbiettivi, ma sono il risultato scritto di esortazioni spirituali fatte ai suoi fedeli per aiutarli a vincere le tentazioni del peccato e progredire nella via della perfezione evangelica. Lo scopo che si prefigge di raggiungere condiziona la sua valutazione dei beni e dei mali che accompagnano la vita umana. Sia nel Vecchio che nel Nuovo testamento si parla di malati e di guarigioni, specialmente nel Vangelo di San Luca, che egli ha commentato egregiamente.

Ma egli non si ferma mai a considerare le guarigioni operate da Gesù come risposta della bontà di Gesù a un bisogno dell’uomo, un rimedio a una malattia e a una sofferenza naturale. Egli passa subito alla interpretazione di carattere allegorico-spirituale del Vangelo secondo l’usanza del suo tempo. Ed allora gli viene buona l’affermazione di San Paolo (2 Cor 12,9 ) “Virus in infirmitate perficitur” e ne fa un principio fondamentale della vita spirituale. Cristo non volle liberare Paolo, che amava grandemente, dall’infermità della carne e gli disse: “Ti basta la mia grazia perché la virtù siperfeziona nell’infermità”. E Paolo si compiace nelle sue infermità perché è convinto di questo: “Quando sono infermo, allora sono forte”.

 Ad avvalorare la sua tesi Ambrogio fa rilevare che esiste la legge del contrappasso: chi gode in questa vita soffrirà nella vita futura e chi invece soffre nella vita presente godrà con il Signore nella vita eterna. E porta porta l’esempio del ricco gaudente e del povero Lazzaro. Il ricco gode, si compiace di ciò che possiede, insolentisce contro il povero e si dimentica di Dio: sarà giustamente punito nel fuoco eterno. Il povero Lazzaro, con la sua povertà, con le sue piaghe, si mantiene nell’umiltà e nella fiducia nel Signore, il quale lo ricompensa con la felicità eterna. E così sia arriva a certe affermazioni, che ci lasciano stupiti se non inorriditi: 

  • È meglio essere poveri che ricchi.

  • È meglio essere brutti che belli.

  • È meglio essere malati che sani. 

                              Fra Luca Beato, o.h.

Teologia della Malattia in S.Ambrogio - Luca Beato o.h.TEOLOGIA DELLA MALATTIA

IN S. AMBROGIO

 

Torino, Marietti, 1968

 

 

Da “FATEBENEFRATELLI” – GEN/MAR 2009

 

 

 

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