FRA MARCO FABELLO O.H.: “Per una volta chiedo…”

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Posted on Giugno 29th, 2009 di Angelo | Edit  

    

FRA MARCO FABELLO O.H.: “Per una volta chiedo…”

29 Giugno 1968 – Fra Marco, a destra, mentre promuncia i voti di povertà, castità, obbedienza e ospitalità.

SMS Brescia

“Per una volta chiedo una preghiera per me: domani [29 Giugno] sono ben 47 anni di Professione Religiosa!

Grazie. Fra Marco”. 

Antologia dei suoi scritti:

http://fraraimondo.splinder.com/tag/ospitalit%C3%A0+-+fra+marco+-+antolo

  

 I VOTI  “SEGNO DI CONTRADDIZIONE”

“…Capii che l’amore racchiude tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola che è eterno. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirabte, esclamai: Gesù, Amore mio, la mia vocazione l’ho trovata finalmente, la mia vocazione è l’amore!

Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, Dio mio, me l’avete dato voi! Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto…e il mio sogno sarà attuato!” (S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo – OC 226, tr.it.238).

 

Caro Fra Marco,  

                           nel partecipare alla tua gioia odierna per il dono della perseveranza che il Signore ti ha fatto, la nostra preghiera, come ci chiedi, non ti verrà a mancare.  E noi ci collochiamo nella tua, affinché le nostre voci cantino all’unisono il Magnificat di ringraziamento.   

YouTube – Mina Magnificat

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Sui voti religiosi credo che i laici christifideles ci capiscano abbastanza poco, giacché sembra cosa che non li riguardi. E poi, solo da poco s’è introdotta la prassi, non diffusa, di far emettere la consacrazione religiosa nella parrocchia d’origine del candidato, proprio per sensibilizzare i cristiani e coinvolgerli in questa dimensione di Chiesa che non è altro rispetto al vivere cristiano e, dunque, riguarda tutti.

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In vista anche del Capitolo Generale Straordinario, che si prefigge di convolare a nozze con i Laici, da tempo stavo lavorando sull’argomento che prendevo in mano e riponevo.

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Temo che non si possano affrontare svolte storiche senza opportuni approfondimenti su tematiche basilari. Vale il principio che per sposarsi bisogna conoscersi. Ed i  laici, pur fidanzati con i  frati da tanti anni, in verità di essi sanno molto poco.

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Dal momento che ciò che riguarda i religiosi riguarda la Chiesa, a buon diritto riguarda anche  i laici che costituiscono la parte più numerosa del Popolo di Dio. E potrebbe non riguardare la  consacrazione di chi vorrebbe condividere con me le fatiche apostoliche?

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CLICCA:

CAPITLO GENERALE STRAORDINARIO FBF – 2009 

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Oggi, per via del tuo 47° di consacrazione religiosa, vedo di fare il punto sul tema e di pubblicarlo sul blog in ADESSO – Litterae communionis.

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Forse dovrò riprenderlo in mano, rielaborarlo e riadattarlo. Ma per ora teniamolo com’è.

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Per affrontare adeguatamente le immense ed entusiasmanti sfide di oggi e rinnovare lo spirito di avventura della vita religiosa, andrebbero considerati tanti aspetti della vita dell’ Ordine, realtà che prima di tutto è Chiesa. Per esaurire l’argomento forse sarebbe necessario scrivere un certo numero di lettere. In questa prima, vorrei esaminare soltanto un problema che ho visto emergere nel tempo parlando con l’uno o l’altro dei Fratelli.  

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Una prima domanda curiosa: possono, i voti pronunciati essere una sorgente di vita, di dinamismo e di sostegno nella vita missionaria di samaritani a tempo pieno ? 

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Converrai, Fra Marco, che i  voti non sono tutto nella vita religiosa, ma è spesso in relazione ad essi che frati e suore pongono e si pongono problemi delicati che andrebbero affrontati insieme. Si dice sovente che i voti sono solo un mezzo. E questo è vero, poiché l’Ordine non è stato fondato perché alcuni vivano i voti, ma perché inviati per la missione: “Andate…guarite…annunciate…” (Mt 10ss).  

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Ma se la missione la s’intende condivisa, allora bisogna cominciare a condividere la riflessione. Guardandomi attorno, su questo punto non mi faccio illusioni: si condivide molto poco. Ma credo si illudano tutti coloro  che immaginano il cambiamento come stipulare una nuova polizza assicurativa, dove basta rivedere e sottoscrivere le le clausole.

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Comunque, per tornare al tema, pur potendone parlare con una certa cognizione di causa, ho pensato di  affidarmi alle considerazioni dell’ex Maestro Generale dei frati Domenicani Timoty Radcliffe che sa unire sapienza, esperienza ed ammettere anche i suoi limiti in ciò che afferma, giacché – egli dice –  “tutto è legato alla mia storia di uomo e di frate”. 

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Proverò ad adattarle alla vita religiosa degli Ospedalieri di San Giovanni di Dio, cosa abbastanza facile, giacché povertà, castità ed obbedienza sono comuni a tutti gli ordini e congregazioni, sia maschili che femminili. Per il quarto, quello di ospitalità è già talmente descritto sui nostri blog che lo affronterò un’altra volta. E poi tu sei uno specialista in materia e non ho che da rimandare all’antologia dei tuoi scritti che sto creando con quello che trovo sparso ovunque.

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Il Padre Radcliffe sull’argomento si sforza di ripensare la tradizione non per impoverirla e rendere più blandi gli impegni che i voti comportano ma perché il consacrato trovi il modo di esprimere al meglio la sua libertà interiore. Agostino direbbe: “Non già schiavi sotto la legge ma figli sotto la grazia”. Quando il religioso sta bene di salute (spirituale s’intende) beneficiano anche coloro che gli girano intorno. Purtroppo, è vero anche il contrario. E allora sono guai.

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Padre Timoty sostiene che “i voti non sono puramente un mezzo in senso utilitaristico, come può esserlo un’automobile per spostarci da un luogo all’altro. I voti sono mezzi per farci diventare veramente missionari. San Tommaso dice che tutti i voti hanno come scopo la charitas [1] l’amore che è la vita stessa di Dio. Essi servono al loro scopo solo se ci aiutano a crescere nella carità, così che noi possiamo parlare con autorità del Dio dell’amore”.

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Se le cose stanno così, come credo, mi chiedo: Sarà vero che oggi i voti non attraggono ? Purtroppo i numeri parlano chiaro. Ma la  colpa è dei voti o delle testimonianze poco convincenti?

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A prima vista i voti sono in contraddizione fondamentale con i valori di gran parte della società, specialmente della cultura consumistica che sta diventando rapidamente la cultura dominante del nostro pianeta.

  • Il voto di obbedienza contraddice l’idea che l’essere umano sia dotato di una autonomia radicale e pure l’individualismo;

  • essere poveri è nella nostra cultura il segno di essere dei falliti e di non valere niente;

  •  e la castità sembra essere il rifiuto inimmaginabile dell’universale diritto umano all’appagamento sessuale;

  • Quanto al voto di ospitalità, si tende a pensare che carità si può praticare ovunque ed in ogni stato di vita. Forse, maggiormente stando nel mondo che solo formalmente a tempo pieno.

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Padre Timoty  non ha paura di mettere in tavola il rischio che egli corre ogni giorno con i suoi fratelli: “Se noi facciamo i voti, c’è da aspettarsi che ad un certo punto li troveremo duri da osservare. Ci potrà sembrare che essi ci condannino alla frustrazione e alla sterilità.  

  • Se noi li accettiamo semplicemente come un mezzo utilitaristico per un certo scopo, come un inconveniente necessario nella vita del predicatore, del missionario, dell’impegnato nel sociale, ecc… possono apparire come un prezzo che non vale la pena pagare.  

  • Ma se li viviamo in quanto ordinati alla charitas, come uno dei tanti modi di partecipare alla vita del Dio dell’amore, allora possiamo credere che la sofferenza può essere feconda, e il morire che noi sperimentiamo può spalancare la via alla risurrezione”.  

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 E qui cita l’espressione di un suo confratello, di Orleans che è riuscito a scrivere perfino una cosa enorme: “Non credo di aver acquistato alcun merito vivendo in questo Ordine, poiché vi ho sempre trovato così tanta gioia“. [2]  

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Le poche e semplici osservazioni che seguono a proposito dei voti, necessitano di un preavviso. Padre Timoty precisa: “Esse sono largamente segnate dai miei personali limiti e dalla cultura nella quale sono stato formato. È mia speranza che contribuiscano ad un dialogo attraverso il quale sia possibile arrivare ad una visione comune, che ci permetta di incoraggiarci a vicenda e ci dia la forza di essere un Ordine che osa cogliere le sfide del prossimo secolo”.

 

Questa “visione comune che ci incoraggi a vicenda” io non la vedo. Spero che la veda almeno tu.  Secondo me, se i laici riescono a percepire il vero senso della donazione, non potranno che provare ammirazione e desiderio di impegnarsi, secondo il proprio stato, nella missione che si esprime in modalità diverse ma per un obiettivo comune: portare a compimento il Regno di Dio che è già in mezzo a noi. Ma se non ne comprendono la ragione, sarà difficile non solo chiedere ed ottenere ma persino dare, offrire.

Il coraggio dei voti

 

Padre Timoty che ha girato il mondo in lungo e in largo,  constata che “in molte parti del mondo, specialmente in quelle segnate dalla cultura occidentale, vi è stata una profonda perdita di fiducia nel fare delle promesse. Questo lo si nota nel fallimento disastroso dei matrimoni, nell’alta percentuale dei divorzi, oppure ‑ all’interno del nostro stesso Ordine ‑ nelle numerose e continue richieste di dispensa dai voti, nella lenta e continua emorragia del sangue vivo dell’Ordine”.

 

Egli si chiede e chissà quanti gliel’hanno chiesto: Che senso ha dare la propria parola usque ad mortem?

 

Una delle ragioni per cui dare la propria parola può sembrare una cosa non seria dipende forse dall’indebolimento della coscienza collettiva circa l’importanza delle  parole che si dicono.

  • Sono veramente così importanti le parole nella nostra società?

  • Fanno davvero qualche differenza?

  • Si può offrire la propria vita ad un altro, a Dio o nel matrimonio, dicendo poche parole?

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Secondo il frate domenicano sembrerebbe di sì: “Noi predicatori [samaritani] della Parola di Dio siamo testimoni che le parole contano. Noi siamo stati fatti ad immagine di Dio, che disse una parola, e i cieli e la terra furono. Egli proferì una Parola, che divenne carne della nostra redenzione”.

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Ma egli non si limita a queste considerazioni e va ben oltre: “Le parole che gli essere umani, si scambiano offrono vita o morte, creano la comunità o la distruggono. La tremenda solitudine delle nostre grandi città è certamente il segno di una cultura che ha cessato a volte di credere nell’importanza del linguaggio, di credere che può costruire una comunità mediante la condivisione del linguaggio.

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Quando diamo la nostra parola nella professione dei voti, noi testimoniamo una vocazione umana fondamentale, quella di pronunziare parole che hanno peso e autorità”.

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Egli ha messo il dito nella piaga. Travolti da fiumi di parole, parolai a nostra volta, la diffidenza e la riserva mentale possono fare così forte presa su di noi da trasformare in prudenza e cautela anche le nostre misere vigliaccherie.

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Un’obiezione di apparente buon senso potrebbe essere questa: se non possiamo sapere che significato avranno i nostri voti e dove ci porteranno, com’è che osiamo emetterli?

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Curioso di conoscere la sua risposta, sono veramente rimasto spiazzato dalla semplicità del suo argomentare:

  • “Certamente solo perché il nostro Dio ha fatto così, e noi siamo suoi figli.

  • Osiamo farlo, ma lo ha fatto per primo il nostro Padre.

  • Fin dall’inizio, la storia della salvezza è stata del Dio che ha fatto delle promesse, che ha promesso a Noè che mai più la terra sarebbe stata sommersa dal diluvio,

  • che promise ad Abramo una discendenza più numerosa della sabbia,

  • e promise a Mosè di condurre il suo popolo fuori della schiavitù.

  • Il culmine e la stupenda realizzazione di tutte quelle promesse è stato Gesù Cristo, l’eterno “sì” di Dio.  

Il religioso che ragiona così, viene a dire a me laico che anch’io posso fidarmi di Dio. E me lo dice non tanto a parole, quanto con la vita donata. Se come figli di Dio osiamo dare la nostra parola non sapendo che cosa essa significherà per noi, questo atto diviene un segno di speranza, quando sono tentato, come molta gente, di credere che quelle di Dio sono soltanto delle divine promesse. 

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Padre Timoty che dice Messa ogni giorno, davanti a quel pane e a quel vino  non esita a pronunciare le parole consacratorie. Invocato lo Spirito, il “fate questo in memoria di me” è garantito dalla parola del Signore data per sempre.    .   

Allora se io sono bloccato dalla disperazione, distrutto dalla povertà o dalla disoccupazione, o imprigionato dal mio fallimento personale, allora forse non c’è niente in cui possa mettere la mia speranza e fiducia se non nel Dio che ci ha fatto dei voti, che continuamente ha offerto la Sua alleanza all’umanità e, attraverso i profeti, ci ha insegnato a sperare nella salvezza. Tutto ciò, se è presente nella quarta Preghiera Eucaristica è perché la Chiesa crede alle parole del suo Signore.

 

Allora il consacrato, con il suo gesto e con il segno del suo abito viene a dirmi parole confortanti:

  • Che in questo mondo così tentato dalla disperazione, non vi può essere altra sorgente di speranza se non la fiducia in quel Dio che ci ha dato la sua Parola.

  • Che per credere al voto divino, mi è stato dato un segno: quello di uomini e donne che hanno il coraggio di emettere voti, sia nel matrimonio che nella vita religiosa.

 

Padre Timoty racconta: “Non ho mai capito così chiaramente il significato dei nostri voti, come quando sono andato a visitare un sobborgo ai margini di Lisbona, abitato dalla gente più povera, i dimenticati e invisibili della città. Vi ho trovato il quartiere pieno di vita e di gioia, perché una suora che condivideva la loro esistenza stava per fare la professione solenne. Era la loro festa.”

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La nostra è stata definita “la Generazione dell’istante”, la cultura in cui vi è solo l’attimo presente. Questo può essere la fonte di una meravigliosa spontaneità, di una freschezza e immediatezza di cui dovremmo rallegrarci. Solo che, se il mio momento presente non significa che povertà o fallimento, sconfitta o depressione, allora che speranza può esservi?

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Qui, Fra Marco, tocca a te e ai tuoi confratelli essere convincenti, giacché i voti per loro natura tendono verso un futuro ignoto. Ma, forse,  – o senza forse -  le nostre obiezioni sono anche le vostre paure

  • Per S. Tommaso, emettere un voto era atto di generosità radicale, perché si offriva in un solo istante una vita che doveva essere vissuta nel futuro. [3]

  • Per molti nella nostra cultura, questa offerta di un futuro, che non può essere previsto, può non avere alcun senso. Come posso impegnarmi fino alla morte, se non so chi o che cosa diventerò? Che succederà tra dieci o vent’anni? Chi incontrerò e chi attirerà il mio cuore?

 

Mi par di conoscere la tua risposta:

  • Per noi questo è un segno della nostra dignità di figli di Dio e di fiducia nel Dio della Provvidenza, che offre inaspettatamente ad Abramo l’ariete impigliato nei cespugli.

  • La professione dei voti rimane un atto dal significato più profondo, un segno di speranza nel Dio che ci promette un futuro, anche quando è al di là della nostra immaginazione, e che manterrà la sua parola. 

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Come laici, talora certi nostri giudizi radicali e impietosi nei confronti dei consacrati, è indice della nostra povertà sia culturale che spirituale. Ma talvolta i Confratelli stessi sono ingenerosi e non sempre di grande aiuto verso chi attraversa un momento di difficoltà. Se “fraternità” non fosse un termine astratto ma una realtà incarnata, “portare gli uni i pesi degl’altri” sarebbe molto più facile”. Comunque, poiché le cose, in genere, vanno in un certo modo, davanti a certe situazioni Padre Timoty, più che stracciarsi le vesti, invita a comprendere e a non giudicare. Egli fa queste considerazioni:

  • “È vero che a volte un fratello, o una sorella, può rendersi conto di essere incapace di continuare a vivere con i voti che ha emesso.

  • Questo può succedere per via di una mancanza di discernimento al tempo della formazione iniziale, oppure semplicemente perché questa è una vita, in tutta onestà, che non riescono più a sopportare.

  • Esiste allora la saggia disposizione della possibilità di dispensa dai voti.

  • Ringraziamo almeno per quanto hanno dato, e rallegriamoci per quanto abbiamo condiviso!

  • Domandiamoci pure se, nelle nostre comunità, abbiamo fatto tutto il possibile per sostenerli nell’osservanza dei loro voti.”

 

Per ora mi fermo qui. Successivamente ci addentreremo sui voti specifici.

Con gli auguri più fervi ed un omaggio floreale, AD MULTOS ANNOS ! 

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