OPZIONI ’70 N.5 – Giugno 1970 – OSPITALITA’ E PROSPETTIVE FUTURE

OSPITALITA’ E PROSPETTIVE FUTURE

OPZIONI ‘70 – N. 5 – Giugno 1970

Abbiamo riletto con crescente interesse a pag.452 del “librone rosso”  [sintesi consultazione Provincia per  il rinnovo delle Costituzioni n.d.r.] l’articolo classificato col n. 51 e lo proponiamo all’attenzione dei lettori. L’autore anonimo [volutamente non nominato per opportunità ma identificato in fra Pancrazio Ghezzi, sac. o.h. - n.d.r.] affronta il tema dell’Ospitalità, così esistenziale per noi, con competente chiarezza.

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La prima cosa interessante da vedere sarebbe la considerazione del termine: la chiesa riconosce alla parola “Ospitalità” il significato biblico in senso lato di colui che riceve “l’Ospes” e nello stesso tempo compie un ufficio di ospitalità nei riguardi dell’ospite, o se  invece, (come sembra più certo, dalla tradizione, dagli usi ecc. ) la Chiesa intenda “Ospitalità” in senso restrittivo di “spedalità”: ossia coloro che si prendono cura degli infermi come è appunto detto nelle attuali Costituzioni.

Certamente corrisponde più a verità il secondo significato (che per altro è sempre una specificazione del termine biblico, anche perché san Giovanni di Dio, pur ritenendo per “carità” l’applicazione del Vangelo in una forma più ampia dell’attuale (era un Santo), dal pochissimo che ha lasciato del suo pensiero, è abbastanza evidente che intendeva mettersi al servizio della cura degli ammalati secondo  una precisa necessità dei suoi tempi.

Ora, ritenendo valido il secondo significato [attualmente ospitalità viene genericamente tradotto con accoglienza – n.d.r.], cosa pensare della “Ospitalità” realizzata in senso quasi esclusivamente infermieristico?

Il valore infermieristico, come oggi è praticato, corrisponde ancora alle esigenze grandemente sociali e apostoliche con cui questo Istituto è sorto?

Porre simili interrogativi, qualche volta vuol dire provocare lo scandalo di persone sincere ma indubbiamente limitate. Mentre un sereno esame di ciò che ci è specifico, non vuol dire distruggere, bensì ricercare la genuinità iniziale, sforzandosi di capire alcuni segni dei tempi. [siamo nel 1970]

E per altro, anche la Chiesa non è mai stata rivolta su se stessa per scoprirsi integralmente come adesso; e tutti gli Istituti di antica formazione stanno ripensando alla loro funzione attuale nel nella Chiesa, riconoscendo senza timori quello che il tempo e la società hanno consumato perché si possa scoprire ancora quale, fra le varie testimonianze, sia la più valida.

Certe resistenze poi, servono, quando sono sincere, a precisare meglio il pensiero di chi crede giusto dover cambiare o rivedere.

Quello che io mi chiedo circa l’ospitalità, è di vedere se la sua natura, che finora si è fissata nel lavoro infermieristico, sia totalmente valida. Non discuto l’oggetto dell’ospitalità (anche se potrei ritenerlo limitato): ciò che invece mi chiedo è se sia possibile realizzare una vita religiosa-apostolica-sociale limitando la funzione del religioso. Ma poi, è ancora possibile realizzare un carattere ascetico, una vitalità negli impegni dei consigli evangelici, se l’intera vita di un uomo è bloccata, per mancanza di sviluppo professionale, alla monotonia di una vita infermieristica?

Quante volte l’esperienza di uomini maturi non potrebbe dire che è proprio stato il limite posto alla dimensione umana che ha reso dure e difficili tante vite religiose?

E non sarà forse da ricercare in questo complesso di argomenti che tocca vivamente il nucleo del nostro problema ospitaliero la causa fondamentale per cui le vocazioni, inizialmente promettenti, vanno poi perdendosi?

La prima riflessione che pongo per vedere il significato di una vita religioso-ospedaliera rinnovata, è la riscoperta del valore “apostolico”: e questo valore riporta a parlare nuovamente di tutto il capitolo della formazione sia umana sia professionale, sia religiosa.

La presenza del religioso in un reparto come è attualmente per la maggior parte, non riesce ad avere quella pienezza di testimonianza e di efficacia che le forze di un uomo, che è anche apostolo, dovrebbero riuscire a dare.

Questo valore apostolico perché sia compreso e vissuto, deve avere due precise dimensioni che vanno dalla formazione del soggetto a quelle nuove esigenze di una moderna pastorale che non ha solo di fronte l’ammalato, ma tutto il mondo che entra a far parte dell’ammalato.

Perciò, dopo il primo valore apostolico della carità-ospitaliera intesa nel senso di viva testimonianza di persone grandemente responsabili, il secondo punto dell’ospitalità tova l’oggetto vero cui è rivolta la carità del religioso.

Si tende – fino a questo momento – a mettere un religioso, per la direzione di un reparto, dietro la scorta dei medici. Invece io ritengo che, se se sviluppata nei suoi giusti valori la personalità del religioso, basterebbero metà dei religiosi ora presenti per l’attuale numero di Case: infatti  deve cadere questa abituale visione meccanica del religioso, una volta che fosse acquisita quella formazione di cui si parlava. Infatti la sua presenza in ospedale non deve ridursi a rincorrere il medico per la puntura o la pastiglia: la presenza del religioso, specie nella società moderna, deve svilupparsi ad una apertura verso forme di testimonianza morale che si diriga all’accostamento del singolo ammalato per dimostrargli il conforto, l’amore, e se è possibile, il valore del dolore.

Questo tipo di assistenza (che non si pensi debba toccare solo al prete?), deve sviluppare la nuova apertura pastorale che è una delle esigenze teologiche più auspicate dal Concilio, ed arrivare alla testimonianza religiosa della carità verso l’intero mondo del personale, del complesso dei medici che frequentano le nostre case, promovendo per essi anche incontri di un certo rilievo religioso; questa carità pastorale inoltre, deve rivolgersi alla vasta porzione dei parenti dei nostri ammalati.

Ora ritengo, la presenza del religioso non deve essere tanto quella materiale verso un reparto, ma deve diventare una presenza morale direzionale che gli permetta di guidare interi e più reparti con una profonda umanità ricca di di carità e di amore cristiano.

Evidentemente una simile presenza non può essere realizzata senza quella trasformazione di tutto il complesso educativo di cui sopra ho fatto cenno. E inoltre, una impostazione di questo genere (che credo inevitabile per la sopravivenza di organizzazioni come la nostra) non ha bisogno di un gran numero di religiosi, quanto invece della loro qualità. Da qui perciò si vede io creda opportuna la revisione radicale, anche se equilibrata e paziente delle strutture su cui poggia la nostra vita religiosa.

Un altro aspetto che mi interessa trattare nei riguardi dell’ospitalità, sono le forme. Non si tratta di uscire dal campo di un apostolato caritativo, ma si vorrebbe riflettere sull’ampiezza che l’orizzonte caritativo potrebbe assumere nella civiltà moderna, qualora si considerasse la portata della carità a cui era dedito san Giovanni di Dio. Tutto questo, oggi si fa più acuto se si pensa  che gran parte dell’antica carità ospedaliera è oggi assunta [egregiamente] dallo Stato o da Enti Mutualistici: solo da questa ormai nota osservazione, si manifesta, tra l’altro,  a quali nuove forme di vita si debba dirigere la carità ospedaliera, ma soprattutto farebbe pensare se non sia possibile, restando nella tradizione della sostanziale carità, esprimersi con nuove forme che la società attuale richiede: specializzazioni con centri di rieducazione, ambulatori (pur dipendenti dallo Stato) nelle periferie delle grandi città e alle altre forme che possono essere suggerite da una più approfondita riflessione.

Un altro modo che ritengo possibile realizzare, sarebbe quello di vedere avviato qualcuno dei più dotati a delle ricerche di ordine scientifico in campo medico; come ancora importante sarebbe realizzare nuclei di medici dediti alla scienza della psicologia-psichiatria, che tanta parte va assumendo nelle più recenti valutazioni.

Come si vede, si tratta di studiare la maniera di rendere moderna la testimonianza  di un Istituto totalmente dedito alla carità.

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