INSIEME PER SERVIRE: INTERVENTO DI MARIA ROSA INZOLI

 medici

 

INTERVENTO Dr.ssa Maria Rosa INZOLI

Primario Divisione Medicina Riabilitativa Ospedale S. Orsola Brescia

 

Inzoli Dr.ssa Maria Rosaria-1Mi è sembrato opportuno far conoscere a tutti alcune pagine di Padre Gabriele Russotto O.H. contenute nel suo studio “San Giovanni di Dio e il suo ordine ospedaliero”, nel tentativo di evidenziare come ogni epoca storica e culturale, sconvolta da contraddizioni, necessiti di interventi per recuperare dignità alla persona.

 

1. Nel quadro dell’umanesimo e del Rinascimento

 

Pazzini - Storia della medicinaIl Pazzini, nel suo libro “assistenza e ospedali nella storia dei Fatebenefratelli” tratteggia la figura di San Giovanni di Dio nel quadro dei Santi che vissero nel periodo dell’umanesimo e Rinascimento.

 

Si chiama umanesimo — come è noto — quel periodo dal Trecento al Cinquecento in cui i letterati e filosofi tornarono allo studio e alla imitazione dell’antica cultura classica greca e romana, con acceso — a volte fanatico — entusiasmo, dopo il lungo assopimento medioevale.

 

L’esaltazione dei valori umani e razionali — soprattutto se tendenti a sganciarsi dalla dottrina dogmatica e dalla morale tradizionale della Chiesa — aprì la via alla indifferenza religiosa, alla rilassatezza dei costumi, al razionalismo e a tutti gli errori dei secoli seguenti.

 

Il Rinascimento, nato dall’Umanesimo e con esso in parte fuso, è quel periodo della storia italiana che va dalla seconda metà dal Trecento alla prima metà del Cinquecento, in cui fiorirono i più grandi letterati, poeti, pittori, scultori e architetti, che onorarono l’italia e il mondo, anche se alcuni trascesero i limiti della re ligione e della morale.

 

H… chiarissimo storico della medicina, dunque, ragionando dell’umanesimo veramente umano, dimostra che tale umanesimo — ossia il rispetto dell’uomo, della sua dignità, dei suoi diritti — è quello dei Santi ospedalieri, in opposizione all’umanesimo paganeggiante, spesso senza umanità.

 

Nei Santi ospedalieri del Rinascimento, “pur se alieni dal filosofeggiare dei dotti, pur se estranei alle intuizioni degli artisti, pur se lontani dalle meditazioni degli scienziati, lo spirito umanistico colmò una lacuna”, la sciata dai Santi medioevali consacrati al servizio degli infermi

 

Nei Santi del Rinascimento — scrive il Panini – la necessità di soccorrere l’ammalato viene da questo ultimo, dalle sue sofferenze, dalla umanità dolorante, che si vuole soccorrere e si vuole integrare, se ce ne è bisogno, nella sua dignità”.

 

Non dirado, l’umanità dell’Umanesimo sembra più preoccupeta dell’opera d’arte, che deve accogliere i malati, che non degli stessi infermi, che vi devono essere accolti, assistiti e confortati.

 

Nè gli ospedali, che assai spesso il Filarete e il PaIladio ornavano della più vaga architettura e le scuole più famose affrescavano con le più insigni rappresentazioni di scene e carità, furono maggiormente pietosi dell’altrui miseria. Tristi documentazioni, indiscutibilmente vere, attestano sulle inumanità dell’umanesimo verso i ricoverati, sulla brutalità degli inservienti addetti all’assistenza degli infermi, mentre a chi scorra anche superficialmente la storia ospedaliera del tempo, innumerevoli sono i casi di ospedali minori abbandonati o rovinati moralmente e materialmente per l’incuria di coloro (confraternite o comunità) che sarebbero stati preposti al loro mantenimento.

 

I santi ospedalieri del Rinascimento nacquero nell’Umanesimo ma si ispirarono al fraterno umanesimo del buon Samaritano evangelico.

 

Dice ancora il Fazzini: ”l’ Umanesimo che seppe eccitare nell’uomo le sublimi opere artistiche e letterarie, i profondi rivolgimenti filosofici, le scoperte di nuovi mondi, che preparò i grandi movimenti scientifici, che rivelò, in una parola l’uomo a se stesso, rendendolo consapevole delle proprie capacità creò anche questi spiriti sublimi, purissimi, che nell’uomo videro non le gloriose affermazioni sconfinanti nella vanità delle cose, bensì la sofferenza e il dolore”.

 

San Giovanni di Dio è una delle grandi, delle più grandi figure del vero umanesimo, di quello, cioè “che non si esauriva in sterili distici latini, o non si limitava all’arte della scienza, alla filosofia” ma volgeva a tutte le miserie umane per portervi rimedio. “Giovanni Ciudad, come uomo, è il perfetto umanista, se umanesimo vuoI dire valorizzazione della individualità umane”.

 

E’ inutile sottolineare che l’Umanesimo di San Giovanni di Dio — e quello degli altri Santi Ospedalieri — poggiava su motivi teologici, divini e umani allo stesso tempo, cioè: sull’amore di Dio, sul precetto della carità verso il prossimo, sulla solidarietà col Corpo mistico di Cristo; e non su motivi puramente estetici, naturali e filantropici.

 

2. Nel progresso ospedaliero

 

L’opera ospedaliera di San Giovanni di Dio può essere considerata nella sue azione personale, circoscritta per estensione (Granada) e per tempo (1539-1550: 11 anni); ed in quella del suo ordine, estesa per il mondo attraverso i secoli.

 

Qui ora non ci interessiamo solo dell’azione personale del Santo, il quale come è noto, non mirava alla fondazione di un Ordine religioso, bensi alla erezione di una casa —ospedale, dove accogliere i poveri infermi e quant’altri fossero privi di alloggio e di cibo.

 

Naturalmente, Giovanni desiderava che la pia fondazione non finisse con lui, ma continuasse anche dopo la sua morte, per opera di pochi discepoli, che si erano, intanto uniti a lui nel caritatevole apostolato.

 

La casa — ospedale, fondata da Giovanni di Dio, non era un ospedale nel senso inteso oggi da noi, cioè un luogo destinato soltanto ai malati: era un ospedale che aveva anche dell’ospizio. Vi si accoglievano, per ciò non solo gli infermi, ma anche la povera gente senza tetto, le persone abbandonate e i pellegrini.

 

L’ospedale conservò questa sua caratteristica anche quando venne trasferito nella cuesta de los Go meléz, pur assumendo la forma più progredita e ordinata già accennata. Attigui ai reparti per gli infermieri, vi erano locali per i bisognosi di alloggio (uomini, donne, bambini). Lo dice il Santo stesso: “Essendo questa una casa generale vi si ricevono generalmente tutte le malattie e ogni sorta di gente, sì che qui vi sono rattrappiti, monchi, lebbrosi, muti, pazzi, paralitici, tignosi, ed altri molto vecchi e. molti bambini, e, senza contar questi, molti altri pellegrini e viandantiche si rifugiano qui, ai quali si da’ fuoco, ac qua e sale e recipienti per preparar da mangiare”.

 

Per ospitare, specialmente durante la notte, più poveri che poteva, Giovanni costruì, attiguo all’ospedale, un ampio locale per oltre 2000 persone — durante l’inverno riscaldato con stufe poste nel mezzo delle camere — dando a ciascuno un posto per dormire, modesto ma lindo e decoroso, e tenendo dignitosamen te separate le donne dagli uomini.

 

L’ordinamento e le iniziative di origine igienico, sanitario ed assistenziale da lui adottati e continuati poi dai suoi discepoli, sono veramente sorprendenti. Non che il Santo partisse da premesse scientifiche, accuratamente studiate e preparate, per riformare l’assistenza ospedaliera — non era medico e non aveva fatto studi particolari in tal senso — però sta il fatto che egli fu un vero pioniere e riformatore ospedaliero.

 

La carità gli faceva intuire quanto più tardi insegnerà la scienza. Il che dimostra ancora una volta che la carità apre la via al progresso.

Nel suo Ospedale Giovanni non ammassava i malati tutti insieme alla rinfusa, ma li divideva in categorie secondo le varie infermità abbozzando così — solo “abbozzando” si capisce — i vari reparti degli ospedali moderni: medicina, chirurgia, psichiatria, ecc.

 

Non solo, ma ad ogni infermo dava il proprio unico letto. In altri ospedali, invece, anche celebri, com’è risaputo, non sempre un solo letto accoglieva un solo malato: spesso un letto grande ne accoglieva diversi.

 

Per i dementi, poi, San Giovanni di Dio aveva premure particolari — memore del come li aveva visti trattare ed era stato trattato nell’Ospedale Reale — ed usava sistemi assistenziali ispirati alla più alta umanità, il che non avveniva negli altri ospedali di Spagna e del mondo. Premure e sistemi ereditati, perfezionati e ampliati poi dal suo Ordine, col merito di vero primato.

 

Il Lombroso, nell’opera citata, riconosceva al Santo il genio del precursore allorché scrisse: “un fatto de gno di attenzione è che, in quanto al trattamento dei malati, Giovanni fu un riformatore, poiché non mise che un solo malato per ciascun letto; egli fu il primo a fondare il Workhouse aprendo nel suo ospizio una casa dove i poveri senza tetto ed i viaggiatori senza denari potevano dormire”.

 

Legittima, pertanto, è l’affermazione del chiarissimo Prof. Pazzini, cioè che “San Giovanni di Dio nella Storia della Medicina, o per meglio dire, in quella della assistenza ospedaliera, merita un posto che non può essere cancellato dai secoli che trascorrono sul mondo”.

 

Questa in sintesi è l’opera dell’umile portoghese Giovanni Ciudad nella storia dell’assistenza e del pro gresso ospedaliero, prescindendo da quella successiva dei suoi Figli spirituali: i Fatebenefratelli.

 

Introduzione

 

Quali epoche non sono agitate da contraddizioni?

 

San Giovanni di Dio ha rilevato i bisogni dell’uomo e con amore e scienza ha dato risposte tuttora attuali. I nostri contrasti sono sempre più inquietanti, ma

la sensazione di non trovare soluzioni la considero mancanza di’ speranza”.

 

La nuova visione del malato si colloca nelle con traddizioni esasperate del nostro tempo:

  • al recupero del valore di persona si contrappone la perdita del rispetto alla vita umana nelle varie ma nifestazioni di violenza

  • — il nuovo concetto di salute inteso come condizione di vivibilità e considerata “equilibrio dinamico, al l’interno della persona tra soma e psiche, all’ester no della persona tra soggetto e ambiente” è continuamente minato da fattori inquinanti o di rottura l’incontestabile progresso tecnologico e biotecno logico è avvolto dal rischio di un’applicazione non rispettosa della persona.

 

Siamo responsabili, o meglio, usando una parola un poco retorica siamo “i difensori” dei nostri malati per contrastare gli aspetti negativi. Il nostro ruolo, in questo periodo affascinante, è diffondere informazioni propositive e realizzare strutture nelle quali ognuno sia ‘persona” partecipe del “bene” insito nel progresso.

 

E necessario recuperare l’eticità della medicina.

 

La medicina della persona ripropone il ruolo della medicina come scienza di principi etici e di principi mo rali nell’operare del medico e di ogni operatore sanitario.

 

La eticità appare come aspetto peculiare che tra scende quello che viene definito etico ed intrinseco ad ogni altra scienza. La “eticità” della medicina traspare invece proprio attraverso il suo scopo di proteggere l’uomo, di difendere la vita umana, ma di fatto trova la sua ‘sostanza” nei principi che costituiscono nor me al suo stesso operare, principi che sono testimo niati nell’allo clinico quando questo è verso una scel ta che rispetti la persona umana nella sua verità inte ra” (A. Borghetti).

 

La medicina attuale: aspetti negativi e positivi

 

La medicina evoca un insieme di elementi in cui la riflessione è rapida ed è seguita immediatamente dall ‘azione. E propria della formazione medica la scarsità di ma teria di pura riflessione, di profonda conoscenza, di ap profondimento, per poi essere messa al servizio del l’uomo.

 

La medicina deve mantenere la salute, eliminare le malattie; questa affermazione ci mette in atteggiamento di riflessione sul concetto di salute e sul significato di malattia.

 

Lo storico, l’antropologo culturale, il sociologo, ci insegnano che le norme che definiscono salute e malattia mutano con le società, con il raffinarsi della tecnica, con il rapido sviluppo scientifico. La malattia non è più qualcosa che capita all’uomo nel suo insieme, ma una modificazione dei suoi di versi apparati. Le indagini eziopatogenetiche si restringono alla ricerca delle modificazioni tissutali e funzionali di un apparato o di più apparati.

 

Ormai fra l’operatore sanitario ed il paziente si sono insinuati elementi decisamente importanti, ma che hanno portato la scienza del guarire ad allinearsi alle altre scienze fisicistiche.

 

Il prezioso apporto della tecnica ha allineato la medicina fra le scienze della natura.

 

La medicina organizzata come scienza della natura ha adottato il metodo delle altre discipline scientifiche più progredite (quali la chimica e la fisica) cioè il metodo analitico.

 

Noi riconosciamo i momenti decisamente positivi di questa nuova concezione della medicina:

  1. Il principio della ricerca scientifica applicabile allo studio del metodo;

  2. Il significato fondamentale dell’indagine di tipo fi siopatologico e biochimico;

  3. L’’importanza dello studio strumentale;

  4. La terapia mirata.

     

I progressi della medicina e della chirurgia non sarebbero mai stati ottenuti se la medicina non si fosse allineata tra le scienze della natura. Questo progresso indiscutibile mette in evidenza alcuni aspetti:

 

  1. L’organizzazione sanitaria ha un modello organi cistico, le malattie vengono suddivise per settori e l’operatore sanitario, è un tecnico che cerca di scoprire il guasto di un organo per riparare solo quell’organo;

  2. In contrapposizione abbiamo acquistato coscienza che quando l’uomo è considerato semplicemente come una parte si opera una mutilazione antropologica.

 

Personalmente credo nella medicina scientifica, ma mi rifiuto di accettare quel dogmatismo che si irrigidisce sul metodo terapeutico o diagnostico appena scoperto, considerandolo come universale e unico possibile, trascurando di adattarlo al singolo malato. Forse è già subentrato un ripensamento in tutti noi operatori sanitari.

 

Anche tra i leaders culturali della medicina vi è certamente un’area di ripensamento:

 

  1. la pura concezione fisicistica delle malattie pare ab bia condotto la medicina in un vicolo cieco;

  2. il predominio del calcolo quantitativo e la super-specializzazione non possono porre la diagnosi globale della malattia di un uomo;

  3. la terapia, da servizio all’uomo, ha cominciato a divenire fine a se stessa, estranea all’uomo e talvolta pericolosa all’uomo.

 

Ritengo positivi alcuni atteggiamenti critici sulla medicina di oggi:

  • non può riguardare un ristretto settore specialistico;

  • il relativismo generale dopo alcuni lustri di scoperte entusiasmanti e di alcuni rifiuti in certi settori della scienza conduce ricercatori e super- specialisti ad integrarsi;

  • esiste una certa difficoltà ad accettare come esclusivo in medicina il punto di vista della scienza della natura;

  • è stata posta in discussione l’autosufficienza della analisi:

  • il ritorno della clinica all’uomo ha reso necessario il recupero delle capacità di sintesi, la percezione della totalità che è più della somma delle parti:

  • la totalità è la persona umane nei suoi rapporti con il mondo e quindi la sua assoluta priorità sulla tecnologia.

     

La globalità del malato e la tecnologia

 

Nella prospettiva della totalità la malattia non è solo un fatto biologico organico, essa traduce lo squilibrio della persona nel suo rapporto con il mondo, in cludendo elementi spirituali, psicologici, sociali, economici.

 

Noi crediamo, a questa totalità, ma molti ostacoli si frappongono nella coerenza quotidiana a questa visione di unitarietà. Molti elementi si inseriscono per frammentare nuovamente la persona, in particolare la persona malata.

 

Come ho in precedenza segnalato la medicina fisicistica ritiene prioritario l’aspetto biologico favorito dalla super-specializzazione e dalla tecnologia; forse un esempio può evidenziare i pericoli. L’esame eco-doppler dell’arteria carotide comune di destra dimostra la lesione ostruttiva di quel distretto arterioso, consente di fare una diagnosi e una scelta terapeutica, ma è un dato isolato se non ci preoccupiamo delle reazioni emotive del paziente, delle implicazioni personali, famliari, sociali che ne conseguono.

 

E un esempio trasportabile ad ogni altro… diagnostico o terapeutico dissociato dalla persona, ma è sempre un errore di approccio che minaccia la visione unitaria del malato.

 

La psicologia conosce un periodo di successo e di enfasi; ma noi tralasciamo la “cura” complessiva perché ansia, paura, depressione, sono componenti di molte malattie.

E proprio necessario essere psicologi per rimuovere queste situazioni?

 

Ma, in particolare, quale attenzione abbiamo per non provocarle e aggravarle?

 

Un flash sul malato e i nostri rapporti svela come esista lacerazione, disattenzione, dimenticanza della sofferenza psicologica aggravante una considerazio ne biologica alterata.

 

Rivediamo i rapporto quotidiani, dai piccoli gesti usuali (mobilizzare il paziente, rifare un letto, porgere il cibo, somministrare un farmaco) ai momenti impe gnativi dell’incontro con il malato che domanda:

  • aiuto per la sofferenza fisica e psichica

  • attenzione all’inquietudine, all’ansia, alle attese al la solitudine

  • un segno di affetto e di compartecipazione a quel la incerta vicenda in cui riconosce la sua malattia

  • assistenza “spirituale” nell’attesa del morire.

     

Ho l’impressione che talvolta l’atmosfera dei nostri ospedali, dei nostri ambulatori sia rarefatta, priva di anima, certamente non inserita in quell’insieme per servire” messaggio oggi proposto.

 

La componente psicologica del paziente può essere disattesa e talora offesa per assenza di comprensione, di gentilezza; si può lavorare tanto si può essere affaticati, senza riuscire a rimuovere dal nostro paziente il timore della dipendenza da noi, l’ansia di essere un peso per ogni operatore, l’inquietudine di non essere accettato.

 

La componente sociale è entrata di diritto nella nuova visione del malato.

 

Le nuove solitudini, il single, la famiglia nucleare, la società consumistica sono contraddizioni di un mondo che si configura nel “sociale a cui affida scelte e soluzioni.

 

L’incontro con il malato deve essere correlato a una ricerca sociologica semplice, capace di conoscere i problemi esistenziali prioritari: la vita relazionale, l’ambiente famìliare, la situazione abitativa, le condizioni di necessità.

 

Diagnosticare la malattia, somministrare un farmaco é oggi adeguato ai bisogni del malato?

 

Può essere sufficiente se rifiutiamo di ricordare il carisma dell’ordine di San Giovanni di Dio, se dimentichiamo di accogliere’ il malato.

 

E’ consentito dimettere da un reparto o lasciar uscire dall’ambulatorio un cardiopatico o un neuroleso senza chiedere in quale casa abita, a quale piano, con o senza ascensore?E un atto più importante del calcioantagonista consigliato.

 

Un fenomeno di rilevanza sociale è l’invecchiamento della popolazione, ha gravi ripercussioni sanitarie ed assistenziali in parte ancora disattese. Nella nuova visione del malato, questo aspetto demografico ha implicazioni tanto rilevanti da mutare ogni programma nel settore della salute.

 

E un problematica che da molti anni affronto ad ogni livello, ma con forza proprio in nome del rispetto alla persona la ripropongo come prioritaria all’attenzione di tutti sotto il profilo scientifico, umano, etico.

 

Ripercussioni sociali gravi sono insite nelle attuali difficoltà dell’assistenza psichiatrica iniziata cinque secoli orsono da San Giovanni di Dio e sempre continuata con competenza, serietà, rinnovamento, amore, dai suoi confratelli.

 

I problemi sociali riguardano il rapporto con la persona nella sua globalità, ma assumono un ruolo più ampio quando si ricercano nella attuale “medicina della popolazione”. Le implicazioni sociali sono nuove, imprevedibili, talora senza risposta e proprio in questo ambito la tecnologia, la biologia, la psicologia, la farmacologia accumulano insuccessi e sconfitte.

 

Ancora una volta è l’amore per l’uomo che porta a ricercare la patologie nuove e drammatiche:

  • riguardano l’anziano non autosufficiente e ogni in tervento che contrasta l’inabilità

  • coinvolgono il giovane tossicodipendente o l’omosessuale sempre più minacciati dall’AIDS

  • esprimono i drammi dei malati psichiatrici che avvengono nella famiglia, nella strada, nelle strutture sanitarie

  • manifestano la reazione alla solitudine di coloro che rifiutano la vita

  • sono le conseguenze di tutte le violenze ogni giorno consumate contro l’uomo sano e ammalato

  • comportano l’assistenza al malato terminale e colui che nell’angoscia, lascia un corpo e ogni rapporto relazionale, ma recupera la visione spirituale e religiosa della sua anima. Assistere un morente non è solo allo medico, ma é partecipare al suo ingresso nel mistero dell’eternità.

 

Le nuove»tecnologie e la biotecnologia caratterizzano il vicino 2000, sono parte integrante del progresso, accolte con gioia quando entrano nelle nostre strutture al servizio dei malato.

 

Sono in contrasto con chi demonizza le inarrestabili conquiste della ricerca, in quanto, esse costituiscono la nostra speranza di modificare il corso di alcune malattie con interventi in ambito diagnostico e terapeutico.

 

Le nuove scienze sono al servizio dell’uomo purché siano finalizzate al suo vero bene nei rispetto della sua unicità e irripetibilità. La tecnica favorisce la visione diretta, non invasiva, di organi e apparati, la biologia molecolare consente lo studio del ONA e di altre componenti cellulari, le sonde del DNA ricombinante si preannunciano come mezzi per modificare malattie congenite e preparare vaccini, la conoscenza delle vie nervose consente di riattivare funzioni lese. Entusiastica accettazione di queste tecnologie, purché non siano causa di rottura dell’equilibrio globale della persona.

 

Altro rischio delle tecnologie è il loro possibile coinvolgimento nell’atmosfera dilagante del consumismo.

 

Per una nuova visione del paziente è necessario fare la sintesi del rispetto alla persona considerata in tutte le sue componenti e delle tecnologie necessarie per curare la sua malattia.

 

Riflessioni obbligatorie da inserire nel lavoro quotidiano, difficile per le frequenti conflittualità sulle scelte più utili, meno pericolose per il nostro ammalato.

 

Rapporto con il malato

 

In quanto persona l’uomo è un essere conscio di sé che dispone di se stesso o si costruisce progressivamente prendendo opzioni libere. Emerge la necessità del colloquio con il malato. Il termine di anamnesi è stato sostituito giustamente con quello di “colloquio” a dimostrare un rapporto di parità fra operatore sanitario e paziente.

 

E’ indispensabile eliminare “l’asetticità” di alcune visite, di esami raffinati, ma aridi. Il malato ha il diritto di essere informato in modo adeguato, rispettoso cortese delle sue condizioni di salute, del programma diagnostico e terapeutico; è sotteso il coinvolgimento dei familiari.

 

Scrive Sir John Walton (President Generai Council Regno Unito): “sono convinto che per il resto del secolo e per buona parte del prossimo, dobbiamo continuare, attraverso l’insegnamento della medicina, a formare un medico “pluripotente” con un nucleo di conoscenze di base, di capacità e di comportamenti… L’arte del colloquio e di dare consigli è parte essenziale: non dobbiamo dimenticare l’importanza fondamentale del rapporto medico-paziente.

 

Troppo spesso ho vissuto situazioni critiche nelle quali i risultati di tecniche diagnostiche sofisticate hanno portato a conclusioni sbagliate o sono state male interpretate per una scarsa o inefficace comunicazione tra medico e paziente per quanto concerne la conoscenza della malattia e i mezzi di trattamento”.

 

Conclusioni

 

La visione del malato è complessa, ma si ricostituisce nei diversi ambiti che ho esaminato, è nuova in quanto inserita in una società ricca di potenzialità positive, ma tormentata da una sofferenza cosmica, sconfitta dal progresso, lacerata dalla incomunicabilità.

 

Il nostro impegno non si esaurisce nell’essere operatori qualificati, preparati aggiornati (lo ritengo un obbligo), ma richiede intelligenza, sensibilità, disponibilità per scoprire ogni bisogno e senza pretese di fantasia, costruire la futura visione dell’uomo ammalato.

 

L’antropologo Cristiano proponendo una medicina della persona, non pretende di sostituire semplicemente una prassi medica con l’altra; la medicina della persona non è neppure in ultima analisi una medicina ma lo spirito con cui la medicina deve essere praticata” (Spinsanti).

 

Questa è la medicina iniziata da San Giovanni di Dio, continuata dai suoi confratelli, riproposta a tutti noi che operiamo in Ospedali rinnovati, ma permeati da tante testimonianze di servizio e amore per ogni malato.

 

Concludendo con queste parole di Padre Marchesi, Generale dell’ordine “Gli uomini che soffrono sono direttamente e prioritariarnente il nostro prossimo: la nostra vista deve quindi avere una suo preciso orientamento in questo senso. E’ un orientamento faticoso da riconquistare, ma necessario. E’ questa riconquista, è questo vincolo “di sangue” tra noi e il malato che io chiamo “umanizzazione”.

 

Prima Dio e poi la Chiesa ci hanno affidato il compito di assistere gli ammalati: spetta a noi decidere se dobbiamo esercitare questa assistenza per dovere o per amore, vale a dire per il gusto di esercitare l’amore tutte le volte che ci è possibile, per il gusto e la follia di entrare in comunicazione intellettiva, affettiva, spirituale, con altre persone che sono nostri fratelli oppure perché alcune leggi ci imporrano (prima o poi) di essere più umani con il malato.

 

Dobbiamo chiedercelo fino al tormento e ci muove la consapevolezza che il bisogno fondamentale dell’uomo è quello di essere riconosciuto come persona degna per se stessa, degna cioè di ricevere attenzione, premura e amore al di là delle differenze di cultura, di istruzione, di classe sociale, di religione e di razza; oppure se ci muove l’esigenza di ricevere un applauso per la nostra bontà o quello di mantenere in stato di dipendenza chi è più debole”.

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SANTI COSMA E DAMIANO, MARTIRI 

 

Onore ai medici.

Onora il medico, perché la sua missione non è inutile. L’Altissimo l’ha creata, come ha creato le medicine e respingerle non è cosa da saggio.

“Le piante hanno le loro virtù e l’uomo che le conosce glorifica Dio, degno di ammirazione in tutto quello che ha fatto. Il dolore, per mezzo di esse è addolcito, l’arte ne trae ricette senza numero nelle quali risiede la salute.

Se sei malato, non trascurarti, figlio mio, ma prega il Signore che ti guarisca, allontana da te il peccato, purifica il tuo cuore, fa’ la tua offerta all’altare e poi lascia che il medico intervenga. Il suo intervento una volta o l’altra si impone e non contare di evitarlo.

Egli pure però deve pregare il Signore, perché diriga le sue cure a calmare la sofferenza, allontanare il male e rendere le forze a colui che lo ha chiamato” (Eccli 38,1-15).

Sono parole della Sapienza che era bene citare in questa festa. Fedele al precetto divino, la Chiesa onora oggi in san Cosma e san Damiano la professione del medico nella quale molti raggiunsero la santità (Dom A. M. Fournier, Notices sur les saints médicins).

 

Il Cristo e la sofferenza.

Sarebbe un errore grossolano pensare che la Chiesa, sollecita della salute delle anime e persuasa che la sofferenza è per esse sorgente di meriti immensi, si disinteressasse del corpo dei fedeli e delle miserie che li colpiscono.

Non ci si mostra Gesù Cristo nel Vangelo medico dei corpi e delle anime? Il maggior numero dei suoi miracoli hanno per oggetto la guarigione di malattie e infermità e la risurrezione stessa. Se la pietà del suo cuore arrivava fino all’anima degli infelici che gli erano messi davanti e vi portava il rimedio con la grazia della contrizione e con il perdono dei peccati, non dimenticava la malattia fisica, ma li liberava da essa con eguale potenza e bontà.

 

La Chiesa e la sofferenza.

Depositari del potere di far miracoli, gli Apostoli continuarono la missione del Maestro e il libro degli Atti ci fa sapere che il primo miracolo di san Pietro fu compiuto per guarire un infelice, che non aveva mai potuto camminare.

Quando la Chiesa ebbe la libertà di farlo, fondò non soltanto scuole per l’istruzione e l’educazione della gioventù, ma anche ospedali per i vecchi e i malati. Con la dottrina, tutta carità e mansuetudine, con l’esempio di abnegazione e di sacrificio, ispirò a molti suoi figli il pensiero e il desiderio di consacrarsi a quelli che soffrono.

Nel corso della storia sorsero numerose Congregazioni per l’assistenza dei malati: Fratelli di san Giovanni di Dio, Sorelle di san Vincenzo de’ Paoli ecc., e nelle regioni nostre come nei luoghi di missione si contano a migliaia gli ospedali, i dispensari dove religiosi e religiose curano con abnegazione indiscutibile che desta ammirazione, tutte le miserie della povera umanità.

 

Cristo nei fratelli sofferenti.

Questa attività generosa trova la sua spiegazione in un amore disinteressato per l’umanità sofferente e, prima ancora, in un amore per Cristo, che continua a soffrire nelle sue membra infelici. Mentre curano il malato, l’infermiere e l’infermiera vedono più lontano, vedono il Signore sofferente e, per amore suo, superano la naturale ripugnanza, la fatica che le cure e le veglie comportano, passano sopra tutte le difficoltà che incontrano nel malato o in quelli che lo circondano e non chiedono né paga, né ricompensa.

Però una ricompensa è loro assicurata: spesso quella degli uomini; ma, soprattutto e infallibilmente, quella di Dio. Il contatto con Dio è risanatore e santificante. Dio si è sostituito al prossimo ed è Dio che è servito, a Lui risale l’amore. Un bicchiere d’acqua offerto in suo nome non resta senza ricompensa e le sue grazie scendono abbondanti anche quaggiù su coloro che Lo servono, ma nell’ultimo giorno essi ascolteranno con gioia le parole del giudice supremo: “Ero ammalato e voi mi avete visitato” (Mt 25,36).

 

I santi medici.

Detto questo non sorprende che un grande numero di anime si sia santificato nell’esercizio della carità fraterna. Le Litanie dei santi medici contano 57 nomi e sono incomplete, perché bisognerebbe aggiungere i nomi di santi e di sante, che senza avere diploma o titolo di dottore in medicina, consacrarono tuttavia la vita all’assistenza dei malati e dei deboli. Bisognerebbe aggiungere il nome dei missionari martiri, che portarono in regioni lontane insieme con la fede la loro dedizione al sollievo di tutte le sofferenze fisiche. Gli Angeli aggiornano il Libro d’Oro sul quale leggeremo, nell’eternità, le meraviglie che la carità ha ispirato alle anime generose e, più ancora, quelle che vi ha realizzate.

 

VITA. – Sarebbe più facile tracciare la storia del culto dei santi Cosma e Damiano che dare notizie della loro vita e della loro morte. La tradizione li vuole fratelli, medici, arabi e martiri. Il loro culto nacque a Cyr, città della Siria settentrionale, dove nel V secolo era una basilica ad essi dedicata, e nel 530 il pellegrino Teodosio afferma che ivi furono martirizzati. La loro fama si propagò rapidamente e si trovano tracce del loro culto in Cilicia, a Edessa, in Egitto. Papa Simmaco (498-514) consacrò loro un oratorio a Roma e Fulgenzio un monastero in Sardegna, nel 520. Nell’ottavo secolo Gregorio II istituì una Messa stazionale nel giovedì della terza settimana di quaresima e la fissò nella loro Chiesa. I due santi sono oggi Patroni di una associazione di medici cattolici e delle Facoltà di Medicina.

Medici - Sepoltura di Cosma e Damiano medici 

Preghiera ai santi Cosma e Damiano.

Per implorare la protezione dei santi Cosma e Damiano, prendiamo a prestito dal Messale Mozarabico una bella preghiera:

“O Dio, nostro guaritore e medico eterno, che facesti Cosma e Damiano incrollabili nella fede, invincibili per il coraggio, affinché con le loro ferite portassero rimedio alle ferite umane, essi, che prima del loro martirio, con una terapeutica terrena, operarono la salute dei popoli, costituiscili, te ne preghiamo, nostri custodi e medici delle nostre infermità.

Per essi sia guarito quanto in noi vi è d’infermo, per essi sia la guarigione senza ricadute, per essi trovino rimedio i corpi e le anime. Mettano essi termine alle segrete malattie dell’anima, ai visibili languori concedano pronta salute.

Con la loro intercessione spremano il pus delle ferite, con le dita della loro preghiera le detergano fino in fondo, vadano essi incontro alle miserie umane per portare ad esse rimedio.

Sorreggano il peso che schiaccia gli uomini e possano quaggiù custodirci immuni dalla malattia del peccato per condurci ad essere coronati nella celeste patria”.

 

Preghiera a tutti i santi medici.

Terminiamo con una preghiera a tutti i santi medici, per raccomandarci alla loro benevola sollecitudine:

“Voi tutti santi e sante di Dio, che professione medica e carità nell’assistere gli infermi poveri illustrano e che la Chiesa cattolica onora e venera; e voi, san Luca, Evangelista di nostro Signore Gesù Cristo, primo fra tutti, principe e patrono dei medici cristiani;

e voi, insigni medici, Cosma, Damiano, Pantaleone, Ursino, Ciro d’Alessandria, Cesare di Bisanzio, Codrate di Corinto, Eusebio il greco, Antioco di Sebaste, Zenobio di Egea;

Voi ancora sante e dolcissime consolatrici dei malati, guaritrici dei loro mali e nelle arti medicali esperte: Teodosia, la martire illustre, madre di san Procopio, martire egli pure, Nicerate di Costantinopoli, Ildegarda vergine di Magonza, Francesca Romana,

che la carità verso gli infermi poveri e i miracoli resero così celebre, intercedete per noi presso colui nella fede e nella carità del quale voi viveste e per amore del quale esercitaste la medicina,

affinché noi, vostri imitatori, nella santità e nella carità cristiana per l’assistenza ai poveri malati, passiamo la nostra vita nella pietà e nella pazienza e l’eterna beatitudine sia per noi il magnifico e glorioso onorario che riceveremo dal generosissimo Gesù, che vive e regna nei secoli dei secoli”.

 

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1109-1112

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