CULTO SACRIFICIO SACERDOZIO – Don Enrico Ghezzi

CULTO SACRIFICIO SACERDOZIO

Di   don Enrico Ghezzi

 

Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questo è stato lo scopo di tutta la vita di san Paolo, al quale abbiamo rivolto la nostra attenzione durante l’Anno Paolino dello scorso anno; questa è stata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d’Ars, che invocheremo particolarmente durante l’Anno Sacerdotale; questo sia anche l’obiettivo principale di ognuno di noi.

Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella “scienza dell’amore” che si apprende solo nel “cuore a cuore” con Cristo.

È Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell’Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.

Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso “disegno del Padre” che consiste nel “fare di Cristo il cuore del mondo”

 

23 novembre 2009

   

Questi incontri avvengono nello spirito dell’Anno sacerdotale indetto dal Papa Benedetto XVI.

Noi parleremo di due grandi Pontefici che lo hanno preceduto sulla cattedra di Pietro, in anni di straordinario fermento religioso e spirituale della Chiesa come sono stati gli anni del Concilio Vaticano II, celebrato nella seconda metà del secolo XX.

Ritengo però utile, prima di affrontare la figura dei due grandissimi Pontefici come Giovanni XXIII e Paolo VI, fare un breve punto su cosa noi intendiamo per ‘sacerdozio’, indicando, anche solo di passaggio, altre grandissime figure sacerdotali:

  • a Milano personaggi, oggi beati, come il card. Ferrari e il Card. Schuster;

  • a Firenze il Cardinal Elia della Costa,

  • a Bologna il  Card. Lercaro;

  • e con la loro testimonianza, spesso profetica, sacerdoti come don Mazzolari, don Milani,

  • e  santi come don Orione, don Guanella, don Gnocchi ecc.

Per comprendere la realtà del sacerdozio bisogna prima tener presenti due fondamentali punti di partenza che incontriamo nel progredire del cammino biblico del Vecchio Testamento: già nell’antichissima storia del diluvio, quando Noè ‘uscito dall’arca con i figli, la moglie e le mogli dei figli  edificò un altare al Signore… con ogni sorta di animale, e offrì olocausti al Signore.’(Gen.8,18-20).

 Seguirà una lunga evoluzione che troverà  pieno superamento degli antichi riti soltanto, nel NT  nel compimento del  sacrificio sacerdotale di Cristo (lettera agli Ebrei): il sacerdozio è il momento culminate di due eventi che in qualche modo lo precedono, e che nella Bibbia possono essere indicati con il nome di‘culto’ e di ‘sacrificio’.

Debbo assolutamente sintetizzare, perché ci vorrebbero serate intere solo per illustrare il significato di”culto” e di “sacrificio” a cui segue il “sacerdozio”.

 

Il culto.

Diciamo soltanto che presso tutti i popoli antichi, anche quelli non biblici, esiste il ‘culto’ alle divinità: Egitto, Babilonia, Assiria, Persia, la terra di Canaan verso cui era diretto Abramo, tutte queste grandi civiltà conoscono e praticano il ‘culto’ agli dei: i popoli offrono sacrifici alle divinità.

Il culto è perciò  un insieme di relazioni tra Dio e l’uomo.

Nella Bibbia è Dio che si ‘rivela’ all’uomo; in risposta l’uomo ‘adora’ Dio con il culto in forma ‘comunitaria’. Nella Bibbia inoltre, il popolo sente il bisogno di culto verso Dio, perché questo popolo è stato ‘eletto’, scelto da Dio  per cui  lo deve ‘servire’ e diventare ‘testimone’ di Dio.(In ebraico la parola culto deriva dalla radice  abad  che significa servire). Elementi del culto, per Israele, saranno: i luoghi, oggetti e persone sacre, santuari, arca, altari, sacerdoti;  ci saranno tempi sacri: feste, sabato, purificazioni, consacrazioni, circoncisione, sacrifici, offerte, profumi e prescrizioni come digiuni, proibizioni ecc.

Inoltre, dopo il peccato, il ‘culto’ è apparso come ‘sacrificio’: i patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) erigono ‘altari’ (Gen.,4,26; 8,20; 12, 8): Dio però esclude ‘sacrifici umani’ (ricorda il sacrificio di Isacco dove Dio interviene a proibire il sacrificio della sua vita Gen.22 ).

Dopo l’Alleanza di Dio con Mosè sul Sinai (Es.19,3-8), Israele diventa <un regno di sacerdoti e una nazione santa>(Es,19,6) e il suo ‘culto’ ha una legislazione sempre più esigente.

Il centro di questo culto è l’arca, simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.  Il re Davide la stabilisce in Gerusalemme (2Sam.6) dove Salomone costruisce il ‘tempio’ ( 1Re 6) che diventerà l’unico luogo del culto sacrificale.

Dopo l’esilio (538 a.C.), il  culto si celebra nel‘tempio’ facendo risalire ad Aronne la genealogia dei sacerdoti.

Il culto, in Israele è soprattutto una ‘memoria’ dei fatti passati dove si attualizzano la ‘fede’ in Dio, un Dio che è presente come nel passato (Sal. 81) e dove si rinnova l’Alleanza (Gios,.24) in attesa  del tempo nel quale Dio inaugurerà il  ‘nuovo regno’ e le nazioni saranno unite. Prospettiva futura di cui in Geremia (31,31) annuncia la ‘nuova alleanza’. In seguito, attraverso i Profeti, il ‘culto’ diventerà spirituale;  l’alleanza come fatto interiore: fedeltà a Dio del cuore.

Nel NT  Gesù, come i profeti, esigerà la fedeltà allo spirito del culto (Mt. 23,16-23), per cui senza purezza del cuore, i riti di purificazione sono vani (Mt.23,25; 5,8).

Col suo sacrificio Gesù va oltre il culto antico: in Gv. 2,14; Gesù purifica il tempio e ci sarà un ‘nuovo tempio’ col suo corpo risorto(Gv.2,19). Allora avrà fine il tempio di Gerusalemme (Gv.4,21).

Nella chiesa nascente, il vero culto è quello in cui abita Dio e regna Gesù, come proclama Stefano (Att.6,13; 7,48).

 Anche Paolo predica continuamente che la ‘circoncisione è priva di valore e che il cristiano non è più soggetto alle osservanze antiche. Il cristiano è nuovo (Gal.5,1.6).

Con Gesù il nuovo culto è quello che annuncia, ed è il ‘culto‘spirituale’: <Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità>(4,24).

 Il sacrificio di Gesù è la ‘ nuova alleanza’ (Mc.10,45; 14,22) di cui i riti antichi erano immagini e che son ormai superati  Eb.10,1-8.

Gesù è il ‘nuovo culto’ perché il ‘suo  sacrificio ha veramente espiato  i peccati e dà la ‘vita eterna’ a coloro che mangiano e che comunicano con la ‘carne’ e il ‘sangue’ di Cristo (Gv.6,51) e che nella ‘cena’ ha inaugurato egli stesso nel banchetto sacrificale, e ha comandato di rinnovarlo (Lc.22,19 ss.).

 La Chiesa   ha obbedito alle parole di Gesù, e nelle loro preghiere e riunioni cultuali i primi discepoli celebrano la frazione del pane’ come raccontano gli Atti ( 2,42; 20,7.11), e come tramanda anche Paolo nella 1Cor.10,16; 11,24.

 Per partecipare al banchetto dell’eucaristia bisogna aver ricevuto il battesimo ordinato da Gesù (Mt. 28,19) condizione della nuova vita (Mc.16,16, Gv.3,5); infine, con l’atto  delle imposizione delle mani, gli apostoli danno lo Spirito santo ai battezzati  (At. 8,15ss.).

 

Infine, il ‘culto’ cristiano, come quello di Israele, ha un triplice aspetto: 1) Commemora un’opera divina del passato; 2) L’attualizza; 3) Permette al cristiano di vivere  nella speranza del giorno in cui Cristo manifesterà la  gloria di Dio. 

 

1.Commemora  un’azione del passato. Il culto che il cristiano commemora, è l’offerta di Cristo per la nostra salvezza  i cui frutti sono la ‘risurrezione e il dono  dello Spirito.!

Questa azione pone termine al culto antico perché ormai la salvezza si è consumata in Cristo (Eb.7,18-28). Con l’eucaristia Cristo ci dà la possibilità di ricevere il frutto del sacrificio che ha offerto sull’altare della croce.

 

2. Attualizza con questo rito, la presenza di Cristo glorioso: misteriosamente, Cristo si rende presente perché noi ci uniamo al suo corpo e al suo sangue che ha offerto per diventare con lui un solo corpo, glorificando il Padre  sotto la mozione dello Spirito Santo (1Cor.10,16s; 11,24 ss; Fil.3,3).

Con questa comunione noi abbiamo accesso al santuario celeste (Eb.10,19ss), dove Cristo dimora come sacerdote eterno (Eb.7,24s,9,11s.24); qui è celebrata l’adorazione del Padre in ‘spirito e verità’che è il solo culto degno del Dio vivente ( Gv.4,23; Eb.9,14).

Questa adorazione  è celebrata dall’agnello immolato dinanzi al trono di Dio, nel cielo, vero tempio di Dio, dov’è la vera arca dell’alleanza (Apoc. 5,6; 11,19). Gli eletti glorificano Dio con il Sanctus (Ap.4,2.11; Is.6,1) e glorificano pure l’agnello che è il suo Figlio (Apoc.4,1) e che ha fatto di essi un regno di sacerdoti per unirli al suo culto perfetto (Ap.5,9-13). 

3. La speranza della gloria.

Nell’ultimo giorno finiranno i riti che lo annunziano e che noi celebriamo ‘finchè venga’ l’Agnello, rispondendo alla invocazione della sua sposa ‘Marana tha=Vieni, o Signore! (Apoc. 19,7; 22,17; 1 Cor.11,26, 16,22). Allora non ci sarà più il tempio per indicare la presenza di Dio; nella Gerusalemme celeste la ‘gloria’ del Signore non si manifesterà più mediante segni (Apoc. 21,22). Infatti nella città santa dell’eternità, i servi di Dio gli renderanno un culto non più come peccatori ma come figli: vedranno il padre faccia a faccia e berranno alla sua fonte  l’‘acqua viva dello Spirito’ (Apoc. 21,1-7).23, 22,1-5).   

 

Il sacrificio

 

1.Tutta la Bibbia è attraversata dall’idea di sacrificio.

In Gen 6,2 ancora una umanità primitiva: Noè edifica un altare per ‘sacrificare ogni sorta di animali e uccelli’.

Gen. 15,9 Dio ad Abramo: ‘Prendimi una giovenca…’

Es. 5,3. Epoca mosaica: ‘Mosè ed Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono:

<Così vuole il Signore, il Dio di Israele. Lascia partire il mio popolo, perché mi  celebri una festa nel deserto’.

Così in  seguito, nel periodo dei Giudici (1200-931 a.C)  e dei Re (931-731 a.C) (Giud. 20,26; 1Re 8,64) e nell’età post-esilica (538-333 a.C: restaurazione dell’epoca persiana Esd.3,1-6). 

Nell’epoca ellenistica (333-63 a.C quando  Pompeo  occupa Gerusalemme : 1Mac.; 2 Mac.; Dn 11

Epoca romana: 63 a.C -135 d.C, Adriano rioccupa Gerusalemme (134).

 

Fino al tempo di Gesù e alla distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C), ad opera di Tito,

il sacrificio  ritma l’esistenza dell’individuo in Israele e della comunità.

Ma anche fuori dal popolo eletto il sacrificio con il misterioso episodio di Melchisedec (Gen. 14,18), in cui la tradizione vede un pasto sacrificale, il sacrificio esprime la pietà personale e collettiva.

Anche Isaia  56,7; 66,20 ricorda le offerte dei pagani-

Nel VT gli scrittori non concepiscono vita religiosa senza sacrificio. Il NT preciserà questa situazione. 

 

2. VECCHIO TESTAMENTO

Sviluppo dei riti sacrificali:

1.Dalla semplicità originale.

Nell’epoca più lontana della storia biblica c’è il rituale del sacrificio dei nomadi o seminomadi: erezione di altari, invocazione del nome divino, offerta di animali o di prodotti del suolo (Gen.4,3; 12,7s)., Senza posto fisso: si sacrifica dove Dio si manifesta. L’altare di terra primitivo, la tenda mobile (Es.20,24; 23,15) indicano il carattere occasionale dei luoghi di culto. Non ci sono ancora ministri specializzati: il capo di famiglia o della tribù, e sotto la monarchia il re, immolano vittime. Ben presto però uomini più qualificati assumono questo ufficio (Deut.33,8ss Giud.17).

Sotto Giosia (640-609 a.C)  il tempio diventerà il centro unico di ogni attività sacrificale, così i sacerdoti riserveranno a sé il monopolio dei sacrifici. 

2. Alla complicità dei riti.

Nella storia di Israele c’è una evoluzione: sviluppo causato dal passaggio dello stato nomade e pastorale alla vita sedentaria e agricola, sia dall’influsso cananeo e crescente importanza del sacerdozio. Elementi presi dai vicini (cananei) ma filtrati e purificati: viene escluso il sacrificio umano (Deut.12,31). 

3. Aspetti diversi del sacrificio.

Olocausti con vittime: (Gen.8,20= Noè), con tori, agnelli, capretti, uccelli interamente bruciati per esprimere il dono totale.

Presso i ‘Semiti’ è diffuso il pasto sacro (zebah selamim): il fedele mangia e beve  <davanti a Jahvè> (Deut.12,18);   anche l’Alleanza del Sinai è suggellata da un sacrificio del genere. Una parte della vittima (bestiame grosso o minuto) spettava di diritto a Dio, che è padrone della vita  Il sangue  effuso e i grassi consumati sono ‘alimento di Dio’,  cibo di Jahvè, mentre la carne serviva da cibo ai commensali. Secondo una forma arcaica  (Gen.8,21), Dio gradiva offerte <dal profumo soave> (Lev.1,9, 3,16).   

Sintesi del Levitico.

Il Levitico,  con linguaggio tecnico espone i ‘doni’ offerti a Dio (Lev.1,7; 22,17-30) che siano cruenti o incruenti: olocausto, offerte  di cibo, sacrifici di comunione (eucaristico), sacrificio per il peccato (hatta’ah), sacrificio di ‘riparazione’ (asam) . Atti minuziosi assumono un senso  sacro.

Il ‘ringraziamento’ ed anche il desiderio di ‘espiazione’ (Lev.1,4; Giob.1,5) ispirano l’olocausto.. Dietro una termini ligia fredda,  si scopre un senso affinato della ‘santità’ di Dio, l’ossessione del ‘peccato’’ un bisogno forte di ‘purificazione. In questo rituale la nozione di  sacrificio tende a concentrarsi intorno all’idea di ‘espiazione’.

Il  ‘sangue’ vi ha una grande parte (Lev.17,11; Is.43,25), e suppone sentimenti di  ‘penitenza’.

I riti di purificazione iniziavano i fedeli  alla purificazione del cuore. 

4. Dai riti al sacrificio spirituale.

 1. I riti come segno del < sacrificio spirituale>

Il Dio della Bibbia non trae profitto dai sacrifici. I riti rendono visibile i sentimenti interni: adorazione (olocausti), intimità con Dio (selamim), confessione del peccato, desiderio del perdono (riti espiatori). Il sacrificio interviene nelle cerimonie di  alleanza con la divinità(cfr. Gen.8,20 ss), specialmente al Sinai (Es.4,24,5-8); consacrala vita nazionale, familiare, individuale, soprattutto in occasione dei pellegrinaggi e delle feste (1Sam.1,3; 20,6; 2Re 16,15), secondo Gen. 22 , che è forse la carta dei sacrifici del tempio, Dio rifiuta le vittime umane, accetta l’immolazione degli animali; ma gradisce questi doni soltanto se l’uomo li offre con cuore nella fede, sull’esempio del patriarca  Abramo.

2. Primato della religione interiore.

C’era il pericolo di  attaccarsi al rito, trascurando il significato del ‘segno. Da qui le ammonizioni dei ‘profeti’’. Essi non condannano il sacrificio in quanto tale, ma le sue contraffazioni, soprattutto le pratiche cananee (Os. 2,15; 4,13). Senza disposizioni del cuore , il sacrificio è un atto ‘ipocrita’e dispiace a Dio (Am.5,25; Is.43,23).

I profeti insistono sul primato dello ‘spirito’ (anima) (Am.5,24; Os. 6,6: Mi.6,8). Il sacrificio interiore non è succedaneo ma l’essenziale (Sal.51,18ss). Questa corrente spirituale, riappare in Qumran, che denunciava  la pietà superficiale e infine, chiamava in causa i riti stessi.

In questo senso i profeti anticipavano la rivelazione del NT sull’essenza del sacrificio.

3. Il vertice della religione interiore del VT.

Il  servo di Jahvè, nel profeta Isaia 53, è il vertice della di questa religione dell’interiorità: egli offrirà la sua morte in sacrificio di espiazione. E’ un progresso notevole rispetto le concezioni di Lev.16. Qui, il capro espiatorio,  nel giorno della ‘espiazione’ portava via i peccati del popolo, ma non si identificava con la vittima del suo sacrificio. Il servo invece di Is.53, si sostituisce liberamente ai peccatori. La sua oblazione per la <moltitudine> è secondo il disegno di Dio.

Qui il massimo di interiorità si unisce  al massimo del dono con il massimo di efficacia.

 IL NUOVO TESTAMENTO

 Gesù riprende l’idea profetica del primato dello spirito sul rito (Mt.5,23s; Mc.12,33).

Tra i due Testamenti (testamento = alleanza), c’è continuità e superamento: continuità con l’applicazione alla morte di Cristo del vocabolario sacrificale nel NT; superamento con l’assoluta originalità dell’offerta di Gesù.

 

1.Gesù si offre in sacrificio. 

Gesù annuncia la sua passione  servendosi degli stessi termini che caratterizzavano il sacrificio espiatorio del ‘servo di Dio’. Gesù viene per ‘servire: ‘dà la sua vita’, muore  in riscatto’ a vantaggio della ‘moltitudine’ (Mc.10,45, Lc.22,37; Is.53,10ss).

Inoltre la cornice ‘pasquale’ del ‘pasto d’addio’ (Mt.26,2: Gv.11,55ss; 12,1…;13,1) stabilisce una relazione intenzionale precisa, tra la morte di Cristo e il sacrificio dell’agnello pasquale .

Infine, Gesù si richiama espressamente a Es. 24,8, facendo sua la formula di Mosè: ‘il sangue dell’alleanza’ (Mc.14,24 par.).

Il triplice riferimento all’agnello il cui sangue libera il popolo giudaico, alle vittime del Sinai che suggellano l’antica alleanza, fino alla morte espiatrice del servo, dimostra con chiarezza il carattere sacrificale della morte di Gesù: essa procura al popolo la remissione dei peccati, consacra l’alleanza definitiva e la nascita di un popolo nuovo e assicura la ‘redenzione’.

Ciò indica l’aspetto  fecondo del sacrificio del Calvario: la morte diventa fonte della vita.

La formula pregnante di Gv.17,19  riassume questa dottrina: ‘Per essi io consacro me stesso, affinchè anch’essi siano consacrati nella verità’.

L’eucaristia  destinata a rendere presente ‘nella memoria’ (cfr. Lev. 24,7), nella cornice di un pasto, l’unica oblazione della croce (Gesù), collega il nuovo rito dei cristiani agli antichi sacrifici di comunione .Così ‘offerta di Gesù, nella sua realtà cruenta e nella sua espressione sacramentale, ricapitola e compie l’economia del VT: è, insieme, ‘olocausto’, ‘offerta espiatrice, sacrificio di comunione.  La continuità dei due  Testamenti è innegabile. Ma per la sua unicità, a motivo della  dignità del Figlio di Dio e della perfezione della sua offerta, per la sua efficacia universale, l’oblazione di Cristo supera i sacrifici vari e molteplici del VT.  Vocabolario antico, contenuto nuovo.

La Chiesa riflette sul sacrificio di Gesù.

1.Dal sacrificio del Calvario al pasto eucaristico.

Gli scritti apostolici, sviluppano, sotto forme diverse, queste idee.

Gesù diventa <la nostra Pasqua> (1Cor. 5,7; Gv. 19,36);  <l’agnello immolato> (1Piet. 1,19; Ap.,5,6)  inaugura nel suo sangue la nuova alleanza (1Cor. 11,25), realizza l’espiazione dei peccati  (Rm.3,24s), la riconciliazione tra Dio e gli uomini (2Cor.5,9ss; Col.2,14). Come nel Levitico si insite sulla funzione del sangue  (Rom. 5,9; Col. 1,20; Ef.1,7;  1Pt.1,2.18s;  1Gv.1,7;  5,6 ; Ap. 1,5).

Gli apostoli tracciano un accostamento tra il sacrificio di Isacco (Gen.22) e quello di Gesù. Parallelo che mette in risalto la perfezione dell’offerta di Cristo al Calvario: Cristo agapetòs (‘rediletto)(cfr. Mc,12,6; 1,11; 9,7), si offre alla morte, e il Padre, per amore degli uomini, non risparmia il suo proprio Figlio (Rom.8,12; Gv,.3,16). Così, la croce rivela la natura intima del sacrificio: nella sua sostanza spirituale, il sacrificio è un atto d’amore.

Ora nel tempio era prevista una ‘mensa’ per i pani della proposizione, anche nella comunità cristiana esiste la ‘mensa del Signore’ Paolo paragona espressamente l’eucaristia ai banchetti sacri di Israele (1Cor.10,18). I cristiani non partecipano più soltanto a cose <sante’, ma comunicano con il corpo ed il sangue di Cristo (1Cor.10,16), principio di vita eterna (Gv.6,55-58). Questa partecipazione significa e produce l’unione dei fedeli, in un solo corpo (1Cor.10,17). Di fatto, si realizza così  il sacrificio ideale previsto da Malachia (1,11), valido per tutti e per tutti i tempi.

 2.Figure e realtà.

La liturgia antica del VT preparava e prefigurava il sacrificio di Cristo. La lettera agli Ebrei rende esplicito questa dottrina mediante il paragone continuo tra le due economie. Nella lettera agli Ebrei Gesù è chiamato ‘sommo sacerdote’ e vittima, e come Mosè sul Sinai, crea un’alleanza tra Dio e il suo popolo. Ora questa ‘alleanza’ è definitiva e perfetta (Ebr.8,6-13; 9,15.10,18).

Come il ‘Sommo sacerdote’ nel giorno della espiazione, Cristo compie un’azione purificatrice: elimina il peccato con l’effusione del suo sangue, e i fedeli ottengono così la ‘ purificazione delle coscienze ’. (Ebr.9,12ss).

Questo sacrificio, a differenza degli altri sacrifici che erano soltanto l’ombra della realtà, non ha bisogno di essere reiterato (Ebr.10,1.10). La liturgia che secondo l’Apocalisse (5,6..) si svolge in cielo attorno all’Agnello immolato, si ricollega alla rappresentazione della lettera agli Ebrei.

Come già nei profeti, dove l’atto rituale si rinnovava nella vita quotidiana,  anche nel NT si ritrova la stessa applicazione spirituale alla vita cristiana ed apostolica (Rom.12,1; 15,16; Fil.2,17; 4,18; Ebr.13,15). 

I credenti, con l’azione dello Spirito che li anima, in comunione col Signore, formano ‘un sacerdozio santo, allo scopo di offrire sacrifici spirituali, bene accetti a Dio per mezzo di Gesù Cristo’ ( 1Pt. 2,5). 

3. IL SACERDOZIO.

Nella lettera agli Ebrei, Gesù ‘possiede un sacerdozio immutabile’(Ebr. 7,24).

La lettera agli Ebrei, volendo definire la ‘mediazione’ di Cristo,l’accosta ad una funzione che esisteva nel VT come in tutte le religioni vicine: quella dei sacerdoti.  Per capire perciò il sacerdozio di Cristo, bisogna comprendere il sacerdozio del VT che lo ha preparato e prefigurato.

 

1 VECCHIO TESTAMENTO

 1. Storia della istituzione sacerdotale.

 Es.32,

1. Presso i popoli civili che circondano Israele, la funzione sacerdotale è assicurata dai re, specialmente in Mesopotamia e in Egitto. Esiste una vera casta sacerdotale, divisa in gerarchia.

Questo non avviene presso i  patriarchi (Abramo- Isacco-Giacobbe).

In quel tempo, non esistevano né tempio, né sacerdoti specializzati del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Le tradizioni della Genesi piuttosto, mostrano gli stessi patriarchi che costruiscono altari in Canaan (Gen.12,7s, 13,18, 26,25), ed offrono sacrifici (Gen.22,31,54; 26,25). Essi esercitano un sacerdozio familiare, praticato dai popoli antichi. I soli sacerdoti che compaiono sono stranieri: il sacerdote-re di Gerusalemme Melchisedec (Gen.14,18ss) ed i sacerdoti del Faraone (Gen.41,45; 47,22).

La tribù di Levi non ha ancora funzioni sacre (Gen.34,25-31).

 

2. A partire da Mosè, egli stesso levita, sembra farsi strada la specializzazione della tribù di Levi, nelle funzioni cultuali. Es.32,29: <Mosè disse:’Ricevete oggi l’investitura dal Signore…>

Il racconto arcaico di Es.32,25.29, esprime il carattere essenziale del suo sacerdozio: essa è eletta e consacrata da Dio stesso per il suo servizio, e la benedizione di Mosè  attribuisce i compiti specifici

dei sacerdoti (Deut.33,8-11).

I leviti sono sacerdoti per eccellenza (Giud.6,18-29; 13,19; 1Sam.7,1).

 3. Sotto la monarchia  (c.1000-700 a.C.), il re esercita parecchie funzioni del sacerdote: Saul offre sacrifici (1Sam.13,9); David offre sacrifici (2Sam.6,13.17; 24,22-25) fino ad Achaz (736-716 a.C:) (2Re,16,13). Tuttavia il re riceve il titolo di sacerdote soltanto nell’antico salmo 110,4 che lo  paragona a Melchisedec. La casta sacerdotale diventa una istituzione organizzata specialmente nel santuario di Gerusalemme, che -dall’epoca  di David-  è il centro cultuale di Israele.

 Da  Sadoq (2Sam.8,17), di origine sconosciuta, saranno i suoi discendenti a dirigere il sacerdozio del tempio fino al II sec.a.C.: Genealogie ulteriori lo collegheranno  alla discendenza di Aronne (cfr. 1Cron.27.34)  come già Abiatar, sacerdote, discendente di Eli, che amministrava a Silo (2 Sam.8,17). Leggiamo in Ezechiele: <I sacerdoti leviti figli di Sadoc…>

 

4. La riforma di Giosia  nel 621 a.C., sopprimendo molti santuari, consacra il monopolio levitico del sacerdozio di Gerusalemme e riserva l’esercizio delle funzioni sacerdotali ai soli discendenti di Sadoq (2 Re  23,5.9). La simultanea rovina del tempio e della monarchia (587 a. C) pone fine alla tutela del re sul sacerdozio e conferisce al sacerdozio stesso una autorità maggiore sul popolo.

Liberato ormai dal potere politico (che passa ai dominatori pagani: epoca persiana 538-333 a.C., epoca ellenistica 333-63 a.C.;  63-135 d.C., dominazione  romana), il sacerdozio diventa guida religiosa della nazione.

Il progressivo scomparire del ‘profetismo’ a partire dal secolo V accentua ancora la sua autorità. Già nel 573 i progetti di riforma di Ezechiele escludono ‘il principe’ dal santuario. (Ez.44,1 ss; 46). La casta levitica possiede ormai un monopolio incontestato (la sola eccezione Is.66,21 non concerne che ‘gli ultimi tempi’). Le raccolte sacerdotali del Pentateuco (sec. V e IV), poi l’opera del Cronista (sec.III), danno un quadro particolareggiato della gerarchia sacerdotale.

Essa è rigorosa. Al vertice, c’è il ‘sommo sacerdote’, figlio di Sadoq, successore di Aronne. Il titolo di sommo sacerdote appare in un momento in cui l’assenza del re  fa sentore il bisogno di un capo per la teocrazia.  L’unzione che egli riceve, a partire dal IV sec. (Lev.8,12; Dan.9,25), ricorda quella che un tempo consacrava i re. Sotto di lui stanno i sacerdoti, figli di Aronne.

Infine i leviti, clero inferiore, sono raggruppati in tre famiglie, alle quali vengono aggregati i cantori e i portieri (1Cron.25-26). Queste tre classi (sommo sacerdote, sacerdoti, leviti) costituiscono la tribù sacra, tutta votata al servizio del Signore.

 Ormai la gerarchia non conoscerà più variazioni. Nel 172 a.C., l’ultimo sommo sacerdote discendente da Sadoq, Onia III, è assassinato per intrighi politici. I suoi successori vengono designati fuori dalla sua casata, dai re della Siria.

La reazione dei Maccabei (I-2) termina con la investitura di Gionata, uscito da una oscura famiglia sacerdotale. Il fratello Simone che gli succede (143 a. C), costituisce il punto di partenza  della dinastia degli Asmonei , sacerdoti e re (143-37 a. C.).

Capi politici e militari più che religiosi, provocano l’opposizione dei farisei. Dal. canto suo, il clero tradizionalista, rimprovera loro l’origine non sadoquita, mentre la setta sacerdotale  di Qumran, passa persino allo scisma. A partire dal regno di Erode (37 a. C), si sommi sacerdoti sono designati dall’autorità politica, che li sceglie tra le grandi famiglie sacerdotali, le quali costituiscono il gruppo dei < sommi sacerdoti >,  più volte nominati nel NT.

II. Le funzioni sacerdotali.

Nelle religioni antiche i sacerdoti sono i ‘ministri del culto’ i custodi delle tradizioni sacre, i portavoce della divinità.

In Israele il sacerdozio esercita sempre due ministeri fondamentali: il servizi del culto e il servizio della parola. 

1. Servizio del culto.

Il sacerdote è l’uomo del santuario. E’ custode dell’arca nell’epoca antica (1Sam.1-4;2 Sam.15,24-29)., accoglie i fedeli nella casa di Jahvè (1Sam.1), presiede alle liturgie in occasione delle feste dei popolo (Lev.2311,20). Il suo atto essenziale è il sacrificio.

In esso egli appare nella pienezza della sua funzione di mediatore : presenta a Dio l’offerta dei suoi fedeli e trasmette loro la benedizione divina. Così Mosè  nell’alleanza sul Sinai (Es. 24,4-8); così Levi, capo di tuta la dinastia sacerdotale (Deut.33,10).

Dopo l’esilio (538 a.C.), i sacerdoti svolgono questo ufficio, ogni giorno, nel sacrificio perpetuo (Es.29,38-42). Una volta all’anno  il sommo sacerdote appare nella sua funzione di mediatore supremo officiando nel giorno della espiazione (Yom Kippur), per il perdono di tutte le colpe del suo popolo (Lev.16).

E’ pure incaricato dei riti di consacrazione e di  purificazione: l’unzione regale (1Re,1,39; 2 Re 11,12), la purificazione dei lebbrosi (Lev.11,12) o della puerpera (Lev.12,6ss).

 

2.Il servizio della parola.

In Mesopotamia e in Egitto, il sacerdote esercitava la divinazione; in nome del suo dio, rispondeva alle consultazioni dei fedeli. Nell’antico Israele il sacerdote svolgeva una funzione simile usando l’efod (1Sam. 14,36.42; Deut 33,89 ( efod = paramento sacro usato nel culto dell’antico Israele, una specie di sopravveste indossata dal sommo sacerdote, cui veniva legato il pettorale con gli Urim e i Tummim, oggetti usati come strumenti divinatori –Es. 28,30; Lev. 8,8 ; pare si tratti di due pietre o di due tavolette);  questi oggetti non si ritrovano più dopo David.

In Israele però  la ‘parola’ di Dio  giungeva al popolo attraverso i profeti  mossi dallo spirito.

Tuttavia la tradizione,  che cristallizza i grandi avvenimenti della storia sacra come  l’alleanza sinaitica o i grandi ricordi del passato che si rispecchiano nella ‘legge’ , in questo caso i ministri della parola sono i sacerdoti come Aronne in Es.4,14-16.

Nella liturgia delle feste, essi ripetono ai fedeli i racconti su cui si fonda la fede. (Es.1-15 ;  Gios.2-6 sono echi di queste celebrazioni). Proclamano la Torah, (Es.24,7; Deut.27; Neem.8), ne sono interpreti ordinari, (Deut.33,10; Ger. 18,18; Ez.44,23) ed esercitano una funzione giudiziaria (Deut.17,8-13; Ez.44,23).

In questo modo i sacerdoti assicurano la redazione scritta della legge nei diversi codici: Deuteronomio, legge di santità (Lev.17-26), torah di Ezechiele (40-48), legislazione sacerdotale (Es,. Lev., Num.), compilazione finale del Pentateuco (cfr. Esd. 7,14-26; Neem.8).

Negli ultimi secoli aumenta l’autorità degli scribi laici, collegati, per lo più, alla setta dei farisei, che al tempo di Gesù saranno maestri principali in Israele.

 III. Verso il sacerdozio perfetto.

Il sacerdozio del VT, in complesso, è stato fedele alla sua missione: con le sue liturgie, il suo insegnamento e con la redazione dei libri sacri, ha conservato viva in Israele la tradizione di Mosè e dei profeti e ha assicurato di età in età, la vita religiosa del popolo di Dio. Alla fine però, doveva essere superato.

 

1.La critica del sacerdozio.

I profeti hanno spesso stigmatizzato i limiti dei sacerdoti, inferiori al loro compito.

Deficienze maggiori: contaminazione del culto di Jahvè con gli usi cananei nei santuari locali di Israele (Os.4,4-11; 5,1-7; 6,9); sincretismo pagano a Gerusalemme  (Ger.2,26ss; 23,11; Ez. 8); violazione della torah (Sof.3,; Ger.2,8;  Ez. 8); opposizione ai profeti (Am.7,10-17; Is.28,7-13; Ger.20,1-6); interesse personale (Mic.3,11; cfr. 1Sam.2,12.17; 2Re,12,5-9); mancanza di zelo per il culto del Signore (Mal.2,1-9..).

Bisogna tuttavia ricordare che Geremia ed Ezechiele erano sacerdoti; così pure sacerdoti erano quelli che hanno redatto il Deuteronomio e la legge di santità, cercando di riformare la propria casta; negli ultimi secoli poi del giudaismo, la comunità di Qumran, si stacca dal tempio opponendosi al <sacerdozio empio >, ed era una setta sacerdotale.

 2.L’ideale sacerdotale.

L’interesse principale di queste critiche  e di questi disegni di riforma erano ispirati da un ideale sacerdotale. I profeti ricordano ai sacerdoti contemporanei i loro obblighi : esigono da essi il culto puro, la fedeltà alla torah. I legisti sacerdotali, da parte loro, definiscono la purità , e la santità dei sacerdoti (Ez. 44,15-31; Lev. 21,10)-

Si attendi il sacerdote fedele a fianco del Messia figlio di David (Zac.4; 6,12;Ger. 33,17-22), in alcuni testi  biblici (Zac.3,8, 6,11), come negli scritti di Qumran, il messia sacerdotale prende il soppravvento sul  messia regale. Questo primato del sacerdote è in armonia con un aspetto essenziale della dottrina dell’alleanza:

Israele è il ‘popolo-sacerdote’ (Es.19,6; Is.61,6;  2Mac.2,17s), il solo popolo al mondo che assicuri il  culto del vero  Dio e renderà al Signore il culto perfetto  (Ez. 40,48, Is.60-62; 2,1-5).

Nel VT tra Dio e il popolo ci sono diverse  mediazioni: il re guida il popolo di Dio  come capo istituzionale; il profeta porta personalmente la parola di Dio originale, adatta a una situazione particolare in cui egli è responsabile  della salvezza dei suoi fratelli.

Il sacerdote, come il profeta, ha una missione strettamente religiosa, ma la esercita nella cornice delle istituzioni;  è designato dal diritto ereditario, è legato al santuario e alle sue usanze. Porta al popolo la ‘parola di Dio’ in nome della ‘tradizione e non di sua testa; commenta i grandi ricordi della storia sacra ed insegna la legge di Mosè. Porta a Dio le preghiere del popolo nella liturgia e risponde a questa preghiera  con la benedizione divina.’

 

 NUOVO TESTAMENTO

I valori del VT  assumono tutto il loro senso soltanto in Gesù che li compie e li supera.

Questa legge si applica per eccellenza nel sacerdozio.

 

1 Gesù, sacerdote unico.

 

1 Vangeli sinottici.

Gesù non si attribuisce mai il titolo di ‘sacerdote’. Ciò è comprensibile perché, nel suo ambiente, questo titolo designava una funzione riservata ai membri della tribù di Levi.

Gesù vede il suo ufficio ben diverso dal loro e tanto più ampio. Preferisce chiamarsi ‘figlio’ e ‘figlio dell’uomo. Per definire la sua missione, si avvale di termini sacerdotali.

Il fatto è chiaro quando parla della sua morte.  Per lui è un sacrificio che descrive con le figure del VT

E’ come il sacrificio espiatorio del servo di Dio  (Mc.10,45; 14,24; cfr. Is.53).

O come il sacrificio di alleanza ai piedi del Sinai (Mc.14,24; cfr. Es. 24,8); il sangue che egli dà nel tempo della Pasqua evoca quello dell’agnello pasquale (Mc.14,24; cfr. Es.12,7.13.22). Accetta questa morte e la offre come il sacerdote offre la vittima; ne accetta l’espiazione per i peccati per instaurare la nuova alleanza per la salvezza del popolo.

Egli perciò è il sacerdote del  proprio sacrificio.

La seconda funzione del sacerdote  nel VT era il servizio alla torah. Gesù è chiaro davanti alla legge di Mosè: viene a compierla (Mt.5,7); anzi supera la legge  (Mt.5,20.48), e ne mette in luce il valore profondo, incluso il primo comandamento e nel secondo che gli è simile (Mt.22,34-40).

 

2. Da Paolo a Giovanni.

Paolo spesso ritorna alla morte di Gesù, sotto le figure dell’agnello pasquale (1Cor. 5,7), del servo (Fil.2,6-11), del giorno della espiazione (Rom.,3,24s). Questa interpretazione sacrificale appare ancora nelle immagini della comunione col sangue di Cristo (1Cor.10, 10,22), della redenzione in virtù del sangue (Rom,5,9; Cil.1,20; Ef.1,7; 2,13). Secondo Paolo, la morte di Gesù è l’atto supremo della sua libertà, il sacrificio per eccellenza, atto propriamente sacerdotale che egli ha offerto personalmente. Ma come già fece Gesù, anche Paolo non dà  a Gesù il titolo di sacerdote.

La stessa cosa vale per tutti gli altri scritti del NT, salvo la lettera agli Ebrei: essi presentano la morte di Gesù come sacrificio del servo (Att.3.13.26; 4,27.30; 8,22s; 1Pt.2,22ss), dell’agnello (1Pt.1,19). Evocano il suo sangue (1Pt.1,2.19; 1Gv.1,7). Ma non lo chiamano mai sacerdote.(attribuito alla tribù di Levi).

Giovanni 17: nella preghiera sacerdotale, nel racconto della passione, Gesù si presenta come il sacerdote che sta per offrire un sacrificio: Gesù <si santifica>, cioè <si consacra> mediante il suo sacrificio ( Gv.17,19), ed  esercita così una mediazione efficace alla quale aspirava invano il sacerdote antico.

(Ancora meglio per Gv.17,19: <Per loro io consacro (santifico) me stesso, perché siano anch’essi consacrati (=santificati –hegiasmenoi- ) nella verità>. Gesù diventa il  mediatore  della santificazione: santifica (= consacra ‘hagiazo’) se stesso perché siano santificati (= consacrati=hagiasmenoi ) in lui i discepoli. Se i discepoli devono continuare  la sua opera, devono essere anch’essi santificati: Gesù diventa mediatore: consacra-santifica se stesso (come sacerdote) per santificare-consacrare i discepoli.

Santifico.-consacro: è da intendere  <io mi offro in sacrificio>  <è il sacerdote che offre se stesso come vittima per quelli che Dio gli dà>  (Qui  ‘yper’, non lascia dubbi della dedizione di Gesù alla morte espiatrice=sacrificio pasquale)

(NB. Ogni sacerdote – come ogni cristiano-, vive la sua vocazione quando ‘santifica-consacra la sua vita per  il  popolo di Dio=santificare-testimoniare. Servire è quello che si chiede al sacerdote).

Ancora Gv. (cfr. Come abbiamo ascoltato Gesù.., p-1088).Questa visione di Gesù come sacerdote vittima sacrificale  (offre il suo sacrificio), si trova nella lettera agli Ebrei, In Eb.  9,12.24 troviamo che Gesù offre se stesso come vittima sacrificale; un pensiero che può corrispondere a Gv.17,19. l’idea è ripetuta in Eb 10,10: <Noi siamo stati santificati per mezzo della offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre>.

 

3. La lettera agli Ebrei.

Svolge, sola, il sacerdozio di Cristo, con ampiezza.

Concentra la sua attenzione sulla funzione personale di Cristo nell’offerta di questo sacrificio. E questo perché Gesù come Aronne, e ancora di più, è chiamato da Dio ad intervenire a favore degli uomini e a offrire sacrifici per i loro peccati (Eb.5,1-4). Il suo sacerdozio era prefigurato in quello di Melchisedec  (Gen,.14,18ss) , conformemente all’oracolo del salmo 110,4. Gesù è il sacerdote santo, il solo (7,26ss). Il suo sacerdozio segna la fine del sacerdozio antico. Gesù ha compiuto il suo sacerdozio una volta per sempre nel tempo (7,27; 9,12.25.28, 10,10-14). Ormai egli è per sempre l’intercessore (7,24s), il mediatore della nuova alleanza (86-13; 10,12-28).

(Ricorda anche il testo di Eb.1,5. Chi è oggi il sacerdote’. Il testo dice: < Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati>. Questa è l’immagine del prete: essere ‘scelti’ da Dio ‘per’ il servizio agli uomini nell’apostolato).

 

II. Il popolo sacerdotale.  

 1.Gesù, come non attribuisce  mai a se stesso il sacerdozio, così non lo attribuisce al suo popolo. Gesù però non ha mai cessato di agire come sacerdote e sembra di aver concepito il popolo come popolo sacerdotale. Gesù si rivela sacerdote mediante l’offerta del suo sacrificio e  mediante  il servizio della parola. Gesù chiama a prendere parte delle funzioni del suo sacerdozio anche i suoi discepoli.

Ogni discepolo deve prendere la sua  croce (Mt.16,24par.); deve bere il suo calice  (Mt.20,22; 26,27); ciascuno deve portare il suo messaggio (Lc.9,60; 10,1-16), rendergli testimonianza fino alla morte (Mt.10, 17-42).  Gesù facendo partecipare tutti gli uomini ai suoi titoli di Figlio e di Messia, li fa sacerdoti assieme a lui.

 

2.Gli apostoli prolungano questo pensiero di Gesù, presentando la vita cristiana come una liturgia, una partecipazione  al sacerdozio unico.

Paolo considera la fede dei cristiani come un <sacrificio di oblazione> (Fil.2,17); per lui tutta la vita dei cristiani è un atto sacerdotale ; li invita a offrire i loro corpi <come ostia vivente, santa, gradita a Dio; questo è il culto spirituale che voi dovete rendere> (Rom.12,1; cfr. Fil.3,3; Eb.9,14; 12,28).

La lettera di Giacomo, enumera gli atti concreti che costituiscono il vero culto: la visita agli orfani e alle vedove, l’astensione dalle sporcizie del mondo (Gc.1,26s.).

La prima lettera di Pietro e l’Apocalisse sono esplicite: attribuiscono al popolo cristiano il <sacerdozio regale> di Israele (1Pt.2,5.9; Ap,1,6; 5,10; 20,6; cfr.Es.19,6). Con questo titolo, i profeti del VT annunciavano che i profeti del VT dovevano portare in mezzo ai popoli pagani la parola del vero Dio e assicurarne il culto; ormai anche il popolo cristiano assume questo compito, dal momento che Gesù lo ha reso partecipe della sua dignità messianica di re e di sacerdote.

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III, I ministri del sacerdozio di GesùC. Gesù però fa partecipare il suo popolo al suo sacerdozio; nel NT come nel VT : questo sacerdozio del popolo di Dio non può essere esercitato se non da ministri chiamati da Dio.

 

1.Di fatto Gesù ha chiamato i Dodici per affidare loro la responsabilità della Chiesa: con il servizio della parola, nell’ultima cena ha affidato loro l’eucaristia (Lc.22,19).

 

2. Gli apostoli a loro volta stabiliscono dei responsabili per continuare la loro azione. Alcuni sono chiamati ‘anziani’, origine del nome attuale di ‘sacerdoti’ (presbiteri: Att.14,23, 20,17; Tit. 1,5).

La riflessione di Paolo sull’apostolato e sui carismi si orienta  verso il sacerdozio dei ministri della Chiesa.

Dà titoli sacerdotali ai responsabili delle comunità:

  • ‘amministratori dei misteri di Dio’ (1Cor.4,1s);

  • ‘ministri della nuova alleanza’(2Cor.3,6);

  • la predicazione apostolica come servizio liturgico (Rm.1,9, 15,15s).

Questo sacerdozio non è perciò una casta, ma è al servizio del popolo di Dio.  


Sito gestito dalla Parrocchia Santa Melania.

 

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