07 – PADRE NOSTRO – L’AMORE DEL PROSSIMO – Luca Beato oh

  VII

L’AMORE DEL PROSSIMO

 

Gesù chiede anzitutto un radicale e integrale orientamento della vita umana verso Dio. La “metànoia”( Mc 1,15 ), cioè la conversione ( non la penitenza ), consiste in una decisiva trasformazione della volontà, un nuovo atteggiamento di fondo, una opzione fondamentale a favore di Dio. Non si richiede la confessione dei propri peccati, ma il rifiuto della propria vita peccaminosa, della propria vita precedente e un orientamento verso il futuro migliore che Dio promette e dona con l’avvento del suo Regno. A questo futuro l’uomo si deve dedicare totalmente, senza voltarsi indietro dopo aver posto mano all’aratro ( Lc 9,62 ).

 

L’uomo deve consacrare il suo cuore a Dio e a niente altro: non al denaro e ai beni materiali ( Mt 6,19-21.24-34; Mc 10,17-27 ); non al diritto e all’onore ( Mt 5,38-42; Mc 10,42-44 ); neppure ai genitori e alla famiglia ( Lc 14,26; Mt 10,39 ). Chi vuole essere discepolo di Gesù deve “odiare” ( = mettere in secondo piano ) padre, madre, fratelli, sorelle, moglie, figli e perfino se stesso. Già, perchè l’esperienza insegna che il nemico più forte della nostra conversione è proprio il nostro io. La realtà invece è questa: chi ama la propria vita la perderà, chi invece la perde per Cristo e per il Vangelo, la ritroverà ( Lc 17,33; Mt 10,39 ).

 

Il discepolo di Gesù, per sè, non è che debba compiere degli atti di eroismo, ma deve vivere continuamente nella gioiosa gratitudine di chi ha trovato il tesoro nascosto nel campo o di chi è riuscito ad acquistare la perla preziosa. Il modello di questo atteggiamento è il bambino, non per la sua presunta innocenza, ma perchè ha totale fiducia nei suoi genitori, si lascia aiutare da loro naturalmente ed accetta spontaneamente e con riconoscenza i loro doni. L’invito di Gesù alla conversione del cuore è un invito alla gioia. E devono gioire anche gli altri ( il fratello del figlio prodigo ), come gioisce il Padre celeste per un peccatore pentito. Nei confronti di Dio noi ci dobbiamo sentire come figlioli nella casa del proprio Padre e non come schiavi sotto il Padrone. I rapporti tra noi e Dio non sono regolati da leggi scritte o da statuti giuridici, ma dall’amore gratuitamente offerto da Dio e fiduciosamente accolto dall’uomo.

 

 

 

La volontà di Dio è il bene dell’uomo

 

Da quanto è stato detto finora dovrebbe apparire chiaro che Dio non vuole niente per sè. La volontà di Dio è il bene dell’uomo, la vera grandezza dell’uomo, la sua dignità suprema.

 

In tutta la Bibbia viene detto diffusamente che la volontà di Dio è una volontà di salvezza sia del singolo uomo che di tutti gli uomini. Più precisamente all’inizio si tratta della salvezza del popolo ebreo e dei singoli nell’ambito della salvezza del popolo; ma poi si fa strada l’idea che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini.

 

Questa volontà di salvezza si traduce in aiuto e liberazione, difesa e protezione, risanamento e risollevazione. Dio vuole la vita del suo popolo, la sua gioia, la sua libertà, la sua pace, la sua salvezza, la sua felicità completa e duratura.

 

L’annuncio, che fa Gesù, dell’avvento del Regno di Dio, significa per l’uomo un annuncio di salvezza completa offerta gratuitamente da Dio, un annuncio di redenzione, di pacificazione, di felicità. In Gesù si ha proprio una radicale identificazione della volontà di Dio con il bene dell’uomo. Dio non viene visto senza l’uomo, l’uomo non viene visto senza Dio.

 

Le conseguenze di questo insegnamento sono logiche e immediate:

- Non si può essere per Dio e contro l’uomo.

- Non si può essere persone pie e comportarsi in modo disumano.

Tutto ciò sembrerebbe una cosa ovvia, ma invece non lo è, nè oggi nè al tempo di Gesù. Questa invece è la novità assoluta portata da Gesù: il vino nuovo che gli otri vecchi non possono contenere; il tessuto nuovo che non si può usare per rappezzare quello vecchio.

Poichè è in gioco l’uomo:

  •  
    • Gesù, che solitamente è rispettoso della Legge, non esita ad andare
    • mangiare e nel bere.
    • Gesù rigetta l’osservanza rigida del riposo del Sabato perchè disumana e dichiara esplicitamente che il Sabato è fatto per l’uomo.

 

La Legge non è un assoluto

 

Gesù ha relativizzato la Legge. La causa di Dio non è la Legge, ma l’uomo. Questo vuol dire: umanità al posto di legalismo, istituzionalismo, giuridismo, dogmatismo. Non si tratta di abolire norme ed istituzioni, ma di valutarle in funzione dell’uomo, di umanizzarle. Non si vuole, certo, sostituire la volontà dell’uomo a quella di Dio, si vuole significare che la Legge non è un assoluto, ma ha la funzione di favorire il bene dell’uomo. I comandamenti esistono per l’uomo, non l’uomo per i comandamenti ( Mc 2,27 ) .

 

 

Il Tempio non è un assoluto

 

Gesù relativizza il Tempio. Non si tratta qui solo dell’edificio sacro, ma dell’intero ordine del culto a Dio, il servizio divino. “Prima riconciliati con tuo fratello, poi vieni a presentare la tua offerta” ( Mt 5,23 ). Alla riconciliazione fraterna e al servizio quotidiano fatto al prossimo va accordata la priorità rispetto al servizio divino e all’osservanza del giorno riservato al culto divino.

Gesù non abolisce la Liturgia, anche se predica la fine del Tempio, ma la vuole vedere al servizio delle esigenze umane. La Causa di Dio non è il culto, ma l’uomo: umanità invece di formalismo, ritualismo, liturgismo, sacramentalismo.

Certo, il servizio umano non sostituisce il servizio divino; ma il servizio divino è in funzione del servizio umano. Non si può prendere in seria considerazione Dio e la sua volontà, senza prendere contemporaneamente in seria considerazione l’uomo e il suo bene.

Gesù, quando prende le difese dell’uomo, non esita ad assumere atteggiamenti di combattività ed aggressività contro persone ed istituzioni. Gesù non è la figura dolce, mite, arrendevole, quieta, umile, paziente che certo pietismo e devozionismo vorrebbe farci credere.

 

Amore di Dio e del prossimo

 

Anche il Giudaismo parla sporadicamente di un amore su due piani: Dio e il prossimo. Gesù fa una originalissima riduzione e concentrazione di tutti i comandamenti a questi due dell ’amore di Dio e del prossimo, annodandoli strettamente tra di loro in una indissolubile unità. Dopo di Lui, non è più possibile dividere la religiosità dal comportamento. L’ unico amore si deve esprimere in atti di culto verso Dio e in gesti d’amore verso il prossimo.

 

Sia ben chiaro che per Gesù Dio e l’uomo non sono la stessa cosa. Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. Dio detiene il primato assoluto e va amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze ( Mt 22,37 ). Ma amare Dio non vuol dire fuggire dal mondo, cercare l’unione mistica con Dio nella solitudine. L’amore di Dio senza l’amore dell’uomo è vuoto e illusorio. L’amore del prossimo, però, è distinto dall’amore di Dio e non può diventare strumento dell’amore di Dio. Cioè, io devo amare il prossimo per se stesso, perchè Dio vuole che io ami tutti i figli suoi. Quando aiuto il prossimo che è nel bisogno non devo fare discorsi pii. Il samaritano presta soccorso al ferito che incontra sulla via senza addurre motivazioni religiose. E’ il suo gesto di carità che è per se stesso gradito a Dio. I benedetti del giudizio finale si meravigliano che le opere di misericordia fatte al prossimo, Dio le consideri come fatte a sè. Amore del prossimo non vuol dire amore dell’umanità in genere. L’umanitarismo non costa nulla, è facile a praticarsi. Ma la prestazione concreta fatta al singolo malato, affamato, oppresso, impegna seriamente e profondamente.

 

E’ al vicino che dobbiamo guardare: in famiglia, in parrocchia, nella scuola, nel campo professionale, ecc. E’ più facile solidarizzare con poveri dell’India e dell’Africa, che con i marocchini, che vengono qui da noi. Quanto più lontano è il prossimo, tanto più agevole risulta una professione verbale d’amore.

 

Gesù invece vuole l’amore pratico e concreto. Per Gesù l’amore non è solo amore dell’uomo, ma essenzialmente amore del prossimo. E nell’amore del prossimo trova la sua realizzazione pratica l’amore di Dio. Dall’intensità del mio amore per il prossimo, ho la misura dell’intensità del mio amore per Dio.

 

“Come te stesso”

 

Il prossimo va amato “come te stesso”( Lv 19,18; Mt 22,39 ). Noi amiamo istintivamente noi stessi e sappiamo bene quello che vogliamo gli altri facciano a noi. Quello che istintivamente vogliamo per noi, uscendo dal nostro egoismo, lo dobbiamo volere e fare anche al nostro prossimo. Non è che dobbiamo estinguere il nostro io, come voleva una certa ascetica del passato, ma aprirci agli altri: essere vigili, attenti, disponibili a venire in aiuto agli altri. Denominatore comune dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo è quindi il ripudio dell’egoismo, la volontà di dedizione. Dio non mi chiama dalle nuvole e nemmeno dal fondo della mia coscienza, ma soprattutto attraverso il prossimo: un appello che non si spegne mai, che ogni giorno torna a raggiungermi in mezzo alla mia vita quotidiana nel mondo.

 

Chi è il mio prossimo

 

Per gli Ebrei ( Lv 19,18 ) si tratta dei membri del proprio popolo; gli altri sono nemici. Gesù non dà una definizione del prossimo, ma con la parabola del buon samaritano indica che il prossimo non sono soltanto quelli della propria famiglia, della cerchia deg1i amici; quelli del mio partito, del mio popolo, ma anche gli estranei. Il prossimo è imprevedibile. E’ chiunque ha bisogno di me. Inoltre l’inversione della risposta (” Chi ti sembra sia stato il prossimo a colui”…) rispetto alla domanda (“Chi è il mio prossimo? ) indica che il centro della parabola è l’urgenza di praticare l’amore concreto verso chi ha bisogno.

 

Anche i nemici

 

Gesù non parla solo di amore verso il prossimo, ma anche di amore verso i nemici. Questa è la sua caratteristica esclusiva.­ La “regola aurea”: ” Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” ( Mt.7,l2 ), almeno nella forma negativa, era nota anche nell’Antico Testamento ( Tb 4,l5 ). Gli Ebrei forse l’avevano mutuata dalla filosofia greco-romana. Il Rabbi Hillel ( 20 a.C. ), nella forma negativa, la definisce la “summa”‘ della Legge.

Il programma “amate i vostri nemici” appartiene a Gesù, che, in questa maniera toglie ogni confine all’amore del prossimo. Mentre Qumran diceva di odiare i nemici, Gesù dice: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano ( Mt 5,43 s ), fate del bene a quelli che vi odiano ( Lc 6,27 ). Nella parabola del buon samaritano la persona da imitare non è nè il sacerdote, nè il levita ( = fallimento morale ) e nemmeno un Ebreo laico, ma un Samaritano ( per gli Ebrei un nemico, uno scomunicato, un eretico), uno da cui bisognava stare alla larga, al quale non bisognava nè dare nè ricevere il saluto.

 

Per quale motivo?

 

Il motivo per cui dobbiamo amare anche i nemici non è il fatto che abbiamo la medesima natura, non è la filantropia, non è la pietà universale, ma la perfetta imitazione di Dio. Dio non divide l’umanità in buoni e cattivi. Il sole e la pioggia vengono concessi a tutti senza alcuna discriminazione. Con l’amore reciproco gli uomini e le donne devono dimostrarsi figli e figlie dello stesso Padre, divenendo, da nemici che erano, fratelli e sorelle ( Mt 5,45 ).

 

L’amore di Dio per i nemici è quindi esso stesso la ragione dell’amore dell’uomo per i nemici. Per giunta è proprio verso i nemici che si manifestano le caratteristiche dell’amore vero: non cerca il contraccambio, non attende ricompensa.

 

E’ immune da qualsiasi calcolo ed egoismo latente, ed è interamente aperto all’altro.

 

La radicalità autentica

 

Gesù non è un fanatico, come ce n’erano tanti al suo tempo, conservatori, rivoluzionari, moralizzatori. Gesù si pone al di sopra di tutte le correnti. La sua radicalità è la radicalità dell’amore.

L’amore predicato da Gesù non comporta di per sè, il compimento di grandi azioni, di grossi sacrifici. Qualche volta, certo, può esigere la rottura con i parenti, la rinuncia ai propri beni, perfino il martirio. Ma normalmente si realizza nella vita quotidiana: salutare per primo ( Mt 5,47 ), scegliere l’ultimo posto a tavola ( Lc 14,7-11 ), essere in ogni caso sinceri ( Mt 5,37 ).

Per illustrare meglio la radicalità dell’amore cristiano, sia sul piano individuale, sia sul piano comunitario, ne focalizziamo tre aspetti: il perdono, il servizio e la rinuncia.

 

La riconciliazione con il fratello precede il servizio divino. Senza riconciliazione con il fratello non esiste riconciliazione con Dio ( Padre nostro ). Più esattamente, è la presa di coscienza di essere peccatori che hanno ottenuto da Dio il grande perdono ad aprirci il cuore a concedere al prossimo il piccolo perdono ( Parabola del re magnanimo e dal servo spietato: Mt 18,21-35 ). Il perdono che vuole Gesù è senza limiti, settanta volte sette ( Mt 18,22; Lc 17,4 ).

 

Il coraggio di servire gli ultimi conduce alla vera grandezza. E’ questo il senso della parabola del convito ( Lc 14,11 ): all’autoesaltazione segue l’onta della degradazione; all’autoumiliazione segue l’esaltazione per opera di Dio. Gesù vuole un servizio fraterno altruistico nella comunità apostolica e non rapporti gerarchici. Ci torna su più volte: nella richiesta dei figli di Zebedeo, nella disputa tra gli apostoli, nell’ultima cena con la lavanda dai piedi. Il più grande è colui che serve a tavola ( Mc 10,43 ss ). In questo devono prendere esempio da Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire a dare la sua vita in riscatto per molti. Tra i discepoli di Gesù non ci deve essere nessuna carica fondata sul diritto e sul potere (come il potere statale) e neppure sulla dignità e sulla dottrina ( come le cariche degli scribi ). Nel popolo di Dio i Superiori devono servire più degli altri il gruppo al quale sono preposti.

 

Gesù esige la rinuncia alle realtà negative ( brame, peccati ): se il tuo occhio ti è di scandalo, cavalo, ecc.( Mc 9,43 ); non solo, ma diffida dallo sfruttare i più deboli ( Mc 12,40 ): divorano le case delle vedove ) e vuole anche la rinuncia a realtà positive come il diritto e il potere. Questo è il significato di fare due miglia con chi te ne chiede uno; dare anche il mantello a chi ti ha tolto la tunica; porgere l’altra guancia a chi ti ha percosso su una ( Mt 5,39-41).

 

Proprio questi esempi, nella loro espressione paradossale, fanno capire che non si tratta di norme giuridiche, ma di uno spirito nuovo di rinuncia a combattere la violenza con la violenza. Questa rinuncia non è espressione di debolezza; non è neppure rinuncia alla protesta contro i soprusi ( Gesù in tribunale ha protestato contro uno schiaffo ingiusto ).

 

Gesù fa degli appelli per un radicale compimento della volontà di Dio, la quale è sempre, in tutte le circostanze, favorevole al prossimo. Ogni rinuncia è espressione quindi di una grande forza d’animo, perchè è solo il lato negativo di una nuova prassi positiva.

 

In questa prospettiva vanno rivisti anche i dieci comandamenti. Essi acquistano significato nel contesto della “giustizia migliore” del discorso della montagna. 

  1. 1 ) Non solo non avere altri dèi all’ infuori di Lui, ma amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, amare il prossimo e addirittura il nemico come se stessi.
  2. 2 ) Non solo non pronunciare invano il nome di Dio, ma neppure giurare su Dio.
  3. 3 ) Non solo santificare il sabato con il riposo, ma in quel giorno fare attivamente il bene.
  4. 4 ) Non so1o onorare il padre e la madre per vivere a lungo sulla terra, ma, se necessario per una vita autentica, rispettarli anche nella forma della separazione.
  5. 5 ) Non solo non uccidere, ma evitare pensieri e discorsi dettati dall’ira.
  6. 6 ) Non solo non commettere adulterio, ma rifuggire da intenzioni adultere.
  7. 7 ) Non solo non rubare, ma rinunciare al diritto di restituire un torto subito.
  8. 8 ) Non solo non rendere falsa testimonianza, ma fare in modo che il sì sia con assoluta sincerità un sì e il nò un nò.
  9. 9 ) Non solo non attentare alla casa e alla roba del prossimo, ma sopportare ogni sopruso.
  10. 10 ) Non solo non attentare alla donna del prossimo, ma astenersi dal divorzio legale.

L’amore trascende ogni Legge, ogni precetto, ogni comandamento. Chi ama ha già adempiuto la Legge, dice bene S. Paolo ( Rm 13,8-10 ). E S. Agostino ribadisce: “Ama e fa quello che vuoi”. Se ami davvero Dio e il prossimo, non hai bisogno di Leggi che ti indichino il comportamento da tenere perchè il tuo cuore ti suggerirà in ogni circostanza cosa devi fare.

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