SAN GIOVANNI CALABRIA – LETTERE AI SUOI RELIGIOSI

LETTERE DEL PADRE AI SUOI RELIGIOSI

* LETTERA I 24 febbraio 1932

Ai miei carissimi e amatissimi sacerdoti che partono per Roma onde compiere uno dei grandi disegni che la divina Provvidenza ha sopra questa sua Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Carissimi in Gesù Cristo

Noi con la vostra partenza ci troviamo davanti ad un fatto chiaro e preciso come la luce del sole, che dimostra come la divina Provvidenza guarda a questa sua Opera, a questa nuova Congregazione in un modo tutto particolare e come va gradatamente compiendo i grandi disegni che ha da tutta quanta l’eternità. Meditatelo bene che è proprio il Signore che vi ha eletto fra mille e mille ad essere destinati ad andare nella città dei Santi, dei Martiri, del Vicario di Cristo in terra. La vostra partenza è una chiamata direi quasi straordinaria, è un fatto, un avvertimento che commuove, e che deve tutti quanti richiamare a fare delle serie riflessioni sulla grandezza dell’Opera, alla quale noi tutti abbiamo la grande fortuna di appartenere, e nello stesso tempo considerare la grande responsabilità che pesa su voi che partite, e su moi che restiamo. Carissimi, sempre vi ho detto e ridetto nel corso di questi anni che l’Opera è grande, che Dio ha dei grandi disegni da compiere e che questi disegni si compiranno a patto che noi siamo strumenti docili, umili, come cenci, senza testa, come creta, e questo ve lo dico e velo ripeto anche ora che mi lasciate, e che io vi do come mio testamento. Certo che quando io vi pensavo, non sospettavo nemmeno che la Provvidenza vi volesse a Roma, e così presto, a Roma centro della Chiesa Cattolica. Non pensavo certo che altri disegni di non minore importanza avesse a manifestare, subito dopo la erezione a Congregazione, e che si compiranno nelle sofferenza, nella lotta, nel patire, perché, ricordiamolo bene, solo nella sofferenza e nella croce questa pianta del Signore avrà la sua linfa per maturare e fiori e frutti, frutti di gloria di Dio e di bene alle anime.

Carissimi Confratelli, voi andate a Roma. Ricordatevi che chi vi manda è lo stesso Gesù che un giorno ha mandato i suoi Apostoli nel mondo a predicare e prima di tutto a praticare il S. Vangelo. Vi assicuro che io appena sacerdote, quando leggevo quel tratto evangelico che dice come gli Apostoli mandati dal Redentore, dovevano andare senza bastone, senza sacchi, con grande fiducia in Dio, quelle parole mi facevano una grande impressione e sempre le portavo scolpite nel mio animo. Ora capisco il perché di quella impressione; era il segno della volontà del Signore che voi, che noi di quest’Opera avessimo questo spirito. Andate dunque, ma andate come sono andati gli Apostoli: senza nessun pensiero per le cose temporali, senza preoccupazioni. Guardate che questa è la vostra divisa. Dio non vi abbandonerà mai, ma sarete sempre ricchi nella vostra povertà; e se vi sarà bisogno, il Signore per voi farà anche dei miracoli.

Portate a Roma lo spirito che informa la nostra Opera. L’unico e solo pensiero: il Regno di Dio e la salute delle anime. Siate il Vangelo vivente; e prima di predicare praticate. Il Vangelo per voi sia applicato alla lettera e solo in questo sta il vostro patrimonio, il segreto per compiere grandi cose.

Sento in questo momento tutto quello che devo soffrire io, che dovrete soffrire voi da parte di Satana che freme, che freme, e non so fino a dove potrà giungere. Carissimi, stringiamoci al Crocefisso e invochiamo il suo aiuto, unito al patrocinio della Vergine Addolorata e andate avanti. Il vostro viaggio per Roma guardate che non è un viaggio di piacere, è un viaggio al Calvario, e quando sarete arrivati là, dovete essere sempre sul Calvario; questa è la condizione perché il vostro ministero sia da Dio benedetto. Voi dovete essere a Roma come il navigante è sulla nave, che viaggia sul mare, ma che il mare mai abbia ad entrare nella nave. Mi avete capito: per amore di Dio che lo spirito profano, farisaico non si attacchi a voi. Il vostro sguardo sia agli Apostoli, ai Santi, ai Martiri e solamente così potrete compiere e fare la divina volontà. Non fate niente senza preghiera e consiglio. Quello che dite, quello che fate, sia prima da voi sentito e praticato.

Andate a Roma e state a Roma, come sono andati e sono stati gli Apostoli, i Santi, i Martiri. Guardate che le anime si acquistano a Dio col patimento, con la carità e solo con la carità. Quando non potete parlare alle anime allora parlate a Dio delle vostre anime. Non vi fermate mai alla corteccia, guardate la midolla, pensate che sono anime redente dal Sangue del Signore. Il vostro viaggio e la vostra permanenza a Roma sia sotto la protezione della Vergine benedetta, di San Giuseppe, di S. Teresa del B. G. e del Pontefice Pio X. Ed ora il mio affettuoso saluto, la mia benedizione, raccomandandomi tanto alle vostre preghiere; vi raccomando l’obbedienza e l’unione alla Casa Madre e vi lascio con l’augurio di trovarci un giorno tutti in Paradiso.

* LETTERA II 26 novembre 1932

Carissimi fratelli nel Signore

Nei giorni passati, per somma grazia di Dio Benedetto padrone assoluto di quest’Opera che si dice dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, abbiamo assistito con sentimenti di gioia e di riconoscenza alle feste del suo giubileo. Venticinque anni dacché la divina Provvidenza, con sguardo e cura tutta speciale, ha voluto fondare quest’Opera perché sia luce e salute a tante e tante anime; e certo nella nostra mente son passati dei grandi pensieri.

Abbiamo meditato tutta la lunga serie di favori, di grazie, di benefici, che il Signore nel corso di questi 25 anni ha profuso sopra questa sua Opera, senza considerare le altre grazie, gli altri doni, gli altri benefici, che, perché sono di indole soprannaturale, non sono da noi meditati e apprezzati come ciò che noi vediamo e che cade sotto i nostri sensi; eppure sta il fatto che quest’Opera, come tante volte vi dissi, nei disegni di Dio compie di queste meraviglie con la semplice sua esistenza. Credetemi, essa è grande; rischiara tante e tante menti che vivono nell’oscurità e che illuminate da questa luce, corrono a Dio e a Lui si donano e Lui servono.

Quest’Opera è una continua voce che chiama tanti e tanti poveri nostri fratelli che sono fuori di strada, e li costringe a pensare, a meditare, e così i loro cuori, avvalorati dalla divina Grazia, si rivolgono dalle cose caduche e misere di questa terra a quelle eterne del cielo, convinti che se pensassero a Dio, a cercare il suo Regno, la divina Provvidenza in aggiunta concede i mezzi e le cose temporali. E non vi pare, o miei fratelli, che questa sia una grande Casa nei disegni della Provvidenza?

Solo in Paradiso potremo capire, potremo comprendere il bene, i disegni che il Signore ha compiuto per mezzo di quest’Opera, sì, se noi vivremo secondo lo spirito tutto proprio e particolare, e questo son più che certo che sarà stato oggetto di grandi meditazioni e fonte di nuovi ed efficaci proponimenti in questo venticinquesimo di fondazione. E’ una grandissima grazia che il Signore ci ha fatto chiamandoci a fare parte di questa sua grandissima Opera, grazia che Lui stesso, il Signore, ha sensibilmente coronato con l’approvazione della sua Chiesa.

Ma, o cari, nello stesso tempo ricordiamo che pesa su di noi una grandissima responsabilità, perché da noi solo, da noi dipende che quest’Opera viva, prosperi, si diffonda, compiendo così il bene per il quale la Provvidenza l’ha fondata. Amati fratelli, che cosa vi dirò di quest’Opera? Ah! essa è un grandissimo e perfetto treno; non manca niente; su questo treno, su questa nave salgono continuamente dei viaggiatori che domandano di essere condotti al porto. Oh! un macchinista che non fa il proprio dovere, che non sta attento, quanta responsabilità, quanta rovina, quanta morte non può seminare e a quali castighi va incontro!

Fratelli miei, noi siamo i macchinisti di questo mistico treno che il Signore ci ha consegnato da guidare. che grande responsabilità non pesa su di noi, che rendiconto non dobbiamo al Signore nel giorno della grande chiamata e che castigo non ci verrà se per colpa nostra le anime non hanno potuto viaggiare, si sono perdute.

Oh! cari, in questo momento vi prego, vi scongiuro, io per il primo, di pensare, di vedere se proprio si vive, si agisce, si opera come vuole Dio e come domandano le nostre sante Costituzioni, che vi prego di leggere spesso, di tenerle nella vostra mente e nel vostro cuore!

Come tante e tante volte vi ho detto e ridetto: il nostro pensiero, la nostra cura sia solo nel cercare il santo Regno di Dio; niente ansie, niente preoccupazioni, angustie, pensieri per quello che è temporale; il nostro pensiero, la nostra cura sia per l’esatta osservanza delle nostre sante Regole, per la fedeltà perfetta quando si tratta di pratiche di pietà, in modo particolare quelle della Comunità. Lasciate tutto, ma non lasciate le pratiche di pietà. quando io vedo che manca qualcuno, mi sento una stretta al cuore, perché vedo uno sconcerto nell’Opera, che il diavolo giubila, e che quel poveretto resta ingannato sotto una falsa luce.

Per noi, poi, sacerdoti, grande spirito di fede nel nostro ministero, e per quanto è possibile, raccomando che il santo ufficio sia detto in chiesa e in comune. La S. Messa poi, oh come deve essere celebrata! Una santa Messa devotamente celebrata quanta ricchezza per le anime nostre, per il nostro ministero, per l’Opera nostra!

A questo aggiungo una calda raccomandazione, ed è che abbiamo tutti grande carità, sacerdoti e fratelli un solo corpo; dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri nel compiere in questa santa Opera la volontà di Dio. Nelle vicende, nelle prove, vedere sempre Gesù, che vuole o permette tali cose e per nostro bene e per bene di questa sua Opera e dire “Dominus est”.

Noi fratelli, membri di questa santa Congregazione, ricordiamo bene che dobbiamo essere come tanti fari accesi dalla divina Provvidenza, alimentati di continuo dal nostro spirito tutto quanto speciale e proprio di questa luce; e io mi tengo certissimo, che se noi, con la divina grazia, viviamo praticamente di questo spirito, immenso sarà il bene che noi faremo e senza fine saranno i disegni che la divina Provvidenza compirà per nostro mezzo; ma sta a noi tenere viva, accesa questa lampada di Dio, che starà viva e accesa se noi l’alimenteremo con l’olio della fede, dell’amore di Dio, della carità. O cari fratelli, in ginocchio e con le mani giunte, vi prego, vi scongiuro: guardate che regni sempre sovrana nella nostra Opera questa virtù, che siano sempre sbandite le critiche, le mormorazioni, le invidie.

Ricordiamoci che noi tutti siamo operai, agricoltori dello stesso padrone ch’è Dio, messi qui a lavorare nel suo campo diviso: Nazareth – S. Zeno in M. – Costozza – Aspiranti – Madonna di Campagna – Roma, un solo terreno, che ciascuno deve lavorare la sua parte, ma sempre con questo pensiero, che questo è una parte dello stesso campo di Dio. Godere adunque quando una parte è più ben coltivata, è più ricca ed aiutare quella più povera, e viceversa, tenendo sempre a mente che siamo nell’unico solo campo. Nelle nostre orazioni, nelle nostre visite, nella S. Comunione domandiamo al Signore questa grazia, questo spirito: la carità, perché questo è tutto e, come altre volte vi dissi, niente può abbattere, arrestare questa Opera; quello che la può arrestare, far deviare, è la mancanza di carità fra noi, è lo spirito di critica, di invidia, di mormorazione, parti tutte del nostro amor proprio, della nostra superbia.

Vi sono giorni lieti e tristi di prova, di dolore per tutti; questi ricordiamoli scambievolmente: sono prove della stessa famiglia. La fede poi nella Provvidenza sia sempre il nostro saldo, la nostra roccia; ricordiamo che questa mai e mai mancherà se noi faremo la nostra parte.

Nei momenti di prova, più fede, più osservanza delle regole, e Dio ci darà certissimamente tutto quello di cui abbisognamo.

Ricordiamo tutti che i laboratori sono un grande mezzo di Provvidenza ed è dovere che tutti i Fratelli cooperino sotto la responsabilità del Fratello incaricato al buon andamento dei medesimi, senza ansie né preoccupazioni, ricordando che facendo così si dà gloria a Dio, si tiene alto il buon nome dell’Opera e si santificano le anime proprie.

* LETTERA III 19 marzo 1933

Miei amati fratelli

La santa Quaresima è tempo di seria meditazione per tutti i cristiani, ma per noi, Poveri Servi della Divina Provvidenza, questo tempo deve avere una importanza tutta speciale, deve essere un forte e potente richiamo su noi stessi e vedere e studiare come va riguardo e alla nostra santificazione personale e a quella dell’Opera alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere. Perché, o cari, come altre volte vi ho detto, la santificazione nostra, il nostro progresso spirituale, la nostra virtù è l’anima, la vita dell’Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Se noi non viviamo secondo la nostra speciale vocazione, diamo la morte alle nostre anime e la morte a quest’Opera. Dio mio, che grande responsabilità!

Finché siamo ancora in tempo, tutti e ciascheduno facciamo il nostro dovere, vediamo, prendiamo come in mano la nostra anima ed esaminiamo il nostro profitto spirituale.

Cari fratelli, l’Opera nostra sta per cadere, adesso mi pare di vederla come si vede un grande fabbricato in pericolo e da ogni parte puntellato perché non cada. Nascondervi la cosa, il non parlare sarebbe buon rimedio?

Ah no, cari ed amati fratelli! Se l’Opera è in pericolo, è in pericolo per noi; allora dobbiamo fortificarla, dobbiamo risanarla, metterla nel primo stato. Siamo ancora in tempo, se tutti noi faremo la nostra riforma spirituale in questo tempo santo della Quaresima, in questo Anno Santo che la misericordia di Dio ci concede.

E’ necessario ritornare indietro, perché abbiamo sbagliato strada. E’ necessario che destiamo la nostra vita così tiepida, così lontana dal fine della nostra Opera, è necessario che noi viviamo la vita della fede e dell’abbandono come vuole il nostro programma, che questa vita sia santificata internamente ed esternamente. Internamente con una grande pietà, con una intensa vita spirituale; esternamente con l’osservanza esattissima delle nostre Regole, cose tutte che da tempo sono quasi dimenticate, andate in disuso, riducendo così l’Opera alla uguaglianza delle nostre opere, ciò che significa annientare l’Opera del Signore.

Cari fratelli, siamo franchi, studiamo noi stessi al lume della fede e del Crocefisso, e facciamoci queste domande: l’Opera, lo Spirito è quello che l’animava al principio e che l’anima adesso? dobbiamo dire di no; ci siamo adagiati, ci siamo messi nella via ordinaria, mentre la nostra deve essere via straordinaria. Deh, per amor di Dio, ascoltate e date quella importanza che meritano alle mie povere parole. Anche qui, devo dirlo, una volta si ascoltava di più questo povero prete e si dava più peso alla sua povera parola. Finché la misericordia di Dio mi tiene qui, dovete ascoltarmi, dare un’importanza speciale a tutto quello che vi dico, e non solamente a me, ma a quello qualunque che la Provvidenza metterà a Casante, a custodia di questa Opera. Qui è il Signore che vuole tutto compiere, con la sua bontà e grande misericordia.

Non dimentichiamoci che l’Opera nostra è di mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a Lui e facciamo la nostra parte, che è quella di cercare il santo Regno di Dio: è qui il punto, il programma speciale sul quale io mi fermo e domando a me stesso e poi domando a voi: come cerco io il santo Regno di Dio? come cercate voi il santo Regno di Dio? E qui esaminiamo la nostra giornata, dalla sera alla mattina, dalla mattina alla sera.

Siamo noi pervasi da questo pensiero: sono qui nella Casa di Dio: per lui che ha fondato quest’Opera e l’ha fondata con segni chiari e patenti della sua straordinaria Provvidenza, ed io mi affido, vivo questa fede, ho solo di mira le anime che entrano a far parte di quest’Opera, guardo a queste sole, e quanto più sono sole, abbandonate, misere, penso che queste sono oggetto da parte di Gesù di cure speciali, e se io nel suo nome le raccolgo, le aiuto, le nutro, son certo e certissimo che Gesù non le abbandonerà? Oh, come è necessario questo spirito!

E poi penso, rifletto, che quello solo che può rovinare questa Opera è il peccato? Ed io che conto faccio del peccato? Inculchiamo questo, o fratelli, ai ragazzi, ai figlioli qui raccolti; ovvero, Dio non voglia, lo faccio io stesso, ho forse peccato nella Casa del mio Dio? Ah cari, detestiamo i nostri peccati, proponiamo sul serio di cominciare una vita da veri Religiosi, e non dubitiamo un istante dell’aiuto della divina Provvidenza. L’ho detto ancora e lo ripeto: se occorre, il Signore a suo tempo farà anche dei miracoli, a patto che noi stiamo fedeli al nostro programma: Quaerite primum… Il Regno di Dio si cerca nello studio pratico di N.S.G.C.; ciascun religioso deve essere un’altro Cristo. Deh, studiamo questo nostro divin esemplare, specie in quest’anno Santo, indetto dal Santo Padre per richiamare gli uomini a grandi riflessioni a grandi meditazioni.

L’umiltà di Gesù regni in noi, ed allora regneranno con noi tutte le altre virtù che sono ancelle di questa Regina. Se saremo umili, saremo docili, saremo caritatevoli, misericordiosi, pacifici, in una parola avremo in noi tutte le virtù che scaturiscono da quella; tanto e tante volte raccomando l’umiltà. Cari fratelli, che i divini disegni non si abbiamo a sospendere per colpa nostra, che questo regno non sia dato ad altri, per nostro castigo; e saranno sospesi questi disegni, data ad altri quest’Opera, se noi non viviamo come vuole Gesù. Non ansie, non angustie: lungi da noi tutto quanto sa di profano e che all’occhio del fratello nostro possa essere argomento di prudenza umana.

L’Opera dei Poveri Servi è grande, sebbene tanto piccola, e sarà sempre grande se si manterrà piccola se non andrà in cerca di protezioni, di appoggi umani, se terremo sempre sgombra e arata, pulita questa terra santa e benedetta che è la Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Sì, o cari e amati fratelli, da questa terra santa il Signore, il divino agricoltore metterà di continuo nuovi semi, li affiderà a noi e noi vivendo come Lui vuole, ossia con il nostro spirito tutto speciale e particolare, questi semi diventeranno piante dove tante e tante anime verranno a riposarsi. L’ho detto, i disegni di Dio sono grandi per quest’Opera, e basta avere occhi per costatare il fatto.

Come dissi, l’Opera stessa è un richiamo continuo, una predica continua, una grande lucerna che rischiara e illumina, senza che noi ce ne accorgiamo, tante anime, oltre le anime qui raccolte e che qui trovano pane spirituale e materiale, le quali sono gemme preziose, doni di Dio, che per le anime si è fatto uomo ed è morto sulla Croce. L’Opera dei Sacerdoti Apostolici, l’Opera dei Fratelli, l’Opera che sta per nascere dalle Missioni, sono semi che Dio ha messo qui nella nostra Opera perché noi li facciamo crescere a gloria di Dio e a Bene delle anime. Amati fratelli, in ginocchio vi raccomando la vostra personale santificazione e poi per quest’Opera a noi affidata. Beati noi se quando verrà il divin Padrone Gesù, all’ultimo della nostra vita ci troverà pronti e fedeli. Oh, che gioia proveremo adesso in vita, oh, che premio nella beata eternità! Sì, sì, che il Signore renda efficace quello che ogni mattina ripeto nel ringraziamento alla S. Messa: ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Che Dio vi benedica; pregate tanto per il vostro Don Giovanni, che vi domanda perdono di tutte le colpe e mancanze commesse in tutti questi 25 anni da che esiste l’Opera e in tutta la sua vita, che l’Anno Santo di cui ormai è imminente l’apertura, sia per tutti noi un anno di remissione e di vera indulgenza, anno di rinnovazione, di santificazione, per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo.

* LETTERA IV 11 settembre 1933

Amatissimi fratelli

Siamo giunti per somma grazia e misericordia di Dio alla vigilia di giorni santi, di giorni che noi tante e tante volte abbiamo sperimentati per l’efficacia santa, divina, che hanno portato nelle nostre anime: voglio dire i santi spirituali esercizi.

Io, in ginocchio, vi prego e vi scongiuro nel nome di Gesù benedetto di approfittare di questa grande grazia che la bontà e la misericordia del Signore vuol farci. E’ il Signore stesso che direttamente viene a noi per parlarci, per chiamarci, per dirci tante cose e per metterci a parte dei suoi grandi disegni per il bene delle anime nostre.

Deh, per amor di Dio, entriamo nei santi Esercizi con quello spirito che è necessario perché questi giorni santi siano di vantaggio alle anime nostre. Entriamo con grande fiducia nella bontà di Dio, con pieno e totale abbandono in Lui, disposti a tutto pur di fare la sua divina volontà.

Nessun pensiero, nessuna preoccupazione in questi giorni; l’unico e solo pensiero deve essere il salvare la nostra anima; vedere come abbiamo corrisposto alla grazia grande che il Signore ci ha fatto chiamandoci qui nella Casa, in questa sua Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, che, come tante e tante volte vi ho detto, è un’Opera Sua, ma in modo tutto speciale, da Lui fondata, che Lui solo dirige. Beati noi se corrisponderemo e comprenderemo quest’Opera in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua profondità.

Sì, cari fratelli ed amati figlioli, in questi santi giorni di silenzio e di preghiera vi raccomando tanto di prendere assieme ai nostri libri di devozione un altro aureo libro che, per noi, deve essere tutto: il libro benedetto delle nostre sante Costituzioni.

Davanti al Crocefisso, vicino al SS. Sacramento, come fossimo vicini al divino rendiconto, esaminiamoci come abbiamo osservato le nostre sante Regole, con quale spirito le abbiamo praticate; teniamoci bene a mente che per noi le nostre sante Costituzioni sono la nostra charta magna, sono tutto per la nostra santificazione e per la santificazione dell’Opera, alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere, e che solo dalla nostra cooperazione dipende il compiere i divini e grandi disegni che il Signore ha sopra di essa: disegni che si compiranno senz’altro secondo la nostra fede, secondo la nostra generosità, la nostra umiltà, il nostro amor di Dio.

Cari fratelli, deh, mettiamoci seriamente a meditare in questi santi Esercizi che abbiamo la grazia di fare in questo Anno Santo, in questo centenario della divina Redenzione, e sia proprio questo l’anno che deve segnare per noi il principio della nostra vera santificazione, perché, come tante volte vi ho detto e non mi stanco di ripeterlo, siamo qui nella Casa del Signore solo per santificarci e cercare il santo Regno di Dio.

Ascoltiamo Gesù che ci chiama, Gesù che ci vuole vicini, ed entriamo in questi santi Esercizi tutti, tutti noi stessi nel vero senso della parola, con le nostre miserie, con le nostre mancanze, ed usciamone tutti di Gesù come sono usciti gli Apostoli dal Cenacolo Santo, ripieni di amore di Dio, per comunicare poi questo amore a tutte le anime che il Signore ci ha affidate e ci farà avvicinare. Oh! sì, questo amore sia il nostro distintivo qui in terra per farci trovare poi tutti uniti un giorno con Gesù nel cielo.

Immaginate come prego e soffro durante questi Santi Esercizi, perché essi portino grande vantaggio a me e a voi, perché portino nella nostra Congregazione lo spirito di Gesù, perché in noi vi sia la vita del Santo Vangelo e l’amore pratico alle nostre sante Costituzioni, che sono per noi la miniera di tante altre grazie e di tanti divini disegni che il Signore compirà su di noi e su quest’Opera, sempre se saremo docili e umili strumenti, ascoltando in tutto e sempre colui che la Provvidenza ha messo a sentinella di questa sua Opera.

Il demonio non ci lascerà tranquilli, egli userà delle arti nuove e speciali per tradirci; stiamo attenti bene alle sue illusioni… ma non ci mancheranno i mezzi per conoscerlo, per vincerlo.

Ricordatevi che la pietra di paragone l’avete in questo povero prete che non è niente in sé, ma che fino a quando la Misericordia di Dio lo lascerà in mezzo a voi, dovete ascoltarlo come la voce di Dio stesso per i disegni di questa sua Opera; in lui, in chi verrà dopo di lui, dovete vedere sempre il Signore, e beati e fortunati noi se approfitteremo di tutte queste grazie che la divina Provvidenza ci concede continuamente.

Ricordatevi ancora che il Signore a grandi mali dispone grandi rimedi, e quest’Opera è destinata nei suoi misericordiosi disegni a grandi cose; sta in noi non intralciare i suoi piani.

Questi santi Esercizi ci illuminino proprio e ci rendano degni di cooperare col Signore.

Che Dio vi benedica tanto, e la Vergine Immacolata, nostra Patrona, vi sia sempre affianco in questi giorni beati; io pregherò tanto per voi tutti; fratelli e figlioli miei amatissimi, dobbiamo trovarci tutti, tutti stretti nel vincolo fraterno che ci ha uniti qui in vita in un giorno che non avrà mai tramonto lassù in Paradiso.

Mi raccomando tanto alla carità delle vostre preghiere, e con tutto il cuore vi benedico.

* LETTERA V 6 ottobre 1933

Amati fratelli in Cristo

Quando si è vicini a compiere 60 anni, con tanti disturbi e sofferenze vecchie e nuove, non si può non dare tutta l’importanza che merita alla parola di chi, per quanto povero e miserabile, è messo dalla divina Provvidenza a custode di questa grandissima Opera del Signore, nata e cresciuta nel suo divino Costato.

Ho messo questo proemio a quello che nel nome di Gesù devo dire, e perché voi abbiate a prestare attenzione più del solito, e dare un grande peso a quello che vi dico, e perché dal Signore, da un momento all’altro, io potrei essere chiamato a rendere conto, come però voi pure ne dovrete un giorno rendere conto.

L’Opera dei P.P.S.S. della Divina Provvidenza, come tutti sappiamo, ha compiuto il suo I Giubileo, 25 anni da che Gesù benedetto l’ha fondata qui a Verona e proprio qui nel bel San Zeno in Monte, come lucerna e richiamo a tante povere anime piene di grandi bisogni spirituali, e come tale ha avuto l’approvazione della Santa Chiesa che è venuta a coronare il suo 25º di vita, approvazione che è il Segno tangibile e sicuro che questa è l’Opera del Signore. Noi non siamo altro che poveri strumenti: “Poveri servitori”, come questo motto fu messo nelle cariche perpetue che stanno alla porta d’ingresso della Casa. Ma ricordiamoci bene, come tali, dobbiamo fare tutta la nostra parte che ci spetta e che ci viene assegnata dalle Sante Regole, dalle nostre Costituzioni, che fino a tanto la Provvidenza non le modificherà nel modo e nel tempo che a Lei piacerà, noi abbiamo il sacrosanto dovere di osservare; e queste benedette Regole le osserviamo?

Ciascuno veda ed esamini se stesso. Io devo dire, e con immenso dolore, che mi pare che su questo punto ci sia una grande leggerezza e si lascino passare molte cose che non dovrebbero e che portano danno immenso all’Opera del Signore, e una grande rovina alle anime nostre. Per amor di Dio, in ginocchio vi raccomando di leggere spesso e praticare le Sante Regole, specialmente quella che è la vita di tutte le Comunità, in modo speciale della nostra. Voglio dire la santa carità. E qui devo dire che proprio si manca in questa virtù, si agisce in modo molto umano; no, no: la carità di Cristo sia quella che dà l’impronta a tutte le nostre azioni, a tutte le nostre opere.

“Quid nunc Christus?” che cosa farebbe Gesù in questo, in quello? e con la divina grazia cerchiamo di farlo anche noi. E su questo punto sta bene richiamare e ricordarci che l’Opera dei Poveri Servi è una, non divisa, ed in conseguenza ciascuno di noi la deve amare tutta intera, non in parte.

Ciascuno di noi ha una parte da coltivare, ma quella è parte di un tutto e come ho detto ancora, se una parte prospera, deve aiutare l’altra che manca. Noi abbiamo molti membri, ma tutti di un medesimo corpo, ed ecco che amiamo il braccio, la testa e tutte le parti e quando una di queste soffre, madre natura ci insegna che tutto concorre, è là, da quella parte che soffre, per alleviare il dolore; così, o cari, facciamo noi con l’Opera alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere. Ricordiamo che Gesù l’ha affidata a noi, e perciò pesa su di noi una grande responsabilità, per amor di Dio viviamo come vuole Gesù, guai, guai se quest’Opera si livella alle altre! Non vive, ma muore. Vi raccomando vigilare sulla porzione che il Signore vi ha dato da governare e da attendere: state attenti perché regni la carità, perché si dia grandissima importanza alla vita interiore, la vita dello spirito ci deve premere sopratutto.

L’attendere agli uffici materiali deve essere senza pregiudizio della nostra anima. Sacerdoti e Fratelli, Fratelli e Sacerdoti, cuore e braccia, membri del medesimo corpo, figli della stessa madre; la nostra cara Congregazione sia un cuor solo, un’anima sola. Non ci siano divergenze di sentire e di volere; in Gesù Benedetto dobbiamo volere e pensare le stesse cose, volere la nostra santificazione, la ricerca del Regno di Dio, il bene delle anime e pensare a quelle cose che ci serviranno di mezzi per conseguire questo fine principale e supremo della nostra vita sulla terra. Carità, quindi, carità grande, carità sentita, carità pratica, super omnia caritatem habete quod est vinculum perfectionis. E tutti quelli che si avvicinano, partano edificati dal nostro contegno; edificati dallo spirito di dolcezza, di carità, di rispetto, di gentilezza, di compatimento di cui dobbiamo essere ripieni e che è lo spirito di N.S. Gesù Cristo.

Specialmente con i Maestri d’arte abbiamo un grande rispetto: essi sono quasi nostri collaboratori, non dobbiamo trattarli come d’ordinario i padroni nel mondo trattano i loro dipendenti.

Raccomando che il lavoro nei laboratori sia senza ansie, senza angustie; impegno sì, diligenza sì e collaborazione da parte di tutti per il buon andamento di essi: ma che non ci prefiggiamo di produrre e di produrre sempre più. Quello che ci manca per i nostri bisogni penserà la Provvidenza a darcelo, e ce lo darà in proporzione della nostra fede.

Raccomando che nessuno dei nostri Sacerdoti usi quello che per altri è di malesempio, e per conto mio proibisco di fumare, l’andare a pranzi, il ricevere regali da persone, e dirigere spiritualmente da lontano anime, ricordando che io ho visto dei veri disastri spirituali che hanno cominciato sotto la forma migliore, con lo scopo di bene. State attenti, state attenti!

Raccomando poi a tutti di ascoltare in tutto e sempre quello che vi dice questo povero prete, ma fino che la Provvidenza mi tiene, è Dio che parla attraverso questo povero canale. Ascoltate anche i desideri di questo poveretto, tenetevi uniti a lui; abbiate confidenza, tutta la confidenza, fate il vostro rendiconto come prescrivono le Costituzioni, perché solo così uniti e compatti potremo compiere i disegni di Dio. Perché, come vi dissi, l’Opera è grande, i disegni di Dio sono tanti, sta a noi il cooperare. E beati noi! L’ora attuale è gravissima, non sappiamo quello che ci riserva la Provvidenza, la bufera si accentua sempre più, ed è da prevederne l’esito tanto più disastroso quanto meno gli uomini, ed anche i buoni, perfino i religiosi e i sacerdoti, se ne danno pensiero e continuano a vivere come al tempo di Noè, e dimentichi degli avvisi, delle minacce del Signore. Per amor di Dio viviamo bene, e trovi in noi nella nostra Congregazione il Signore come una riserva di virtù e di bontà, in vista delle quali salvi noi e tante anime.

Camminiamo dunque, in modo da meritarci sempre la divina compiacenza e la sua benedizione.

* LETTERA Vl 6 novembre 1933

Carissimi figli in Gesù Cristo

La grazia e la pace di Gesù siano sempre con voi.

Se sempre io godo quando scrivo a Voi, o vi posso rivolgere la mia povera parola, che sebbene passi attraverso questo misero canale, è sempre parola di Dio, e come tale voi la dovete ricevere e ascoltare; questa volta provo un gaudio tutto particolare, perché sento che scenderà nella vostra anima e nel vostro cuore di Religiosi, e porterà tanta luce, tanta pace, tanto amor di Dio, e novella forza per attuare i grandi disegni, che la divina Provvidenza vuole compiere attraverso questa nostra diletta Congregazione che si dice dei “Poveri Servi”.

L’Opera è di Dio, pensiamolo bene; è Lui che l’ha fondata e la dirige con Provvidenza particolare, qualunque sia lo strumento di cui si serve.

Potrebbe fare tutto Lui, ma si degna di adoperare noi. E qui ricordiamoci che Dio ha bisogno di strumenti umili; dei superbi non sa che fare, anzi gli rigetta lungi da Sé come celo attesta la storia. L’essere chiamati a quest’Opera è quindi un motivo di più a tenerci nella santa umiltà.

Carissimi, pensiamo al grande conto che dovremmo rendere un giorno al Signore, per la grazia particolare di aver appartenuto a quest’Opera Sua. per trovarci sicuri in quel grande rendiconto, bisogna che ogn’uno viva nella Congregazione come vuole il Signore, cioè come cera, come creta, senza testa, abbandonato completamente in Dio e nella sua volontà. Ed è per questo che vi raccomando di tenervi bene a mente che noi come noi, non siamo capaci di altro che di guastare i disegni di Dio; ma se saremo fedeli alle nostre sante Regole e Costituzioni, uniti allo strumento di cui si serve il Signore quanto più strettamente potremo, nonostante il nostro nulla acquisteremo una forza sovrumana, divina, che nessuna violenza riuscirà ad ostacolare.

Ve l’ho detto tante volte: io non temo gli assalti e le prove che vengono dall’esterno; queste anzi servono a consolidare maggiormente la Congregazione e l’Opera tutta. Solamente la nostra mala corrispondenza può annientare e distruggere questo edificio, che il Signore si è degnato inalzare per la sua gloria.

Abbiamo le Costituzioni, che sono l’espressione della divina volontà; a queste atteniamoci con tutta l’anima. Su queto punto di capitale importanza stiamo tranquilli e sereni, e viviamo con l’anima e la volontà ferma di praticarle. Nessuna preoccupazione per il futuro; solo il Signore potrà modificare, ampliare, perfezionare se sarà necessario, perché solo Lui è il Padrone. Ma questo, se mai, avverrà unicamente per mezzo di quel qualunque, che per quanto meschino è messo da Lui a Casante dell’Opera.

Tutto è in mano di Dio, e solamente Lui sa quello che occorrerà nel futuro, e quindi penserà Lui ad ispirare a tempo opportuno chi nel suo nome regge quest’Opera. Intanto la sua volontà chiaramente espressa per il presente sono le Costituzioni, e a queste dobbiamo tenerci legati con la più generosa stabilità, osservandole esattamente. Se sorgono dei dubbi, delle incertezze, ricordate che Don Giovanni è il solo che possa darvi spiegazioni in proposito, giacché solamente Lui è l’interprete autentico della divina volontà manifestata nelle Costituzioni. A lui solo ricorrete e a lui solo esponete ogni possibile difficoltà, e tenetevi a quello che nel nome di Dio e con l’approvazione della Chiesa egli disporrà.

Cari i miei figli, con tutta la forza del mio animo vi raccomando l’unione fraterna, intima, stretta, indissolubile, nella carità di Cristo. Siamo tutti un sol corpo, una sola persona; uniti, dunque, nel cercare il Regno di Dio, che è il fine per il quale quest’Opera fu fondata in questi tempi. Stiamo attenti e vigilanti su questo punto dell’unione fraterna, perché è troppo facile venir meno; siamo uomini e quindi possiamo mancare. Ve lo ripeto: un sol corpo, una sola persona.

Il Sacerdote e il Fratello, nei disegni del Signore si completano a vicenda nell’esercizio dell’apostolato, che è grande, universale, tanto per l’uno quanto per l’altro.

Quanto è necessaria, dunque, la fusione del Sacerdote col Fratello, nella carità di Cristo; e quanto è necessaria altresì l’obbedienza figliale e incondizionata a chi dirige nel nome del Signore! Carità e umiltà sono inseparabili; e solo così si può lavorare utilmente allo sviluppo della Congregazione e al conseguimento del nostro fine speciale.

Il demonio, nemico di ogni bene, farà ogni sforzo per seminare la discordia e portare la disunione; sa ben lui che un regno diviso va in desolazione e in rovina.

Se nascesse qualche dissapore, se venisse qualche nube ad oscurare il limpido orizzonte della carità, subito si rinsaldi la concordia e la pace. Non tramonti mai il sole sopra le possibili dissensioni. Siamo uomini tra uomini, quindi può succedere qualche inconveniente; ma anche qui, stiamo attenti a non sofisticare, a non esagerare, a non generalizzare; tutto vediamo nella luce vera di Dio, nella pace e tranquillità del nostro spirito.

Imitiamo il Signore che è tanto longanime con noi. Guai se Egli ci condannasse subito secondo le nostre Opere! Quindi usiamo tra noi grande generosità; così noi riusciremo a dissipare prontamente ogni pericolo di rotture.

Lavoriamo in comune armonia; ogni screzio e disgusto, se bene si considera, viene sempre dall’amor proprio e dal nostro interno disordinato.

Stiamo dunque attenti ad approfondirci ben bene nella santa umiltà, e vedremo che tutto allora si aggiusta.

In Casa e fuori, siate sempre un tutt’uno; sostenetevi a vicenda, e, ve l’assicuro, farete miracoli. Il corpo quando è che funziona bene? Quando tutte le singole parti, anche le più minute e le più umili sono a posto.

Non può il cuore non risentirsi e soffrire se qualche membro è ammalato; così non può agire bene un membro qualunque se il cuore non è in ordine e a posto. Voi capite, cari figlioli, che cosa intendo dirvi con questo paragone. Ecco quanto scrive S. Paolo a questo proposito: “Diportatevi in modo degno del Vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga e vi veda, sia che rimanga lontano, io senta di voi che state fermi in un solo spirito… Se dunque volete darmi qualche conforto in Cristo, qualche sollievo ispirato dalla carità, se avete con me qualche comunanza nello spirito, se avete viscere di compassione: rendete compiuto il mio gaudio con avere una stesso pensare, una stessa carità, una sola anima, con avere gli stessi sentimenti. Non fate nulla per spirito di parte, né per vanagloria; ma ciascuno con umiltà stimi gli altri come superiori a sé, avendo ognuno a cuore non il proprio interesse ma quello degli altri”.

Noi siamo chiamati al grande lavoro delle anime; anzi il campo affidatoci dalla divina Provvidenza è proprio quello delle anime più abbandonate, delle anime quindi predilette da Dio. Quanto so e posso vi raccomando la piena e cordiale fusione tra Sacerdoti e Fratelli; siamo un sol corpo: procuriamo quindi di integrarci a vicenda. Bando perciò a quelle distinzioni che l’amor proprio suggerisce; il dire: questo non mi tocca, quest’altro non è conforme alla mia dignità, e quest’altro ancora è troppo meschino; tutto ciò non è parlare da Religioso, perché non è conforme agli insegnamenti e agli esempi di N. S. Gesù Cristo, il quale dichiarò con le parole, e dimostrò col fatto che non era venuto a farsi servire, ma a servire. Penseranno i superiori a distribuire le mansioni secondo le attitudini e le inclinazioni di ciascuno; ma se noi siamo animati dal vero spirito di Gesù Cristo, andremo in cerca di occasioni per umiliarci, per servire Dio nel prossimo, per prevenirci a vicenda con il debito onore e la pratica collaborazione.

In tale maniera eserciteremo il più fecondo e nobile apostolato, anche se dovessimo vivere nel più completo nascondimento; ricordiamo quanti anni ha passato Gesù nel laboratorio di Nazareth, Egli che era venuto per predicare il Regno di Dio, e ne aveva tutte le doti in grado eccellente, divino.

Ad assicurare sempre meglio questa carità e unione fraterna, raccomando che si coltivi una stretta comunicazione tra studenti ed aspiranti; destinati a formare una sola famiglia, quella dei “Poveri Servi”, comincino per tempo a conoscersi, ad amarsi, a vagheggiare insieme il comune ideale. Gli uni e gli altri crescano istruiti secondo la loro capacità, per essere adatti un giorno alla loro missione, che se è varia nell’esterno, è però sempre unica nel fine.

E questo povero prete che vi parla, riguardatelo come il vostro centro che tutti vi unisce e dirige; abbiate in lui la più grande fiducia, come figli al padre. Esponete a lui candidamente le vostre pene, le vostre aspirazioni, i vostri desideri, specialmente con il rendiconto raccomandato dalle Costituzioni; e poi state queti e tranquilli a quanto egli vi dice da parte di Dio.

Vi raccomando la vita interiore, la pietà soda e sentita. Compite fedelmente quelle pratiche di devozione che le Regole prescrivono: S. Messa, Meditazione, Lettura, ecc.; cercate di compierne anche delle altre, secondo la possibilità, come per esempio l’ufficio della B. Vergine.

Abbiate un confessore stabile, se volete progredire nelle vie della perfezione e della santità; e non siate facili a cambiarlo. Col confessore trattate i vostri spirituali interessi personali, con grande schiettezza e regolarità. In quanto all’andamento spirituale e disciplinare della Congregazione tenetevi bene a mente che è proprio fuor di luogo il mettere a parte di ciò che succede nella Congregazione persone estranee, sia pure per averne consiglio e direttive. Gli estranei non ne hanno la missione da Dio; ricorrete sempre e unicamente a chi ne ha la missione come superiore, e a lui solo esponete quanto spetta l’andamento della Congregazione.

Lavoriamo per il Signore, o miei cari, per la diffusione del suo Regno nelle anime. Lungi da noi ogni fine umano; rifugiamo da ogni apparenza di lucro. Tutto quello che ci viene offerto prendiamolo dal Signore, senza badare se è poco o tanto, oppure niente. Anime, e anime. Se veniamo meno al nostro spirito, ricordatelo bene, l’Opera si distrugge, e muore. Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Con tutta la forza del mio cuore vi raccomando tanto e poi tanto di far tesoro di queste mie parole, che vi scrivo dopo di averle meditate ai piedi del Crocefisso. Pregate molto per me, per la mia povera anima; affinché il Signore mi perdoni i miei peccati e mi conceda di praticare io per il primo quanto vi ho detto.

Con tutto l’affetto invoco sopra di voi e sopra la vostra religiosa attività di “Poveri Servi” le più elette benedizioni del Signore.

* LETTERA VII Natale Anno Santo 1933

A tutti i miei cari fratelli religiosi

La pace di Gesù benedetto, quella pace che gli Angeli santi hanno annunziato sulla grotta di Betlemme, sia con tutti voi, miei cari ed amati fratelli; e sia frutto della vostra buona volontà. Disponiamoci affinché questa pace inondi i nostri cuori, le nostre anime.

Siamo prossimi alla grande solennità del Santo Natale e noi tutti già pregustiamo, prima ancora che spunti l’alba di quel giorno, la pace e la grazia che porterà alle anime nostre di Religiosi quella cara solennità.

O cari fratelli, che tanto e poi tanto io amo nel Signore: quanto desidero che tutti possiate correre nella via che ci è stata assegnata in questa S. Casa! Permettetemi che ancora una volta vi faccia sentire la mia povera parola, che non è mia ma del Signore; e sia a tutti voi guida e luce ad attuare i disegni che la Provvidenza divina vuole compiere per mezzo nostro, a patto che siamo sempre strumenti docili e umili. Vi ripeto quello che tante e tante volte vi ho detto; questa è un’Opera tutta particolare; il Signore vi ha impresso un’orma e una fisionomia tutta propria. Guai a noi se per colpa nostra questa fisionomia si cambiasse, quest’orma si cancellasse, e questo spirito si perdesse; sarebbe la rovina non solo di ciascuno, ma anche dell’Opera stessa. Quale responsabilità per noi!

Teniamoci bene in mente che sta a noi, alla nostra cooperazione e fedeltà, mantenere intatto lo spirito; allora quest’Opera andrà avanti, compirà i divini disegni, e noi ringrazieremo eternamente il Signore che per tratto speciale di sua bontà e misericordia ci ha qui chiamati.

Guerra al nostro io, al nostro amor proprio che ci fa credere di essere qualche cosa, mentre noi, come noi, non siamo buoni a niente. Stiamo bassi, umili; coltiviamo, con la grazia di Dio, questa convinzione del nostro nulla. La coltiveremo specialmente con la vita interiore. In ginocchio vi raccomando, o cari fratelli, la vita interiore; prima di andare alle anime con l’apostolato nel santo ministero, guardiamo di essere ripieni di quello che dobbiamo dire e fare.

E’ una vera illusione credere di essere noi che operiamo; è il Signore che fa tutto. Ricordiamo che siamo nel campo del soprannaturale; al Signore dobbiamo quindi riferire il frutto di quello che ci ha dato di grazie e aiuti. A noi spetta il compito di cooperare alla grazia e di secondare l’azione divina.

Teniamoci a mente che siamo religiosi prima di tutto per noi; perciò dobbiamo santificare noi stessi prima degli altri. Raccomando la Meditazione, la visita al SS.mo, la lettura spirituale; in una parola le pratiche di pietà, di cui la prima è la S. Messa, fonte di ogni altra grazia.

Procuriamo di essere non solamente canali che dispensano, ma conche insieme e canali. Se avremo Dio in noi, faremo tanto bene al prossimo, anche col solo nostro passaggio.

Non appoggiamoci mai alla stima degli uomini, che oggi esalta, domani abbassa. Tutto per Iddio, per la sua gloria. E se ci capita qualche prova penosa, diciamo con quel santo: “Né per te ho cominciato, né per te andrò avanti e finirò”.

Guardate, ve lo ripeto ancora una volta, che gli altri possono servire il Signore con una vita ordinaria; noi no. Se veniamo meno allo spirito della Casa, non si vive, ma si muore. E qui vi raccomando di fare grande stima anche delle piccole cose; piccole così per dire, ma che hanno una loro grande importanza. Dobbiamo essere convinti che, come non sono le grandi virtù che fanno i santi, ma le piccole virtù conducono alla vera perfezione, così i piccoli mancamenti, le colpe e le deviazioni leggere conducono ad una grande rovina dell’anima e alla perdita dello spirito religioso.

Non so esimermi dal ripetervi un’altra raccomandazione: abbiate la mutua carità; essa è il cemento che unisce gli animi e forma di tutti una sola cosa. Cor unum et anima una: è questa l’unità che N.S. Gesù Cristo domandava ai suoi Apostoli: che fossero una cosa sola tra di loro come Egli lo era col Padre. Per amor di Dio, non ci siano distinzioni tra religiosi e religiosi; un solo corpo, una sola persona. L’apostolato è vasto quanto il mondo, e tutto è grande, tanto la testa come il piede, tanto il braccio come il dito. Basta fare l’obbedienza.

Chi ha una carica la eserciti con grande umiltà, conscio della responsabilità inerente; e faccia sì che l’uso della sua autorità eserciti un benefico influsso nei religiosi suoi sudditi; a guisa del sole che su tutti domina, ma il suo dominio è salutare e benefico.

Evitate lo spirito di critica su fatti e detti altrui. Non facciamo nella nostra mente un tribunale sempre aperto per giudicare i fratelli. Abbiamo il dovere di pensare bene: questa è carità; e anche la giustizia, che reclama i suoi diritti, vuole che prima di censurare il fratello si adducano la prove. Ma per far questo occorre essere investiti dell’autorità di sentenziare. Ora chi sei tu, dice lo Spirito Santo, che giudichi il tuo prossimo? Il Signore, lo sappiamo bene, riserva a sé il diritto di sentenziare e lo concede solamente a chi ne ha l’ufficio. Noi come noi non siamo che dei ciechi; chi può presumere di vedere le intenzioni del fratello? “Homo videt in facie; Deus autem intuetur cor”. Dunque, prima del prossimo, dobbiamo pensare a noi; dobbiamo vivere e trattare con quella cordialità tutta semplice che è frutto della vera fraternità, ed è la ricchezza della Congregazione.

Raccomando lo spirito di fede, e fede speciale; non preoccupiamoci dei nostri bisogni: questi non ci riguardano. A noi spetta cercare il Regno di Dio, cercare le anime, osservare le Regole; stiamo certi, certissimi che il Signore ci darà anche il resto. Chi crede in me, dice Gesù, farà le opere che faccio io e ne farà di maggiori. Ricordiamoci che questo è il fine speciale dell’Opera.

Cari fratelli, siamo piccoli, e saremo grandi; siamo poveri, e saremo ricchi; stiamo lontani dalle protezioni umane, temiamole anzi, e avremo la protezione di Dio.

Leggiamo e meditiamo spesso le SS. Regole e Costituzioni, così da tramutarle in succo vitale del nostro essere e della nostra attività. Vi raccomando il rendiconto che le regole prescrivono; ricorrete con tutta confidenza a questo povero Casante. Ascoltate chi è messo a custode dell’Opera, e chiunque da lui ne avesse la delegazione, giacché è il medesimo umore che circola e passa.

Raccomando che ogni famiglia si tenga in contatto con la famiglia di Verona. Faccia il Signore che queste famiglie si moltiplichino nel campo della Chiesa, e ognuna sia come un faro luminoso di buon esempio a Tutti quelli che ci vedono. A ciascuna famiglia è assegnato il proprio superiore; si stia docilmente uniti a lui, in santa carità.

Termino con alcune norme che ho pensato ai piedi del Crocefisso e mi sembrano adatte per mantenere integro il nostro spirito, non tanto per voi presenti, che vivendo così vicini all’origine dell’Opera, ormai ne siete immedesimati, ma ancor più per quelli che verranno dopo di noi, e a noi guarderanno come modello:

1. Ciascun superiore d’una Famiglia mandi ogni mese una relazione morale e spirituale della propria Famiglia.

2. Non si accettino inviti a pranzi di feste, sia pur religiose, come Battesimi e Matrimoni: un cortese diniego servirà di grande edificazione al prossimo.

3. Nessuno si per metta di fumare, per niun conto; è cosa piccola in apparenza, ma per conto mio di capitale importanza. Riguardo alla bicicletta, nessun sacerdote la userà. Se si presentassero casi e bisogni straordinari, ricorrete a me e riferitemi le ragioni che sembrano consigliarne l’uso. Del resto non siate troppo facili a crearvi i bisogni della bicicletta; ricordate invece che Iddio terrà conto dei disagi che dovete incontrare per il ministero.

4. Si procuri la regolarità del ritiro mensile.

5. Il primo venerdì del mese passiamolo tutti in spirito di espiazione non solo in generale, come comporta la devozione al S. Cuore, ma in particolare per i peccati e mancamenti che noi commettiamo in questa santa Casa. I singoli superiori di Famiglia si faranno un dovere di ricordare ai loro fratelli questa intenzione.

6. Nessuno si faccia fotografare da solo, se non ha il permesso da me; sarebbe cosa poco edificante per un Religioso, e che sa di vanagloria. E nemmeno siate facili farvi fotografare in gruppi, sia pure di associazioni buone e sante, e mai assolutamente in gruppi femminili. Non spendo parole per convincervi della opportunità di questa norma.

Gesù Bambino rechi a tutti voi l’abbondanza della sua pace e delle sue benedizioni, che valgano a rassodarvi nella santa vocazione religiosa e a corrispondere alle tante grazie che la divina sua Provvidenza ci elargisce continuamente.

La Madonna Immacolata, Madre di Gesù e nostra, interceda presso il Figlio in nostro favore.

Pregate tanto e poi tanto per me, che possa io per il primo corrispondere alle grazie del Signore e ai disegni della sua Provvidenza.

Invoco su tutti la santa Benedizione.

* LETTERA VIII Quaresima 1934

Miei carissimi fratelli

La grazia e la pace del Signore siano sempre con voi.

Non è vero, o miei cari ed amati fratelli, che di tanto in tanto è necessario ripulire, aggiustare, esaminare se qualche pezzo è fuori di posto, nelle macchine che devono poi compiere i lavori per i quali sono destinate? Se c’è della polvere, se qualche pezzo è consumato o non si trova esattamente al suo posto, fuori di dubbio la macchina si arresta o non serve o serve male allo scopo per cui fu fatta.

Se tanto avviene, e tante precauzioni ed attenzioni si prendono per le macchine, destinate a compiere lavori, se volete anche di precisione, preziosi ma sempre materiali, terreni, quanto più sarà ciò necessario per le macchine, lasciatemi passare la parola, destinate a compiere lavori non di terra, ma di cielo, non per il tempo ma per l’eternità.

Queste macchine, voi mi avete compreso, sono tutte le opere di Dio, opere che nella paterna sua Provvidenza egli non manca di suscitare nel suo grande campo che è la Chiesa, opere varie e sempre corrispondenti ai bisogni dei tempi.

Ed una fra queste, suscitata proprio in un’epoca in cui gli uomini dimenticano i veri valori, quali sono Dio, l’anima, l’Eternità, e, o non credono o vivono come non credessero, pensando che Dio o non esista o non abbia, come ha di fatto, parte attiva nel governo del mondo e degli uomini, quindi non calcolano che sui soldi, sui proventi, su ciò che hanno e possiedono; una fra queste, ricordiamolo bene, o cari, una di queste grandi macchine è la Congregazione dei Poveri Servi della divina Provvidenza, alla quale noi per un tratto speciale della bontà e misericordia del Signore abbiamo la fortuna e la grazia di appartenere. Anzi, il Signore l’ha a noi affidata da custodire, da far lavorare a gloria sua, a bene nostro e a bene di tante e tante anime. A noi dunque incombe l’obbligo, il dovere di esaminare di tanto in tanto più attentamente del solito questa speciale macchina, vedere se è pulita, se ha della polvere, se manca qualche pezzo, e metterla a posto, in perfetto ordine, in piena efficienza, in modo che possa continuare il Suo lavoro secondo il fine per il quale fu fatta.

Che se tutti i tempi sono utili a fare ciò, senza dubbio vi sono dei tempi particolarmente indicati ed opportuni. E quale tempo più propizio i quello in cui adesso ci troviamo, o cari? Siamo infatti ormai nel cuore della Santa Quaresima, e vi sono note le parole che al principio di essa la Chiesa, pia Madre comune, rivolge ai suoi figli. “Ecco ora – Ella dice – il tempo accettevole, ecco ora i giorni di salute”. Non perdiamo un tempo tanto prezioso, per piangere i nostri peccati e le nostre infedeltà e incorrispondenze, e conseguire così la divina Misericordia.

Se non che, o cari, la Quaresima di quest’anno ci prepara alla chiusa dell’anno Santo, indetto dal Sommo Pontefice per la Commemorazione XIX volte centenaria dei grandi misteri della umana Redenzione, compiuta mediante il dolorosissimo dramma della passione e morte del Figlio di Dio.

Ecco un nuovo titolo per un più forte ed efficace richiamo a riflettere sopra noi stessi e a santamente scuoterci e rimetterci al nostro posto, voglio dire all’altezza e grandezza della nostra specialissima vocazione.

Ma quasi ciò non bastasse, la divina Provvidenza moltiplica, sui nostri passi, gli stimoli, gl’inviti, i richiami a grandi riflessioni e a generosi propositi. Eccoci prossimi, amati fratelli, a due grandi avvenimenti, voglio dire alla Canonizzazione del B. Cottolengo e del B. Don Bosco. Avvenimenti grandi per la Chiesa e per il popolo cristiano, ma particolarmente importanti per la piccola Casa della divina Provvidenza del B. Cottolengo, e per la grande, immensa famiglia Salesiana. Ma anche per noi, o cari, poiché il B. Don Bosco occupa il posto di Consigliere nelle Cariche perpetue della nostra Casa, e il B. Cottolengo quella del Cassiere e Celeste Tesoriere. Oh come dobbiamo da una parte santamente godere e andare lieti di avere fra i nostri speciali Patroni, santi così a noi vicini e così grandi! Ma dall’altra dobbiamo sforzarci d’imitarli in quelle virtù in cui essi si sono specialmente distinti, e per le quali furono scelti a nostri speciali protettori.

Il B. Cottolengo ci dà esempio di una grande fede in Dio e di un pieno, filiale abbandono in Lui e alla sua Provvidenza. Il B. Don Bosco, il grande Padre dei giovani, ci è modello nel sistema di educazione della gioventù, fondato tutto sull’amore di Dio e delle anime, seguendo le orme e gli insegnamenti, gli esempi del divino Maestro che disse: “lasciate che i piccoli vengano a me e non vogliate loro impedirlo;… In verità vi dico: chiunque riceve uno di questi piccoli nel mio nome, riceve me stesso”.

Deh, o amati fratelli, quali altri motivi più forti si potrebbero desiderare per determinare ciascuno di noi ad esaminare attentamente se stesso onde vedere se per colpa sua questa macchina, questa grandissima Opera del Signore si è fermata, non lavora bene, non è in piena efficienza?

Poiché, se così fosse, sarebbe segno che vi è qualche ostacolo, qualche guasto, della polvere e che bisogna subito pulirla, metterla a posto perché possa continuare il suo lavoro di gloria di Dio e bene delle anime.

Deh, o cari fratelli, ricordiamoci che tutti della Casa, ma specialmente noi, dal fatto che abitiamo sotto i divini Padiglioni, abbiamo tutti la nostra parte di lavoro spirituale in quest’Opera, e guai a noi se non lo facciamo; poveri noi, specie al termine della nostra vita, quando ci dovremo presentare davanti al Signore, a rendere conto di quello che abbiamo fatto; ed oh che confusione, che dolore, se per somma disgrazia, essendo entrati in quest’Opera, ed avendo veduto le meraviglie di Dio, non abbiamo corrisposto, e ormai non c’è più tempo, solo si avvicina il “redde rationem” il grande rendiconto! Ah, finché siamo in tempo, con la divina grazia, facciamo tutti il nostro primo e grande lavoro in quest’Opera. E voi lo sapete, sappiamo tutti qual è, perché continuamente vi viene detto e ridetto; esso consiste nel mettere in pratica e vivere il “quaerite primum Regnum Dei”! E’ questo il nostro programma, quello che forma la base granitica di quest’Opera, che è condizione indispensabile di vita, di stabilità e di sviluppo di essa, sia pure attraverso le inevitabili prove che dovrà sostenere.

Cari fratelli, come siamo investiti continuamente dell’aria, e questa ci somministra e mantiene la vita, così noi dobbiamo continuamente avere in mente che siamo qui uniti e raccolti per cercare e praticare il Regno di Dio! Sì, miei cari, questo deve essere il nostro studio: cercare Dio nelle creature che ci ha affidate, cercare Dio e la sua gloria in tutte le nostre azioni e sofferenze, in tutti i nostri sacrifici. Lo faccio io questo? Lo fate voi? Ah esaminiamoci, ma sul serio, in questo momento! Forse invece abbiamo cercato la nostra soddisfazione, ci siamo dimenticati che tutti i nostri figlioli brillano della bellezza di Dio, ed invece forse abbiamo dato la preferenza a chi ci pareva meglio, a questi abbiamo lasciato passar difetti, che in altri non avremo lasciato passare; abbiamo usato delle particolarità, che Dio non voglia, abbiamo portato danno, oltre che alle nostre anime, anche a quelle degli altri, che certo non hanno avuto buon esempio, e Dio non voglia si siano anche formalizzate, scandalizzate. Fratelli cari, quanto so e posso vi raccomando la “nessuna accettazione di persone”; che se mai voleste averne sia per quella persona, per quel figliolo che meno vi va a genio, per il più bisognoso, e ricordiamoci che tutte sono anime, e che Dio vuole, oh degnazione! il nostro aiuto, il nostro concorso in questa divinissima fra la opere divine, la salvezza delle anime. Dunque nelle scuola, nel cortile, nell’officina, nelle camerate, da per tutto non abbiamo altro di mira che il vantaggio, il profitto, la perfezione di queste care anime, che sotto qualunque corteccia sono i grandi capolavori di Dio, e un giorno ce ne domanderà conto rigoroso.

Certo che vi saranno dei momenti di prova, di abbattimento, specie quando sembra di lavorare e di sacrificarsi tanto, e di raccogliere poco; cari fratelli, allora il nostro pensiero vada a quello che ha patito e sofferto Gesù; molte volte ci sembra di veder scarso frutto, ma ricordiamoci che noi non vediamo il lavoro segreto che fa il Signore e che Lui tiene conto e ricompensa “non secondo il frutto, ma secondo la fatica”. Da parte nostra lavoriamo, facciamo come tutto avesse da dipendere da noi, e poi lasciamo a Dio, che ha il suo tempo, i suoi giorni, la sue vie. Il nostro pensiero sia ai Santi, al B. Don Bosco in modo particolare, ma in generale a tutti coloro che si sono consumati nelle opere di Dio. Quanti patimenti, quanti dolori, quante contraddizioni, quante lotte! Hanno avuto dei momenti in cui pareva dovessero morirne, restare sopraffatti, ma perché amavano il Signore, non avevano altro di mira che la sua gloria, il bene delle anime, ecco che il Signore nel momento opportuno veniva loro incontro, li consolava, li aiutava, e faceva loro vedere i portenti suoi, i suoi miracoli, ricavati da quelle sofferenze, da quelle lotte stesse che parevano distruggere, annientare le opere sue.

Cari fratelli, è sempre e sarà sempre così; l’economia del Signore è verso di noi economia di amore, di grazia, di misericordia; non ci abbattano le prove, le lotte, i dolori. Cerchiamo Dio e non dubitiamo di niente. Come il sole sta illuminando sempre, sempre sparge i suoi benefici sulla terra, così Dio manterrà quest’Opera sua, questo sole, creato per la nostra Verona, per il mondo tutto, nonostante le nuvole e i temporali che lo potranno per qualche tempo nascondere, ma mai distruggere, mai far sì che non illumini. A patto però sempre che noi manteniamo a quest’Opera quella fisionomia tutta sua propria e particolare, come l’ha voluta e la vuole il Signore, Padrone assoluto.

Amati fratelli, che non sia scritto solo sul frontone della Casa il “Quaerite primum regnum Dei”, il “Non v’angustiate”, ma lo sia nella nostra mente, nel nostro cuore, nelle nostre operazioni; cerchiamo Dio abbandoniamoci a lui, ricordiamoci bene che in quel momento che la nostra fede vacilla, che innanzi a una difficoltà, a una prova, ad un bisogno, noi diffidiamo, e ci lasciamo condurre dalla prudenza umana, perdendo di vista il Signore, la sua gloria, le anime, allora la Provvidenza si ritira, lascia a noi, e noi che cosa potremo fare? Rovineremo, distruggeremo; Deh per carità che non avvenga tanta sventura! E non avverrà mai, scolpiamocelo bene nella mente, se noi saremo fedeli al grande divino programma di cercare il santo Regno di Dio, vivendo la vita di fede, osservando per amore le nostre sante Regole.

E a questo, o cari, sono legati gli altri grandi disegni che Dio compirà nel corso del tempo. E sono disegni di Dio, anzitutto il raccogliere quei buoni figlioli che Dio chiama per sé, al suo servizio, con la vocazione sacerdotale, e che non trovano aiuti perché poveri; oh che grande Opera è questa! Formare sacerdoti secondo il Cuore di Dio, che vivano “more Apostolorum, sine pera, sine sacculo; gratis accepistis, gratis date”! Lo sa questo e lo deduce anche Satana, che tenterà ogni via per rovinare questo disegno; deh, o cari, tutti quanti guardiamo di portare il nostro contributo di carità, di difesa, di aiuto. Ma l’Opera dei Sacerdoti non sarebbe completa senza l’Opera dei Fratelli. Ed ecco il secondo grande disegno, di formare Fratelli pieni di fuoco di amor di Dio, che si diffondano da per tutto, accendendo con il buon esempio, con la parola, lo spirito evangelico, educando le povere creature abbandonate, senza mezzi, senza aiuti, e formando così dei buoni cristiani, degli onesti lavoratori ed ottimi padri di famiglia.

Si parla tanto adesso di Azione Cattolica, il Papa la vuole, continuamente la inculca e la desidera perfino negli Istituti privati, tra ogni classe di persone, nelle stesse Case Religiose. Ora l’Azione Cattolica, come dice il Papa, è la partecipazione dei laici all’Apostolato gerarchico della Chiesa. Ossia la cooperazione dei laici coi sacerdoti per diffondere il santo Regno di Dio. Non vi sembra, o cari, di vedere in questo delineata la vostra stessa missione? La differenza sta tutta nella perfezione senza confronto maggiore che si richiede da voi che non dai semplici secolari. Ma appunto per questo quanta maggiore fecondità nel lavoro per le anime! Perché Dio, ricordatelo bene, coopera e feconda in proporzione della virtù e della santità. E se voi vivrete così, ossia nel sacrificio, nella gran fede, nel pieno abbandono nella Provvidenza, con la intera e totale obbedienza a chi, per quanto povero, regge e reggerà quest’Opera di Dio, voi sarete gli araldi dell’Azione Cattolica nel pieno e assoluto senso della parola.

Oh guardate, o cari fratelli, la grandezza e la nobiltà della vostra missione! Ma quale responsabilità incombe a tutti! vi raccomando, siate all’altezza della vostra missione, vigilate, custodite, sorvegliate queste anime, e solo da Dio attendete la grande e speciale ricompensa.

Sacerdoti e Fratelli, Fratelli e Sacerdoti siano un tutt’uno, cuore, mente e braccia, necessario complemento gli uni degli altri. Quindi mutua carità, stima reciproca, rispetto, aiuto scambievole. Oh ricordatevi, che sebbene di condizione diversa, siete tutti fratelli, figli tutti della stessa Madre, la Congregazione dei Poveri Servi. Non contristate questa vostra Madre, venendo meno a quella mutua carità che è indispensabile perché Dio sia in noi e noi in Dio.

Altro grande disegno di Dio sono le Missioni. Sì, o cari, Dio le vuole, ma le vuole legate sempre al grande programma: “Quaerite…” Se noi saremo fedeli, se ameremo Dio, verrà un giorno non lontano che da quest’Opera aurea si staccheranno dei massi, e andranno ad essere di fondamento all’Opera divina di portare il Santo Vangelo a tante e tante povere anime che mai hanno sentito parlare di Dio, di Gesù Cristo, della vita eterna.

Oh come è vasto il programma nostro, che deve “sanare tutto ciò che è malato, ritrovare ciò che è perduto, risuscitare tutto ciò che è morto”, nell’ordine soprannaturale. Davanti a tanto, cari, oh come dobbiamo umiliarci e nello stesso tempo ringraziare la bontà di Dio che noi e non altri ha scelto a suoi strumenti, dandoci come la caparra dei grandi premi che ci darà, terminata la nostra giornata.

E notate che queste ultime parole le ho prese così come stanno da una conferenza scritta già nel 1928. Ve lo dico perché tanto più vediate come il Signore non si attarda a compiere i gradi disegni che ha su questa grandissima Opera, a patto che noi corrispondiamo.

Fratelli, termino con la raccomandazione del Padre, del Fratello; guardiamo di non renderci mai indegni della grazia che il Signore ci ha fatto; viviamo dunque la vita della fede; domandiamola per intercessione del B. Cottolengo, la cui vita e le cui opere si possono dire un miracolo di fede, del quale fu detto che aveva più fede egli da solo che tutta Torino insieme. Anche lui conobbe le difficoltà, le prove, i bisogni: ma quanta fede, e quanta serenità in tutti gli incontri! se avremo fede come lui, faremo le opere che ha fatto lui!

Vi raccomando la santa umiltà: siamo umili in tutto; ricordiamoci che le nostre ire, le nostre discordie, le nostre mormorazioni, tutto ciò che mette il disordine, lo scompiglio, parte dalla superbia; l’umiltà, la docilità è necessaria a tutti, ma in modo specialissimo a noi, che, come sapete, dobbiamo essere senza testa, come cenci, come creta, disposti a tutto.

Con l’umiltà guardiamo che cammini di pari passo la carità; e io vi invito, e termino così, a meditare e a mettere in pratica le parole di S. Paolo sopra questa virtù: “Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli e non avessi la carità, non sarei che un bronzo risuonante o un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede sì da trasportare le montagne, e poi mancassi di carità, non sarei nulla. E se anche sbocconcellassi a favore dei poveri tutto quello che ho, e se dessi il mio corpo per essere arso e non avessi la carità, non ne avrei alcun giovamento. La carità è paziente, è benigna; La carità non ha invidia, non agisce invano, non si gonfia, non è ambiziosa, non è egoista, non si irrita, non pensa il male, non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità; soffre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno”! (1 Cor 13).

Pregate tanto per me, per la mia povera anima così bisognosa della divina misericordia. Io sempre vi porto nella mente e nel cuore. Che tutti un giorno ci possiamo trovare in Paradiso, per i meriti di Gesù Benedetto che ha tanto patito ed è morto appunto per acquistarcelo, e che, per renderci più facile la via del cielo, ha voluto che copiosa e sovrabbondante fosse la nostra Redenzione.

* LETTERA IX 5 maggio 1934

Da leggere ai cari Sacerdoti e Fratelli della Ven. Famiglia Religiosa.

Carissimi nel Signore

La pace di Gesù benedetto sia sempre con voi. La divina Provvidenza che con cura tutta particolare regge quest’Opera che è sua, a Dio piacendo, alla fine di quest’anno manderà alcuni fratelli in India, sotto la responsabilità di S. E. Mons. Vismara Vescovo; andranno a lavorare fra la classe più misera, i paria; è un disegno che data da 12 anni e che adesso viene a nascere. Se qualche Fratello o Sacerdote si sentisse questa vocazione tutta particolare, esponga a me questo desiderio, lasciando poi alla Provvidenza l’andare o no.

Che opera divina è quella delle Missioni, specie fra i più poveri e abbandonati! Certo che i primi che andranno bisogna che siano disposti a tutto: si tratta di fondamento, con il nostro spirito.

A tutti poi i miei cari religiosi faccio viva esortazione di vedere se nelle loro stanze o negli oggetti di loro uso avessero qualche cosa che contrasta con la povertà. Per amor di Dio mi mandino questi oggetti; sarà una cosa che tanto piace a Gesù.

* LETTERA X S. Giovanni Battista 1934

Carissimi fratelli in Gesù Cristo

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con noi e con tutte le anime che la divina Provvidenza attraverso il vostro apostolato e ministero sacerdotale vi fa avvicinare.

Ogni qualvolta il Signore mi ispira di scrivere a voi, miei cari ed amati fratelli, sento nel mio cuore di padre e custode di questa grandissima Opera, nata nel Sacro Costato di Gesù Crocefisso, un certo fremito, una certa cosa che a parole non so descrivere ma che certo a voi il Signore farà capire e sentire, perché Egli non suole mai cominciare senza poi perfezionare, ultimare.

Certo che sempre, ma specialmente in questo momento, faccio al Signore questa preghiera: “Signore, che questa tua parola, la quale passa attraverso questo tuo povero e meschino Casante, non resti inascoltata”.

Sarebbe questa, o cari, la più grande delle disgrazie, e guai per chi non ascolta e per l’Opera di Dio che viene così a mancare di quei mezzi e sussidi ordinari dell’economia delle opere del Signore, perché vivano, perché crescano, perché si diffondano e compiano i divini disegni.

E la parola che in visceribus Christi vi dico e che vi prego di ascoltare e mettere in pratica è questa: “Finché la divina Provvidenza, per tratto speciale della sua divina misericordia mi tiene qui, in questa Sua Opera, ricordatevi che tutti avete il sacro dovere di ascoltarmi, e perché questo? Perché così vuole il Signore, Padrone assoluto di questa sua Opera: e a questa sta legata tutta la vita dell’Opera di Dio. Che grande, che terribile responsabilità per coloro che, quod Deus avertat (Dio non voglia), non danno peso e importanza alle parole, alle raccomandazioni, a quello che in nome di Dio per bene e sviluppo della Congregazione vi dice chi è messo dalla divina Provvidenza a sentinella e a guardia di essa. Ve l’ho detto ancora e ve lo ripeto: il Signore ha degli altri disegni su quest’Opera, e questi disegni li manifesta a me per quanto povero e meschino, e li compirà a patto che voi mi ascoltiate e mi seguiate in tutto e per tutto. Quale responsabilità per chi non ascoltasse la mia povera parola, che è tuttavia la parola di Dio! Per questo vi raccomando di ascoltare quanto lo Spirito Santo vi dice attraverso il canale di quest’Opera, il quale ha e avrà sempre lumi e grazie speciali per ben condurre al porto questa mistica nave e così compiere i divini disegni. Vi parlo con chiarezza e con fermezza per trovarmi tranquillo al punto della morte. Per non avermi a rimproverare come il profeta: “Guai a me che non ho parlato”.

E lasciate che ancora vi raccomandi un’altra cosa, tanto importante e necessaria in tutte le comunità religiose, ma che nella nostra è necessaria, vorrei dire, in modo tutto particolare, ed è, o cari, la virtù della carità. Amiamoci nel Signore, sappiamoci compatire, siamo generosi a sopportare e a dimenticare tante piccole cose che sovente minacciano di rompere questa bella virtù, che è la regina anzi di tutte le virtù. A questo proposito non posso fare a meno di citare un passo che ho letto nella vita di Don Columba Marmion, e che servirà a noi di stimolo, di incoraggiamento e di monito per conservare la fraterna carità.

“Senza volere, spesso senza sapere, noi ci urtiamo a vicenda: ciò è dovuto alla condizione medesima di noi povere creature umane… La storia dei Santi è piena di simili disaccordi, di questi malintesi, di siffatti dissensi che derivano dal temperamento, dal carattere, dalle tendenze dello spirito, dall’educazione, dall’ideale da ciascuno sognato… La sofferenza della vita in comunità è tanto più aspra quanto più lo spirito è raffinato e l’anima più delicata… La natura umana presenta talvolta tali debolezze, tali lacune, che anche le anime le quali cercano Dio sinceramente sono l’una all’altra avvinte per la carità di Cristo, costituiscono a vicenda delle vere cause di mortificazione… Ora sopportare ogni giorno tali noie, con pazienza, con carità, senza mai lagnarsi, costituisce una reale mortificazione…” ed aggiungeva: “Voi mi obietterete: ma il convento non è forse l’anticamera del Cielo? Certamente! ma dimorare a lungo in un luogo di attesa e restare fra la monotonia e la contrarietà, può diventare estremamente oneroso e richiedere una ingente dose di resistenza”.

Ed ora, amati fratelli, vengo a dirvi i nomi dei fortunati, dei privilegiati che la divina Provvidenza ha scelto fino dalla eternità ad essere i primi della nostra Congregazione, ad andare a portare la luce del Santo Vangelo, a portare il nostro divino programma “Quaerite” nelle terre degli infedeli. Che grazia fa loro il Signore! Beati e fortunati loro. Se è grande la ricompensa riservata a coloro che lasciano tutte le cose per consacrarsi al servizio di Dio, nella vita Religiosa, quanto maggiore è la ricompensa riservata al missionario! Molti veramente mi hanno fatto domanda di andare in Missione, e questo fu ed è per me motivo di grande consolazione!

Non tutti certo possono essere accontentati, ma anche quelli che restano, dinanzi al Signore hanno già ricevuto la stessa ricompensa. Ho detto ancora e lo ripeto, che i primi devono essere disposti a tutto, e non so cosa riservi loro la Provvidenza. Ma essi non devono temere, perché è Dio che li manda, come ne è prova la benedizione, fin dall’inizio chiesta ed ottenuta, di S. E. Mons. nostro Vescovo e della Santa Sede, dalla quale anzi proprio di questi giorni mi è pervenuta una bellissima lettera che alcuni già conoscono e agli altri verrà presto comunicata. Ed allora, o cari, non è forse il caso di ripetere: si Deus pro nobis, quis contra nos?

Essi dunque sono: I – Fr.llo Edoardo Farina; II – Nov. Aldo Farina; III – Nov. Guido Tovazzi; IV1 – Aggreg. Francesco Cornale.

Adesso non ci resta, o cari ed amati fratelli, se non ringraziare tanto e poi tanto il Signore, che attraverso dolori e croci compie i suoi grandi disegni, e guardiamo di portare tutti il nostro contributo di entusiasmo, di preghiere, di mortificazioni e di sacrifici per la grande opera delle Missioni. Certo il diavolo freme, non so cosa farà, ma nulla potrà fare se voi starete uniti a questo povero Casante e lo ascolterete; vittoriosi allora in tutte le lotte, superiori a tutte le prove, forti in tutte le difficoltà compiremo grandi cose per la gloria di Dio e a bene delle anime. Questo ci conceda Iddio per intercessione della Vergine Immacolata, Patrona della nostra Congregazione, per intercessione dei Santi Protettori, per intercessione in fine del grande precursore Giovanni Battista di cui celebriamo prossimamente la festa.

* LETTERA XI 24 agosto 1934

Miei Carissimi

La grazia e la pace di Gesù Benedetto sia sempre con tutti voi. Questo saluto, che tante volte vi ho fatto, ve lo ripeto con sempre nuovo fervore, perché non desidero altro che vedervi lieti e contenti nel servizio di Dio; e sarete tali se conserverete in voi quella grazia che è frutto del Sangue preziosissimo di Gesù Redentore e quella pace che solo Iddio può dare, perché non è cosa di terra ma di cielo. Siamo prossimi ai Santi Esercizi spirituali, che quest’anno devono rivestire un’importanza più speciale, essendo l’Anno Santo Giubileo della nostra Redenzione; e io mi sento spinto, o miei cari, a rivolgervi la mia povera parola per esortarvi ad approfittare meglio che potete di questa grazia del Signore e per manifestarvi qualche mio ardente desiderio, che non è rivolto ad altro che a vedervi progredire nella santità propria della vostra vocazione, e a cooperare per il maggior sviluppo di quest’Opera alla quale per grazia di Dio apparteniamo.

Tante volte vel’ho detto e ripetuto: questa è un’Opera speciale, voluta da Dio nei nostri tempi, destinata a fare un gran bene al mondo, a condizione che noi corrispondiamo fedelmente ai disegni di Dio che sono grandi.

Noi non siamo che agli inizi; è un grande onore per noi, ma anche una grande responsabilità. Ho in mente le parole che mi diceva l’ Ecc. nostro Vescovo: guai se l’Opera dovesse declinare, venir meno, offuscarsi nel principio! Sarebbe la più grande sventura, anzi non vivrebbe, ma morirebbe.

Ed è proprio così. Il Vescovo mi ha detto quello che mi sento anch’io.

Miei cari e amati fratelli, volete un mezzo sicuro, infallibile per tener lontano un simile pericolo? Ve lo indico, con l’animo pieno di confusione per la mia miseria e indegnità, ma anche nello stesso tempo con la più grande sicurezza di non sbagliare: il mezzo è questo, di ascoltare questo povero prete, di seguirlo in tutto e per tutto, nel cercare di attuare ogni direttiva e anche ogni desiderio che io vi manifesto. Tenetelo bene a mente, oggi come oggi è questo il piano della divina Provvidenza; fin che ci sono dovete ascoltarmi, stare attenti ad ogni cosa che io vi dico, per riguardo all’Opera, e conservare nel vostro cuore, come divina semente, la mia povera parola, che non è mia, ma del Signore; e dovrà servire anche in seguito, quando io non ci sarò più. Ecco il mezzo sicuro per mantenerci all’altezza della vocazione e contribuire al sempre maggior sviluppo di quest’Opera. Fin tanto che ci sono, è questa la volontà del Signore; quando il Signore mi mettesse in disparte, allora sarà un altro l’interprete della Provvidenza.

Miei cari, quest’Opera è come una statua; vi dico questo pensiero, che mi è venuto dopo la S. Messa. Ma la statua non è completa, anzi è appena abbozzata. Finché una statua non è finita, lo scultore continua a lavorarvi attorno, a togliere, aggiungere, scalfire, levigare. Quando poi la vede finita, e la riconosce conforme al modello che ne ha concepito, allora la statua esce dal suo studio, e va ad adornare un palazzo, un giardino, una basilica. Ora il divino Scultore ha in lavoro questa statua, l’Opera e la Congregazione dei Poveri Servi; una statua destinata a diventare un capolavoro, degno dell’ammirazione universale. Io non ne sono che un povero Custode e Casante, scelto da Dio tra i più inadatti a grandi cose, perché maggiormente si manifesti che è Lui, Iddio, che fa tutto qui dentro, e noi non facciamo nulla, altro che guastare. A lui solo dunque ne verrà la gloria, quando questa statua sarà terminata e farà bella mostra di sé.

Anticamente, voi lo sapete dalla storia, c’erano delle città di rifugio; e coloro che vi entravano, godevano dei favori speciali dalla umana giustizia. In seguito questo privilegio si estese anche ai palazzi dei grandi signori, e alle statue di personaggi celebri. Mi pare proprio che sia il caso nostro: in questi tempi di grande confusione e di paganesimo, l’Opera è proprio un rifugio al quale accoreranno le anime per attingere i beni spirituali, e tante volte anche materiali. Dio l’ha pensata così da tutta l’eternità, ed ai nostri giorni l’ha fatta nascere per il bene delle anime.

O miei cari, ascoltate queste povere parole, che mi nascono spontanee ai piedi del Crocefisso. Sono molti e grandi disegni che Iddio vuol compiere mediante quest’Opera sua; quello che vediamo adesso è nulla a confronto di quello che sarà in avvenire. A patto però che tutti, un cuor solo e un’anima sola, abbiamo a collaborare nel modo che vi ho detto. Voi dovete ascoltarmi con docilità di figli, senza mai e poi mai fare opposizioni, e tanto meno permettervi di giudicare, di sindacare quello che dico o faccio; sarebbe un grave attentato all’Opera, perché, ve lo assicuro, tutto quello che vi suggerisco è sempre vagliato alla luce di Dio, con l’unica mira del bene di quest’Opera, e di far la divina volontà, quale passo passo viene manifestandosi.

Come tante volte vi ho detto, non mi fanno paura le lotte esterne che potessero insorgere contro l’Opera; temo solamente la disunione interna, la mancanza di carità, la divisione tra Padre e figli, tra fratelli e fratelli: questo sì io temo, perché sarebbe la rovina dell’Opera di Dio.

Ora nei S. Esercizi, meditate e riflettete a queste cose, e fate dei saldi propositi a questo riguardo; e avrete concorso al benessere della nostra Santa Congregazione. Tenetevi disposti a tutto, come cenci, come creta; pronti anche ad ogni sacrificio, generosamente, per assecondare i desideri di questo povero Casante; solamente così io mi sentirò tranquillo nel governo dell’Opera, che costa, voi lo sapete, tante pene e tanti dolori.

Nel silenzio e nel raccoglimento degli Esercizi guardate a quest’Opera, e la vedrete grande, provvidenziale, e apprezzerete la grazia grande di appartenervi. Guardatela, ve ne prego, al lume della fede e non con l’occhio umano; pensate e imprimetevi bene in mente che essa è un’Opera unica, un’Opera sola; un unico corpo operante, quantunque siano molteplici e vari gli scopi che essa si prefigge di raggiungere. Non divisioni, non confronti tra la varie parti di essa; un’unica Opera, un’unica Congregazione composta di Sacerdoti e Fratelli, che si completano a vicenda. Non due rami distinti ma un unico albero. Sacerdoti e Fratelli costituiscono, nella nostra Opera, un unico e solo organismo: è questa la prerogativa speciale, la caratteristica nostra.

Sacerdoti e Fratelli disposti a tutto, in teoria e in pratica, specialmente alla missione di educare le povere creature e a quelle altre mansioni che la Provvidenza ci affiderà in seguito. Se un Sacerdote o un Fratello non si sentisse questa disposizione, e dicesse per esempio che si sente attitudine ed inclinazione solamente a stare in laboratorio, o a far scuola, o altro, ritenga pure che non è fatto per la nostra Congregazione.

Ci sono tante altre Opere di buoni preti, o di buoni religiosi: ma non sono la nostra. Qui bisogna essere nella disposizione che ho detto, che ho sempre detto sin da principio della Casa: disposti a tutto, come cenci, tanto a coprire cariche onorevoli, come a disimpegnare uffici umili, se umili possono chiamarsi, mentre nella Casa del Signore tutto è grande; tanto ad esercitarsi nel ministero alto, per dir così, come al lavorare nel nascondimento e nel silenzio della casa religiosa: aver di mira unicamente le anime e non limitare la nostra azione e le nostre mire a dei determinati uffici, ma vedere invece in ogni posto, in ogni mansione il mezzo di fare un fecondo e pratico apostolato. In special modo poi dovete sentire un’attrattiva speciale per la gioventù povera ed abbandonata. Non dimentichiamoci mai, o cari fratelli, che l’Opera è nata, è vissuta, e vive tutt’ora proprio con questo scopo, con questa missione: dei poveri fanciulli abbandonati, bisognosi di chi nel nome di Dio faccia loro da padre e da madre, da fratello, da maestro, da tutto. Sarebbe un disconoscere la volontà di Dio agire altrimenti, ed io temerei di tradire il mio mandato se non vi dicessi chiaramente il mio pensiero, che non è mio, ma del Signore.

Che se per il passato voi mi sentiste parlare di cuore e di braccia dell’Opera, credetelo pure, non era per creare delle diversità, o per esaltare una parte sopra l’altra; era un linguaggio opportuno per il momento in cui parlavo, per far risaltare dei momentanei bisogni di pregare e di lavorare. Ora non è più il caso di parlare così: tutto è cuore, tutto è braccia nell’Opera, o meglio essa è un tutt’uno, dove ogni parte è di vitalissima importanza.

Questa è la volontà di Dio e voi dovete coadiuvarmi: con la preghiera, con la docilità, con la pronta collaborazione.

L’abbozzo va studiato, lavorato, per avviarsi gradatamente alla perfezione voluta. E’ così di ogni cosa umana, anche la più santa: da principio c’è l’essenza sì, ma non c’è tutto quel contorno che si matura in seguito. Così la nostra Opera: ha bisogno di lavoro, di ritocchi, di sviluppi sempre nuovi; ed io, con la grazia del Signore, son deciso di andare fino in fondo per dare a quest’Opera la fisionomia giusta, quale è voluta da Dio.

Confido però molto su voi, sulla vostra preghiera, sulla vostra osservanza delle Sante Regole, sulla vostra prontezza e docilità filiale alle direttive che in Domino vi suggerisco.

Pregate, pregate molto per le Missioni, che si iniziano all’indomani degli Esercizi. Oh la grande cosa che sono le Missioni! Il grande onore che ci fa Iddio a collaborare per la diffusione del suo Regno tra gli Infedeli! Tutti cerchiamo di cooperarvi, tanto chi parte, come chi resta. L’Opera delle Missioni è nata prodigiosamente; è proprio come il sassolino che si stacca dal monte, senza il concorso delle mani dell’uomo: ragione di più per collaborare, con la preghiera, con i sacrifici, col parlarne entusiasticamente.

Finisco, o miei cari, raccomandandovi la santa umiltà, base di ogni virtù, e la carità che tutti ci deve stringere in un sol vincolo fraterno, per il lavoro comune della nostra santificazione e dello sviluppo di quest’Opera del Signore.

Vi mando a parte un bel libretto su Don Bosco, che tanto bene ha fatto a me; son certo che gioverà molto anche a voi. Anzi desidero che ne leggiate un punto al giorno: sarà una goccia di bene, un granello di santità che si deposita nel nostro cuore.

Pregate tanto per me: che possa sempre corrispondere ai disegni di Dio, a costo di qualunque sacrificio. Che tutti possiamo trovarci uniti in Paradiso dopo di aver lavorato nell’unione fraterna qui in terra; ricordiamocelo sempre: dobbiamo, in ogni nostro lavoro e ministero, tener di mira la meta beata, il Santo Paradiso.

* LETTERA XII Natale 1934

Ai miei cari figli in Gesù Cristo Sacerdoti e Fratelli.

Carissimi

La pace e la grazia del Benedetto Gesù sia sempre con voi, miei cari Confratelli. sempre vi porto nella mente e nel cuore, pregando il divin Redentore che vi mantenga fedeli nel suo servizio in questa grande Casa, per la maggior gloria sua e per il bene delle anime: così che tutti un giorno ci possiamo trovare uniti nella Patria beata, il Santo Paradiso, a godere insieme quel Dio che abbiamo insieme servito in questa vita.

Cari Confratelli, siamo prossimi a giorni santi, a giorni di grande letizia, perché son giorni in cui ricordiamo il sublime atto di amore di quel Dio, che per salvarci, per darci la pace e la grazia, si fece uomo ed abitò fra noi, patì e morì per noi. Se questi son giorni santi, giorni di pace per tutti, lo debbono essere in modo speciale per noi; la Congregazione della quale siamo membri, può paragonarsi all’Arca Santa entro la quale il Signore salvò dal diluvio i suoi prediletti, per ripopolare poi il mondo. Noi siamo i prediletti del Signore; egli vuole servirsi di noi per divulgare lo spirito del S. Vangelo nel mondo corrotto che va continuamente verso la rovina spirituale.

Fratelli amatissimi, è questo il fine primario della nostra Congregazione: far di tutto perché le anime ritornino a Dio, perché il mondo si risani, perché il sole della verità e del Vangelo splenda alla mente e al cuore di tutti. La nostra Congregazione, come tante volte vi ho detto, ha un’impronta, una fisionomia tutta speciale. Nella terra benedetta di questo giardino, Gesù, Padrone assoluto, ha depositato tante sementi di opere grandi; sta a noi farle nascere e crescere, a gloria di Dio e a bene delle anime. Ma per far questo, o miei cari, tenete bene a mente che, come speciale è l’Opera, speciale deve essere la nostra vita: una grande fede, un totale abbandono in Dio, una profonda umiltà, una figliale docilità a colui che è messo dal Signore a guida di quest’Opera, e che, fino a prova contraria, è il depositario e l’interprete dei divini voleri, colui che voi dovete ascoltare. Queste virtù sono le gemme preziose che devono arricchire le nostre anime.

Amati Confratelli, entriamo in noi stessi, e vediamo se, a parole e a fatti, noi abbiamo queste virtù. L’esserne privi porterebbe lo sfacelo dell’Opera: che grande responsabilità sarebbe la nostra!

Cari Confratelli, qui dovrei dirvi una cosa, ma già voi la sapete: il profondo dolore che porterò in me fino alla morte, perché mi ha colpito nel più vivo dell’anima. Tuttavia con l’aiuto della divina Provvidenza anche questo servirà a compiere i divini disegni; perché il Signore non per nulla permette il male, ma sempre ne ricava un bene proporzionato. E’ questa l’economia del Signore nelle sue opere grandi: permette le grandi prove per i suoi altissimi fini…..

Preghiamo perché passi presto l’ora della prova, che torni presto il sereno, e possiamo riprendere con alacrità il nostro lavoro, nella fraternità più schietta e fattiva, a vantaggio delle anime affidateci: le più umili, le più dimenticate e trascurate. Io intanto soffro e prego insieme con voi, aspettando un segno dalla Provvidenza di Dio che mi assicuri di non essere io l’ostacolo al compimento dei divini disegni e che mi vuole ancora nell’Opera…

Ascoltate sempre questo povero prete che vi parla; io non sono che un semplice capo operaio in questa mistica officina di Dio. Grandi capolavori devono uscire di qui, a patto che tutti concordi e unanimi ci affatichiamo seguendo le direttive di chi è incaricato di dirigere.

Vi auguro con tutto il cuore il buon Natale: che Gesù Bambino vi riempia tutti dei suoi celesti doni di grazia e di salute, per il nuovo anno 1935 e per molti anni.

* LETTERA XIII 19 marzo 1935

Caro Don Stanislao e Confratelli

La pace del nostro buon Dio sia sempre con voi, miei amati Confratelli, dal Signore così prediletti, da avervi chiamati vicini a lui, nella grande Opera fra le più grandi, che è quella di aiutarlo nel salvare le anime.

Vorrei esservi vicino e ricordarvi spesso la vostra grandezza, i tesori divini che Gesù benedetto ha dato e vi dà continuamente e per voi, per la vostra santificazione, e per le anime che la divina Provvidenza vi ha affidato. Anime, Dio mio, che grande parola è questa, specie per noi Sacerdoti, ministri di un Dio fatto uomo e che per salvare le anime ha dato la sua vita, in mezzo ai tormenti e la morte più obbrobriosa, e continuamente si immola sui nostri altari per le anime. Guai a noi, specie noi, proprio noi, se non abbiamo nella mente e nel cuore questo pensiero, questo amore per le anime, specie per quelle più povere, più abbandonate, più reiette, i peccatori che fanno oggetto speciale dell’amore del Signore; oh, miei carissimi vi raccomando le anime, la salute delle anime. Reggere un’anima è reggere un mondo, diceva un santo, e S. Carlo diceva che una sola anima è una Diocesi abbastanza vasta per un vescovo.

Dio mio quante anime, che sono fuori, sono lontane dal Signore, povere di tutto, perché non ricevono le ricchezze divine di noi sacerdoti! Che grande responsabilità! “Sanguinem eorum de manu tua requiram!” Come mi fa tremare questa sentenza scritturale! Che S. Giuseppe, che oggi la Chiesa festeggia, ci sia di aiuto per capire il valore delle anime, la scienza delle anime, che è scienza di preghiera, di umiltà, di amore a Gesù Cristo, e unione a Lui, perché “sine me nihil potestis facere”. Solamente così si può rendere fecondo e fruttuoso il santo nostro ministero e salvare tante anime assieme alle nostre.

Cari Confratelli, in ginocchio, vi scongiuro di zelare la gloria di Dio e il bene delle anime, indifferenti a luoghi, a mansioni, come Gesù Eucaristico, che non guarda diversità di luoghi, si dona a tutti, pur di giovare e sanare e salvare le anime.

Oh quanto c’è bisogno di Sacerdoti che siano strumenti, tutti per Iddio e per le anime, per la Chiesa, in continuo zelo, in un continuo sacrificio! Che beatitudine gode anche qui in terra il Sacerdote fedele di Gesù che non ha altra mira, altro pensiero che la sua santificazione e quella delle anime!

Io ormai sono vecchio e purtroppo comincio adesso a capire quello che io vi ho scritto.

Pregate la misericordia di Dio per me, e voi, che avete tempo, approfittatene per la gloria di Dio e il bene delle anime vostre.

* LETTERA XIV 8 dicembre 1936

Mio caro Don Stanislao

La grazia, la pace di Gesù benedetto sino sempre con te, con tutti i cari nostri Confratelli della Comunità Romana e con tutte le anime che il buon Dio vi fa avvicinare per mezzo del vostro santo ministero.

E’ da giorni che sento vivo e forte il bisogno di scriverti per dirti che sempre tutti e ciascheduno vi porto nella mente e nel cuore, che sempre prego il divino ed amato nostro Redentore perché sempre più vi riempia, ci riempia tutti del suo divino spirito, prima a bene e a santificazione delle nostre anime religiose e poi per compiere tutto quello che Gesù vuole a maggior gloria del divin Padre e a salute delle anime.

Caro Don Stanislao, è proprio questa l’ora di sorgere dal nostro sonno, credimi, che è un’ora terribile, ora di Satana, ma in modo tutto speciale, è inutile illuderci, per amore di Dio prepariamoci noi saldati e ministri di Cristo per resistere all’urto, e con la divina grazia vincere usando quelle armi che ci ha messo in mano il divin Capitano e che gli Apostoli e i Santi tutti hanno usato per vincere nel corso dei secoli. Caro Don Stanislao, sempre, ma specialmente ora c’è bisogno di preti e di religiosi santi che siano Vangeli viventi, che la Comunità sia una continua predica.

Oh sì, non basta predicare, parlare, agire, tutte belle e buone cose, ma è prima di tutto necessario praticare quello che Gesù e gli Apostoli hanno predicato: “Sacerdos alter Christus”. Gesù vive una vita povera e umile, le sue delizie sono stare con i poveri da Lui preferiti, ama e va in cerca dei peccatori, disprezza le cose terrene. Ci dice che non siamo fatti per la terra, ma per il Cielo, che quaggiù siamo fratelli, figli suoi, che dobbiamo cercare solo il santo Regno di Dio, che noi siamo mandati da Cristo, e come Cristo fu mandato dal Padre per salvare il mondo e il mondo l’ha salvato con la sofferenza, con i patimenti e con la morte di croce, così è di noi, mio caro Don Stanislao, le anime si salvano non con le comodità, non con la prudenza umana, ma con la croce, con il sacrificio, in una parola con la santità. Ricordati, ricordalo anche ai Confratelli che nei disegni di Dio siete venuti a Roma e siete passati per la porta della parrocchia, ma fu sempre porta; guardate che il Signore, specie in quest’ora, vuole compiere delle grandi cose e le compirà se noi con la divina grazia saremo, vivremo come sono vissuti gli Apostoli.

E’ necessario dunque che ci santifichiamo noi per santificare le anime; ed ecco la grande importanza della vita interiore, uniti in tutto a Lui, tralci a vite, conche per essere poi canali.

Quando andiamo alle anime, guardiamo prima di essere uniti al Signore.

Dunque, caro Don Stanislao, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore, la santa meditazione perché è là che si accende il fuoco dell’amore di Dio e delle anime. Uno che non medita è sull’orlo dell’abisso. Con la meditazione guarda che si dia importanza alla visita quotidiana a Gesù Sacramentato. Ove è il nostro tesoro, là vi sarà pure il nostro cuore, sta scritto, e il nostro tesoro, caro Don Stanislao, deve essere Gesù Sacramentato. Non dall’ambiente, non dalle protezioni umane, non dalla stima degli uomini ci verrà l’aiuto e la forza per noi, per il santo nostro ministero, ma da Gesù Sacramentato. Nei dubbi, nelle incertezze, nei grandi bisogni per le anime nostre e per il sacro ministero, andiamo al S. Tabernacolo, pensiamo che là vi è realmente, veramente, sostanzialmente il nostro Dio. Anche il divino Ufficio guarda che abbia il primo posto, mai ridursi a sera, ma alla sera sia terminato e sia anticipato quello del giorno seguente.

Qui bisogna stare attenti che le occupazioni non soffochino questo fuoco divino. Se vi è gente che aspetta, terminiamo il nostro Ufficio, diciamo alla gente questo, e questo riuscirà di edificazione. Tutto nel nostro santo ministero dipende dall’Ufficio ben detto e dalla S. Messa ben celebrata. Anzi a questo proposito della S. Messa mi han fatto tanta impressione le parole di S. Giovanni Eudes: “per offrire la S. Messa ci vorrebbero tre eternità, una per prepararsi, una per celebrare, ed una per ringraziare”. Quante cose ancora vi vorrei dire, come richiamare alla vostra mente altri ordini che vi ho dato in altre circolari e qui brevemente riassunto.

E’ assolutamente proibito di fumare; per conto mio questo è della massima importanza per noi; se uno si sente di fumare, se ne vada.

Nessuno vada a pranzi di feste, sia pure religiose, come battesimi, matrimoni ecc. Con un cortese diniego riuscirà ad edificazione. Nessuno usi la macchina fotografica senza il mio permesso, nessuno si faccia fotografare da solo senza il permesso. Credete, sa di vanagloria, e nemmeno siate facili da farvi fotografare in gruppi, sia pure di associazioni buone e sante e mai, assolutamente mai in gruppi femminili. La bicicletta si usi solo per il ministero, mai per diporto e sempre con il permesso, credete che il Signore terrà conto dei disagi che dovrete incontrare per il santo ministero e li benedirà.

Raccomando che la vostra persona sia pulita, ma non ricercata, via i ciuffi e certe attillatezze che sanno di mondanità, e che anzi di edificare distruggono. Attenti al gioco delle carte; questo non sia mai da voi, lo potete permettere, ma voi no, vigilate. Caro Don Stanislao, e qui finisco, vi seguo con il mio saluto e con la S. Benedizione, per te, Caro Don Stanislao, per le tue anime, per le anime affidate ai nostri cari Confratelli. Don Rosa, prescelto, che sento che Gesù lo aiuterà nel suo difficile campo, Don Isaìa al quale raccomando tanto quella piccola semente, spero che faranno bene tutti, desidero sapere qualche cosa. Una benedizione a Don Pomini, Don Toaiari, Don dalla Riva. Don Pomini continua la tua vita di lavoro nella santa umiltà. Don Toaiari, sii sempre unito a Gesù, e tu Don Dalla Riva, guarda sempre di imitare il primo e divino missionario Gesù.

* LETTERA XV 4 dicembre 1937

Carissimi confratelli, fratelli

E’ morto il nostro carissimo Fr. Francesco Perez.

Questa mattina, all’indomani del primo Venerdì del mese e della festa di S. Francesco Saverio, alle prime ore del I sabato del mese, consacrato in modo speciale alla Madonna, di cui era devotissimo, alle ore 4,30 l’anima sua bella ha spiccato diritto il volo verso il cielo; abbiamo tanti motivi per credere che sia arrivata al premio senza ritardo alcuno. Egli ci ha edificato sempre e del profumo di sue virtù resterà per molto tempo imbalsamata la nostra Casa. E’ una voce comune: è morto un santo! più d’uno nel ricevere tale notizia si è espresso dicendo: non sappiamo se fare più le condoglianze o i rallegramenti. E’ certo che il caro Fr. Francesco era una colonna per la Casa: un titolo di rendita molto elevata: il conforto nostro è questo, che se vivente con noi era una calamita di grazie, giunto lassù ne sarà una fitta pioggia.

Edificanti gli ultimi momenti. Poco prima della mezzanotte, chiese che ora fosse. Alla mezzanotte in punto recitò a voce chiara l’Angelus Domini; più tardi recitò con fervore per intero l’inno Ave Maris Stella. Il Fratello che lo assisteva, vedendolo aggravarsi, gli chiese se desiderava gli fosse chiamato il Sacerdote. “Ma se è qui Don Giovanni!” disse. E rivolto ad un lato, come conferisse realmente con don Giovanni, lo ringraziava di quanto aveva fatto per lui. “M’accompagni sa! e mi assista fino alla fine” gli disse. E fece il Segno della Croce come quando riceveva la benedizione del Padre.

Si sentì oppresso maggiormente verso le ore tre della notte. “Basta, non ne posso più!” ripeté più volte. Poi si rimise tranquillo. Recitò intera la giaculatoria “Gesù, Giuseppe, Maria”. Poi soggiunse: ” Sento che il Signore mi chiama”. E cominciò a pregare per Don Giovanni, per la pace del mondo, per il Vescovo, per i suoi cari, per i fratelli, per le Case, per tutti. Accanto al nome di ciascuno aggiungeva un’intenzione non bene appresa.

Ad un certo momento guardando in alto, “Ah! non sono per me, disse, non sono per me quelle rose! io non sono altro che un povero miserabile!”.

Poco prima di spirare disse con tono grave:” memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris”. E soggiunse: “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum!”. Entrò in agonia, che fu brevissima, e senza dare quasi segno si addormentò nel Signore. Il Sacerdote li presente, vedendolo immoto, si accorse che era spirato e recitò le prime preghiere dei defunti.

O cari fratelli, che morte invidiabile! Ma dobbiamo dire che essa fu proprio l’eco della sua vita! Ci ottenga dal Signore per l’intercessione di Maria, che viviamo come lui per meritarci di morire come lui.

* LETTERA XVI Verona, 26 aprile 1938

Carissimi figlioli

Sono lieto di presentarvi la bella lettera che il nostro Reverendissimo Visitatore Apostolico ci ha indirizzato nelle feste di Pasqua, in risposta ai nostri auguri.

Quanto so e posso, vi raccomando in caritate Christi di leggere attentamente le paterne esortazioni e di metterle in pratica.

In questi tempi, nei quali da ogni parte si sente l’invito ad unirsi e fortificarsi per resistere ai pericoli, noi Religiosi più di tutti dobbiamo sentire il bisogno di unirci sempre più strettamente nella carità di Cristo, nella concordia fraterna, e fortificarci nelle virtù proprie della nostra santa vocazione; solamente così potremo resistere agli assalti del nemico tentatore, e compiere i divini disegni per la gloria di Dio e per il bene delle anime.

Vi benedico nel Signore, raccomandandomi tanto e poi tanto alla carità delle vostre preghiere, affinché possa salvare l’anima mia.

* LETTERA XVII Subiaco, 24 aprile 1938

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo.

Gli auguri che mi vengono da S. Zeno mi sono particolarmente cari e le buone parole così piene dello spirito del Signore mi scendono nell’anima.

Vi ringrazio di tutto cuore e vi ricambio come meglio posso i vostri auguri, assicurandovi che sempre, ma in modo tutto particolare siamo stati in comunione di anima e di preghiera nei giorni sacri, nei quali la Chiesa ha commemorato e rinnovato i misteri della nostra fede.

In queste circostanze dobbiamo confermare i nostri propositi di vivere secondo lo spirito della nostra santa vacazione. Vediamo i discepoli del Signore, poveri, sgomenti, fuggitivi, diventare poi strumenti della redenzione. Ma per arrivare a questo, devono spogliarsi della loro umanità e abbandonarsi al lavoro della grazia. Allora e solamente allora, i poveri pescatori diventano apostoli veri e organi per la santificazione per le anime.

Così i Poveri Servi della Divina Provvidenza. Devono morire a se stessi, alla propria volontà, al proprio modo di sentire e di vedere, ed essere abbandonati nelle mani dell’obbedienza che rappresenta la volontà del Padre celeste: devono morire a somiglianza di nostro Signore Gesù Cristo, secondo le esigenze della propria vocazione.

E quale vocazione è la nostra, carissimi Confratelli! Mentre tutto il mondo si sconvolge per andare dietro alle cose della terra, noi dobbiamo aspirare solo al cielo, alla santità: noi abbiamo la missione di far vedere a tutti gli uomini che lo spirito del Signore si mantiene nell’umiltà e nella povertà e nell’abbandono incondizionato alla divina Provvidenza.

Il Signore benedice tanto abbondantemente la nostra cara Congregazione. Tutti quanti dobbiamo comprendere la responsabilità che abbiamo: portarsi bene da veri servi della Provvidenza, alimentando la carità e l’unione fra tutti, praticando la più assoluta sottomissione ai Superiori.

Diversamente, ognuno di noi mette un ostacolo alle benedizioni di Dio e può essere la causa perché certe opere non abbiano il loro sviluppo.

Tutti dunque concordi, tutti uniti nella carità e nell’obbedienza: questo è il modo sicuro e infallibile per avere il Signore con noi. Ubi caritas et amor, Deus ibi est.

Vi domando la carità di raccomandare la mia povera anima al Signore, perché egli abbia misericordia di me.

Vi benedico e vi abbraccio nel Signore.

In Cristo

Don Emanuele Caronti O.S.B.

* LETTERA XVIII Aprile 1938

Fratelli carissimi

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi.

L’altro giorno fui a Costozza e mi sono sentito di dire a quei fratelli un pensiero che mi pare sia venuto proprio dallo Spirito Santo. Per questo ho pregato di farlo trascrivere anche per voi.

Vi prego di farne tesoro, e sia oggetto di attenta considerazione e di serio esame. Il Signore passa vicino a noi molte volte e passa ora per mezzo di questa mia povera parola. A noi di non lascarla passare invano.

Vi benedico.

Caro Don Bettini e Ven. Comunità

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con tutta la cara Comunità di Costozza, che in questo momento sento più vivo il desiderio che sia un centro di amore per Dio e per le anime, compiendo così i disegni del buon Dio. Cari fratelli, quello che vi ho detto sempre ve lo ripeto ancora adesso e prima che per voi lo ripeto a me. Sì, mi sembra che il Signore ci dia l’ultimatum per vederci una buona volta a metterci sul serio a vivere come esige la nostra santa vocazione, cioè abbandonati con cuore grande alla divina Provvidenza in tutto, non aver nessun pensiero, solo che quello della gloria di Dio a bene e salute del prossimo, convinti, certi che il temporale ci sarà dato per giunta, come ci assicura il divin Redentore nel Santo Vangelo.

Cari fratelli, per amor di Dio, mettiamoci tutti all’impegno. Santifichiamoci per santificare, e ci santificheremo con la piena osservanza delle nostre sante Regole, che in ginocchio vi raccomando.

L’ora attuale è ora di terribile burrasca, la nostra Opera è l’Arca di Dio, dove tante e tante anime troveranno la salute e la vita. Che responsabilità per chi, chiamato a lavorare e servire in Signore in quest’Opera, non corrisponde! Che il Signore, per intercessione della Madonna, ci conceda a tutti la grazia di corrispondere davvero. Noi beati!

Vi benedico tutti, pregate per me.

* LETTERA XIX 4 settembre 1938

E’ questa la prima volta che non faccio gli Esercizi con voi, cari ed amati miei fratelli! Dobbiamo sempre ringraziare e benedire il Signore, anche quando la nostra povera e piccola mente non sa rendersi ragione delle disposizioni divine: “le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore!” Quest’anno il Signore ha domandato a me poveretto un nuovo sacrificio ed io ben volentieri con la divina Grazia lo accetto, prima per la mia povera anima, e poi per voi, per la vostra santificazione, amati fratelli.

Perché, ricordatelo bene, personale santificazione, virtù, amor di Dio, gloria Sua e bene delle anime, che sono la vita e il patrimonio dell’Opera stessa, non si possono disgiungere; o noi ci riformiamo, ci santifichiamo, viviamo la vita del vero Religioso, e l’Opera dei Poveri Servi, senz’altro appoggio umano, diventerà gigante e correrà quella via che la divina Provvidenza le ha assegnato, diversamente concorreremo a distruggere l’Opera.

Mio Dio! Quale responsabilità per tutti e per ciascuno di noi se non viviamo come vuole il Signore! non andiamo a mendicare ragioni, pretesti od altro per giustificarci se il nostro ministero od apostolato è infruttuoso: tali ragioni e pretesti non sono altro che il pietoso orpello del nostro amor proprio. La colpa è tutta e solo nostra.

Prego e soffro perché questi santi Esercizi ci ritornino al primiero fervore, al primitivo e genuino spirito che è vita dell’Opera. Ricordatelo bene, ricordiamolo bene tutti, i nostri pensieri convergano ad un solo punto, alla nostra personale santificazione; è sempre il medesimo ritornello, ma devo ripeterlo, per non esser responsabile di aver taciuto.

Sì, o cari ed amati fratelli, la nostra maggior preoccupazione sia di studiare e scoprire le grandi ricchezze che nell’ordine soprannaturale Dio ha poste e messe a nostra disposizione, tesori e ricchezze tutte opposte a quelle del mondo, che, con tutta la loro grandezza, con il tempo si consumano e si riducono ad un pugno di polvere. E sapete quali sono le nostre ricchezze? Convinti della nostra miseria, del nostro niente, che non siamo altro che un’impasto di malizia e di peccato, la sola bontà e misericordia del Signore ci ha innestati nella sua grazia e ci ha messi nell’Opera dei Poveri Servi.

Servi! Fratelli servi! servi! Non dunque padroni, non dunque confidare nei propri lumi, far valere le proprie vedute, forse a danno delle Regole. Questo non è servire ma comandare: ve lo ripeto, cari fratelli, servi! Siamo servi. Che un giorno non dobbiamo rendere conto e non ci venga rinfacciato, questo nome, per non essere vissuti come servi! Studiare N. S. Gesù Cristo, osservare le sante Regole, praticare le virtù, specialmente l’umiltà, la purezza, ecco le nostre ricchezze e le nostre armi.

Ricordatelo! Nessuna forza potrà distruggere l’Opera: io non ho mai avuto paura delle lotte che vengono dal di fuori; queste servono a darle il sigillo delle opere di Dio e la fortificheranno sempre più; ma quello che può distruggere l’Opera e quello di cui temo, è la nostra poca virtù, l’accidia, la tiepidezza spirituale. Che responsabilità!

Ricordate ancora: lontani dalle protezioni umane: siamo grandi se saremo piccoli. Dio solo; facciamo tutto per piacere a Lui, non per accattare o mendicare una lode umana e terrena; il bene che facciamo teniamolo nascosto, nessuno lo sappia. Non diciamo: io ho fatto questo, io ho fatto quello. “Io ho visto Satana, disse Gesù, cadere dal cielo”; per carità, che l’amor proprio, la superbia non ci rubino i meriti che ci possiamo acquistare nel nostro sacro ministero e apostolato.

Vi porto tutti nel cuore e nella mente, specialmente voi, miei cari figlioli di Roma, Don Rosa, Don Isaia, Don dalla Riva, Don Gerardo, e voi tutti, carissimi fratelli, che vorrei nominare uno ad uno.

A Roma ho visto tante cose, di bene e di male, siate fari luminosi e risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei cieli!

Pregate per me, che non sia come quei riflettori i quali illuminano gli altri e restano essi nelle tenebre.

Questa lettera l’ho scritta dal mio letto, perché mi sembra che il Signore l’abbia voluto. Vi benedico, vi auguro che i presenti Esercizi siano veramente fruttuosi, per voi e per l’Opera, e che un giorno ci abbiamo a ritrovare tutti nel santo Paradiso.

Vi benedico con il cuore.

* LETTERA XX 7 agosto 1939

Carissimi

La grazia del Signore sia sempre con tutti noi, e ci aiuti a diventare sempre più e sempre meglio degni Servi, per quanto poveri, della divina Provvidenza.

Vi scrivo con cuore di padre affezionatissimo queste righe in questi giorni di convalescenza che il Signore mi concede dopo la visita che mi ha fatto. Mai come in quel tempo di prova ho meditato sulla preziosità della sofferenza, quando la si accetti, come è dovere, dalle mani del celeste Padre con serena fiducia che proprio così va bene. In quella materiale inazione a cui costringe la malattia, oh quanto lavoro proficuo si può fare nella vigna del Signore, per l’incremento del S. Regno di Dio nelle anime! Con la pazienza, con la rassegnazione, con la preghiera, il malato esercita un’influenza efficacissima, un apostolato operoso a vantaggio della Chiesa e delle anime: il Signore lo mette vicino, invisibilmente a quel Sacerdote, a quel Missionario, a quel maestro, a quella Comunità affinché le sofferenze rendano benedetto e fecondo il Suo lavoro.

Confido anch’io, non per i miei meriti, ma per grazia di Gesù Crocefisso, di aver portato un po’ di contributo al vostro apostolato di Poveri Servi con le mie piccole pene che offerivo per tutti e ciascuno di voi, miei carissimi figlioli, oltreché in espiazione dei miei peccati.

Sempre vi avevo presenti allo sguardo e vi seguivo col pensiero e con lo spirito nelle vostre mansioni, e, come potevo, pregavo per voi, implorando aiuti e grazie dal Signore.

So quanto avete pregato per me anche voi, in questi giorni; ed io poveretto ve ne ringrazio quanto so e posso, assicurandovi che ben più che la mia riconoscenza, vale per voi il premio che ve ne ha registrato il Signore nel libro dell’eternità.

Il mio primo pensiero, adesso che posso riprendere un po’ di lavoro, è per voi, per noi tutti; per esortarvi a considerare sempre più seriamente e corrispondere davvero alle tante grazie che il Signore ci fa in questa sua Opera. Ricordiamoci bene, o miei cari, che non sono le nostre vedute, non sono le nostre abilità, i nostri progetti, che fanno frutto nelle anime, bensì lo spirito che ci muove nell’operare. Il lavoro esterno, la predicazione, le istruzioni, le molteplici opere di zelo ci vogliono, sono indispensabili, voi lo sapete, ma non sono che il corpo, per dir così dell’apostolato. Ora voi conoscete che un corpo vale niente se non c’è l’anima che gli dà la vita; l’anima del nostro apostolato è data dalla vita interiore e spirituale che il buon operaio di Cristo deve coltivare con le pratiche di pietà, particolarmente la meditazione quotidiana, l’uso frequente e pio dei santi Sacramenti, l’assidua preghiera, l’osservanza delle S. Regole ecc. Solamente così ci assicuriamo la benedizione del Signore sulle nostre fatiche; altrimenti saranno, zeri belli se volete, ma zeri che nulla valgono.

Che se noi agiremo con lo spirito della nostra vocazione, ci renderemo degni che il Signore ci adoperi per attuare i grandi divini disegni che Egli ha stabilito di compiere per mezzo dei Poveri Servi. E la nostra Opera diverrà davvero un’Arca di salvezza che attraversa incolume e sicura le tempeste che minacciano il mondo peccatore, conservando nel suo seno i germi di un sano rinnovamento di vita cristiana.

Dal piccolo seme il Signore caverà una grande pianta, che darà frutti ubertosi; dal piccolo gregge che siamo oggi, il Signore si formerà un numeroso esercito che si irradierà per le vie della terra a raccogliere anime per il santo Regno di Dio: a patto che noi siamo oggi quali ci desidera Lui, il celeste Padre.

Non spendo parole di più per spiegarmi; voi conoscete il nostro programma e conoscete anche i miei desideri, che non sono i miei ma del Signore, perché io non sono che il povero Casante, la voce della Sua Provvidenza a nostro riguardo, finché la bontà e la misericordia di Dio mi sostiene.

Ascoltatemi, dunque, con spirito di fede, e cercate di mettere in pratica quello che vi dico. Lontani dalle protezioni umane; se vengono, ringraziamo il Signore, ma non preoccupiamoci di accaparrarcene. Umiltà e nascondimento, o miei cari, e amore ai poveri, agli abbandonati che la Provvidenza ci ha assegnato per campo di lavoro e che sono i prediletti di Gesù. Sempre al nostro posto, da veri Sacerdoti e Fratelli; il nostro contegno, il nostro parlare sia edificante, inutile che vi ricordi la regola di prudenza tanto importante: di non tenere comunicazioni con i luoghi dove avete lavorato, quando l’obbedienza vi ha messo in altra parte. Disposti a tutto, indifferenti ad ogni luogo e ad ogni mansione. Ognuno a suo posto, lavorando nella carità di Cristo, e nell’unione con i Confratelli.

Nessuna preoccupazione per i mezzi umani e materiali: questi ci verranno in sopraggiunta se saremo fedeli al nostro programma di cercare solamente il Regno di Dio. Potranno mancare, talvolta, o fare difetto; ma ricordiamoci che ciò avviene o per una prova del Signore oppure per la nostra poca corrispondenza; una mano al cuore, allora, pentirsi, ritornare in carreggiata, e avanti in Domino.

Guai a noi se veniamo meno al programma! Non potremo più vivere, sarebbe la nostra morte, perché non faremo più gli interessi di Dio: poveri noi al grande rendiconto, se avessimo questa disgrazia! Quelli che ci guardano e ci conoscono, lo sanno il nostro programma, e noi li dobbiamo edificare con la nostra fedeltà.

Facciamo bene, miei cari, viviamo da veri Religiosi; e allora vedrete come il Signore ci aiuterà, e fin sul letto della nostra morte ci si farà incontro mite e festivo il Buon Gesù, a dirci quelle consolanti parole: vieni, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore.

* LETTERA XXI Ottobre 1939

Miei carissimi ed amati fratelli

La grazia del Signore sia sempre con voi, e vi sostenga nel cammino della cristiana e religiosa perfezione.

Vi mando in iscritto qualche parola di quelle che il Signore mi ha concesso di dire a voce ai Confratelli del II turno di Esercizi. E’ una parola che vi ripeto quale mi è nata spontanea dal cuore, e vi prego di accoglierla con la vostra consueta docilità.

Cari fratelli, ringraziamo tutti il buon Dio che gratuitamente ci ha chiamati qui nella sua Casa, per aiutarlo nella grande Opera delle anime, cercando di diffondere il Santo Suo Regno. Che grazia grande, che favore distinto ci ha fatto e ci fa il Signore! Ah, guardiamo di non renderci indegni! La nostra vita sia la vita dell’Opera di Dio, attendendo prima di tutto alla nostra personale santificazione, secondo i consigli del Santo Vangelo, all’esercizio delle virtù, nell’esatta osservanza delle nostre sante Costituzioni.

Se non ci santifichiamo, l’Opera è un corpo senza anima. E ci santificheremo se vivremo lo spirito puro e genuino dell’Opera, spirito che tutti conosciamo e sappiamo; ma oltre saperlo, bisogna che lo viviamo. E questo per compiere grandi, vasti e nuovi disegni. Quale responsabilità se per colpa nostra questi disegni non avessero a compiersi! Che triste tramonto non sarebbe quello della nostra vita, che grande rendiconto al divin Giudice!

Fratelli cari, che il Signore ci conceda la grazia grande di vivere come Lui vuole, di lavorare traducendo in pratica il nome che portiamo, e mai dimenticando che siamo i Poveri Servi della Divina Provvidenza. Dunque, nessun egoismo personale, nessun attacco a noi stessi, alle nostre cose, nessun attacco ai posti di lavoro, pronti a tutto in ogni opera buona, fino al sacrificio e alla immolazione; il nostro lavoro ignori ogni personalismo e metta nella luce solo e sempre l’Opera, l’Opera, l’Opera; in una parola lavoriamo per Dio, per la sua gloria, per le anime.

Noi Religiosi, noi Sacerdoti, teniamoci tutti alla disposizione della Santa Chiesa, senza nessun scopo umano, ma solo per servire il Signore nel bene e nella redenzione delle anime.

Fratelli, quanto so e posso vi raccomando di ascoltare sempre chi il Signore ha messo e metterà a custode di quest’Opera; ascoltatelo senza riserve, senza discussioni, con spirito di rinuncia e di abnegazione; tutti uniti al centro dell’Opera, alla Casa Madre, di dove parte la luce, da dove si deve apprendere lo spirito puro e genuino, che deve passare ai figli lontani come linfa che dal tronco giunge fino alle ultime ramificazioni.

Quanto so e posso vi raccomando il programma: “buseta e taneta”, nascosti sotto terra, non lasciarci prendere dal fascino esteriore, dalla stima degli uomini, dal fascino della così detta gloria umana.

Vi raccomando ancora la carità; quante volte vi ho detto che nessuna forza mai potrà distruggere l’Opera! Ma noi sì lo potremo fare, specialmente se non viviamo uniti e stretti nella santa e mutua carità.

Carità che regni sovrana fra i membri delle singole Case, e in tutte le Case fra di loro. Amiamoci, compatiamoci, aiutiamoci a vicenda. C’è tanto odio nel mondo: offriamo ad esso lo spettacolo di persone che si amano veramente nel Signore, così come si amavano i primi cristiani, così come ci comanda Gesù benedetto: “Amatevi come io vi ho amati”; solo così, cari fratelli, compiremo i grandi disegni di Dio sopra noi e sopra questa sua grandissima Opera. E allora quanta pace, quanta gioia nei nostri cuori, quanta felicità e quale anticipato Paradiso gusteremo fino su questa terra! E sarà lieto allora il tramonto della nostra vita nell’attesa che il Signore ci dica; “servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”.

Cari fratelli, siate sempre all’altezza della vostra vocazione; Da per tutto dove andate a lavorare mostratevi quali vi chiamate: Poveri Servi della Divina Provvidenza. E guardate che a questo scopo giovano assai anche quelle direttive di ordine esteriore che tante volte vi ho inculcato da parte del Signore: anche se in occasione religiose, come battesimi, Matrimoni, compiuto il rito sacro in chiesa, non aggiungiamo altro, ritiriamoci, senza partecipare alle feste esterne. Non darsi alla dissipazione e ai divertimenti, ai viaggi e alle gite; evitare certi giuochi che sanno di spirito secolaresco, come ad esempio il gioco delle carte; fumare, sia in pubblico che in privato. Anzi, a questo proposito – parlo di oltre vent’anni fa – voglio raccontarvi un fatto che mi è rimasto tanto impresso. Un distinto e dotto sacerdote aveva tenuto ai nostri ragazzi una conferenza, suscitando l’entusiasmo. Poco dopo ritornò in mezzo a loro col sigaro in bocca; vi dico che fu neutralizzato tutto il bene fatto. Non dico che sia male, ma non è ricordatevelo, secondo il nostro spirito.

Quando per ragioni plausibili si credesse utile o necessario organizzare un viaggio (parlo ai Confratelli preposti alle Parrocchie), procurino di chiedere il consenso e la benedizione del Superiore.

Andati in un posto per ragioni di ministero, fare quello che si deve fare, poi tornare umilmente al proprio posto, senza tenere relazioni che niente hanno a che fare con il bene delle anime, ma sono piuttosto una manifestazione di segreto egoismo e amor proprio.

Nel parlare e nel trattare con persone d’altro sesso procuriamo sempre quel doveroso riserbo che, mentre è scudo alla bella virtù e salvaguardia contro dolorose sorprese, è pure oggetto di edificazione per il prossimo e ce ne concilia il rispetto; ricordo qui la regola di prudenza di non dare loro, in via ordinaria, la mano, e di non mai farsi fotografare con esse, per nessun pretesto.

Queste e altre cose, apparentemente piccole, ma invece molto importanti, ve le raccomando tanto e poi tanto, per il bene vostro, per conservare lo spirito dell’Opera, e per fare del bene alle anime: perché, già voi lo sapete, se non c’è la benedizione del Signore, è inutile e vana ogni nostra fatica; e la benedizione c’è solamente per quel servo che si mantiene buono e fedele anche nelle piccole grandi cose.

Siate santamente fermi nelle sante Regole e nelle lodevoli consuetudini della Casa, e, ove fosse opportuno, insinuate con bel modo nel prossimo che voi agite così perché le nostre regole ce lo comandano: e la vostra franca professione vi attirerà la stima delle persone dabbene.

Termino raccomandandomi caldamente alle vostre preghiere: oh, quanto ne ho bisogno, per l’anima mia, e per l’Opera del Signore! pregate, pregate che Iddio mi perdoni i miei peccati, e che non sia io l’inciampo alla sua Opera.

* LETTERA XXII 4 gennaio 1940

Miei cari fratelli

Anche quest’anno l’amatissimo Padre Visitatore che io chiamo sempre “il nostro Angelo”, ha voluto mandarvi il suo augurio natalizio, che io ho pensato di far stampare perché ne possiate avere una copia per ciascuno.

Più che leggere meditate quello che vi dice. Troverete ripetute quasi alla lettera le raccomandazioni che tanto spesso anch’io vi faccio. Ciò significa che il Signore l’ha proprio investito dello spirito della nostra Opera; ah quanto dobbiamo esserne grati alla divina Provvidenza! Ma siate riconoscenti pure al venerato Padre Abate, pregando ogni giorno per lui e secondo le sue sante intenzioni.

Vi raccomando di pregare tanto anche per me, ne ho estremo bisogno. Vi ringrazio dei vostri auguri; vi porto tutti nella mente e nel cuore; ripeto a voi quello che dissi ai fratelli di S. Zeno in refettorio: che l’anno 1940 sia l’anno della nostra personale santificazione, per santificare l’Opera e ottenere al mondo grazie, perdono, pace.

* LETTERA XXIII Subiaco, 10 dicembre 1939

PAX

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo. La vostra cara lettera così piena del Signore e del suo spirito, mi è giunta tra la valanga della corrispondenza natalizia e non ho potuto rispondervi subito. Però ho cercato di essere con voi la santa Notte, come l’anno scorso, applicando una delle SS. Messe per il nostro caro e venerato Padre Don Giovanni e per tutti i suoi figli. E spero che il Signore si sarà degnato di accettare la preghiera di questo povero e indegno ministro. Oggi sento il bisogno di scrivervi una parola per ringraziarvi di tutto cuore e per ripetervi che il migliore augurio che mi potete fare è quello di farvi sempre vedere fedeli allo spirito della nostra cara Congregazione. Essa, come a Betlemme, come a Nazareth, deve vivere solo con Dio e di Dio, nella semplicità, nella umiltà, nella povertà, nell’abbandono pieno alla divina Provvidenza e alla divina volontà del Padre celeste.

Guardate il vostro Padre, Egli ve ne dà l’esempio vivo, costante; corrispondete alle sue paterne sollecitudini: obbeditegli sempre e dovunque e con intima adesione di animo: con la vostra santa conversazione siate degni di Lui e dei santi ideali di cui Egli dal Signore è stato fatto lo strumento e il ministro. Il segreto del successo non sta nei mezzi che il mondo tanto stima, ma in questo spirito di nascondimento e di abnegazione. Così e solamente così, Gesù Benedetto ha vinto il mondo e redento il genere umano.

E pregate per me perché ho tanto bisogno. Pregate ancora perché possa essere sempre spiritualmente unito a voi e che mi sia data la consolazione di potervi fare un po’ di bene.

Vi abbraccio nelle carità del Signore e vi benedico paternamente.

In Christo

Em. Caronti O.S.B.

* LETTERA XXIV 1 novembre 1940

Miei cari fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Abbiamo da poco terminato i santi Esercizi, che sono veramente “giorni di salute e tempo accettevole” perché in essi il Signore largisce senza misura le sue grazie, i suoi doni, mentre i nostri cuori sono meglio disposti a riceverli. Le anime nostre sono ancora direi quasi inondate della divina luce e gustano ancora la gioia e la pace dell’unione con Dio.

Ed ora che voi siete tornati ai vostri uffici e ministeri con rinnovati propositi di lavorare e faticare solo per la gloria di Dio e il bene delle anime che la divina Provvidenza vi ha affidate, credo opportuno rivolgervi la mia povera parola, pensata e scritta ai piedi del mio Crocefisso, unicamente a vantaggio delle vostre anime religiose e di quest’Opera. La quale come vi ho detto altre volte, nel pensiero e nel piano di Dio è grande, e molti sono i disegni che egli ha sopra di essa, e ha scelti e chiamati noi perché lo aiutiamo a compierli. Come abbiamo corrisposto finora? Quale responsabilità se, invece di corrispondervi, li avessimo ostacolati. Per amor di Dio, viviamo bene, viviamo all’altezza della nostra santa vocazione, procurando di essere veramente quello che ci chiamiamo, ossia: “Poveri Servi della Divina Provvidenza”, che il Signore, nel giorno del grande rendiconto, non abbia a rinfacciarci il nome che portiamo e ci dica: “Ti chiamavi povero, ma dov’è il tuo spirito di povertà, mentre hai amato sempre le tue comodità, e cercato che non ti mancasse niente, lamentandoti forse ad ogni minima privazione?

Ti chiamavi servo, ma come mi hai servito? perché quelle opposizioni all’obbedienza, quelle critiche e mormorazioni, quel cercare di dominare anziché obbedire; perché quella mancanza di dipendenza, facendola più da padrone che da servo?

Ti dicevi “della Divina Provvidenza”, dovevi dunque abbandonarti in essa, non cercare gli appoggi umani, Dio solo doveva essere il tuo appoggio; perché quella diffidenza, quelli scoraggiamenti nelle prove, quello regolarti più coi lumi della tua ragione che coi principi della fede?” Miei cari ed amati fratelli, pensiamo seriamente che noi dovremo rendere conto non solo come cristiani, ma anche come religiosi e ancor più come membri di quest’Opera, nata nel Sacro Costato di Gesù benedetto.

Consoliamo Gesù che piange sopra i grandi mali che incombono sulla povera umanità e sulle cause che li hanno provocati. Ma non dobbiamo credere che Egli sia addolorato solo per i peccati che si commettono nel mondo; no, o cari, Egli è in modo particolare addolorato e offeso dai peccati che commettiamo noi pure, perché commessi con pienezza di luce e di conoscenza e quindi senza nessuna scusa.

Quando avviene qualche disastro, si fa tosto un’inchiesta, per stabilire le responsabilità, e i responsabili sono severissimamente puniti.

Fratelli, mettiamoci una mano al petto, e guardiamo i mali che presentemente ci affliggono, non andiamo a cercarne lontano la causa, riconosciamo noi stessi veramente colpevoli, e domandiamo perdono e promettiamo di vivere una vita nuova, una vita secondo la nostra santa vocazione.

E per discendere al particolare, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore; ricordatevi le parole che spesse volte vado ripetendo: “Siate come tralci e vite, come conche e canali”. Abbiamo presenti le parole di Gesù: “senza di me non potete far niente”.

Per alimentare la vita interiore vi raccomando le pratiche di pietà: la S. Meditazione, la lettura spirituale, la visita al SS.mo Sacramento, il Rosario, possibilmente intero, e per noi Sacerdoti, il divino Ufficio, recitato per quanto sia possibile insieme, ad ore fisse, e in chiesa.

Vi raccomando di essere puntuali, esatti nelle varie pratiche di pietà; fatele con impegno e fervore, pensate che andate a trattare gli affari più importanti, che riguardano la vostra eterna salute e la vostra santificazione. Vi raccomando in modo ancora più particolare la S. Comunione, fatta con devoto apparecchio e ringraziamento, e la Confessione.

Confessatevi regolarmente, siate umili, sinceri nella vostra accusa, abbiate un confessore stabile, che vi conosca, non cambiatelo così facilmente.

Sono più di quarant’anni che io vado dal mio Padre Spirituale, e quanto benedico e ringrazio il Signore di questa grazia! Quando si è malati si va dal proprio medico, dal medico di casa, che conosce bene tutti i precedenti familiari; così anche nella vita spirituale, andate dal vostro confessore, dai confessori di Casa, che sapranno meglio guidarvi. Ma oltre il confessore, che è più per le cose intime della vostra anima, avete anche i vostri superiori che sono Sacerdoti. Abbiate confidenza e apritevi pure con essi, specialmente per quello che riguarda la vostra vita religiosa e la vostra vocazione.

Abbiate poi tutta la confidenza col vostro Don Giovanni; a lui ricorrete ogni volta ne sentite il bisogno e il desiderio. Sapete quanto vi voglio bene nel Signore, e come non desidero altro che la vostra personale santificazione, e con questa la santificazione dell’Opera intera. Ma dovete ascoltarmi; state attenti anche ad un semplice cenno, ad un desiderio, ad un muover di ciglio. Alle volte io parlo, e se non si fa come ho detto, mi chiudo nel mio silenzio e dolore e non insisto più, lasciando che ci pensi il Signore. Che questo non avvenga mai, o cari ed amati fratelli, per non doverne rendere conto un giorno al Signore.

Ve l’ho detto ancora, io sono povero e maschino, ma fino a che la divina Misericordia mi tiene qui, dovete ascoltarmi. E non solo al presente, ma anche nell’avvenire, il Casante avrà lumi, grazie e carismi speciali per guidare bene l’Opera del Signore; guai a chi si credesse più illuminato di lui e si rifiutasse di prestare obbedienza! Sarebbe un ramo secco sul tronco dell’Opera, non buono ad altro che ad essere tagliato dal divino Padrone.

Vi raccomando ancora di non cercare voi stessi, né le vostre soddisfazioni, ma Dio solo. Quindi vivete distaccati dal mondo e dalle sue false massime, lontani dalle protezioni umane; distaccati dagli stessi vostri uffici e ministeri, sempre pronti a cambiare. E quando l’obbedienza vi vuol portare da un luogo all’altro, per nessun motivo tenete relazioni con le persone che avevate prima conosciute. Guardate che l’amor proprio è tanto facile a farvi ritenere ragioni plausibili quelli che sono semplici pretesti.

Non siate facili a ricevere regali dalle persone secolari; sono vincoli e legami e noi dobbiamo tenerci e sentirci liberi. E notate che colui il quale riceve un dono, verso la persona donatrice non è più quello di prima; si sentirà più debole meno disposto a quella fermezza e imparzialità che si devono avere nell’inculcare le massime della morale Evangelica.

Ricordiamoci, o Cari, che noi siamo religiosi, e religiosi speciali. L’ora che attraversiamo è un’ora terribile, nessuno sa a che cosa andremo incontro. Senza dubbio Dio ricaverà un gran bene da questo generale scompiglio di cose e di principi, ma attraverso quali vie giungeremo a questo Bene? Si va incontro ad un ordine di cose nuove, si vuol tutto rinnovare, ed anche noi dobbiamo rinnovarci: “O rinnovarsi o perire!” Non c’è via di mezzo. e noi ci rinnoveremo se vivremo in pratica il Santo Vangelo, se saremo Vangeli viventi. Dobbiamo dirlo, c’è troppa dissonanza fra ciò che il Vangelo insegna e ciò che da noi si pratica. Dobbiamo togliere questo contrasto. Allora non si potrà più dire che la Chiesa ha fatto il suo tempo, che non risponde più alle esigenze odierne. Solo chi riproduce in se stesso le massime Evangeliche, sempre antiche e sempre nuove, le potrà utilmente predicare. Dio, l’anima, il Paradiso, l’Inferno, l’Eternità, la vita presente preparazione alla vita futura, la Redenzione, l’Eucarestia, l’amor di Dio, che patisce e muore per noi, che si fa nostro cibo in questa terra d’esilio, per essere poi la nostra risurrezione e la nostra vita in Cielo, nostra vera Patria. Queste verità dobbiamo richiamare, insegnare e a queste conformarci nella vita pratica e solamente così concorreremo a sanare la povera umanità, che con tutto il suo progresso è travolta all’abisso.

Dobbiamo essere poveri con Gesù povero, le nostre ricchezze nasconderle nel seno dei poveri, come faceva il Diacono S. Lorenzo; andare ai più poveri, ai più umili, ai malati, ai più disgraziati, che sono tanto cari a Dio, e nei quali Gesù vuole essere rappresentato; ecco la nostra caratteristica. Non ai grandi, ma ai piccoli ci manda il Signore.

Siamo umili, buseta e taneta, non cerchiamo le protezioni umane, queste ci vogliono, come anche i mezzi materiali per vivere, ma penserà il Signore a metterci vicino questa o quella persona a tempo opportuno. Noi cerchiamo Dio solo, il suo santo Regno, le anime, le anime, le anime.

Ecco la mia povera parola; ricevetela come mio testamento. Vi porto tutti nella mente e nel cuore. Mi sono consolato nel vedere e costatare il vostro buono spirito e nel segreto del mio cuore ne ho benedetto il Signore. Ma perseverate in esso, e mirate sempre più in alto. Solo così corrisponderemo alla nostra santa e speciale vocazione, ci renderemo degni delle divine benedizioni. Pregate, pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno. Non ve lo dico per pura formalità, proprio usatemi questa carità. Io prego per voi e di gran cuore, paternamente vi benedico.

P.S. Credo bene di richiamare e ribadire alcune norme passate, fra la quali le seguenti: – Non accettate inviti di pranzi per nessun motivo; non partecipare a gruppi fotografici femminili o misti; usate della bicicletta solo nell’esercizio del vostro ministero; non permettetevi di giocare alle carte, anche sotto pretesto di fare del bene o almeno di impedire il male.

Coloro stessi che godono di vedervi in loro compagnia dentro di sé vi stimeranno di meno, considerandovi al loro livello. Vi raccomando di non fumare; preferisco piuttosto che uno se ne vada. Anche i capelli, nessuna ricercatezza, nessun ciuffo, nessuna acconciatura mondana. Non partecipate a gite o a pellegrinaggi misti e meno ancora femminili; nel dubbio domandate il permesso. Sono piccole grandi cose che servono a distinguerci dai secolari, mantengono alto il nostro prestigio, e sopratutto renderanno più fruttuoso il nostro ministero.

Mi piace ricordarvi un episodio. Una distinta professoressa si presenta un giorno ad un Sacerdote per consigli. Ne rimane disgustata e non le chiede nulla di quanto le sta a cuore: “ho trovato l’uomo – disse poi – non il Sacerdote”. Perché mai? Ed ecco la risposta: “sa di pipa”.

* LETTERA XXV Natale 1940

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Bambino siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare. Questa volta più che la mia vi farò sentire l’illuminata parola su Sua Ecc. Mons. Vescovo di Verona e quella del Rev.mo nostro Padre Visitatore. Agli auguri natalizi essi risposero con lettere tanto belle ed ispirate, che mi sono sentito di farvele conoscere quasi per intero, e son certo e sicuro che se voi le leggerete e mediterete come si conviene, faranno tanto bene alle anime vostre.

Ecco dunque la lettera di Sua Ecc. Mons. Vescovo:

Rev.mo e carissimo P. Giovanni

Tra i molti auguri giuntimi in questi giorni, i suoi mi sono stati particolarmente graditi, perché so da che cuore partono e da che fervide preghiere sono accompagnati. Il Signore la ricompensi! Anch’io ho fatto e faccio i miei auguri a Lei e a tutti i suoi figli con paterno affetto e cerco di accompagnare questi auguri meglio che posso con le mie povere preghiere. La parola di nostro Signore, che è diventata divisa del Suo Istituto, mi guida in questi auguri. Prima di tutto il Regno di Dio e la sua S. Grazia! Ecco ciò che auguro a Lei, a ciascuno dei suoi Sacerdoti e Fratelli e a tutti i suoi alunni: ci sia sempre un accrescimento in questo amore e in questo progresso, e anche un accrescimento di efficacia nel loro apostolato! E poi tutto ciò che il Signore ha promesso come un di più: anche questi doni seguano con grande abbondanza quei primi doni ben più importanti e preziosi!

Io con tutto il cuore invio la Benedizione Pastorale a Lei, e insieme a tutti i suoi figli. Il Signore per intercessione della Sua Vergine Madre, renda molto efficace questa benedizione!

Suo Aff.mo in Cristo

+ Girolamo Vescovo

La lettera del P. Abate non è meno densa di pensiero e tutta improntata al genuino spirito della nostra Opera.

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo.

Non è una esagerazione se vi dico che i vostri auguri sono tra quelli che annualmente mi riescono più graditi e più cari. Voi sapete quanto vi voglio bene e quindi crederete senza difficoltà quello che dico. Vi ringrazio dunque dei vostri auguri che ricambio con tutto il cuore in benedizioni: vi ringrazio delle vostre preghiere alle quali cerco di corrispondere come meglio posso. Sì, uniti tutti strettamente al Signore perché tutti possiamo essere santificati in conformità con la nostra vocazione.

Siate fedeli allo spirito del vostro Istituto, che è lo spirito di Don Giovanni: sono i Poveri servi della Divina Provvidenza col loro distacco dalla terra, col loro abbandono filiale, con la loro umiltà, con lo zelo del loro apostolato e con la loro assoluta obbedienza, sono i Poveri Servi della Divina Provvidenza che oggi più che mai predicano la via per la quale il Signore vuole condurre la società. E’ un’Opera di Dio, siatene degni con una fedele corrispondenza e con la santità della vostra vita.

Vi abbraccio nel Signore

Don Emanuele Caronti O.S.B.

Ringraziamo il Signore che si degna di farci sentire la sua parola per mezzo di coloro che lo rappresentano, e facciamone tesoro, a bene della nostra anima e dell’Opera, a bene anche del mondo. Perché, o cari, se noi viviamo come vuole il Signore secondo il nostro spirito, saremo sale e luce del mondo, e quanto ve n’è bisogno! Si va parlando di “ordine nuovo”; dobbiamo sentire il bisogno di cooperarvi anche noi. Ma ricordiamoci, o cari, che, come sempre in passato, anche nell’ora attuale il vero ordine nuovo lo faranno i Santi. E noi dobbiamo tendere a questo fine, a questa meta, come cristiani, come religiosi, e come religiosi di questa grandissima Opera; sopra la quale il Signore, come tante volte vi ho detto, ha dei grandi disegni, che compirà ad un solo patto, che noi non mettiamo ostacoli, che siamo santi, che torniamo alle pure e genuine fonti del S. Vangelo, vivendo come vivevano i primi cristiani, senza egoismi, senza campanilismi, considerando che tutto il mondo è di Dio, disinteressati quindi nel lavorare per il bene, cercando solo le anime, le anime, le anime, nient’altro.

Prima di finire vi raccomando due cose che mi stanno molto a cuore.

Anzitutto vi ricordo che è prossima la “Ottava di preghiere” che voi tutti già conoscete, e che quest’anno, e poi sempre nell’avvenire, desidero sia fatta in ogni Casa, con impegno e con solennità tutta particolare. Che il santo Regno di Dio si estenda sulla terra, che gli erranti tornino all’unità della fede, e tutti gli infedeli giungano alla conoscenza del S. Vangelo, questo deve essere il sospiro delle nostre anime religiose sacerdotali.

Sapete che una delle due principali intenzioni per cui si è iniziata a Maguzzano l’adorazione Eucaristica Sacerdotale è appunto questa, di pregare per l’unione delle Chiese dissidenti, affinché di tutti i credenti in Cristo si faccia anche sulla terra un solo ovile sotto un solo Pastore.

La seconda cosa che vi voglio raccomandare è questa.

E’ sorta nella Svizzera un’opera internazionale chiamata: “Catholica Unio”, allo scopo di cooperare al ritorno delle Chiese Orientali al seno della S. Madre Chiesa. Vi unisco una pagella che meglio vi chiarirà lo scopo, i mezzi e i vantaggi spirituali dell’Opera. Io ho creduto bene di ascrivere ad essa tutta la nostra Congregazione, di modo che tutti i Poveri Servi sono anche soci della Catholica Unio e desidero che i Superiori locali ne parlino illustrandola e che nell’ora di adorazione settimanale ad ogni posta del Rosario si aggiunga l’invocazione: Ut omnes errantes ecc., e poi la solita preghiera di Consacrazione al S. Cuore di Gesù (O Gesù dolcissimo) che è insieme la speciale preghiera dell’associazione stessa.

Spero che non dimenticherete quello che ora vi dico e quello che tante altre volte vi ho detto, perché, ricordiamolo bene, guai se noi non ci conserviamo all’altezza del nostro spirito, se ci abbassiamo al livello comune! l’Opera non potrebbe vivere, morirebbe, come bene disse una volta anche S. Ecc. l’amatissimo nostro Vescovo in un suo discorso tenuto in Casa. Dio mio! Quale responsabilità sarebbe la nostra! Pregate tanto per me, ne ho tanto ma tanto bisogno; voi sapete che io sempre vi ricordo e vi benedico.

P.S. – Credo opportuno di richiamare questa volta quanto vi ho già detto circa l’uso della bicicletta. Esso sia strettamente limitato alle esigenze del sacro ministero. Per altri motivi servitevi dei mezzi ordinari. Ed anche i Fratelli non si servano della bicicletta per viaggi alquanto lunghi che superino ad es. la trentina di chilometri.

Vi sia poi sempre il permesso del Superiore locale, che ne assume la responsabilità.

* LETTERA XXVI 22 agosto 1941

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

Approfitto dei Santi Esercizi ormai vicini, per rivolgervi la mia povera parola, quale mi esce spontanea dal cuore; non vi dirò cose nuove, non farò altro che ribadire concetti antichi che tuttavia spero faranno del bene alle anime vostre.

Ma prima sento il bisogno di ringraziarvi della vostra filiale partecipazione al mio quarantennio di Sacerdozio. Voi avete offerto preghiere e piccoli sacrifici al Signore per la mia povera anima: voi sapete che questa è per me la più grande carità, questo il dono migliore.

Come già scrissi nell’Amico, io sono veramente povero in tutto, ed è per questo che la divina misericordia mi ha messo e mi tiene in questa sua Opera, affinché meglio si veda che è Dio che fa e che guida la sua Opera, io non sono altro che un povero Casante. Tuttavia sento di ripetervi qui quello che altre volte vi ho detto: finché sono qui dovete ascoltarmi, e tener conto anche di un semplice cenno e desiderio.

Voi mi avete fatto poi degli auguri, ma se volete che io viva, che resti con voi, guardate di essere il mio respiro. Quando vedo un religioso che osserva le sue regole, che è fedele alle sue pratiche di pietà, che corrisponde in una parola alle sua vocazione mi sento come rivivere; ma se uno non corrisponde, mi sembra che non potrei sopportare un tale dolore. Ma io sono certo e sono sicuro che voi corrisponderete, che se ci fosse qualche cosa da correggere nella vostra condotta, ecco, o cari, i santi Esercizi, che hanno per fine speciale di riformarci e rinnovarci spiritualmente. Per amor di Dio approfittate di questa nuova grazia che vi fa il Signore, affinché gli Esercizi di quest’anno segnino una nuova tappa nel cammino della nostra vita. Vi ho detto ancora: “O rinnovarsi o perire!” Specialmente noi di quest’Opera, se non restiamo all’altezza nella quale ci vuole il Signore, se ci abbassiamo al livello comune, non potremo vivere! Quale responsabilità e quale rendiconto!

Lo scorso anno nei primi Esercizi, predicati con tanto zelo da quel santo Sacerdote che è Don Giovanni Rossi, ci siamo sentiti ripetere sovente questa grande massima: Nolite conformari huic saeculo! E’ la prima raccomandazione che io voglio farvi.

Un Povero Servo deve mettersi all’opposizione con il mondo, specialmente con il mondo di adesso. Guai se lascia penetrare nel suo cuore, nella sua anima lo spirito del mondo! Siamo, è vero, nel mondo, ma c’incombe il dovere di non essere del mondo, come avviene del bastimento che solca le acque del mare, ma il mare non vi penetra affatto.

Il bastimento inoltre sta sopra le acque, e noi dobbiamo stare al disopra del fango e della corruzione del mondo, disprezzarne le massime e gli esempi perversi; se ci lasciassimo sopraffare, come per i bastimento che si immergesse nei gorghi dell’oceano, sarebbe il naufragio e la rovina; il bastimento ancora non si attarda nel mare, ma fa sua rotta verso il porto, e anche noi non dobbiamo mai perdere di vista il fine della creazione, lo scopo della nostra santa vocazione; dobbiamo pensare che la fine della nostra giornata non è lontana, che al termine della vita ci sarà riservato il premio se a guisa dei buoni servitori il divin Padrone ci troverà vigilanti nel fare il bene.

Ma il bastimento, o cari, non ha sempre un rotta tranquilla; bene spesso soffiano i venti e le onde si accavallano minacciose; bisogna spesso ricorrere a misure estreme per evitare il naufragio; e anche noi dobbiamo incontrare difficoltà, superare ostacoli, ingaggiare la lotta contro i nemici dell’anima nostra; “militia est vita hominis super terram”; ma se voi starete uniti a Dio, se avrete confidenza con i vostri superiori, con il vostro Don Giovanni soprattutto, giungerete felicemente al porto dell’eterna salvezza. Per questo vi raccomando tanto il rendiconto; esso è necessario se volete vincere; anche se vi costerà qualche sacrificio, pensate ai grandi vantaggi che ne ricaverete, fatelo, e fatelo regolarmente.

Si parla di “ordine nuovo”; ve lo detto ancora, il vero ordine nuovo non lo faranno gli uomini, lo farà il Signore, e il Signore si servirà non dei dotti, dei ricchi, dei forti, dei potenti, ma unicamente dei santi.

Anche la nostra Opera, cellula divina, nel piano di Dio mi pare debba essere una riserva del buon Dio, per concorrere a formare l’ordine nuovo; ma se per disgrazia non trovasse la santità, se noi non saremo dei santi, come potranno compiersi i divini disegni? mio Dio, quale responsabilità pesa su ciascuno di noi!

Per questo, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore che è vita di unione con nostro Signore Gesù Cristo; vite e tralci, ecco come dobbiamo tenerci uniti a Gesù se vogliamo fare qualche cosa di bene; perché, o cari, noi come noi non siamo capaci altro che di rovinare, dobbiamo essere convinti di questo, non confidare quindi nelle nostre forze, ma nell’aiuto di Dio che non ci mancherà se noi lo meriteremo, e lo meriteremo se saremo veramente umili, docili, senza testa, cenci e creta, disposti a tutto, non a parole ma a fatti.

Se volete poi alimentare in voi stessi la vita interiore, vi raccomando le pratiche di pietà: la S. Meditazione e la lettura spirituale, la S. Messa e la Comunione, ecc. Vi raccomando la puntualità, siate esatti, fedelissimi. Senza tutto questo verrà a mancare l’olio nella nostra lampada, e poveri noi se nella Casa del Signore saremo delle lampade spente! A che cosa servirebbero se non che ad essere rimosse? La perdita della vocazione, mio Dio quale sventura per un religioso, e particolarmente per un Povero Servo!

Umiltà, nascondimento è la speciale fisionomia dei Poveri Servi; l’Opera nostra sarà grande se sarà piccola, farà tanto più bene quanto più è nascosta. Se noi vivremo come si deve il nostro spirito, anche facendo poco in apparenza, faremo molto; chi fa è Dio, o cari, non siamo noi; ed Egli coopera con l’umiltà, con la virtù nascosta, col sacrificio ignorato e offerto nel segreto solo per Lui. Approfondiamo questi concetti se vogliamo essere quali ci vuole la nostra specialissima vocazione. Diamo grande importanza alle piccole cose, non dobbiamo dire o pensare: per così poco, possiamo passarci sopra; ovvero: si tratta di una piccola mancanza, d’una piccola disobbedienza, d’una leggera mancanza di dipendenza; no, no, o cari; chi dirà che è un piccolo male quello che può impedire un grande bene? L’oceano stesso non risulta di un numero infinito di piccole gocce? Ricordiamo l’avviso dello Spirito Santo: chi teme il Signore nulla trascura.

Vi raccomando inoltre la carità, regina di tutte le virtù; Sacerdoti e Fratelli siate un cuor solo ed un’anima sola; aiutatevi a vicenda, compatitevi, datevi scambievolmente buon esempio, non comparisca mai il male della mormorazione e della critica, evitate ogni screzio; che se per la umana fragilità qualche cosa dovesse succedere, prima di sera riconciliatevi, come dicono le sante Regole, né conservate rancore o freddezza verso il Fratello.

Abbiate poi spirito di fede che è la caratteristica della nostra Opera; Dio è attivo con noi, vede i nostri bisogni, non dubitiamo mai della sua divina Provvidenza; facciamo la nostra parte, ed il Signore non mancherà di fare la sua. Ci stia continuamente dinanzi alla mente il granitico programma dell’Opera: “Quaerite primum Regnum Dei… et haec omnia adiicientur vobis”. Si fa tanto conto, specie ai nostri giorni della parola degli uomini; per quanto grandi possono essere, la loro è sempre parola di uomo, parola che passa, spesso fallace; come dunque noi non dobbiamo dare importanza alla parola di Dio, della quale sta scritto: “Passeranno il cielo e la terra, ma la parola di Dio resta!” Valorizziamo in noi stessi questa divina parola e predichiamola con l’esempio di una condotta santa e irreprensibile dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

Durante i Santi Esercizi, cari ed amati fratelli, abbiate presenti questi punti sostanziali; e cercate di riformare voi stessi, di rinnovarvi nello spirito della vostra speciale vocazione, per compiere i nuovi e grandi disegni che Dio ha sopra di noi e sopra dell’Opera.

Come vi dicevo in principio, pregate tanto per me, ogni giorno vi ricordo e prego per voi. Che dopo compiuta la nostra giornata di fatiche, di lotte e di lavoro, ci possiamo ritrovare tutti lassù, a godere il premio nel santo Paradiso. Vi benedico di gran cuore.

* LETTERA XXVII Settembre 1941

Amati fratelli in Gesù Cristo

In questi santi e benedetti giorni che il buon Dio vi concede per bene e santificazione delle vostre anime cristiane e religiose, sento forte, impellente il bisogno di dirvi una parola, come me la detta il cuore di Padre, e prego lo Spirito Santo che l’abbia a fecondare con le sue grazie e lumi, perché porti quelle ricchezze spirituali che sono necessarie a voi che avete la grazia di fare i Santi Spirituali Esercizi, per formare dei fermi e generosi propositi, come frutto particolare di questi giorni di bontà e misericordia.

Ciascuno faccia quei proponimenti che più trova necessari per lo stato particolare della sua anima, ma vi esorto, vi prego, vi scongiuro di fare tutti un proponimento forte e generoso che gioverà, oltre che a voi, a questa grandissima Opera del Signore, ed il proposito è questo: debbo preoccuparmi di avere un grande concetto della responsabilità che pesa su di me, e guai se non corrispondo! Sono un “Povero Servo della Divina Provvidenza”: in questo, o cari, v’è tutto il programma della vostra vita religiosa, in questo v’è il patrimonio che vi farà ricchi di grandi ricchezze, compiendo tutti quei disegni che la divina Provvidenza vuole compiere, un po’ alla volta, senza fretta, attraverso croci e prove d’ogni sorta.

Cari fratelli, vi ho detto ancora, nessuna forza, nessuna lotta, niente può distruggere quest’Opera: anzi le lotte e le contraddizioni maggiormente la consolideranno; solo noi se non vivremo quel programma che il Signore vi ha tracciato per mezzo di questo povero e meschino prete.

Cari fratelli, l’Opera è di Dio ed Egli l’ha messa nelle nostre mani; quale, quale responsabilità! Deh per amor di Dio, sosteniamo l’Opera di Dio! E la si sostiene con la vita interiore che vi raccomando tanto; non lasciate mai le pratiche di pietà, esse sono i nostri polmoni; vi raccomando la santa umiltà, la carità. Se io sapessi che un religioso non ha la carità, in ginocchio lo pregherei di andarsene; sarebbe la rovina dell’Opera.

Con la carità vi raccomando il rendiconto; piccoli, nascosti, il Signore verrà Lui allora a cercarci, e se sarà necessario ci metterà sul candelabro.

Ho ricevuto una lettera in occasione del mio quarantesimo da una persona distinta, ma del mondo, nella quale mi diceva: loro sono tutti angeli. Quale concetto si ha dal mondo di noi, ma quale responsabilità se non lo siamo di fatto!

Ho avuto un grande conforto in questi giorni, un grande Vescovo mi scrisse dicendomi del bene che si fa a Roma. Ne ho ringraziato il Signore, e ho subito pregato e offerto le mie sofferenze perché si possano compiere i grandi disegni che la divina Provvidenza vuol compiere in noi, e li compiremo se noi vivremo le sante Regole, staremo fermi e ligi al nostro programma e voi ascolterete questo povero prete che vi parla in nome di Dio; beati voi! Questi santi giorni segnino una nuova tappa nella vostra vita, come vi dicevo, per il bene della vostra anima e dell’Opera del Signore.

Pregate tanto per me; sapete quanto ne ho bisogno. Siate il mio respiro; quando vi dico qualche cosa e poi lascio andare è cattivo segno.

Ve lo ripeto, ascoltatemi. Anche un solo desiderio, un solo muover di ciglio. A questo il Signore legherà grandi grazie.

N.B. Letta da Don Giovanni in Noviziato, il 5 ottobre 1941

* LETTERA XXVIII 6 febbraio 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

E’ sempre una grande gioia per me trattenermi qualche poco con voi anche solo con lo scritto, ma vi confesso che una gioia tutta particolare inonda il mio cuore, dovendovi scrivere in una straordinaria ricorrenza, che non possiamo lasciar passare sotto silenzio, voglio dire il decimo anniversario da quando fu approvata la nostra cara Congregazione, da quando, con Provvidenza del tutto singolare, senza che noi neppure vi pensassimo, fummo chiamati a Roma.

Due date importantissime per noi, o cari fratelli. Mi sono rimaste impresse nella mente le parole che ebbe a scrivermi un venerando Monsignore della nostra Diocesi, ora passato all’eternità, appena ebbe notizia di quanto era avvenuto: “Don Giovanni, adesso Lei ha il segno e il sigillo dell’approvazione di Dio. Vada avanti; avrà da patire, ma Dio sarà con Lei”. E’ proprio così, o cari! Quale felicità più grande che il sapersi nella santa volontà di Dio, approvati, benedetti, protetti da Lui! Approvata la Congregazione, sono con ciò stesso approvate le Regole, approvato lo spirito, il che significa tracciata per noi la via regia e sicura della nostra santificazione, a patto che corrispondiamo.

E che cosa dovremo fare per corrispondere? Amati fratelli, vi ripeto quello che ancora altre volte vi ho detto: ascoltare questo povero prete che la divina Provvidenza ha messo come Casante e Custode della sua Opera, e per questo, fino a che la divina bontà e misericordia mi tiene qui, fate gran conto di quello che vi dico, state attenti anche a un solo muover di ciglio, non fermatevi a guardare la povertà di chi vi parla, ma sollevando il vostro sguardo un poco al di sopra del capo e rimirando colui che, per quanto povero e meschino, rappresenta. Tante volte io parlo, e poi mi chiudo nel mio silenzio e lascio andare. Ma questo non è buon segno, e quale responsabilità, o cari! specie quando, terminata la nostra giornata, presentandoci al divin tribunale, vedremo che molti disegni del Signore su di noi e sull’Opera non si compirono per non avermi ascoltato.

E non solo dovete ascoltare me, ma anche quello che verrà dopo di me, e poi sempre. Questa ha da essere caratteristica dell’Opera: guardare al Casante, perché son certo e son sicuro che il Signore gli darà lumi e grazie speciali a bene dell’Opera in generale e dei singoli membri in particolare. E’ il Signore, o cari, che con cura e provvidenza specialissima dirige questa sua creatura, ed il Casante, per quanto povero, ne è il rappresentante, il suo portavoce. Per amor di Dio, viviamo questo spirito, perché il minimo cambiamento sposta lo spirito dell’Opera, come l’onda della “radio”, per la quale basta un minimo spostamento perché sia tosto perduta e non si senta più la trasmissione.

Mettiamoci dunque all’impegno, approfittando di questa circostanza solenne; cominciamo dal fare un serio esame di coscienza, e prima questo esame lo faccio io stesso, e dopo aver domandato perdono delle mie colpe offrirò a Dio questo ultimo scorcio di vita per fare con il suo divino aiuto tutto quello che Egli vorrà. Ma fatelo anche voi, o cari, umiliatevi, chiedete perdono e poi facciamo tutti dei fermi propositi per l’avvenire.

Oh, come è grande, o cari, l’Opera dei Poveri Servi, nella mente di Dio! Quali disegni la Provvidenza andrà man mano compiendo se noi, membri di questa creatura di Dio, vivremo secondo lo spirito puro e genuino che il Signore ha voluto dare!

Mi hanno sempre fatto grande impressione le parole del S. Vangelo, quando le leggevo nella S. Messa:” Non v’angustiate per la vostra vita di quel che mangerete o berrete; né per il vostro corpo di che vi vestirete; osservate gli uccelli dell’aria e i gigli del campo”. E quelle altre: “Quando vi ho mandato senza sacco e senza provviste, vi è mancato qualche cosa?” Gli dicono: No. E pensavo che la parola di Dio non muta, è vera adesso come allora. Perché queste forti impressioni in me, nel leggere questi passi del Vangelo? Si vede, o cari, che fino da allora il Signore manifestava che il nostro spirito doveva essere di pieno ed intero abbandono fra le braccia amorose della divina Provvidenza, specie nei momenti difficili di prova.

E poi siamo cenci, creta, disposti a tutto; da parte nostra totale nascondimento, certi che il Signore verrà Lui a cercarci e ci metterà anche sul candelabro se sarà per la sua gloria e per il bene delle anime; unico nostro pensiero sia di cercare il santo Regno di Dio e la sua giustizia, per mezzo dello studio pratico di Nostro Signore Gesù Cristo, cercando con il divino aiuto di essere tanti Vangeli viventi, pieni, traboccanti di carità per tutti, per tutte le anime: amici, nemici, buoni e cattivi, dotti e ignoranti, ricchi e poveri, sani e ammalati, giusti e peccatori, eretici e infedeli, perché tutti fratelli, rigenerati e ricomperati col Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, convinti che solo così, con la carità, con l’esempio nostro, con il nostro Credo vissuto, in modo da togliere ogni differenza fra quello che si crede e quello che si pratica, concorreremo a quell’unità per la quale Gesù benedetto ha tanto pregato e che ha auspicato prima di dare la sua vita sulla Croce; e questo, amati fratelli, mi sento che concorrerà a formare quell’ordine nuovo cui la nostra piccola Congregazione avrà gran parte, ma guai a noi, poveri noi se non avessimo a corrispondere: saremmo i traditori del Sangue di Dio! Pensiamoci bene.

Ma non basta, o cari, dobbiamo adempiere tutti i nostri doveri, osservare le gravi obbligazioni che ci siamo assunte con la Professione Religiosa. Fra gli uomini, quanto ci si tiene alla parola data! Ma noi, fratelli, abbiamo dato la nostra parola a Dio, ci siamo impegnati coi santi Voti. Se non li osserviamo, quale vergogna, quale confusione per noi, mentre tanti nel mondo senza voti servono il Signore così da essere la nostra condanna. Ma se li osserviamo, se vivremo la vita di povertà, di castità e di obbedienza, proveremo un anticipato Paradiso anche su questa terra.

E questo sarà anche il mezzo migliore per giovare ai nostri cari; nessuna ansietà per loro e per i loro bisogni; ho visto con l’esperienza di tanti anni che il Signore benedice loro a misura che noi attendiamo al compimento dei nostri doveri, alla ricerca del santo Regno di Dio. Quante volte ho detto anche agli antichi allievi che, corrispondendo alle grazie che ricevevano nella Casa, essi avrebbero meritato speciali benedizioni anche per i loro cari e per le loro famiglie. Questo, o amati fratelli, vale tanto più per voi: voi fate la vostra parte, e vedrete che il Signore farà la sua e aiuterà i vostri cari, spiritualmente e materialmente. Questo mio pensiero fatelo conoscere ai vostri parenti, che certo ne resteranno consolati, e la vostra vocazione sarà assicurata dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

Ma insieme col decennio dell’approvazione si avvicina pure quello di Roma, dove fummo chiamati per grazia particolare del Signore, affinché altri grandi disegni, oltre quello della Parrocchia, si compissero proprio nella Città che è il centro del Cristianesimo, dalla quale si irradia la luce del Vangelo in tutto il mondo. Voi ricorderete, o cari figlioli di Roma, che ho sempre detto che la Parrocchia era la porta per il compimento di questi disegni. Ricorderete pure come siete andati; proprio more Apostolorum, senza sacco e senza provviste; umanamente parlando non si sarebbe dovuto fare così, ma voi siete andati, affidandovi alla divina Provvidenza, avete lavorato e il Signore ha benedetto e fecondato le vostre fatiche; dopo S. Filippo si sono aggiunte altre anime fra le più povere e abbandonate, nella Borgata Gordiani e a Tormarancio; ed ora si sta mettendo le basi ad un’Opera come quella di S. Zeno per i fanciulli poveri ed abbandonati. Quanta gloria ne verrà al Signore, quanto bene alle anime! Ma altri disegni vi sono ancora, che compirete se perseverate in questo unico pensiero di cercare il santo Regno di Dio, abbandonandovi fra la braccia amorose della divina Provvidenza. Vi saranno delle difficoltà, Satana freme, ma non abbiate paura. Se Gesù è con noi, potremo sostenere ogni prova, superare ogni difficoltà.

In questo decennio altri rami sono spuntati dal tronco dell’Opera. La cara Casa del S. Cuore di Negrar, cellula divina, destinata a diventare grande, per accogliere nei suoi padiglioni tanti fratelli ammalati, che altrimenti resterebbero a languire, sprovvisti di mezzi per essere ricoverati in altri ospedali, con Suore, Infermieri e Medici nostri, per valorizzare così il più possibile la carità cristiana, unico mezzo per riportare nostro Signore Gesù Cristo nella società di oggi così turbata e sconvolta.

La Casa del Sacro Cuore è anche la sede dell’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana), che si è innestata con la benedizione del Vescovo e del nostro Visitatore Apostolico all’Opera dei Poveri Servi.

Quali disegni ha il Signore sopra di essa? Ancora non lo sappiamo, ma certo, se noi non metteremo ostacoli, potrà estendersi, e giovare immensamente alle Missioni in tutto il mondo. Pregate anche per questo.

Ed anche la cara Casa di Roncà, che avrebbe dovuto venire all’Opera oltre vent’anni or sono, ed invece fu data ad altri. Io ho lasciato fare al Signore. Vedete come noi dobbiamo abbandonarci a Lui: se noi corrispondiamo, nulla potrà ostacolare il compiersi man mano dei divini disegni. E a Roncà come si trovano bene i cari Novizi! Quanto giova alla loro formazione d’essere così isolati dal mondo! E voi pregate, affinché i Novizi, anche lasciando la Casa di Noviziato, vi tengano le loro radici per riceverne l’alimento per tutta la vita.

Anche Maguzzano, voi sapete come è venuto! Ostacoli sono sorti, e non pochi,ma il Signore ci ha aiutato a superare ogni cosa. A Maguzzano voi sapete che io vagheggio una grande Opera Sacerdotale; ma c’è bisogno di pregare e pregare molto, perché questo grande disegno si compia, a gloria di Dio e a bene della S. Chiesa.

Ma qui sento di dover aggiungere una parola anche per le buone nostre Sorelle; anch’esse sembra s’avviino ad una definitiva sistemazione e all’approvazione. Sono contento del buon spirito da cui sono animate; ora hanno la loro Casa Madre, ove c’è anche il Noviziato. Il Signore va piano ed è anzi caratteristica delle opere sue la lentezza, ma Egli a suo tempo matura i suoi disegni. Preghiamo che anche per le Sorelle si compia la santa volontà del Signore.

A tutti questi benefici, dobbiamo finalmente aggiungere quello del Visitatore Apostolico. Oh come dobbiamo essere grati al Signore che ce l’ha dato! Noi dobbiamo guardare a Lui e ascoltarlo, in tutto, perché il Signore gli ha dato e gli darà lumi speciali per il bene dell’Opera, e oltreché ascoltarlo, dobbiamo pregare per lui, che è il Messo, l’Inviato di Dio per noi, e di questo son certo, certissimo, perché ne ho avuti segni evidenti.

E allora per tutti questi benefici salga in questa grande, solenne circostanza, l’inno del nostro ringraziamento al Signore, dal quale tutti i beni procedono; desidero che l’ultimo triduo della Novena dell’Immacolata di Lourdes sia indirizzato a ringraziare di cuore il Signore, per le meraviglie compiute, per le grazie fatteci in questo decennio, e l’11 febbraio si canti in tutte le Case un solenne Te Deum.

Ma questo non ci deve bastare: la nostra vita soprannaturale, rinnovata e intensificata, sia il nostro migliore ringraziamento, e così anzi ci disporremo a ricevere sempre nuove grazie e nuovi favori.

Vi sono tanto vicino sempre, ma specialmente in questa ricorrenza; guardate che il vostro pensiero sia l’Opera, la vita dell’Opera; non guardiamo a noi stessi, noi dobbiamo scomparire. Ricordo sempre il monito, l’avviso del venerato e compianto mio Padre Spirituale, Padre Natale: “Santifichi se stesso, santifichi i membri, e l’Opera è assicurata. Che il Signore ci conceda questa grazia! Pregate tanto per me, seguitemi tutti in tutto, o cari, e che un giorno ci possiamo trovare insieme uniti nel S. Paradiso.

Vi benedico più col cuore che con la mano.

* LETTERA XXIX 15 maggio 1942

Mio caro Don Stanislao

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A stento prendo in mano la penna per dire a te prima, poi a tutti i cari confratelli della Comunità romana, la mia povera parola in quest’ora speciale e per me tanto, ma tanto dolorosa.

In ginocchio, per il Sangue, la vita, la morte di Gesù benedetto Redentore nostro, vi raccomando di essere sempre tutti uniti nella carità di Cristo a S. Filippo. La parrocchia di S. Filippo deve essere il cuore della Comunità romana, e tutti i fratelli devono far centro a S. Filippo e dipendere nelle linee generali dal Parroco, che sei tu, caro Don Stanislao, specie nello spirito puro e genuino della nostra Congregazione, che deve essere spirito di gran carità, di umiltà, di obbedienza; cenci, creta, disposti a tutto; e questo non solo a parole, ma a fatti, essendo questo il fondamento dell’Opera del Signore per compiere i divini e nuovi disegni per mezzo della nostra piccola Congregazione, ma – ricordatelo bene, ma bene – grande nella mente di Dio.

Ah, quale responsabilità, che terribile responsabilità pesa su tutti noi, e specie sulla Comunità romana, se, nonostante tante grazie, e direi tanti miracoli da parte di Dio, noi non vivessimo dello spirito puro e genuino dell’Opera, che consiste nel pieno abbandono alla divina Provvidenza, nello studiare e aiutare nostro Signore Gesù Cristo, con l’unico pensiero della sua maggior gloria, avendo di mira le anime, tutte le anime per le quali il Signore ha patito ed è morto, convinti della nostra miseria, che noi, come noi non possiamo far altro che rovinare, e che solo con Lui, con la Sua grazia e con la nostra cooperazione per mezzo di una vita interiore, di sacrificio, di nascondimento, potremo fare grandi cose nell’ora attuale.

Caro Don Stanislao, sempre, ma specialmente ora, il Signore domanda Sacerdoti, religiosi, non importa il numero, perché il numero è formato dall’essenza di Sacerdoti, religiosi tutti pieni di Dio, del cielo, delle anime, Vangeli viventi. Per amor di Dio, che nessuno di noi venga meno nello spirito dell’Opera! Se qualcuno non si sentisse di avere questo spirito, per amore di Dio, se ne vada, prima di essere la rovina della sua anima e dell’Opera del Signore.

Gesù ha bisogno di strumenti umili, docili, obbedienti, pieni di fede: queste sono le vere ricchezze ed il segreto per compiere la divina volontà e far sì che la Congregazione dei Poveri Servi sia arca di pace, di salute a tutte le anime, a tutta l’umanità.

Mi è sfuggita la parola: se alcuno non si sente di vivere lo spirito dell’Opera, ma credo che questo non sia per nessuno, anzi dalle prove, dal furore che ha Satana contro di noi, dobbiamo tutti sempre più rinvigorirci dello spirito del santo Vangelo, di amare tanto Gesù e di servirlo fino alla morte.

Di gran cuore benedico tutti e mi raccomando alla carità delle orazioni.

* LETTERA XXX Pentecoste [24 maggio] 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi!

Leggo sempre con mia grande edificazione le lettere settimanali che quell’anima d’apostolo che è Don Giovanni Rossi invia agli amici della Pro Civitate Christiana, ma mi fece particolare impressione l’ultima, perché mette in vivo risalto la realtà e anche perché ribadisce quei concetti sui quali anch’io amo spesso di ritornare. Vi ricordate, o cari, quante volte vi ho detto che noi, come noi, non siamo capaci di far altro che rovinare l’Opera del Signore; che dobbiamo essere conche e non solo canali, che il lavoro esterno deve avere le sue radici nell’interiore nostro, perché sia fecondo, e questo per tutti, ma in specialissimo modo per noi, Poveri Servi della Divina Provvidenza? Quante volte vi ho detto che dobbiamo cercare di stare nascosti; se il Signore vorrà, penserà Lui a metterci sul candelabro, ma per conto nostro cerchiamo l’ultimo posto, “buseta e taneta”, lontani dalle protezioni umane, saremo grandi se saremo piccoli, saremo ricchi se saremo poveri; anche se restassimo pochi, ma fossimo ripieni dello spirito di Dio, compiremo cose grandi. Che quindi siamo contenti di qualunque ufficio, alto o basso che sia, perché tutto è grande dinanzi a Dio, se tutto facciamo con grande amore per lui; contenti di cambiare, di rientrare nell’ombra, come di uscirne, se così vuole l’obbedienza, sempre umili, docili, dipendendo in tutto dai Superiori, ricordando che solo quello che facciamo con la loro benedizione avrà pure la benedizione di Dio. Non vi dico di più; pregate sempre, pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno; non abituatevi a sentirvi dire queste parole, o cari, ed io di cuore vi benedico, invocando la grazia e la consolazione dello Spirito Santo.

Eccovi la lettera:

“Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha dato l’incremento”. Molte volte tra noi si discute per trovare quale sia il metodo migliore per compiere un’apostolato moderno e sociale.

Ma se nella natura la semina del grano e l’irrigazione delle acque nulla vale, se Dio non manda il calore del sole a fare germogliare il chicco sepolto nel solco; così nel sopra natura la semina della parola di Dio e la irrigazione dei sudori apostolici non vale nulla se Gesù non feconda con lo Spirito Santo la parola, lo scritto, l’esempio dell’Apostolo.

L’unico metodo quanto antico, altrettanto nuovo per convertire le anime è quello che usarono Gesù medesimo, i primi Apostoli e tutti i santi evangelizzatori della fede: la preghiera.

Essa è come la saliva usata da Gesù, per formare il fango, con cui egli guarì il cieco nato.

La storia meravigliosa di tutti i Santi che apostolicamente compirono la loro vocazione sociale, non trova spiegazioni che nella loro pietà: non avevano altoparlanti e convertirono folle innumerevoli.

Mai abbastanza noi ripeteremo a noi stessi l’assioma evangelico: Quanto più pregheremo e tanto più efficacemente e largamente opereremo nel grande campo delle anime.

Le attività dell’apostolato spesso troppo ci assorbono e ci distraggono dalla contemplazione e dalla conversazione innanzi al Tabernacolo di Gesù Cristo.

Per questo noi molte volte arriviamo a sera stanchi ed affaticati, spesso amareggiati, disillusi, con le mani ed in cuore vuoti, perché abbiamo trascurato di pregare.

E’ inutile cercare nuovi metodi per fare l’apostolato.

Questo è l’unico, è l’insurrogabile, è l’onnipotente metodo con cui la grazia del Dio Redentore salverà il mondo.

Quanto più un’apostolo è impegnato in molteplici opere, tanto più si ricordi che ha la responsabilità di pregare.

“Senza di me non potete fare niente”, disse Gesù agli Apostoli nell’ultima grande sera dei suoi ricordi testamentari.

La preghiera è più necessaria all’apostolo che al Certosino.

Disse Gesù: “Io solo sono il Maestro”, e nessuno può rivelare alle anime la verità se nell’orazione non ha riempito d’olio la sua lampada, su cui si possa accendere la luce di Cristo.

Disse Gesù: “Io sono venuto a portare il fuoco in terra”, ma nessuno potrà incendiare il mondo se nell’orazione non è stato incendiato dalla vampa del suo Cuore.

Disse Gesù: “Io sono il medico”, e nessuno può arbitrarsi di curare le anime se non divenendo nell’orazione il balsamo del Buon Samaritano.

“Io sono la porta”, e nessuno può fare entrare un’anima nelle grazia e nella gloria se non divenendo nell’orazione la chiave con la quale Cristo apre.

Questa santa Pentecoste che ritorna, ci porti, per la intercessione della Madonna del Cenacolo il dono della pietà.

Quando in una Parrocchia o in una Comunità, la chiesa che è la casa dell’orazione è chiusa od è vuota, pur le anime sono vuote di grazia e chiuse alle glorie dell’Apostolato.

* LETTERA XXXI Settembre 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

Eccoci arrivati anche quest’anno, per somma bontà e misericordia del Signore, ai santi Esercizi Spirituali, ed io desidero con tutto il cuore approfittare della propizia occasione per rivolgervi una parola, quale mi nasce spontanea nel cuore; non vi dirò cose nuove, no; sono le solite raccomandazioni, ma avvalorate dalla divina grazia spero portino grande vantaggio alle anime vostre.

E prima di tutto vi prego e vi scongiuro, o cari, di trar profitto da questo tempo veramente accettevole, da questi giorni di salute. Tempo accettevole, perché il Signore, che non disprezza mai un cuore contrito ed umiliato, accoglierà più benevolmente le lacrime che verseremo in espiazione dei nostri peccati, concedendocene un generale ed intero perdono, una plenaria indulgenza; giorni di salute, perché il Signore mette a nostra disposizione grazie innumerevoli ed anche straordinarie, mediante le quali non ci sarà difficile intraprendere quella riforma di noi stessi che è il fine principale degli Esercizi, e di cui dobbiamo sentire un bisogno tutto particolare in questa ora triste ed oscura che attraversiamo.

Che cosa ci riserverà l’avvenire, o cari? Noi non lo sappiamo; certo che le forze del male sono satanicamente organizzate e congiurate “adversus Dominum et adversus Christum eius”.

Non se ne vuol sapere di Dio, si vuole scalzare dalle fondamenta il suo Regno che è la Chiesa, negando il Soprannaturale, capovolgendo tutti i valori; la morale cristiana sembra abbia fatto il suo tempo; calpestando le leggi dello spirito si viene ad idolatrare il corpo vivendo peggio dei bruti, perché essi si regolano secondo l’istinto, creato da una sapienza infinita, mentre l’uomo, negando la ragione e la fede, si colloca ad un livello più basso degli immondi animali. Non c’è più fede, l’aria, si può dire, è infetta, e come l’aria penetra nelle case, nelle camere, nei ritrovi, dovunque, così il soffio della corruzione contamina tutto, i buoni stessi ne risentono, e corrono grandissimo pericolo. E noi, arricchiti di grazie specialissime come cristiani, come religiosi e come membri di quest’Opera del Signore resteremo indifferenti? Sarebbe la più grande sventura. Tanto più che è in mano nostra il rimedio, ed è questo: tornare indietro, attingere alle pure sorgenti del santo Vangelo, vivere la vita nostra come la vissero gli Apostoli e i primi cristiani.

Mi hanno fatto grande impressione le parole di un eminente personaggio francese, pure avverso alla nostra santa Religione, Clemenceau: ” Non ci sarebbe bisogno, egli disse, e non sarebbe neanche possibile alcuna rivoluzione, se i cristiani vivessero la loro fede”! Il che significa che anche noi, come parte della famiglia umana, siamo responsabili della durissima prova abbattutasi sulla povera umanità, non essendo vissuti come avremmo dovuto, e che c’è un solo mezzo per ripristinare l’ordine e porre rimedio a questa colluvie di mali: vivere la nostra fede.

Si è predicato tanto, si è discusso, si son tenute conferenze, si è fatto dell’apologetica, si sono stampati libri e riviste, ma questo non è che la cornice del quadro, occorrono gli esempi – exempla trahunt – all’esempio dei primi cristiani si convertivano i pagani. Spesso ci si illude quando le folle accorrono alla chiesa in certe circostanze; questo non basta ; è necessario evangelizzare l’individuo, formare la famiglia cristiana, rendere i fedeli consapevoli della loro fede; e tutto questo dipende da noi; perché irradiamo anche senza saperlo; come la radice porta la linfa fino alle ultime foglioline di un grande albero, così anche noi possiamo e dobbiamo portare la linfa di Nostro Signore Gesù Cristo “usque ad finem terrae”, alle anime che vivono agli estremi confini della terra.

Dinanzi agli esempi pratici, alla prova dei fatti e delle opere di carità secondo il Vangelo, disarmano anche i più ostinati avversari. Ed è solo così che potremo preparare il divino materiale per quell’ordine nuovo che solamente il Signore potrà fondare, nel quale, come altre volte vi ho detto, mi pare abbia una speciale missione da compiere la nostra umile Congregazione. Mio Dio quale responsabilità pesa sopra di noi, se non corrispondiamo, se rendiamo vani i disegni del Signore.

Ed ecco allora, o cari ed amati fratelli, il momento opportuno per fare un serio esame sopra noi stessi, per vedere se siamo vissuti con lo spirito genuino dell’Opera; revisione necessaria; anche adesso si fanno continue revisioni militari per dichiarare idonei o meno; dalla diligente revisione spirituale nostra, capiremo se siamo idonei strumenti per essere adoperati dal Signore o se siamo Religiosi solo di nome.

Ad esempio, quanto alla povertà, siamo fedeli nell’osservarla? Voi sapete che il voto ci toglie il diritto di possedere e disporre di qualunque cosa a nostro talento; quindi non possiamo né dare né ricevere, né appropriarci cosa alcuna senza il permesso.

Ma il voto è un mezzo per l’acquisto della virtù e la virtù della povertà ci deve portare ad un assoluto distacco da tutte le cose e da noi stessi; distacco che deve essere la caratteristica dei Poveri Servi, per i quali è specialmente l’insegnamento del Santo Vangelo: “Non vi angustiate di quel che mangerete o di che vi vestirete… quando vi ho mandati senza tasca e senza sacco vi è mancata qualche cosa?” Quindi, quando siete mandati in una Casa o vi viene affidato un ufficio, non portatevi con voi tante cose; accontentatevi di quello che troverete; sicuri che la divina Provvidenza non vi lascerà mancare niente del necessario. Così pure vi raccomando di non avere tante cose superflue o che sanno di ricercatezza, e pure in quelle necessarie mortificate la natura, accontentandovi di quello che la Provvidenza vi dà, per il cibo e per il vestito, per il letto e per quanto vi può occorrere, sempre disposti a soffrire talvolta la privazione di qualche cosa necessaria. Quelli che vivono nel mondo spesso ci danno lezioni di povertà da restarne confusi, senza farne il voto o la professione, e noi saremo così delicati da non voler nulla soffrire? Siamo dunque virtuosamente staccati da tutto, anche dalle minime cose, perché poco importa essere legati da una fune o da un semplicissimo filo, fosse anche d’oro; quando si è legati non si è liberi, né si può servire liberamente il Signore.

Vi raccomando poi di non essere facili a ricevere regali da persone estranee, specialmente in occasione di onomastico od altro. Se mai offrano non alla persona ma alla chiesa ovvero alla Casa. Sappiamo essere superiori a tante inezie che solleticano il nostro amor proprio e legano il cuore.

Un altro distacco è necessario e quanto so e posso ve lo raccomando, o cari, voglio dire il distacco dai parenti. I nostri parenti bisogna amarli, e noi gli ameremo se staremo fedeli al nostro spirito. Grandi dispiaceri possono portare i familiari. Fatta eccezione dei genitori teniamoci da essi lontani ed essi lontani da noi; vicini paralizzano il sacro ministero, specialmente se la loro condotta non è conforme a quanto insegniamo o predichiamo agli altri, ed anche per essi la nostra parola sarà più efficace se tenuti lontani. Se poi avranno dei bisogni, parlate con i vostri Superiori, perché la Congregazione non è matrigna, ma madre.

Guardate infine di non moltiplicare i motivi per recarvi da loro; le visite non necessarie ai parenti non giovano, ma nuocciono grandemente allo spirito.

E che vi dovrei dire a riguardo della bella virtù? Vi faccio solo una raccomandazione: “ab omni specie mala abstinete vos”! Non solo dovete guardarvi dal male, ma anche dalla sola apparenza di esso. I mondani sono guasti fino alle ossa e reputano tali anche gli altri. L’esempio d’una vita santa è un continuo e forte rimprovero per loro, quindi sono tutt’occhi per trovare l’appiglio per denigrare; e sapete che il male è creduto assai più del bene. Siate lampade accese, quindi mantenetele provvedute dell’olio della vita interiore; siate puntuali nelle pratiche di pietà, nell’osservanza delle sante Regole; evitate ogni mollezza, amate lo studio, il lavoro, la vita ritirata; che se per caso sul vostro cammino aveste ad incontrare qualche serio pericolo, apritevi con figliale confidenza con i vostri Superiori, con il vostro padre Don Giovanni che sapete quanto vi ama; per amor di Dio che il Demonio non vi tenti di tacere: sarebbe la rovina vostra.

E voi, cari fratelli, che dovete trattare con i ragazzi, pensate che ogni anima è un capolavoro di Dio; quindi vi raccomando tanto date buon esempio, non permettetevi nessuna confidenza, state al vostro posto; se discendete a qualche bassezza, avete perduto ogni prestigio, ogni autorità, non avrete più il coraggio di correggere e di rimproverare alcuno.

Non entrate nel santuario della coscienza; la coscienza la formerete con il vostro buon esempio, con la preghiera. E siate vigilanti, pregate, sacrificatevi, per tenere lontano il peccato dalle anime dei giovani a voi affidati. Per impedire anche un solo peccato, specialmente nella Casa del Signore, ricordatevi che sarebbe bene spesa anche l’intera vita.

Quanto poi all’obbedienza, voi sapete che questo è il voto più prezioso dei precedenti, perché se con la povertà si fa un sacrificio delle nostre cose, e con la castità si dona al Signore il nostro corpo, invece con l’obbedienza s’immola la nostra libertà, per cui la Sacra Scrittura dice: “l’obbedienza è migliore di qualunque vittima”. Ricordate le parole del santo Pontefice Benedetto XIV: “Datemi un religioso che osservi esattamente le sue Regole ed io lo canonizzerò ancor vivente”.

Quanta pace, quanta sicurezza avrà in punto di morte il Religioso obbediente! Non importa se non ha fatto cose grandi: se può dire di aver sempre obbedito, egli non avrà nulla da temere. Pur così povero e miserabile come sono, una delle più grandi consolazioni per me è questa, di aver obbedito sempre al mio Padre Spirituale.

Siate docili, cioè facili e pronti a qualunque ordine dei vostri Superiori, disposti a tutto, ad incontrare un lavoro, ad abbracciare un ufficio anche contro il vostro genio, perché farete acquisto di grandi meriti. E in quello che fate dipendete, state uniti con i vostri Superiori; in essi non guardate l’uomo ma il Signore, e la cosa vi riuscirà facile se vi abituerete a mirare le persone tre dita più in su del capo.

Vi raccomando poi tanto la carità; i Poveri Servi devono attuare la grande parola di Gesù: “Ut unum sint”. Siate una cosa sola, fra voi e con i vostri Superiori. Aiutatevi, compatitevi, usate belle maniere, rendetevi scambievolmente servigi; portate gli uni i pesi degli altri: “omnia vestra in caritate fiant”. E procurate di togliere tutto quello che potrebbe turbare la carità, l’unione e la pace tra fratelli; non tramonti il sole sulla vostra ira, ritorni tra voi la pace momentaneamente turbata, e fatelo con vero spirito.

In particolare guardatevi dall’appassionarvi della politica. Vi proibisco anzi di parlarne e farne discussioni. L’Apostolo dice che a noi tocca di obbedire e sottostare alle autorità costituite; stiamo, se mai, con l’indirizzo che ci viene dal S. Padre, il Vicario di N. S. Gesù Cristo, che noi come Religiosi dobbiamo obbedire più che i semplici fedeli. La nostra politica è quella del S. Vangelo: Dio e le anime, la santificazione nostra e dei prossimi. Chi mancasse su questo punto darebbe prova di non conoscere e di non possedere lo spirito dell’Opera. Quindi vi raccomando di non leggere troppe riviste e giornali, di non perdere troppo tempo in chiacchiere e conversazioni mondane, di non abusare della radio, che è appena tollerata nelle nostre Case e il cui uso voglio sia regolato dal Superiore d’ogni Casa e con intera dipendenza da lui e a lui lascio la responsabilità.

Vi raccomando lo spirito di fede e la santa umiltà, l’amore dell’Opera; in tutto quello che facciamo apparisca l’Opera, noi dobbiamo scomparire.

Santificate il vostro tempo; coltivate l’unione con Dio, che è il segreto per far del bene e meritare la divina protezione, specie in quest’ora; a proposito della quale mi piace riportarvi le seguenti gravi parole del santo Arcivescovo di Firenze, che meritano di essere ben considerate da tutti: “Non voglio essere un profeta di sciagure: ma se il fosco presente fosse foriero di un fosco avvenire, se tempi gravissimi si preparassero per la Chiesa e per i suoi Ministri, vi saremmo noi preparati? E perché nell’attesa non ritempriamo le nostre armi spirituali nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione?…” Prima di chiudere questa mia lettera, vi domando la carità delle vostre preghiere; Dio solo sa quanto ne ho bisogno, perché le anime e le opere di Dio costano. Nella mia povertà sempre vi ricordo e se anche lontani vi seguo passo passo, mi sembra di vedervi, e per voi, o cari, offro al Signore preghiere e sofferenze. E pegno della mia benevolenza sia la benedizione che ora vi do più col cuore che con la mano, con l’augurio di trovarci tutti nel santo Paradiso.

Penso di richiamarvi qui alcune cose, piccole se volete, ma di grande importanza; voi vedete che vi sono dei forellini aperti e vi prego e scongiuro di volerli chiudere subito.

1) – la bicicletta: i Sacerdoti la usino con molta discrezione e solo per disimpegno del sacro ministero; i Fratelli solamente per viaggi non troppo lunghi.

2) – Non partecipate a giochi che non s’addicano alla gravità sacerdotale e religiosa, come quello delle carte.

3) – Nessuno fumi per nessun motivo.

4) – Nessuna cultura dei capelli; tutto spiri semplicità, serietà, proprietà, pulizia e non altro.

5) – Non usare macchine fotografiche senza il permesso del superiore, chiesto di volta in volta. Volerla usare troppo di spesso saprebbe di mondanità. Nemmeno partecipate a gruppi fotografici nei quali entrino persone di sesso diverso, anche se in occasioni di Prime Comunioni, di riunioni di Azione Cattolica od altro. Siate prudenti.

6) – Esaminate se nelle vostre stanze avete delle cose inutili, spogliatevene per amore del Signore.

7) – Fra tutte le regole vi richiamo quella di recitare la preghiera e ricevere la benedizione prima di uscire e dopo rientrati e quella del silenzio maggiore. Dopo le orazioni della sera state al vostro posto, evitate di parlare tranne che per assoluta necessità e allora fatelo sottovoce. Anche nei laboratori si eviti ogni lavoro in questo tempo.

* LETTERA XXXII S. Quaresima 1943

Carissimi fratelli in Cristo

Sono qui seduto al mio tavolino, davanti al mio Crocefisso, via, verità e vita; e penso tanto a voi, amati e cari fratelli, che avete la grazia grande, grandissima – che solo in Paradiso potrete apprezzare – di appartenere a quest’Opera che il Signore, per tratto speciale di Sua bontà e misericordia, ha suscitato in questi turbolenti e tristi tempi per scuoterci, per richiamare a sé l’umanità; questa povera umanità, la quale, per avere abbandonato Lui, la sua legge, fidando in se stessa e abusando di quei doni che ha dal Signore, anche naturalmente, per la felicità della vita presente, ha dimenticato che solo da Lui tutto riceve; e che i doni e le ricchezze della vita presente, sia nell’ordine naturale come soprannaturale, non ci sono dati che per arrivare alla vita eterna, a Dio, fine unico della vita presente.

Cari fratelli, quanto dobbiamo essere grati al Signore per tale divina chiamata! Ma quale responsabilità insieme incombe su tutti e ciascuno, se noi non viviamo di quello spirito puro e genuino che il Signore ha messo in quest’Opera e che è la sola ragione della sua esistenza, della sua vita, per compiere i grandi, grandissimi disegni che la Provvidenza vuole attuare!

E’ per questo che sento forte e impellente il bisogno di scrivere a voi tutti questa mia lettera, che vorrei fosse quasi il mio testamento e la magna charta, affinché questa Opera del Signore venga protetta e difesa dalle arti sataniche che il demonio in mille modi e in mille maniere tenterà di adoperare perché non sia come Gesù, padrone assoluto, la vuole.

Amati fratelli, prima condizione, meditiamolo bene, perché l’Opera viva e possa compiere i divini disegni, si è che noi siamo e viviamo all’altezza della nostra vocazione. Ogni altra Opera potrà vivere anche se in qualche cosa vien meno; ma noi no: o viviamo come Dio vuole, o altrimenti si muore.

Dio mio, che responsabilità! Fratelli, attendiamo alla nostra personale santificazione, dando una grandissima importanza alla vita interiore: la S. Meditazione, la Lettura Spirituale, la Visita al SS. Sacramento, la continua unione con Dio, indirizzando tutte le nostre azioni alla maggior gloria di Dio e a bene delle anime.

Fratelli, lasciate tutto, ma non lasciate mai le pratiche di pietà; siate conche e canali, ma prima conche. Non si può dare se non si ha; e il Signore dà in abbondanza a coloro che da Lui tutto attendono. Fratelli, per amor di Dio, fate conto, gran conto di queste povere parole: povere perché passano attraverso un misero e povero canale, ma sono sempre parole di Dio, e che, fino a quando la misericordia e la bontà di Dio mi tiene qui a Casante e Custode di quest’Opera, voi avete il sacrosanto dovere di ascoltare e di mettere in pratica; tutto vi dico a bene delle vostre anime prima di tutto, e poi per mantenere l’Opera su quel binario che la Provvidenza ha assegnato. Su questo binario deve correre per compiere i grandi e divini disegni che fin dall’eternità il Signore ha preveduto.

Fratelli cari, l’Opera non è dell’uomo, ma di Dio; è nata, come tante volte ho detto, nel S. Cuore di Gesù, sotto il manto e la protezione della Vergine Immacolata. Quelle cariche che ho scritto venticinque anni fa, guardate che non sono scritte a caso; è il Signore che le ha volute così, perché noi esercitiamo la fede e il pieno abbandono in Dio, ricorrendo a Lui e a i suoi Santi, nelle nostre necessità e bisogni. Il Signore, o miei cari, è attivo con noi; e i Santi sono validi e potenti intercessori, che, se pregati con fede, ottengono quello che gli uomini, i grandi uomini, non possono ottenere.

Tutte le opere sono del Signore; ma, ricordatelo bene, ciascuna opera ha la sua impronta, la sua fisionomia; impronta e fisionomia che le dà il Signore; e a questa si deve stare. La nostra Opera, l’Opera dei Poveri Servi, ha dal Signore una impronta e una fisionomia tutta speciale, tutta propria dei tempi presenti; guai se la si cambiasse! sarebbe la rovina e la morte dell’Opera. E quindi il demonio, grande spione, sta attento, ha cercato e cercherà di fare che questa impronta e questo spirito puro e genuino dell’abbandono in Dio e nella sua Provvidenza si sposti; attenti! perché basta un minimo, un istante per cambiarlo: come negli apparecchi radio un leggero spostamento basta a far perdere l’onda e la trasmissione.

Fratelli cari, l’Opera deve essere una grande luce, un sole che mostra a tutti la divina Provvidenza, che Dio esiste e pensa a noi, e che la sua parola, la divina sua parola, non vien meno, mai. Cercate, ha detto, cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose.

Dunque niente ansie, niente pensieri per le cose terrene, niente angustie; le cose terrene verranno di certo, anche dalle pietre, dai sassi, a patto che noi cerchiamo il Signore, la nostra santificazione, le anime, tutte le anime, specialmente quelle più derelitte, le più abbandonate, le più povere: queste sono le gemme, queste formano il nostro patrimonio. O si crede o non si crede, e allora si stracci il Vangelo. Ci saranno certo dei momenti di prova, dei momenti difficili; ma i momenti difficili sono i momenti di Dio; allora, più fede, più preghiera, più amore al Signore, e la prova sarà coronata, e la nostra fede sarà premiata.

L’Opera è grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercheremo quella degli uomini. Io ho sempre visto l’Opera come un grande campo, con tante sementi in mano del divino Agricoltore; sementi che Egli spargerà se il terreno sarà ben arato, ben coltivato. Queste sementi nasceranno e diventeranno tante piante, diverse piante, e ciascuna darà dei grandi frutti. Fratelli, vi è bisogno di luce, di sale nel mondo; v’è bisogno di amore, di carità: v’è bisogno di fede; e l’Opera sarà luce, sarà carità, sarà amore, se sarà come Dio la vuole, e come l’ha fondata, e come a noi l’ha affidata perché gelosamente la custodiamo, la facciamo vivere e progredire, a bene delle anime. Quanto so e posso vi raccomando l’esercizio delle virtù: la santa umiltà: chi vuole essere il primo tra voi si faccia il servo di tutti. Tutti fratelli, siano Sacerdoti o no, una sola persona. Fratelli e Sacerdoti: cuore e braccia, o meglio anima e corpo, disposti a tutto, perché tutto è grande nella famiglia di Dio. Non perdiamo mai di vista l’esempio del divino Sacerdote Gesù: trenta anni a Nazareth, tre anni di apostolato, ma sempre coadiuvato e assistito da fratelli, che erano gli Apostoli e i discepoli.

Tutto per il Signore; guardate che questa è la caratteristica sicura dell’Opera; così l’ha voluta e la vuole il Signore. Umiltà, carità; lungi dunque la divisione, la mormorazione, l’invidia; nei Superiori vedere il Signore e ascoltarli e mettere in pratica e obbedire, non per servilismo né per politica, ma per virtù soprannaturale. Il Custode e Casante di quest’Opera, presente e futuro, deve essere come un gran padre di famiglia; e dal Signore avrà sempre lumi e grazie particolarissime per dirigere quest’Opera e compiere quello che vuole il Signore; e tutti devono ascoltarlo.

Guardate che quello che avete, quello che il Signore ci dà, lo abbiamo in vista dell’Opera, dunque noi dobbiamo scomparire; quello che deve manifestarsi è l’Opera. E quando dico l’Opera, intendo specialmente il tronco e non i rami; e il tronco, l’Opera deve partire da S. Zeno in Monte: questo fu il terreno dove Iddio, Padrone assoluto, ha messo la semente di quest’Opera. Io credo che se noi staremo sulla nostra strada, andremo usque ad finem terrae.

Fratelli, umiltà, carità, fede! tutto per Gesù, con Gesù, per Lui, per le anime! siamo poveri servi, siamo miseri strumenti nelle mani di Dio.

L’Opera è composta di Sacerdoti e Fratelli, come ho detto; ma tanto gli uni come gli altri con lo spirito apostolico; i Sacerdoti sono sempre stati il palpito del mio cuore fino dai primi anni del mio sacerdozio. Oh come vorrei poter tornare indietro per riparare e vivere come sono vissuti gli Apostoli e tanti Sacerdoti santi! Spesso rileggo le parole che ho scritto nel mio diario trenta anni fa riguardo ai Sacerdoti futuri dell’Opera; allora ero solo, e sentii tutta la grandezza e la caratteristica dei Sacerdoti dell’Opera, che devono formare un tutt’uno con i fratelli; ecco le parole: “La barca non può andare senza remi, ci vogliono i remi, e questi saranno i Sacerdoti cresciuti e formati con lo spirito dell’Opera. Un Sacerdote, sia pure santo, ma che non abbia lo spirito dell’Opera, sarà all’Opera stessa di danno e rovina se restasse. Mio Dio, quale responsabilità!” Viviamo lo spirito nostro. Non mi attrae la quantità, sì bene la qualità; i pochi faranno i molti; un Fratello, un Sacerdote, con lo spirito puro e genuino dell’Opera, suppliscono a cento e più ancora. Il nostro organismo che forma l’Opera, deve essere tutto soprannaturale: solo così può espandersi e compiere quello che il Signore vuole.

Fratelli cari, sforziamoci di essere, con la grazia di Dio, differenti da tanti altri; viviamo e mutiamo in succo e sangue le nostre sante Regole. “Buseta e taneta”, nascosti sotto terra, se ci sarà bisogno penserà il Signore a metterci sul candelabro. Noi no, no, no. Di una sola cosa io ho paura, e che può rovinare l’Opera: il non vivere secondo lo spirito puro e genuino, e il peccato. Solo questo; tutto il resto concorrerà a compiere i grandi, divini disegni, e se domani avvenisse qualunque cosa, state certi che il Signore stesso, magari con un miracolo, verrà incontro alla sua Opera; e sono convinto che i carismi dei primi tempi della Chiesa il Signore ce li darà anche adesso, se noi stiamo al nostro programma e viviamo il nostro spirito.

Siamo ormai nella S. Quaresima, tempo di orazione e di penitenza.

Fratelli cari, ricordiamoci che i peccatori si convertono con la penitenza; e noi l’abbiamo il modo di far penitenza, adattandoci ai sacrifici inerenti alla nostra vocazione, osservando le Regole e gli avvisi dei Superiori: “Mea maxima paenitentia, vita communis” diceva quel santo. La Chiesa, nostra Madre benigna, usa una larghezza grande in questi tempi difficili; ma questo non ci dispensa dall’obbligo e dal bisogno che abbiamo di far penitenza.

La Madonna stessa, comparendo a Fatima, venticinque anni or sono, come aveva fatto a Lourdes, ha esortato alla penitenza per propiziare la divina misericordia sul mondo tutto. Facciamo dunque la nostra penitenza, mortifichiamo sopratutto la volontà, “la razionale”, diceva S. Filippo; diamo ai nostri Superiori “tre dita di testa” e avremo portato il nostro contributo all’Opera e al mondo intero. Cerchiamo di sentire questo bisogno di penitenza anche corporale, prima per noi, per i nostri peccati, e per la carità verso i fratelli che penano tanto in questa ora di prova per tutti.

Ora di giustizia e insieme di misericordia da parte del Signore, che per mezzo di tanti dolori intende di sanare la povera umanità.

Pregate tanto per me, che il Signore mi perdoni tutti i miei peccati. Io pure pregherò per voi, come faccio da tanti anni: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum, amen”.

Paternamente vi benedico.

P.S. – Vi ricordo ancora una volta alcune norme che vi ho dato: piccole ma grandi cose: Non fumare, capelli a posto e senza ricercatezza, non accettare inviti a pranzo, non usare la bicicletta se non per ministero e col debito permesso (questo per i Sacerdoti), non farsi fotografie in gruppi con persone dell’altro sesso, non assumere troppo facilmente direzione e paternità spirituale di certe anime (quanto giova il dipendere dal Superiore!), non accettare di massima regali personali, specialmente da anime che si dirigono nello spirito. Sono piccole cose, direte, ma per me sono di grande importanza, e se alcuno non si sente, può andarsene. Ma io spero che ciò non avvenga, che tutti, come sempre, farete gran conto della mia povera parola, interprete della santa volontà di Dio per noi e per l’Opera.

* LETTERA XXXIII 8 dicembre 1943

LA PAROLA DEL PADRE

Leggete e praticate queste mie povere parole, che vi dico quali mi nascono spontaneamente nel cuore, a none di Gesù benedetto, Padrone assoluto dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere, come povero Casante e custode di quest’Opera dei Poveri Servi della divina Provvidenza, per propiziare per noi e per i fratelli nostri la misericordia divina nella grave ora che incombe su tutta la povera umanità.

Quanto so e posso vi raccomando:

Siate fedelissimi alle pratiche di pietà: Santa Meditazione, Lettura Spirituale, S. Messa, S. Comunione, Rosario, ecc.

“Lasciate tutto ma non trascurate le pratiche di pietà”: sarebbe la vostra e l’altrui rovina.

Coltivate la vita interiore: state uniti a nostro Signore come il tralcio alla vite: ricordate la parola di Gesù: “senza di me non potete far niente”. E’ vero dobbiamo far tutto come se tutto dipendesse da noi: ma al tempo stesso ricordiamoci di non essere altro che “servi inutili”.

Osservate le Sante Regole, espressione della santa volontà di Dio, quindi condizione indispensabile per raggiungere la vostra santificazione, fine supremo della vita religiosa; in particolare vi raccomando il silenzio maggiore; quando è giunta l’ora ritiratevi nelle vostre stanze e non trattate d’altro. Nel silenzio parla il Signore. Il troppo parlare svuota la vostra anima dello spirito buono: ricordate il monito dello Spirito Santo: “c’è il tempo di tacere e il tempo di parlare”.

Vi raccomando la grande predica del “buon esempio” in Casa e fuori; che tutti s’avvedano che voi siete Religiosi, e Religiosi speciali; voi non avete nessuna divisa, la vostra divisa, il vostro distintivo deve essere la virtù, dimostrata nel modo di comportarvi, nel conversare, nel trattare affari, ecc.; ma guai a chi desse cattivo esempio, specie coi ragazzi! Meglio sarebbe piuttosto morire! Mio Dio, quale responsabilità! Iddio ci preservi da tanta sventura!

Vi raccomando tanto la “carità”; regni sovrana nei vostri cuori; la nostra carità sia soprannaturale, sia universale, che ama tutti senza distinzione alcuna, ma specialmente i più poveri, i più abbandonati, i vecchi, i malati, i peccatori; queste sono le gemme di cui deve arricchirsi e che deve cercare la nostra Opera; sopratutto “carità fraterna”: aiutatevi, compatitevi a vicenda, nessuno si permetta di fare critiche e mormorazioni; dov’è la carità c’è Dio, la sua grazia, il suo spirito; cercare il Regno di Dio significa insieme sforzarci che regni sempre e in tutti la carità.

Ricordatevi che il vestito, la corona, il Crocefisso, sono belle e sante cose, ma non sono esse che fanno il vero religioso, bensì la santa vita; altrimenti questi oggetti saranno la nostra condanna al divin Tribunale. Fate, o dirò meglio, facciamo un serio esame di coscienza, guardando dove abbiamo bisogno di correggerci, riformando nella nostra condotta ciò che deve essere rimediato, e con la grazia del Signore mettiamoci all’impegno per farci santi; il continuo richiamo di Dio nell’ora presente ci sia di stimolo efficace, e coopereremo così perché siano abbreviati i giorni della prova, e sia affrettata l’ora del perdono, della misericordia e della pace. Così sia.

* LETTERA XXXIV 20 gennaio 1944

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A chiusura della presente ottava di preghiere (18-25 gennaio) per il ritorno dei Fratelli dissidenti all’unica vera Chiesa, nella nostra Cappella di S. Zeno in Monte, terremo un solenne Triduo di adorazione Eucaristica, precisamente nei giorni 23, 24, 25 corr. Nel comunicare questa notizia a quanti condividono le ardenti brame di fede e di amore a Gesù, per noi continuamente presente nel Sacramento del Suo amore, domandiamo la loro partecipazione, almeno spirituale, in fraterna carità di preghiere.

Non possiamo certo rimanere indifferenti dinanzi all’immensa moltitudine di fratelli che da secoli vivono separati dall’unico ovile di N. S. Gesù Cristo; ma oltre a ciò, chi non vede l’importanza e la necessità della preghiera in questi momenti di trepida ansia, nei quali si fa sempre più vivo ed insistente l’invito di Dio a piangere i propri peccati e a fare degna penitenza, che importi sopratutto un sincero ritorno all’osservanza della divina legge? Per questo anche noi preghiamo, per questo invitiamo molti ad unirsi con noi, ricordando la solenne promessa di Gesù: “Vi dico che se due di voi si accorderanno sopra la terra a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (Matteo 17, 19).

Ringraziando a nome di Gesù Benedetto del contributo che si vorrà portare alla buona riuscita del Triduo, auspicando l’unificazione della grande famiglia cristiana in un solo ovile sotto un solo Pastore, ed inoltre facendo voti che esso valga ad abbreviare i giorni della prova e ad affrettare l’ora della pace, benedico.

* LETTERA XXXV 22 febbraio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Mi sento fortemente spinto ancora una volta a dirvi una parola, a farvi una calda raccomandazione; mi pare sia proprio il Signore, che sia proprio la Madonna a volerlo; la parola è questa: Dio continuamente ed insistentemente ci chiama tutti, e specialmente noi religiosi, sacerdoti e cristiani, alla piena osservanza della sua divina legge; ma finora purtroppo a questa divina misericordiosa chiamata non si è dato ascolto, si continua ad offendere il Signore anche sotto il suo severo castigo.

Lo si offende nella profanazione della festa, nelle orribili bestemmie, nell’immoralità più sfacciata; le chiese sono ancora deserte, affollati invece i luoghi di divertimento e di peccato, Il santuario della famiglia così spesso profanato, superbamente calpestata la santa legge del Signore e tutto ciò nonostante tanti dolori, tante tribolazioni e rovine.

Cari fratelli, bisogna che tutti, e specialmente noi, umiliandoci sotto la potente mano di Dio che ci castiga per correggerci, facciamo innanzi tutto un serio esame di noi stessi; non siamo facili a crederci senza colpa, mentre l’Apostolo S. Paolo diceva umilmente di se stesso: “Di nulla sono consapevole, ma non per questo posso dire di essere giustificato; chi mi giudica è il Signore”.

Ricordiamoci che il servo del Vangelo fu condannato solo perché non aveva trafficato il talento ricevuto dal suo Padrone. Mio Dio! quale e quanta materia di seria riflessione! Facciamo noi tutto il bene che potremmo e dovremmo fare? ed anche quel poco di bene che crediamo di fare, come lo facciamo? non vi ha nessuna parte l’amor proprio, la naturale inclinazione? abbiamo di mira sempre e solo la gloria di Dio, il bene delle anime, la nostra santificazione? Come traffichiamo il prezioso talento della nostra speciale e santa vocazione?

Ma v’è anche un altro punto da considerare, molto importante. Noi facciamo parte della grande famiglia cristiana ed umana, ed allora anche i peccati commessi dagli altri non possiamo credere che non ci riguardino affatto. Anche noi possiamo avere in essi la nostra parte di responsabilità. Forse non abbiamo fatto nulla per impedirli almeno in parte, forse noi stessi vi abbiamo influito con cattivi esempi, trascurando la preghiera e le grazie del Signore, per cui dovremmo far nostra l’umile preghiera del santo Re David: “Ab occultis meis munda me, Domine, et ab alienis parce servo tuo”.

Ma anche se non avessimo parte alcuna nei peccati dei fratelli, mossi da atto di carità, dovremmo prenderne sopra di noi il compito della riparazione e della espiazione, sull’esempio di Gesù, che, essendo l’innocenza stessa, ha presa sopra di Sé la responsabilità dei nostri peccati, che volle espiare versando fino all’ultima stilla il suo preziosissimo Sangue.

Consapevoli pertanto della nostra parte di responsabilità, ci verrà spontaneo il fermo proposito di rinnovarci spiritualmente, di vivere e di essere come il Signore ci vuole. “Così risplenda la vostra luce, Egli ci dice, dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”.

Purtroppo il popolo cristiano ha perduto il ricordo della sua origine divina, il significato e lo scopo della sua vita, non stima più la grazia di Dio, perché più non la conosce.

Cari ed amati fratelli, a noi incombe un grande dovere, per noi e per gli altri; bisogna che ci santifichiamo, e santificando noi stessi, santificheremo la nostra Congregazione, le anime che la divina Provvidenza ci fa avvicinare, la nostra città, la Patria nostra, il mondo tutto. “Unicuique mandavit Deus de proximo suo”.

E per questo mi sento di dirvi che in tutte le nostre Case si faccia una solenne Novena al Cuore Immacolato di Maria, pregandoLa di mettersi Mediatrice nostra presso il trono del suo divin Figliolo, pregandoLa che ci ottenga in primo luogo la grazia di rinnovarci tutti, modellando la nostra vita sulla vita dei primi discepoli di Cristo e degli Apostoli. Credete che esempi simili produrrebbero anche oggi i medesimi effetti: i nostri fratelli anche più lontani, cui non arriverebbe il suono della nostra voce, si daranno vinti, non potendo resistere alla luce e alla forza dei nostri esempi. Deh che questa Novena, che termineremo, a Dio piacendo, la prima domenica di marzo al Santuario della Madonna di Campagna, ivi invocata col dolce titolo di Madonna e Regina della Pace, ci ottenga, dopo il rinnovamento di noi stessi, il grande dono della pace, di una pace giusta e duratura basata sugli eterni principi del S. Vangelo. Ricorriamo con illimitata fiducia a Colei che è la Madre di Dio ed insieme la Madre nostra, il Rifugio dei peccatori, la Consolatrice degli afflitti, l’Aiuto dei cristiani.

E’ vero, nessun accenno appare ancora di una pace vicina; ma ricordate ciò che avvenne al tempo del profeta Elia? Da tre anni e mezzo, per giusto castigo di Dio non cadeva goccia di pioggia sull’ingrata terra d’Israele, che aveva abbandonato il Signore per darsi in braccio all’idolatria. Il Profeta mosso a compassione del suo popolo, supplicò sette volte il Signore, umilmente prostrato nella polvere, a concedere finalmente la pioggia tanto sospirata.

Levatosi ad osservare il cielo dalla parte del mare, scorse una piccola nuvoletta in fondo all’orizzonte, e tosto, sentendosi esaudito, a chi gli stava da presso: “Io odo già, disse, il fischio rumoroso di grande pioggia”. Il cielo infatti si oscurò, le nubi turgide si aprirono e cadde una pioggia abbondantissima, che pose fine alla carestia e alla grande prova del Signore.

In questa nuvoletta, miei cari fratelli, è raffigurata Maria. Più volte il Santo Padre ci invitò ad invocarla, specialmente nei mesi di maggio e di ottobre; l’altr’anno volle consacrare il mondo intero al Cuore Immacolato di Maria nella fausta ricorrenza del venticinquesimo delle Apparizioni di Fatima. Anche il nostro amatissimo Vescovo spesso ci ha esortato a ricorrere a Maria: che questa solenne Novena rappresenti la settima preghiera del Profeta, dopo la quale il Signore, placato dalla materna intercessione di Maria, faccia spuntare l’arcobaleno della pace, dandoci insieme la grazia di vivere una vita veramente cristiana, religiosa, sacerdotale, mediante la quale soprattutto potremo utilmente ed efficacemente lavorare per il bene delle anime, fino a quando Egli ci concederà l’ultima delle grazie, quella di entrare al possesso dell’eterna gloria, scopo e premio del terrestre pellegrinaggio, nella celeste Gerusalemme, nella vera nostra patria, il santo Paradiso.

Pregate tanto per me che sempre vi ricordo e benedico.

P.S.

1) La Novena comincerà per noi venerdì 25 febbraio e terminerà il giorno 4 marzo, primo sabato del mese. Durante la Novena si reciteranno le seguenti preghiere: S. Rosario, Coroncina al Cuore Immacolato di Maria – Benedizione Eucaristica.

La funzione di chiusura (4 marzo) si farà al Santuario della Madonna di Campagna, col seguente orario: ore 7.30 Messa solenne e cantata con discorso e Comunione generale. Nella funzione serale, dopo il Rosario, canto del Miserere, preghiera di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del S. Padre Pio XII.

2) Penso sia cosa buona che molti si uniscano, almeno in spirito, a questa nostra solenne Novena, e perciò esorto a diffondere la notizia specialmente tra gli Istituti Religiosi. Il Signore accolga la nostre suppliche e le esaudisca.

* LETTERA XXXVI Maggio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano con noi sempre, ma specialmente in questo bel mese di maggio, dedicato tutto alla devozione verso la nostra cara Mamma dei Cielo, la Madonna. Ogni anno vi esorto a passarlo degnamente, per onorare nel miglior modo possibile Colei che nelle nostre “Cariche Perpetue”, come sapete, è costituita Patrona della Casa e dell’Opera; con maggior ragione mi sento spinto a farlo quest’anno che purtroppo segna il quinto maggio di guerra. Rovine e afflizioni, lutti e dolori d’ogni genere si sono andati moltiplicando nel mondo con un ritmo spaventoso, apocalittico, e da più mesi il turbine devastatore si è abbattuto anche sulla nostra Patria diletta.

E’ il Signore, o cari, che fortemente tutti ci chiama, ma purtroppo non si ascolta; sì, questa che io non chiamo guerra, ma che è un generale sconvolgimento, un immenso cozzo di errati principi e sistemi che hanno scardinato l’umanità, portandola fuori dagl’immutabili ed eterni principi dell’ordine, ha nel piano di Dio una finalità speciale, come l’ebbero il diluvio, l’incendio di Sodoma e Gomorra, le guerre e le pubbliche calamità mandate da Dio al popolo eletto. Non la si riguardi dunque come un fatto ordinario, no: essa segna un’ora tutta particolare del Signore, l’ora d’una grande sua chiamata per tutti, perché tutti abbiamo sbagliato, ma sopratutto per noi cristiani, per noi religiosi e sacerdoti. Purtroppo, lo dobbiamo umilmente riconoscere e confessare: troppo ci siamo allontanati dal santo Vangelo, dall’osservanza della divina Legge; N. S. Gesù Cristo è mutilato, velato, il suo vero volto divino non lo si riconosce più, e questo purtroppo, in gran parte almeno, per nostra colpa. Dobbiamo tutti ritornare al Vangelo, e al Vangelo pratico, vissuto. E per noi, miei cari ed amati fratelli, il Vangelo è come sintetizzato nel grande e granitico programma dell’Opera: “Cercate in primo Luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose”.

Il Vangelo non si smentisce mai: “Passeranno il cielo e la terra, ma la parola di Dio resta”; noi ne viviamo l’esperienza da oltre trentacinque anni, ed anche al presente ci commuove vedere come la Provvidenza viene in aiuto a chi in Essa confida e ad Essa s’abbandona.

Guardiamo di non dimeritare i benefici e le grazie del Signore, anzi intensifichiamo la nostra adesione alle massime, ai principi del S. Vangelo, siamo altrettanti Vangeli viventi, irradiando quella luce che viene dalle opere; viviamo una vita di fede, pensando che siamo qui di passaggio, che la presente vita non è fine a se stessa, ma preparazione alla vera vita nella beata eternità, e che a questa si deve tutto coordinare. Dio ci ha creati per un tratto di infinito amore, e ci ha collocati su questa terra, la quale pur essendo il luogo della prova ed esilio, è ricca di tanti doni, di tante cose belle e piacevoli, che devono servirci di scala, per salire fino a Dio, ma alle quali non dobbiamo fermarci, mettendo in esse il nostro cuore: esse sono fatte per l’uomo e l’uomo per il Signore: “Omnia propter hominem et homo propter Deum”.

Ma l’uomo quanto facilmente dimentica la nobiltà di sua origine, ed i suoi grandi destini! Egli vuole trovare il suo Paradiso quaggiù nell’assecondare le proprie passioni, si immerge quindi nel fango, si ribella a Dio, non ne vuol sapere della sua Legge, vuol essere libero di godere a suo talento la vita, dimenticando il monito evangelico: “Che cosa giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde la sua anima”?.

E così la terra si riempie di peccati, la vita non è più cristiana, ma pagana, il mondo non diviene altro se non che, come dice S. Giovanni: ” concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, superbia della vita”, così da giustificare il rifiuto da parte di Gesù di pregare per esso: “non pro mundo rogo”. Ecco il perché dei divini castighi; castighi che nascondono però sempre disegni di misericordia, come quando il Padre castiga il figliolo che ama; perché il signore vede che siamo fragili in conseguenza delle gravi ferite derivate a noi dal peccato originale, ed è sempre disposto al perdono. Ma per ottenere questo perdono importa che il peccato non sia eretto a sistema, ma non si cerchi di giustificarlo, che non si dica bene al male: ciò che purtroppo vediamo verificarsi al presente, e che provoca maggiormente contro di noi la divina Giustizia, rende impossibile il ravvedimento e impedisce il sincero ritorno a Dio.

Vi ricordate a questo proposito l’appello rivoltovi nel ’37, quando ancora si era in tempo di sviare l’uragano che minacciava? Vi diceva allora che dopo 19 secoli di Redenzione il mondo è ben lontano dall’averne approfittato; Gesù è venuto e viene fra noi, e noi sue creature non lo vogliamo riconoscere ed ascoltare; anzi si arriva a ripetere il grido satanico: “Non vogliamo che costui regni sopra di noi”. La vita si è sfalsata dal suo scopo, gli uomini oltraggiano sfrontatamente il divino Legislatore, si calpestano le sue leggi sapientissime, si dissacra il Matrimonio, si disgrega la famiglia, si defrauda l’operaio, si disprezza il povero, si profana il giorno del Signore, non si ascolta la parola di Dio, il Vangelo, il Catechismo; tanti cristiani credono che basti qualche pratica di culto; essi non sanno non pensano che il Vangelo deve informare tutta la vita, privata e pubblica, perché non vi sono due coscienze, e che altrimenti non si potrebbe accontentare lo sguardo del Signore che scruta i cuori: “Il Padre cerca adoratori che lo adorino in spirito e verità”.

Questo vi dicevo allora, questo sento di dovervi ripetere anche adesso, insistendo e ribadendo quegli stessi concetti.

Ma da chi, miei cari, verrà la luce? Forse non è detto a noi come agli Apostoli: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo?”. E allora, se il mondo è nelle tenebre, di chi è la colpa? Quante volte vi ho detto che noi dobbiamo essere come i macchinisti di un treno! Se i macchinisti compiono il loro dovere, tutti i viaggiatori sono al sicuro, il treno arriverà alla meta senza pericoli. Ma noi siamo veramente quali dobbiamo essere? Penso spesso che se tanti infedeli, buddisti, maomettani, desiderassero venire da noi per vedere come N. S. Gesù Cristo è da noi conosciuto, amato, imitato, ne resterebbero scandalizzati e sarebbero costretti a ripetere: stiamo meglio noi con le nostre credenze, con i nostri riti. Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Cominciamo dunque noi a vivere come vivevano i primi cristiani, che erano un cuor solo e un’anima sola, nello spirito di fraterna carità, in una comunanza di beni temporali, e di ideali spirituali, così che attiravano lo sguardo dei pagani, i quali dicevano: “Guardate come i cristiani si amano!” E a tali esempi si convertivano.

L’unione di carità, la mutua comprensione e indulgenza, l’aiuto scambievole, l’onestà, la disciplina, l’obbedienza, sono virtù oggi più che mai necessarie, mentre non solo santificano chi le pratica, ma costituiscono il migliore contributo che all’amata Patria ognuno di noi può e deve dare in quest’ora di umiliazione e di prova per essa.

Certo, questo non possiamo con le sole nostre forze, ma il Signore ci darà la sua grazia, e con questo aiuto tutto potremo.

Ben venga dunque il caro e santo mese di Maggio, mese di Maria, mese di grazie; ho tanta fiducia che la Madonna mossa a compassione finalmente di tante miserie, Lei che è la Madre della misericordia, ci ottenga prima di tutto la riforma della nostra vita, e poi la tanto sospirata pace.

Ricordate la solenne Novena che abbiamo fatto poco tempo fa in onore del suo Cuore Immacolato; vi dicevo allora che Maria è raffigurata nella nuvoletta vista dal Profeta Elia, che in brevissimo tempo ricoperse il cielo di nubi e diede alla terra riarsa da lunga siccità una pioggia ristoratrice, sovrabbondante; esprimevo ancora la speranza che quella nostra Novena rappresentasse quasi la settima preghiera del medesimo Profeta, dopo la quale il Signore, placato dalla materna intercessione di Maria, facesse spuntare l’arcobaleno della pace, dandoci insieme la grazia di vivere una vita veramente cristiana, religiosa, sacerdotale: ripeto in questa mia lettera il medesimo auspicio, e siccome nel Maggio avremo anche la festa della Pentecoste, a Maria ricorriamo per avere e meritare una più larga infusione delle grazie e dei doni dello Spirito Santo, come gli ha meritati agli Apostoli, in mezzo ai quali pregava nell’aspettazione del grande avvenimento.

Purtroppo poco è conosciuto lo Spirito Santo dal popolo cristiano, e forse se ne parla assai meno di quanto converrebbe. Pensiamo che se Gesù è il Capo della Chiesa, suo Corpo Mistico, lo Spirito Santo ne è come l’anima; ogni membro cui non giunge l’influsso vitale dell’anima, si dissecca e muore; ma per operare non basta vivere in qualche modo; occorre intensità di vita: questa vita e questa intensità è rigoglio di vita soprannaturale è frutto dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo, operò negli Apostoli quella mirabile trasformazione per cui poterono rendere gloriosa testimonianza a N. S. Gesù Cristo, giorno e notte faticando, e con gioia soffrendo per Lui fino a dare la vita in testimonianza della verità. Senza l’assistenza e la guida dello Spirito Santo, come la Chiesa avrebbe potuto resistere all’urto immane di persecuzioni e di lotte, superare vittoriosamente le forze del male, al di dentro e al di fuori satanicamente congiurate contro di essa? Ma appunto perché portata dal soffio dello Spirito Santo, questa mistica navicella, tra gli scogli e i marosi di un mare infido, veleggia sicura al porto dell’eternità beata. Ed anche per noi lo Spirito Santo è spirito di luce e di verità, spirito di grazia e di santità, spirito di carità, di amore e di pace, spirito di saggezza e di forza, di pietà e di gioia.

Sempre dovremo sentire il bisogno di ricorrere allo Spirito Santo, ma specialmente adesso, mentre sembrano giunti i tempi infelicissimi predetti da S. Paolo, nei quali “gli uomini abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine dei demoni”. Per questo desidero vivamente che in tutte le nostre Case si faccia con particolare impegno la Novena in preparazione della Pentecoste, aggiungendo il canto del Veni Creator alla recita del Rosario; come vedete, non vi prescrivo nessuna preghiera oltre quelle solite degli altri anni, ma lascio alla vostra devozione di aggiungere, se credete, altri esercizi di pietà, ad esempio la recita della corona dello Spirito Santo, di cui vi unisco copia; ma quello che vi raccomando sopratutto è che facciate questa Novena in unione con Maria SS.ma affinché preghi con noi e per noi, in quest’ora così grave per la Chiesa e per la povera umanità. Io parlo a voi miei cari ed amati fratelli, ma vorrei che questa mia povera parola di Sacerdote venisse accolta da altri, affinché moltiplicandosi le suppliche rivolte a Dio per mezzo di Maria SS. nostra Celeste Madre, più facilmente siamo ascoltati ed esauditi, pregando pure con noi e in noi “con gemiti inenarrabili” lo Spirito Santo.

Sopratutto invito ad unirsi nella nostra preghiera nella prossima Novena allo Spirito Santo le anime sacerdotali e religiose, i membri degli Istituti, che vivono sotto le ali della religione e della carità cristiana e tutte quelle anime, che, pur essendo nel mondo, battono la strada della perfezione evangelica.

Che al soffio irresistibile di questo Santo Spirito si rinnovi la faccia della terra, e si ottenga per la S. Chiesa una novella Pentecoste, per cui rifiorisca lo spirito cristiano, cessino gli odi, si ridesti la sopita carità cristiana, si rinsaldino i vincoli della vera fratellanza in Cristo, ritrovino gli erranti la via della verità e della giustizia, ritornino all’unica vera Chiesa coloro che se ne sono separati, affinché fin da questa terra, si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore, e tutti possiamo arrivare sicuramente al porto della eterna salvezza.

Pregate tanto per me, che vi porto nella mente e nel cuore, mentre con fraterno affetto vi benedico.

Ho pensato di raccogliere qui insieme unite alcune disposizioni che vi diedi in varie circostanze, affinché le possiate meglio osservare, avendole continuamente presenti.

1º Vi raccomando di non parlare di politica e tanto meno di appassionarvi di essa. La nostra è la politica del Vangelo e delle anime.

2º Nessuno ascolti la radio senza licenza del Superiore, che ne permetterà solo un uso quanto mai moderato e legittimo.

3º Ricordo la proibizione di fumare, di giocare le carte, di posare in gruppi fotografici ove entrino persone di altro sesso, sia pure in occasioni di prime Comunioni, Cresime, ecc.

4º Raccomando di usare con discrezione la bicicletta, sempre con dipendenza dal Superiore, e, per i sacerdoti, solo per ragioni di ministero.

5º Non si leggano romanzi, riviste, giornali, in Casa e fuori di Casa, senza il debito permesso.

6º Non si accettino inviti a pranzo, specialmente in occasione di matrimoni; nemmeno si entri in case private che non siano di stretti parenti, ed anche in questo caso col dovuto permesso.

7º Non si coltivino mondanamente i capelli; e per precisare meglio: a) si taglino alla stessa altezza davanti e di dietro; b) non si taglino di troppo più bassi alla nuca e alle tempia; c) non si faccia la riga nel mezzo; d) non si usino profumi; tutte queste cose sarebbero altrettanti fili di cui si servirebbe il diavolo per condurci fuori dalla Casa e farci perdere la grazia grande della vocazione religiosa.

In qualche caso particolare, verificandosi circostanze speciali, il Superiore potrà concedere in merito qualche dispensa.

* LETTERA XXXVII 2 luglio 1944

Festa della Visitazione

Premessa

La sera dell’8 settembre 1943, festa della Natività di Maria SS., dopo quattro anni di guerra europea, e più di tre di guerra dell’Italia, veniva comunicato per radio la notizia che il governo Italiano aveva conchiuso l’armistizio. Si temevano complicazioni con la Germania alleata, la quale continuava la guerra. La notte passò calma; al mattino seguente, verso le 9,30, la città cominciò a risuonare di sinistre sparatorie: i Tedeschi reagivano occupando le caserme e disarmando i soldati.

In considerazione di tali dolorosi provvedimenti e nella triste probabilità di ulteriori complicazioni, specialmente per il timore di danni e rovine alla nostra città di Verona, il venerato Padre, accogliendo nel suo cuore la trepidazione e l’angoscia dei concittadini tutti, prometteva alla Madonna, presenti testimoni della Casa, che, se per la festa dei Sette Dolori, quindici settembre, la cose prendessero una buona piega per la nostra città come anche per l’amata Patria, avrebbe fatto particolari atti di ossequio ad onore della Madonna, in ricordo dell’insigne beneficio.

Nel periodo di tempo assegnato non si verificò nessun fatto specifico; tuttavia, per grazia di Dio, le cose tendevano a normalizzarsi su un piede di occupazione militare abbastanza tollerabile, e nella nostra città non si ebbe a lamentare disordini gravi.

Quanto a noi riconosciamo di avere esperimentato una singolare protezione della Provvidenza; fummo infatti finora preservati da ogni danno per incursioni aeree, da qualsiasi occupazione di nostre case a scopo bellico, né ci venne mai meno il soccorso divino nei crescenti bisogni, sovente in maniera straordinaria. Per questo il Padre ritenne sempre dover attuare ugualmente le promesse fatte.

All’avvicinarsi della festa del Preziosissimo Sangue, verso il quale egli sente una speciale devozione, ed è convinto che un accrescimento di questa sia provvidenziale al fine della pacificazione del mondo, il Padre indisse per quel giorno 1 luglio una giornata Eucaristica e preghiere per propiziare la pace al mondo e giorni migliori alla diletta Patria.

Nell’occasione egli si sentì spinto a rinnovare e perfezionare con alcune modificazioni le promesse fatte l’ottobre scorso; in particolare espresse il desiderio che la festa del Preziosissimo Sangue sia celebrata nella nostra Congregazione con grande solennità, onde prestare, da parte nostra, il massimo culto al prezzo divino della Redenzione, e fosse il monumento di perenne riconoscenza a Dio. “habebitis hunc diem in monumentum, et celebrabitis eum solemnem Domino in generationibus vestris cultum sempiternum” (Exod. XII, 1).

Ciò premesso, ecco in quali termini si rinnova e si precisa la volontà del Padre:

“Io sottoscritto, in qualità di Padre e Custode dell’Opera e dinanzi al Signore, sentendomi quasi rappresentante dei cari concittadini: se la divina Provvidenza ci preserverà, come finora, dai danni di incursioni aeree, eventuali occupazioni a scopo bellico, così pure se preserverà i nostri religiosi da ogni male, ed inoltre se all’amata nostra Patria e particolarmente alla nostra Verona saranno risparmiate ulteriori tristi vicende, ho promesso, e di nuovo solennemente prometto quanto segue:

1) Faremo mettere a posto e adornare convenientemente a S. Zeno in Monte la grotta dell’Immacolata e le sue adiacenze compreso l’accesso decoroso alla Croce della Redenzione.

2) Faremo quanto prima un conveniente assetto di abbellimento al caseggiato, così da renderlo quasi monumento di gratitudine alla divina Provvidenza, che richiami i cittadini al ricordo di Dio e delle grazie ricevute in questo momento.

3) Ogni primo sabato del mese sarà dedicato al Cuore Immacolato di Maria, ed in ogni nostra famiglia religiosa si farà qualche pia pratica in suo onore.

4) Ogni anno, per celebrare l’anniversario del felice raggiungimento della pace, in ricordo o in ringraziamento dei divini benefici, e per rendersi sempre propizia la divina Misericordia, il primo luglio festa del Preziosissimo Sangue, sarà per la nostra Congregazione giorno festivo da celebrarsi con grande solennità.

Insieme la Congregazione procurerà, secondo le circostanze, di farsi promotrice di questa devozione.

5) Una lapide ricorderà ai posteri la grazie ricevute.

* LETTERA XXXVIII 25 luglio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Qui come sempre ai piedi del mio Crocefisso, mi sento spinto a rivolgervi la mia povera parola, quale mi nasce spontanea nel cuore; e la mia parola questa volta vuol essere come il riassunto di quelle che vi ho scritto durante i lunghi anni di questa guerra, se guerra si può chiamare, perché, per conto mio, come sempre vi ho detto fin da principio, non è guerra, ma una continua insistente chiamata di Dio per tutta l’umanità, che tanto ha deviato dalla divina legge, ma in modo speciale per noi sacerdoti, religiosi, e cristiani tutti, perché a noi sopratutto incombe l’obbligo di essere luce e sale della terra.

Come ricorderete vi ho scritto che bisogna tornare al santo Vangelo pratico, alla vita cristiana nel pieno senso della parola; ciascuna famiglia religiosa deve essere un fermento di nuova vita, un faro di luce divina. Ma per dare, bisogna prima avere; per insegnare, bisogna prima praticare. Io voglio sperare che la grande misericordia del Signore ci conceda presto, per intercessione della divina Madre Immacolata, la tanto sospirata pace.

Quella nuvoletta, già vista dal Profeta Elia, che fu apportatrice di benefica pioggia, e che è bella immagine della cara Madonna, speriamo apparisca presto all’orizzonte di questo povero mondo sconvolto; ma, ad affrettare quel fortunato momento, noi dobbiamo cooperare con la nostra preghiera fervente e perseverante, e più ancora con un serio ritorno a Dio mediante l’osservanza fedele della sua Legge, mediante il generoso adempimento di tutti i nostri doveri.

Si pensa, miei cari fratelli, a ricostruire i monumenti, le chiese e le case abbattute dalla guerra; si pensa a rinnovare la vita civile; e va bene. Ma, o miei cari, è assolutamente necessario che anche noi ripariamo i disordini della nostra vita, intraprendiamo a ricostruire il santuario del nostro cuore, l’edificio della nostra santificazione. Guai se, dopo terminato, per sola misericordia di Dio, questo immane flagello, noi ritornassimo a vivere come prima! Mi parrebbe di vedere piangere la Madonna e tutta la Corte Celeste; e non so dove si andrebbe a finire, perché si preparerebbe un altro castigo peggiore di questo.

Dunque, cari ed amati fratelli, mano all’opera; prima per noi e per la nostra santificazione, e poi per la santificazione del prossimo. Che la nostra Casa sia veramente come la vuole Gesù che l’ha fondata. Vi raccomando di conservare e alimentare lo spirito puro e genuino impresso dal Signore fino da principio; spirito di umiltà e di nascondimento, lontani dalle protezioni umane, sempre intesi alla ricerca del regno di Dio, interamente affidati alla divina Provvidenza. Allora sì potremo pensare anche agli altri, e adoperarci con la parola e con l’esempio affinché venga rimessa in pratica l’osservanza della divina legge.

Vi ho detto che io distinguo sempre i mali inerenti alla fragilità della natura e i mali di sistema. Per le miserie che accompagnano la nostra povera vita il Signore ci ha dato i mezzi a liberarcene: i santi Sacramenti, la sua parola, l’insegnamento e la guida della Chiesa. Se noi approfittiamo come si deve di questi mezzi di salute, per diventare migliori, saremo veri discepoli di Gesù Cristo, e così irradieremo intorno a noi quella luce cristiana che attirerà molti a seguire il nostro esempio.

Ma quanto ai mali di sistema, questi no, no! Dobbiamo fare di tutto per toglierli dal mondo per evitare che vi ritornino. Oggi purtroppo si offende il Signore a viso aperto, senza nessun ritegno, nei costumi, nel modo di vivere privato e pubblico, nel modo di pensare e di ragionare, contro le più elementari leggi del Signore e della ragione.

Il peccato oggi non è più peccato, viene giustificato; quindi nessun pentimento, nessun impegno a cambiar vita. Questo, o cari, deve cessare. Ma io mi domando: se per grazia del Signore terminasse questa guerra, come mi comporterei indi innanzi? Come prima? Con quella freddezza, con quella trascuratezza della mia santificazione, con quella indifferenza all’interessi del Regno di Dio? con quella poca o niuna fede nelle mie opere e nelle mie intenzioni?

Che grande sventura sarebbe mai questa! Cerchiamo di esaminarci bene, e di fare dei seri propositi di cambiar vita, di vivere proprio da veri religiosi, da veri cristiani.

E qui discendiamo alla pratica, al concreto, anche perché dobbiamo, poi, inculcare al prossimo le stesse cose, specialmente noi come sacerdoti, nell’esercizio del sacro ministero. La Casa, tutta la nostra famiglia religiosa, deve tenersi pronta ai cenni del Signore, allorquando gli piaccia di adoperarci per il bene della società, perché, come tante volte vi ho detto, nei disegni della Provvidenza, la nostra Opera credo proprio abbia una speciale relazione con l’attuale momento dell’umanità e dobbiamo quindi essere strumenti docili in mano del Signore.

Pratichiamo noi, e più perfettamente che ci è possibile, quello che raccomandiamo agli altri.

Vivere in grazia di Dio: quanti dei cristiani si prendono pensiero di questo dovere e di questo interesse personale? Quanti purtroppo passano le settimane, i mesi, e, Dio non voglia, gli anni nel peccato mortale, sempre nella disgrazia del Signore, sempre in percolo di precipitare nell’eterna disgrazia dell’inferno! Non si pensa alla fortuna di un’anima in grazia di Dio; non si pensa alle parole di Gesù Cristo: “che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?” Guardiamo di apprezzare noi per primi questa fortuna; e procuriamo di evitare tutti i peccati, anche i piccoli, perché raffreddano in noi la carità e preparano le cadute nei maggiori; e poi anche perché le nostre mancanze, per quanto possono parere leggere, sono spesso di grave scandalo ai laici, e gettano il discredito sulla nostra opera di bene. Cerchiamo la perfezione, se vogliamo poter ottenere dagli altri questo ritorno alla vita costante in grazia di Dio.

Santificate la festa, giorno del Signore: si è andato estendendo in maniera spaventosa l’uso di profanare il giorno del Signore; si lavora come negli altri giorni, senza ritegno e senza scrupolo, per motivi da nulla, se non proprio per dispetto alla santa legge di Dio. La maggior parte dei cristiani non va più nemmeno alla Messa festiva, e pochissimi sono quelli che intervengono al catechismo. Come è possibile che il Signore ci benedica e ci aiuti mentre si manca a questo sacrosanto dovere?

E noi, quale stima portiamo alla Messa, alla parola di Dio, alle sante Funzioni? Bisogna insistere su questo punto presso il popolo cristiano; ma guardiamo noi di precedere con l’esempio.

La pubblica onestà deve essere rimessa in onore; una moda procace, nelle donne e negli uomini, fa sfoggio nelle nostre contrade e provoca i castighi tremendi del Signore; la gioventù è insidiata da ogni parte, e invece di trovare incitamento alla virtù, riceve continui incitamenti al male, al vizio.

Quale uomo di senno direbbe, passando per le nostre strade, che qui siamo in paesi cristiani? La ragione stessa condanna questo modo di vivere e di vestire, che è un oltraggio al pudore istintivo, e una scuola di immoralità.

Combattiamo a tutto potere questo spirito del male; e noi stessi guardiamo di risplendere per una modestia veramente cristiana e religiosa, che sia una tacita lezione a chi manca, e un invito a serietà di portamento. Stiamo attenti alle piccole infrazioni della modestia, in noi e nei nostri di casa; quanti genitori che si credono cristiani, praticano la chiesa e i sacramenti, hanno poi una deplorevole larghezza di vedute su questo punto, e vestono i loro bambini malamente, con il pretesto della loro ingenuità! e non capiscono che intanto fanno loro perdere il senso del pudore, e li avviano alla rovina. Facciamo opera di persuasione con questi nostri fratelli; siamo ligi agli insegnamenti dell’esperienza, alle prescrizioni della Chiesa.

E noi stessi cerchiamo di evitare tutto quello che disdice alla modestia sacerdotale e religiosa, tutte quelle mondanità nel vestito e nella attillatura, che denotano un carattere leggero, che, dopo aver rinunciato al mondo e alle sue pompe, si fa schiavo, sia pure in cose piccole, di quella moda che tanta strage mena tra le persone del mondo.

Santità della famiglia: è qui dove il diavolo ha portato i danni più gravi, dissacrando il matrimonio, disseccando le sorgenti della vita, riducendo il “grande Sacramento” ad un affare economico, o peggio, al solo accontentamento delle passioni. Come si è lontani dalla sante disposizioni del giovane Tobia, che alla vigilia delle nozze così pregava il Signore: “Tu lo sai, o Signore che io non per passione, ma per il solo desiderio di una discendenza nella quale si benedica il Tuo nome nei secoli dei secoli, prendo in moglie questa giovane”. Invece come si preparano i nostri giovani al Matrimonio? Quale spaventosa leggerezza! Come si comportano i genitori stessi nei santi e ammirabili doveri matrimoniali? Quanti peccati, quanti delitti da parte di molti, di troppi! Il malcostume si va diffondendo sempre più largamente, compiendo nell’ombra del santuario domestico i più iniqui attentati alla vita, che, se sfuggono alla giustizia umana, non possono non provocare tanto più rigorosamente quella divina!

Occorre lavorare alla santificazione della famiglia; insistere sul valore spirituale e materiale della vita umana, sulla nobiltà del Matrimonio, e allora faremo opera efficace per la ricostruzione.

La fede: in quanti cristiani è inerte! Si direbbe anzi che è morta addirittura! Quanti sono che si regolano secondo i dettami della fede? Si guarda alle cose con occhio umano, senza mai assurgere alla visione di Dio e della sua ineffabile Provvidenza Paterna. Quale differenza fra la vita dei cristiani e quella dei pagani? Quale differenza fra il loro modo di ragionare e quello dei pagani? Nessuna differenza! Credono in Dio, ma poi vivono in tutto dimentichi di Lui. Credono in Gesù Cristo, ma non si interessano del suo Vangelo e dei suoi insegnamenti. Guardano alla Chiesa come ad una società qualunque, e non alla divina società che Gesù Cristo ha fondato per la salvezza delle anime; nel Papa non vedono se non un gran personaggio, benemerito sì della carità, sapiente più di tanti altri; ma niente più: non ci vedono il carattere sacro e soprannaturale di Vicario di Cristo, di Maestro dei fedeli, al quale Cristo ha dato poteri divini supremi nella Chiesa. Nei Vescovi, quanti Cristiani non vedono se non l’elemento umano, e dimenticano quello che la fede ci mostra in essi: i successori degli Apostoli, messi da Dio a reggere e governare le varie Chiese. E si arriva a criticare, a condannare quello che il Papa e i Vescovi dicono e insegnano a nome di Cristo! Si arriva fino ad insegnare loro quello che devono dire e fare, capovolgendo le posizioni stabilite da Cristo.

Povera fede illanguidita, moribonda, se non morta del tutto! E nella vita, negli affari, nel lavoro, dovrebbe pur risplendere la fede; la fede dovrebbe essere la norma di ogni nostra operazione; invece, che cosa dobbiamo costatare? Che non si vive di fede, che si è schiavi della terra, della materia, dell’interesse; il capitale della fede resta immobilizzato, o tutt’al più si adopera soltanto in rare occasioni, quando si va in chiesa, si assiste ad una funzione, si mormora qualche preghiera. Troppo poco.

Noi, sacerdoti e religiosi abbiamo nulla a rimproverarci a questo riguardo? E’ troppo facile che anche noi siamo presi dall’andazzo del mondo, dall’abitudine, e non viviamo lo spirito della fede. Come allora potremmo lavorare a ravvivare nei cristiani questa luce divina?

Mettiamoci una mano sul cuore, esaminiamoci e rimediamo subito a quanto vi fosse di manchevole.

La bestemmia: orribile retaggio dei nostri tempi! Linguaggio che disonora anche dal lato semplicemente umano; ma più che tutto, linguaggio che provoca i più tremendi castighi di Dio offeso. Piange il cuore a sentire come dilaga l’orribile vizio; con grave scandalo dei giovani che imparano dai vecchi a offendere Dio invece di imparare ad amarlo e lodarlo! Quale responsabilità tremenda! Fratelli, preghiamo per costoro, che si ravvedano, preghiamo per i genitori che mai arrivino a rovinare così i loro figli.

Preghiamo; ma anche lavoriamo a sradicare il vizio; noi stessi teniamo un linguaggio purissimo e castigato; non permettiamoci mai e poi mai certe parole volgari, certi modi triviali, che se non sono peccato forse nemmeno veniale, pure aprono la strada a cose peggiori; “certe sciocchezze e banalità – dice S. Bernardo – che rimangono tali in bocca dei mondani, sono bestemmie sulle lebbra sacerdotali e religiose”.

La preghiera: causa ed effetto dell’allontanamento da Dio e dalla sua legge è la mancanza di preghiera. Il cristiano dovrebbe essere l’uomo dell’orazione; oggi, invece, che cosa dobbiamo dire? che il cristiano non fa orazione; quanti sono che al mattino si inginocchiano a pregare il Signore con le belle formule insegnateci da Cristo, dalla Chiesa? Quanti si inginocchiano alla sera a ringraziare il Signore per le grazie ricevute?

Quanti di quei pochi che vanno a Messa alla festa, pregano durante il divin Sacrificio?

Non si prega; è doloroso costatarlo. Non si prega in privato, meno ancora si prega in pubblico; la società, la Nazione lo Stato, la famiglia umana hanno dimenticato la preghiera.

Tutto si aspetta dagli uomini; e anche nei momenti critici, come nel nostro, raramente si sente un invito ufficiale a ricorrere a Dio; quale meraviglia se Iddio differisce il soccorso? Oh se si pregasse! se i popoli ricorressero alla preghiera, quante sventure sarebbero evitate, quanta misericordia e aiuto opportuno si otterrebbe!

Cominciamo noi, miei cari fratelli, a stimare la preghiera, a usarla con intensa pietà e amor verso Dio. Per la preghiera di Mosè quante volte il Signore risparmiò l’intero popolo eletto! Mostriamo di avere assoluta fiducia nell’orazione, pur rimettendoci, quanto all’effetto della preghiera, con figliale abbandono alla volontà di Chi ci è Padre. Preghiamo per noi, preghiamo per tutti, per l’amata Patria, per il mondo.

La carità: questa virtù, compendio e caratteristica della Religione, come si è raffreddata durante la guerra! Non spendo parole per rilevare le rovine portate dalla discordia, dall’odio fraterno, dalle invidie, sia in privato come nella vita civile odierna. Quanto sangue è corso per la mancanza della carità!

La guerra ha portato a sistema l’odio e se ne è fatto un bisogno e un mezzo per sostenere la lotta. Orrendi attentati si sono consumati a sangue freddo, contro i più elementari insegnamenti della fede e della ragione, dimenticando l’ordine perentorio: “Non uccidere”.

La ricostruzione del povero mondo non può avverarsi che nello spirito della carità di Cristo. E noi dobbiamo essere gli araldi della carità; ma come lo saremo in mezzo ai fratelli, se prima noi stessi non siamo rivestitisi di questa divina livrea, infiammati di questo fuoco sacro dell’amore? Oh quale responsabilità ci addossiamo con le mancanze alla carità fraterna! Con quelle inimicizie, con quelle gelosie, con quelle invidiuzze che tante volte deturpano la nostra condotta, le nostre relazioni col prossimo, le nostre famiglie religiose e sacerdotali…

Stiamo attenti, stiamo molto attenti, perché molto troveremo da riformare su questo punto. Le piccole discordie fra sacerdoti e fra religiosi paralizzano la nostra opera di zelo e rendono sterile la nostra fiducia.

Dove c’è la carità, c’è Iddio; per conseguenza dove non c’è carità non c’è Iddio: e, senza il Signore, cosa possiamo fare?

Buon esempio: è una forma speciale della carità; esso vale assai più delle parole; che cosa importa predicare se le nostra vita è contraria a quello che insegniamo? Ma soprattutto, con le lacrime agli occhi, vi raccomando e vi scongiuro: non date mai e poi mai cattivo esempio! Mio Dio quale responsabilità! Ricordate la grande condanna del divin Redentore: “è impossibile che nel mondo non avvengano degli scandali; ma guai a colui per colpa del quale viene lo scandalo! Sarebbe meglio per lui che si legasse una macina al collo e si gettasse nel fondo del mare!” Si sa che molti figli nascono difettosi per causa dei peccati dei genitori; fu questo il recente accorato e materno richiamo della Madonna stessa.

Penso che altrettanto si può dire di noi nel campo spirituale; quante anime vacillanti nella fede, deboli nella resistenza e nella lotta contro le passioni, restano scandalizzate e vivono scostumate a motivo di esempi non buoni da parte di coloro che avrebbero dovuto tener loro il posto di padri e di madri spirituali! Mettiamoci una mano sul cuore; con timore e tremore operiamo la nostra salute, diamo a tutti l’esempio buono che li muova all’osservanza della divina legge, alla pratica del Vangelo.

La carità dunque! Ve la raccomando tanto e poi tanto. Conservate la carità a costo di qualunque sacrificio, se volete che il Signore vi adoperi per i suoi alti disegni di misericordia.

Gli Apostoli, i primi cristiani, hanno iniziato la conquista del mondo armati di questa santa carità di Cristo; nei nostri tempi, la riconquista del mondo al santo Vangelo non può farsi in altra maniera. Dunque, mano all’opera e subito.

La carità; ecco la parola che metto a chiusura di questa mia paterna esortazione e come compendio di quanto vi ho raccomandato.

Termino col domandare a voi, cari ed amati fratelli, la carità di pregare tanto per me, affinché io per il primo pratichi quello che nel nome del Signore vi ho detto in questa mia lettera.

Tutti uniti nella carità di Nostro Signore, lavoriamo alla gloria di Dio, al bene delle anime, secondo lo spirito genuino della nostra Opera; per ritrovarci poi uniti nella vera nostra Patria, nel santo Paradiso. La vita presente passa presto, guai se non salviamo l’anima! Santifichiamo noi stessi nello spirito della santa vocazione: metteremo in sicuro l’anima nostra e ci renderemo degni di cooperare alla salvezza dei nostri fratelli.

Con grande effusione di affetto paterno vi benedico tutti e ciascuno, augurandovi e invocandovi la grazia di essere tutti all’altezza della nostra santa vocazione, per essere strumenti degni in mano della Provvidenza, per la rinascita cristiana del mondo, così rovinato appunto perché ha disprezzato e non ha osservato la santa legge di Dio.

* LETTERA XXXIX 29 settembre 1944

Miei cari fratelli in Gesù Cristo

Questa mia povera, ma sincera parola che parte dal mio cuore di Padre, vorrei che fosse come il mio ultimo testamento, l’ultimo ricordo che io vi lascio, prima di tutto per la vostra personale santificazione, e poi perché quest’Opera, che si dice dei Poveri Servi, viva sempre come vuole Gesù benedetto che l’ha fondata, portando attraverso il mondo la luce e la pratica del santo Vangelo, compiendo così tutti quei divini disegni al cui compimento è destinata e ordinata. Disegni, come io vi ho detto altre volte, propri dei tempi attuali, ma che noi non potremo compiere, se non vivendo sempre con lo spirito puro e genuino dell’Opera, che deve essere quello del S. Vangelo, degli Apostoli e dei primi cristiani.

Miei cari fratelli, il male dell’ora presente è male senza nome: Satana ha messo in esecuzione, per mezzo dei suoi ausiliari, tutte le ultime riserve dell’inferno, per fare, se fosse possibile, che l’uomo non sia fatto per Iddio, per la vita futura, negando il Cristo, la sua divina dottrina; cari fratelli, il male è grave, ma, ricordiamolo bene, è inutile deplorarlo, imprecare e imputare a questo o a quello la cagione di tanta rovina, senza prima mettere una mano sul nostro cuore e vedere come viviamo, se lo spirito puro e genuino dell’Opera è nei nostri polmoni, ossia se la nostra è vita proprio di veri religiosi, di veri Poveri Servi, e se per somma disgrazia non fosse così, subito mano all’opera, cominciamo subito la nostra personale riforma.

Si è troppo discusso, si è troppo parlato, ma si è poco praticato; i libri, la scienza, le questioni, le prediche, le conferenze, sono tutte belle cose, buone cose, ma se non sono accompagnate dal buon esempio, dalla vita santa da veri religiosi, non valgono nulla, proprio nulla; conclusione: mano all’opera, santifichiamoci prima noi, modellando la nostra vita su nostro Signor Gesù Cristo, sugli Apostoli e su i primi cristiani. E’ inutile, lo dobbiamo dire un po’ tutti, abbiamo deviato, abbiamo cambiato strada, bisogna subito ritornare indietro, perché tra la teoria e la pratica di tanti c’è un’abisso.

L’Opera dei Poveri Servi, della quale io non sono altro che un povero Casante, messo qui dalla Provvidenza per manifestare la bontà e misericordia del Signore, ho sempre detto che non so quando, come, ma che la Provvidenza la vuole usare per l’ora attuale, compiendo nuovi e grandi disegni. Dio mio, quale grazia, ma insieme quale responsabilità, che grande rendiconto alla sera della nostra vita, se per somma sventura il divin Giudice non ci trova come ci doveva trovare! Fratelli, viviamo, con la grazia di Dio, lo spirito puro dell’Opera dei Poveri Servi, che consiste nell’essere Vangeli viventi, staccati dalle cose terrene, convinti del nostro nulla, e che tutto quello che abbiamo è dono di Dio.

Dobbiamo vivere abbandonati nelle braccia della divina Provvidenza, con questo solo pensiero: anime, solo le anime, tutte le anime, perché queste vadano, assieme a noi, a Dio. La nostra Opera è grande quanto è piccola, è ricca quanto è povera, ha di certo la protezione particolare di Dio, quando noi non cerchiamo protezioni umane, e solo riceviamo quelle che la Provvidenza ci manda, e queste con grande riconoscenza.

Io non mi preoccupo di avere molti religiosi, molti Sacerdoti: pochi, ma con lo spirito dell’Opera; i pochi formeranno i molti.

Datemi, diceva S. Filippo Neri, dieci preti santi ed io vi convertirò il mondo. Un religioso solo, un sacerdote secondo lo spirito vale per cento; e perciò temo che la quantità non abbia a portare gli inconvenienti soliti a verificarsi là dove c’è il gran numero ma difetta la santità.

L’umanità, la povera umanità, con tutta la sua scienza, il suo progresso, i suoi uomini dalle grandi vedute terrene, come è ridotta! Tutti lo vediamo, lo costatiamo, in pieno secolo di civiltà ha fatto completo fallimento, e perché? Perché si è scostata da Dio e dal Suo Cristo, ha confidato in se abbandonando la divina Legge, e forse, e anche senza forse, perché non ha trovato in parecchi di noi, religiosi e sacerdoti, quella luce necessaria per essere illuminata, non ha trovato quei dotti e santi condottieri che la dovevano guidare sul retto sentiero, con la vita santa e con l’esempio. Fratelli cari, ricordiamo bene, ci vogliono fatti, non parole, essere prima noi compresi di quello che insegniamo e che vogliamo sia praticato, ma per essere così, per avere questo spirito è assolutamente necessario domandarlo al Signore, e come? Prima di tutto con la preghiera, con la vita interiore, con la piena osservanza delle nostre sante Regole, cominciando dalla più grande fino alla più piccola. Ricordatevi che il Signore, specie in questa sua Opera, ha versato torrenti di grazie e di doni, propri per il nostro spirito; sta a noi il cooperare.

E qui adesso, in questo momento, nel segreto del nostro cuore, domandiamoci: come ho capito queste verità per noi fondamentali? Sono stato un Povero Servo nel pieno senso della parola? La mia vita ha corrisposto, corrisponde a quello che io dico, insegno ed esigo da altri? Pratico per primo io stesso quello che sento e che voglio negli altri? Sono proprio convinto che da me io sono zero e miseria, ma che unito al Signore e respirando il suo spirito, farò dei veri miracoli? Fratelli, il Signore vuole, domanda strumenti umili, docili, malleabili, per compiere la santificazione delle anime nostre prima di tutto, e poi i grandi e nuovi disegni dell’ora attuale; disegni di totale rinnovellamento, di una vita veramente cristiana; e questo non può essere se noi non siamo luce, sale. Guardate che il mondo, i cattivi stessi, tutti ci guardano, e da noi domandano, esigono, e per questo noi dobbiamo essere sempre in primo piano.

Mi ha fatto impressione una parola che disse ad un nostro Confratello uno senza fede e religione, ma che in cuor suo aveva stima di noi e dell’Opera; egli uscì in questa frase: “Ma voi siete dei santi!” Dio mio, che lezione, guai se non corrispondiamo!

Fratelli cari, noi siamo in quest’Arca Santa che è la Congregazione dei Poveri Servi; non a caso il Signore ci ha messo sul monte; tutti, buoni e cattivi, alzano lo sguardo a noi, e specialmente in certi momenti difficili; per amore di Dio, che il Signore per colpa nostra non oscuri, non spenga questa luce, non muti questo celeste e divino colore!

Fratelli, ancora una volta una mano sul cuore e domandiamoci: come vivo? Ho lo spirito puro di quest’Opera? Tutto sacrifico perché quest’albero stenda i suoi rami “usque ad finem terrae”? E li stenderà veramente, e l’Opera sarà come un faro che illuminerà il mondo, come una fonte alla quale tutti verranno a bere, se noi staremo fermi al nostro posto, nel cercare solo e sempre il santo Regno di Dio e la sua giustizia.

Fratelli torno a ripetervi: l’Opera dei Poveri Servi fu suscitata in questi tempi così oscuri perché la misericordia del Signore ancora una volta ci chiama al suo amore; e come chiama noi, così chiama tanti anche dei nostri fratelli che per un insieme di circostanze, non del tutto imputabili a loro, ma piuttosto ai loro padri, vivono fuori dalla vera Chiesa; sono anch’essi pecorelle dell’ovile di Cristo, ed egli, Pastore delle anime li chiama, nell’ansia divina che si avveri quella sua preghiera: “ut unum sint”. Ma questo, o cari, ricordiamolo bene, in gran parte dipende da noi; il Signore ci vuole adoperare, e ci adopererà se noi siamo veramente come Lui ci vuole, cooperando con Lui affinché nel mondo si stabilisca il suo santo Regno, nella giustizia, nella carità, nella pace, nella santità.

Mio Dio, quale grazia, quale privilegio, ma quale responsabilità se noi, che dobbiamo essere luce, sale, vita, condottieri d’anime, facessimo il contrario! Deh, per amore di Dio, facciamo in questo momento un’esame pratico, rinnoviamo i nostri propositi di vivere e morire con lo spirito puro e genuino dell’Opera; non guardiamo ad altro, ad altri, ma a noi, all’Opera di Dio, per essere vita e fari per noi, per la povera umanità.

Che il Signore, per intercessione della cara Madonna, ci sia fonte di grazie per perseverare in queste sante disposizioni e corrispondere alla nostra grande vocazione.

Fratelli, pregate, pregate tanto per me; siate apostoli, siate santamente contagiosi, la vostra vita vissuta da veri Poveri Servi affretti il compimento dei divini disegni, e beati voi nel tempo, ma più beati nella eternità!

Vi benedico paternamente.

* LETTERA XL Festa delle Palme 25 marzo 1945

Miei carissimi fratelli

La grazia, la pace del Signore siano sempre con noi.

In questo momento così grave e critico della storia umana, sento nel mio cuore di cristiano e di Sacerdote un impulso così forte e veemente di rivolgervi la mia povera parola che non posso resistervi. E questa parola che dico a voi, la dico a tutti i miei cari fratelli in Gesù Cristo; e Dio volesse che questa mia parola, che non per mio merito, ma per la sola divina misericordia è parola stessa di Dio, fosse intesa e ascoltata da tutto il mondo!

L’ora continuamente si aggrava sulla povera umanità; e gli uomini che l’anno provocata non la possono fermare, se non c’è un intervento speciale di Dio, Padre nostro che è nei cieli; questo intervento, questo miracolo verrà di certo, ve lo dico con la massima fiducia, se noi cristiani, e, lasciate che lo dica, se noi sacerdoti e religiosi, tutti uniti, un cuor solo ed un’anima sola, faremo una esatta revisione della nostra vita per vedere se è conforme alla nostra professione, al nostro carattere di cristiani e di sacerdoti. Che se non la troviamo conforme alla santa Legge di Dio e al santo Vangelo, subito, nella polvere e nelle lacrime, umiliamoci, facciamo penitenza e formiamo seri propositi di vivere d’ora in avanti secondo la nostra dignità di uomini e di cristiani, secondo la legge di Dio, non solo a parole, ma a fatti.

Fratelli, Iddio ci chiama, continuamente ci chiama. Quando vedo e sento questi ordigni di guerra, seminatori di stragi e di morte, mi par di sentire la voce di Dio Creatore gridarci: Basta, basta, basta peccati! Vita veramente cristiana nel pieno senso della parola!

Miei cari fratelli, fra la teoria e la pratica del cristianesimo vi è un abisso. Dopo venti secoli di cristianesimo, di Vangelo, dopo innumerevoli grazie del signore, tanti e tanti cristiani come vivono? Da pagani, e peggio dei pagani; e con la loro vita sregolata, con la loro condotta contraria alle massime del Vangelo, richiamano continuamente nuovi castighi sul mondo: castighi che pure sono sempre di misericordia, perché il Signore, nel permetterli, vuole da parte sua che servano alla nostra salvezza eterna. Ci castiga di qua per salvarci di là.

Fratelli, ve lo dico e ripeto ancora: questa è l’ora di Dio, nella quale Egli vuole compiere un disegno di specialissima misericordia, nonostante la cattiveria degli uomini…

La guerra, se guerra si può dire questa, lo sconvolgimento mondiale che l’accompagna, il rimescolio di uomini e di cose, prelude nella mente di Dio, a un nuovo ordinamento su basi più solide che non siano state quelle volute dagli uomini. Ma il Signore, che potrebbe fare tutto da solo, si compiace di servirsi delle cause seconde, di noi sue creature; sta a noi, dunque, collaborare al compimento di questi disegni della sua Provvidenza per il bene e la rinascita dell’umanità. Come saremo noi strumenti della sua Provvidenza? Col viver bene, da veri e sinceri cristiani. Mano subito ai rimedi, mettiamoci sul serio, ciascuno nel proprio stato, a vivere così.

Genitori cristiani, siate all’altezza della vostra missione: pensate che siete collaboratori di Dio nella grande opera della creazione; per mezzo vostro Iddio trae dal nulla nuove creature, destinate ad essere suoi figli.

Le vostre famiglie siano sempre il campo del Signore, giardino dove crescono fiori olezzanti, frutti ubertosi. Fiori e frutti del S. Matrimonio sono i figli; quanta cura non spende l’agricoltore, il giardiniere per le sue piante! Quanta cura dovete spendere voi, e più ancora, per le pianticelle che vi affida il Signore! Anime destinate alla santità, al Paradiso, figli destinati ad essere anche loro, a suo tempo, genitori e capi famiglia. Vedano in voi, sempre, fin dai primi anni, l’esempio eloquente di una vita veramente e sentitamente cristiana. Ricordate la parola di Dio nella S. Scrittura: “il giovanetto seguirà sempre, anche negli anni inoltrati, la via che imparò da piccino”. Date ai figli il tesoro della educazione cristiana, prima di tutto col vostro esempio, oltre che mediante la parola.

Procurate loro l’istruzione religiosa; non dite: “andate al Catechismo”, ma voi stessi conduceteli al Catechismo; fate vedere che voi per primi apprezzate l’istruzione religiosa. E poi, in casa, nel santuario domestico, vedano la pratica franca e costante di quello che imparano, la pratica della santa Legge di Dio. Vedano posto in onore Iddio e la Religione; troneggi in casa il Crocefisso, il quadro della Madonna: quante case di cristiani si direbbero case di pagani, mentre non c’è in esse un’orma di religione, oppure è relegata in un angolo segreto, quasi una cosa tollerata, e che non si vuol fare apparire, mentre purtroppo io ho veduto in case cristiane quadri indecenti e stampe sataniche!

Madri cristiane sorvegliate le vostre figliole, fin dai primi anni, perché il demonio nemico di Dio e delle anime, non ve le contamini con la sua bava velenosa.

Le vostre figliole devono in un domani, diventare madri anch’esse; quali madri diventeranno, se voi non date loro oggi l’esempio della vera madre cristiana? Quali famiglie potremo sperare, se oggi sciupano il bell’ornamento che devono portarvi, la purezza dei costumi? State attente alle loro compagnie; tenetele lontane dai luoghi pericolosi, dalle occasioni del peccato, dai divertimenti peccaminosi; vegliate sui libri e sui giornali che leggono, sui discorsi che tengono. Costa fatica questo lavoro di vigilanza: lo comprendo; ma si tratta di interessi della massima importanza, come è evidente. E voi ne avrete consolazione in vita, e merito grande per il Paradiso.

Genitori, abbiate cura particolarissima del fidanzamento dei vostri figli. Il fidanzamento dovrebbe essere tempo di santa preparazione al grande Sacramento; e invece, per quanti e quanti esso è tempo di peccato!

Ricordate che il matrimonio è un Sacramento divino; vedete? io sono Sacerdote per virtù dell’Ordine sacro; gli Sposi sono tali in virtù di un altro Sacramento! Quale preparazione ci vuole per formare un Sacerdote! Si tratta di formare un ministro di Dio, collaboratore di Cristo nel salvare le anime. E per gli sposi cristiani, non si tratta forse di una missione essa pure assai grande? Dare a Dio, alla Chiesa, alla Patria, nuovi figlioli, nuovi cristiani, nuovi cittadini? Quale serietà non occorre per assumere questa nobile missione! E come dobbiamo deplorare altamente e condannare la leggerezza estrema con cui tanti e tanti figlioli profanano il tempo del fidanzamento, e non si preparano bene alla loro vocazione!

Quale meraviglia se poi, troppo presto, piangono amare lacrime, per la infelicità che è nella loro casa? Infelici, e padri di infelici: ma per loro colpa; e Dio non voglia, per colpa dei loro genitori, che non hanno dato loro il giusto senso della vita.

I figli, i vostri figli, sono la corona vostra, il vostro gaudio, il segno tangibile del vostro amore. E sono anche la vostra ricchezza, perché Dio Padre non può a meno di benedire quelle famiglie in cui si guardano in tale maniera i figli, mentre non può non castigare severamente là dove si riguardano i figli come un peso sgradito, che si cerca di evitare a costo anche di gravissimi delitti. Quanta gioventù non ha falciato questa guerra: sui campi insanguinati di battaglia, nelle case e nelle scuole bombardate…; forse non erra chi dice che ne hanno colpa tanti e tanti genitori; hanno voluto mettere un limite alla Provvidenza, hanno tradito la loro missione: e il Signore permette che siano strappati dal loro fianco i figli, con dolore e strazio del loro cuore.

Miei fratelli, siamo cristiani, lo siamo proprio sul serio, in pratica? Compiamo fedelmente i nostri doveri? Per esempio, come recitiamo le orazioni del mattino e della sera? L’orazione è l’arma potente del cristiano, arma invincibile, con la quale si vincono le battaglie spirituali. Quale stima facciamo noi dell’orazione? Quante sono le famiglie in cui si prega? E non si arrossisce di pregare? Quante sono le case profumate dallo spirito di orazione? Temo che a questo riguardo si debba lamentare molto; rimediamo dunque, e subito.

Oh se nelle famiglie si recitasse il S. Rosario, quante benedizioni attirerebbero sopra di esse dalla Cara Madonna! Siamo cristiani. Il Battesimo ci ha fatti tali; ma, viviamo noi il Battesimo? Siamo fedeli a quelle solenni rinunce che abbiamo fatto? Abbiamo rinunciato al demonio, al mondo, alle passioni: mi par di sentire il demonio dire verso il Signore: “Sì, dovrebbero essere tuoi, per il Battesimo, per la Cresima, e per tante grazie che hai loro fatte; ma in realtà sono miei; hanno rinunciato a me, ma mi servono fedelmente, continuamente; hanno rinunciato al mondo ma vivono attaccati al mondo e seguono le sue massime; hanno rinunciato alle passioni, ma in pratica danno sfogo a tutte… “.

Fratelli, che dolore per il Cuore di Gesù, davanti a tale constatazione! Eppure questa è una triste realtà.

Cristiani, un serio esame di noi stessi, su la nostra condotta; abbiamo la vita, come dice il Catechismo, per conoscere, amare e servire Dio; non per il peccato, non per il demonio, ma per il Signore e la sua legge. Valorizziamo questa vita, questo dono eccelso di Dio; la guerra, tra le tante disgrazie, ha portato anche questa: la svalutazione della vita umana. Con quale indifferenza si assiste oggi alle stragi, alle morti di migliaia e migliaia di fratelli! Con quale leggerezza si tratta la vita umana, come di cosa qualunque che si può gettare per ogni minimo pretesto!

Vivendo secondo la legge di Dio, si rimedierà anche a questo male; si comprenderà la dignità del nostro corpo, di questo involucro dell’anima immortale, destinato ad essere strumento dell’anima nel fare il bene, e compagno nella felicità del Paradiso. Solamente il cristiano ha il giusto concetto del valore della vita umana; dono di Dio, opera della sua onnipotenza creatrice e della sua Bontà santificatrice. Non disprezziamo, non sottovalutiamo la vita, il corpo stesso; la ragione e la fede ci illuminino sul conto che dobbiamo farne.

Fratelli, siamo cristiani; viviamo alla luce del Vangelo. Ma, è proprio vero che le nostre contrade, le nostre città, sono cristiane? La vita, la condotta, manifestano chiaramente la religione che diciamo di professare? Noi attraversiamo un’ora tragica: non mi stancherò di ripeterlo: è anche l’ora di Dio. Gli uomini, con i loro disordini, hanno scatenato il flagello su tutta la famiglia umana; atterriti oggi dalle conseguenze, ne sono spaventati, terrorizzati, ma nulla possono per arrestare quest’ora da essi voluta.

Il male non può fare che male; solo Iddio è potente da saper trarre il bene dal male ed Egli vuol farlo; Egli vuole afferrare quest’ora e farla servire ai suoi disegni di bontà; è un’ora di sangue e di morte, ed Egli vuol farla un’ora di salvezza e di vita: basta che trovi strumenti adatti alla sua Provvidenza. E gli strumenti siamo noi cristiani, se ci metteremo a vivere bene.

All’indomani di questo sconquasso, all’indomani della cessazione di questa immane guerra, gli uomini, gli studiosi di problemi cercheranno una via di salvezza, di vita; noi sappiamo che solo Gesù è: “via, verità e vita”.

Guarderanno a noi questi studiosi, si volgeranno a noi i fratelli separati, gl’idolatri, tutto il mondo, cercando luce e vita; che terribile responsabilità non sarebbe la nostra, se essi vedendo i nostri esempi, il nostro vivere contrario al Vangelo e alla Legge di Dio, dovessero tornare ai propri idoli, alle proprie idee e dire: ” ma questa è una commedia!

Dicono di essere cristiani, seguaci di Cristo e della sua dottrina; ma in pratica vivono come noi e peggio di noi! Meglio, meglio il nostro Budda, il nostro Maometto…” Ancora una volta, allora, per colpa dei cristiani andrebbe frustrata la grande chiamata di Dio, ancora una volta sarebbe scoccata invano l’ora di Dio, l’ora della salvezza del mondo. Quale rendiconto per noi!

Fratelli, torniamo in noi stessi, e facciamo subito quello che la coscienza ci detta. Siamo cristiani, seguaci di Cristo, seguiamolo sinceramente.

Siamo umili. l’umiltà è la base della santità, è la salvezza del peccatore. La superbia invece è la radice di ogni male, anche per questo mondo; il superbo è il collaboratore diretto di Satana, spirito di orgoglio e di superbia; il superbo è peggiore dell’idolatra: questi adora un altro, il superbo adora se stesso.

Viviamo col cuore in alto nell’aspettazione dei veri beni di lassù, dei cielo; lassù è la nostra patria eterna; qui siamo di passaggio, ci stiamo per poco, guai se non viviamo bene!

Siamo cristiani; viviamo dunque nella carità sincera, amiamoci gli uni gli altri. Siamo figli di un medesimo Padre che sta nei Cieli, siamo tutti fratelli in Cristo che ci ha redenti, siamo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Perché dunque tanto odio? L’odio è opera di Satana, chi odia si fa strumento di Satana che vuole la distruzione del bene; l’odio è morte, l’amore è vita l’odio è tormento, l’amore è gioia. Come fa male sentire, fra i cristiani, sinistri propositi di odio e di vendetta! Si medita, si brama l’ora di sfogare questo basso istinto all’indomani del flagello; no, no, per amor di Dio! Coltiviamo invece generosi propositi di perdono e di pace; tutti abbiamo peccato, tutti abbiamo bisogno di ripetere sinceramente quella preghiera sublime insegnataci da Cristo: “Padre nostro, che sei nei Cieli…, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a chi ci ha offeso”. Che pace sarebbe la nostra, se la volessimo profanare con la lotta fraticida, con le private vendette, con le rappresaglie? Che cristianesimo sarebbe il nostro?

Siamo al mondo per salvare l’anima: questo è il grande unico affare della nostra vita; e non c’è sacrificio che debba parere grande, quando si tratta di mettere al sicuro l’anima nostra. Teniamo bene a mente la parola di Cristo: “Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perdesse la sua anima?”. Con questa parola termino questa mia lettera, questa paterna esortazione, che mi è nata dal cuore, ai piedi del mio Crocefisso, alla considerazione dei mali che ci affliggono da tanto tempo.

Il Signore benedica questa mia povera parola, questa Sua parola e faccia degni tutti noi di ascoltarla e di metterla in pratica, a gloria sua, a bene dell’umanità.

Con paterna effusione di affetto, in questi giorni di Pasqua cristiana, vi benedico, raccomandandomi alla carità delle vostre preghiere.

* LETTERA XLI 28 Aprile 1945

Miei cari fratelli

La grazia, la pace del Signore sia sempre con noi, specie in quest’ora di riconciliazione e di perdono da parte di nostro Signore, per certa intercessione della Santissima Madre, la cara Madonna, che ancora una volta si è mostrata Madre di misericordia e di bontà. Sta ora a noi, o miei cari ed amati fratelli, far tesoro di tanto dono, e tutti “cor unum et anima una”, metterci in un fronte unico di carità verso Dio e verso i fratelli, affinché l’Opera dei Poveri Servi riesca quale il Signore la vuole, una fonte alimentata continuamente dalla vena nascosta della vita interiore di ciascuno di noi, perché le anime e le altre opere della Chiesa di Dio vi attingano continuamente la carità e lo spirito genuino del santo Vangelo, unico mezzo per ritornare tutti a Dio, in questa valle di pianto e di esilio, ma che è pure, con la fede e l’amore di Dio, bella vigilia della Patria Celeste, il santo Paradiso.

Questo deve essere il proposito ed il programma di tutta la nostra vita per l’avvenire; ma un altro dovere è necessario che ci affrettiamo a compiere: quello di ringraziare il Signore del gran dono che ci ha fatto; e per questo vi invito ad una giornata di adorazione eucaristica, fatta con la massima solennità possibile, che si chiuderà con un discorso di occasione ed il solenne Te Deum.

Non dimenticatevi mai di pregare per questo vostro Padre che tanto vi ama nel Signore, che prega e soffre per voi, perché siate come veramente dovete essere, cioè Poveri Servi, e che un giorno si compia il voto e la preghiera che, come sapete, faccio ogni mattina dopo la S. Messa “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Così sia e Dio vi benedica.

* LETTERA XLII 24 giugno 1945

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Più volte in questo ultimo volgere di tempo, vi ho fatto sentire la mia povera parola quale mi veniva spontanea nel cuore, sempre esortandovi a riconoscere nel grande flagello che ci sovrastava, la divina chiamata per tutta l’umanità in generale, ma sopratutto per noi cristiani, religiosi, sacerdoti, che, mentre dovremmo essere sale della terra, luce del mondo, purtroppo ci siamo tanto allontanati dagli insegnamenti del Santo Vangelo, e così dissimile è la nostra vita da quella degli Apostoli e dei primi cristiani, che sovente vi è un’abisso fra la teoria e la pratica, la fede e le opere. Per questo sento il bisogno di dirvi che la chiamata di Dio, col cessare delle ostilità non è cessata, ma continua più insistente che mai: guai a noi se non vi rispondiamo cambiando vita e costume, ritornando alla osservanza della divina legge e ad una vita praticamente cristiana!

Dobbiamo sì ringraziare la bontà e la misericordia del Signore, che in maniera prodigiosa ha protetto tutte la nostre Case, come pure la nostra diletta città, che avrebbe potuto essere un cumulo di macerie; e questo, è doveroso riconoscerlo, fu grazia specialissima della cara Madonna, che, contro ogni previsione, nonostante i propositi e gli apprestamenti per una ben agguerrita resistenza, evidentemente ha fatto prevalere in nostro favore gli effetti della divina misericordia sopra i diritti della divina giustizia: come dobbiamo ringraziarla!

Ma questo non basta miei cari fratelli; il Signore domanda ben più da noi. Egli vuole che ci sforziamo tutti a diventare migliori: la santità della vita è il migliore ringraziamento; guai a noi se dopo questo grande flagello fossimo come prima! Nessuno in quest’ora ha il diritto di essere mediocre. Solo così compiremo i divini disegni su noi e su l’Opera.

Il mondo è come disorientato, tutti cercano una luce che li guidi nel nuovo cammino, ma questa luce non potrà venire che da nostro Signore Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo che viene a questo mondo.

A questo proposito voglio qui riferire e proporre alla mia e vostra meditazione alcuni passi bellissimi di un dotto e pio scrittore, e son certo e sicuro che faranno tanto bene a voi, come hanno fatto anche a me.

“Il Cristo, egli dice, è veramente luce del mondo, ma una luce in sé invisibile che deve farsi visibile per mezzo di un corpo; la luce che è Cristo deve prima accendersi in noi, affinché noi l’abbiamo a diffondere nel mondo; il Cristo ha bisogno di lampade. Quanto più siamo dominati da Lui, tanto più forte é pure la luce che emana da noi; tanto più mi distacco da me stesso e mi abbandono incondizionatamente a Dio, tanto più chiaramente e distintamente rifletto il Cristo”.

“Molti cristiani purtroppo, (possiamo dire molti sacerdoti e religiosi) riflettono la divinità tanto deformata da renderla irriconoscibile: altri invece (e noi Poveri Servi con la divina grazia dobbiamo essere di questo numero) la trasmettono tanto chiaramente, che coloro che non sono atti a riceverla, mediante un apparecchio tanto buono la percepiscono”. E cita il detto di un celebre filosofo, che un giorno disse: se i redenti vivessero da redenti, sarebbe più facile credere al Redentore.

Quanta verità, o miei cari, in queste parole e come devono farci tutti riflettere!

Ma quell’autore va avanti e tocca altri punti, non meno importanti e fondamentali per noi, se vogliamo collaborare ad una vera ricostruzione per la povera società. “Ognuno di noi, egli dice, può farsi centro di una invisibile comunità spirituale. Quale conforto, quale gioia, ma pure quale responsabilità in questo fatto! E’ nelle mani di ognuno di noi il salvare o il perdere le anime redente dal Sangue di Cristo. Chi è luce nel Signore è pure luce nel mondo e prende parte al governo del mondo, in quanto Dio intende trasmettere e continuare l’opera della Redenzione solo attraverso gli uomini. Non i potenti reggono il mondo, ma gli umili, e ciò che vale per il governo del mondo, vale pure per ciò che concerne la santità personale. Non i potenti ma gli umili traggono a se il regno dei cieli. Nessuno può dire: non valgo nulla, inutile è la mia vita; perché nel regno di Cristo valgono ben altri principi che non tra i figli del mondo. – Gli ultimi saranno i primi; il più piccolo fra tutti voi, questo sarà il più grande -. Nessuno disperi, né il malato, né il debole, né il naufrago, né lo sradicato, né il reietto, né l’abbandonato: ognuno di questi può fare cose grandi, divenire persino – una colonna nel tempio di Dio… – L’insignificante che passi inosservato senza lasciare traccia di sé nel mondo, può diventare padre di tutto un popolo, avverando in sé tutto il significato spirituale delle bibliche parole: il minimo crescerà di mille doppi: il piccolo in gente fortissima (Isaia 60,22). Gli umili in questo mondo sono potenti presso Dio. Essi domineranno il mondo, riducendolo a Cristo”.

Quanta luce ci viene da questo insegnamento, miei cari ed amati fratelli! Quante volte vi ho detto e ripetuto anch’io che noi saremo grandi se saremo piccoli, che saremo ricchi se saremo poveri, che compiremo cose grandi se ci conserveremo fedeli ai piccoli quotidiani doveri! non ci lasciamo ingannare dalla bramosia di fare cose grandi, dal desiderio di crescere e di moltiplicare le Case. No, no, o cari! Non è il numero che conta, ma la qualità: io dico sempre: i pochi formeranno i molti. Se ci riducessimo ad avere anche una sola Casa e restassimo soltanto pochi Sacerdoti, pochi Fratelli, ma pieni dello spirito puro e genuino dell’Opera, ve lo dico in nome di Dio, noi potremo compiere cose grandi per il bene delle anime e per la gloria del Signore.

Umiltà quindi, o miei cari. Vita interiore, spirito di fede, osservanza delle Regole e dei santi voti, carità, grande carità, e sopratutto carità fraterna; ve la raccomando tanto questa virtù, che ha il suo fondamento nella nostra elevazione all’ordine soprannaturale, nella nostra adozione a figlioli di Dio, fratelli quindi di N. S. Gesù Cristo, eredi di Dio e coeredi insieme con Cristo.

Oh! prodigio della infinita carità di Dio verso di noi, dice l’Apostolo S. Giovanni, Egli ha voluto che ci chiamassimo e fossimo suoi figlioli! Ma, soggiunge il medesimo Apostolo, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci a vicenda. Precetto divino questo della carità fraterna, o miei cari, che mai come in quest’ora è doveroso di richiamare.

E lasciate che vi ripeta qui ancora quanto vi scrissi in un’altra mia lettera. “Siamo cristiani, vi dicevo in essa, viviamo dunque nella carità sincera, amiamoci gli uni gli altri, siamo tutti figli di un medesimo Padre che sta nei cieli, siamo tutti fratelli in Cristo che ci ha redenti, siamo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Perché dunque tanto odio?

L’odio è opera di Satana; chi odia si fa strumento di Satana, che vuole la distruzione del Bene; l’odio è morte, l’amore è vita. L’odio è tormento, l’amore è gioia.

Come fa male sentire fra cristiani sinistri propositi di odio e di vendetta! Si medita, si brama l’ora di sfogare questo basso istinto all’indomani del flagello; no, no, per amor di Dio! coltiviamo invece generosi propositi di perdono e di pace; tutti abbiamo peccato, tutti abbiamo bisogno di ripetere sinceramente quella preghiera sublime insegnataci da Cristo: Padre nostro, che sei nei cieli,… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a chi ci ha offeso. Che pace sarebbe la nostra, se la volessimo profanare con la lotta fraticida, con le private vendette, con la rappresaglie? Che cristianesimo sarebbe il nostro?”.

Finisco o miei cari ed amati fratelli, pregandovi di tener conto di quanto vi dice questo povero e vecchio Padre, e specialmente di metterlo in pratica; che cosa gioverebbe ascoltare e poi dimenticare e non darsi nessun pensiero di quanto si è ascoltato? Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Nella mia povertà prego che ciò non avvenga per nessuno di voi, e voi pregate tanto per me, che ne ho proprio tanto, ma tanto bisogno, affinché possa fare sino alla fine la santa volontà di Dio.

Vi benedico con paterno affetto.

* LETTERA XLIII Verona, ottava del S. Cuore, [7 giugno] 1945

Amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, scrivo questa mia lettera per farvi sentire ancora una volta la mia povera parola, quale mi nasce spontanea nel cuore. E poiché siamo ormai tanto vicini alla festa del Preziosissimo Sangue, desidero mettervi a parte della “solenne promessa” che il vostro Padre ha fatto a nome di tutta la Congregazione all’indomani dell’armistizio, e rinnovata il 2 luglio dello scorso anno. Per una maggiore conoscenza ne unisco copia per le singole nostre Famiglie religiose, e da questa conoscerete che alcune cose riguardano direttamente S. Zeno in Monte, ma altre obbligano tutt’intera la Congregazione. Quanto io posso, vi raccomando di metterle subito in pratica, specialmente quello che si riferisce alla pratica del primo Sabato del mese ad onore del Cuore Immacolato di Maria SS., e quello che concerne la devozione e la festa del Preziosissimo Sangue.

Dobbiamo riconoscerlo e confessarlo apertamente: noi di S. Zeno in Monte e tutte le Case, fino all’ultimo momento siamo stati protetti in una maniera veramente singolare e straordinaria; Lo stesso sinistro della tipografia è stata una grazia, un dono del nostro Padrone Assoluto Gesù Benedetto, perché in tal modo ci ha preservati da un pericolo che avrebbe potuto portare conseguenze assai gravi per tutta l’Opera, come saprete a viva voce appena questo sarà possibile.

E’ doveroso quindi mantenere la parola data ed elevare il nostro monumento di perenne riconoscenza a Dio, che, mentre testimonierà anche a coloro che verranno dopo di noi i divini benefici, servirà a renderci propizia la divina misericordia per noi e per tutte le anime salvate, purificate, santificate dal Sangue Preziosissimo di Nostro Signore Gesù Cristo, scaturito come da purissima sorgente dal Cuore Immacolato della SS. sua Madre. Fatevi apostoli di questa duplice devozione, e ne sperimenterete gli effetti salutari, specialmente per noi Poveri Servi.

Oh quanto è bello questo nome “Poveri Servi”, e come dobbiamo ringraziare il Signore per il dono grandissimo che ci ha fatto, dandoci la grazia di essere fra i primi ad appartenervi! Ma, per amor di Dio, che questo non sia solo un nome, un’etichetta qualsiasi, perché allora sarebbe la nostra condanna, la nostra rovina! Quanto so e posso vi raccomando di essere veri Poveri Servi, e lo saremo vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera, che alla fine è quello proprio degli Apostoli e dei primi cristiani; fu questo spirito che convertì il mondo al tempo di Nostro Signore.

Dio mio, in quale abisso di degradazione era caduta la povera umanità, che nuotava in tutti i vizi, segni certi di estrema rovina! Dodici Apostoli, pieni del soffio dello Spirito Santo, hanno mutato faccia al mondo e rinnovata la terra; ai pagani, agl’infedeli bastava vedere la vita, l’esempio, lo spirito dei primi cristiani per detestare le proprie turpitudini e convertirsi. “Guardate, dicevano, come si vogliono bene fra di loro, come si aiutano, come si compatiscono! e questo amore, questa carità non è soltanto per loro, ma anche per noi; essi ci vengono incontro, ci beneficano”; e col loro esempio si convertivano. Noi dobbiamo rinnovare in noi stessi lo spettacolo di simili esempi. Viviamo in un’ora in cui tutti hanno gli occhi verso di noi, domandano e vogliono vedere come viviamo, come ci comportiamo, se mettiamo in pratica quello che insegniamo e predichiamo.

E’ facile, amati fratelli, scrivere, parlare, ma è difficile praticare; d’altra parte non sono le parole, ma gli esempi che persuadono, ed esercitano come un fascino per tutti, grandi e piccoli, dotti e ignoranti.

Durante questo flagello si sono imparate tante cose, sono cadute tante barriere, si studiano tutti i mezzi per dare vita più tranquilla e normale ai popoli; anche noi dobbiamo muoverci ed esercitare la nostra missione di pace e di bene, richiamando in pratica il Santo Vangelo, modellandoci tutti, e specialmente noi Sacerdoti e Religiosi, sul divino modello Cristo Gesù, sommo ed eterno Sacerdote, il vero e primo servo del celeste Padre.

Dobbiamo persuaderci una buona volta che non basta più, ai nostri tempi, in quest’ora soprattutto, confessare Gesù in qualche circostanza solenne, in qualche cerimonia di parata; non basta amare il Signore e servirlo a metà, con una vita che infondo è spesso uguale, se non anche inferiore, a quella dei laici; ma bisogna che il suo amore, la sua volontà e il suo servizio formino la vita della nostra vita, l’anima della nostra anima, cercando con passione la sola gloria di Dio e il bene delle anime. Non parole ci vogliono, ma fatti, ma virtù; è assolutamente necessario essere buoni per noi e per gli altri, cercando noi di espiare i delitti e le aberrazioni di tanti nostri fratelli caduti nell’abisso dell’odio, della vendetta, che purtroppo continua a inquinare e rovinare le anime che Cristo ha redento, santificato con la sua carità e con il suo amore, fino a dare per esse la vita.

Sono al termine, sono vicino alla sera della mia povera vita, e vorrei che questo fosse il mio testamento per voi, amati fratelli: per amor di Dio, vivete le spirito puro e genuino dell’Opera, e se alcuno non si sentisse, lo prego, lo scongiuro per il bene della sua anima e dell’Opera stessa, se ne vada pure; Gesù ha bisogno che nelle nostre vene religiose scorra praticamente il sangue con il quale ha redento e salvato la povera umanità.

L’Opera dei Poveri Servi deve essere di modello: Dio mio quale responsabilità! Il mondo sarà conquistato con la follia della croce, l’umanità troverà il suo posto solo accanto a Gesù, in Cristo, per Cristo, con Cristo.

Amati fratelli, quante volte vi ho detto che dobbiamo essere conche e canali, pieni di Gesù, per dare Gesù alle anime! Ma non si può dare quello che non si ha. Perché il mondo è pieno di corruzione, di vizi, di odi, di vendette? Perché ci sono tanti ausiliari di Satana, fedeli esecutori dei suoi ordini, e quindi danno quello che dà Satana. Noi deploriamo spesso il male negli altri, ma dobbiamo metterci una mano al petto e chiederci: di chi è anche la colpa? Abbiamo proprio bisogno di fare una seria revisione di noi stessi e della nostra vita, e farla subito, finché siamo in tempo, prima che la faccia il Signore, con un’altra prova, forse più grave e dolorosa di quella da poco passata.

L’ora della chiamata da parte di Dio non e cessata; fu fatto solo dalla divina bontà e misericordia, certo per intercessione della cara Madonna, un armistizio, una tregua; per amor di Dio, guardiamo di approfittarne dando mano a una riforma che si impone per tutti, ma specie per noi Sacerdoti e Religiosi; promettiamo di vivere come cenci, come creta, umili, convinti della nostra miseria, ma abbandonati in Dio e nelle braccia amorose della divina Provvidenza, con cuor grande e generoso, cercando solo anime, anime, anime, nella forma e nel modo che ha voluto Gesù, e che gli Apostoli hanno imitato vivendo distaccati dalle creature, uniti a Cristo con la vita interiore, che in ginocchio vi raccomando, e con amore grande e generoso, vedendo nel prossimo, chiunque sia, l’immagine di Dio, e con il solo desiderio che tutti in un cuor solo ed un’anima sola facciano un unico ovile sotto un solo Pastore.

Ho detto con la vita interiore, alla quale ci esorta l’Apostolo con quelle parole a Tito: “Attende tibi”; fuori c’è un mondo da convertire e da salvare; eppure egli insegna: “Attendi a te”, pensa a te; e così salvi te e coloro ai quali dovrai parlare. Parrebbe un controsenso, e invece è così. E’ febbrile oggi il lavoro nel campo del bene, ma con quali risultati? Purtroppo si sbaglia tattica, non si pensa alla propria santificazione, ed è solo a questa che è annessa la salvezza delle anime. Così ha fatto Gesù, così hanno fatto i Santi.

E’ Dio che converte le anime, noi dobbiamo solo renderci strumenti bene adatti. Avviene nell’opera grande e divina della salvezza delle anime come nella fotografia; per impressionare la lastra ci vuole l’obiettivo e la persona che si metta davanti ad esso. Le anime sono la lastra, noi siamo la figura da riprodurre. Se noi siamo altrettanti Cristi, nelle anime si riprodurrà la figura di Gesù; ma se noi siamo tutt’altro, che cosa si riprodurrà?

Ricordiamoci che solo i Santi santificano; ed essi ci insegnano a coordinare la vita presente con la vita futura, a non perdere di vista il cielo, per il quale siamo fatti, ed il premio che lassù ci attende. Siamo inondati dalle meraviglie di Dio, tutto ci parla di Lui, tutto è dono suo: l’aria che respiriamo, la luce che ci sorride, il calore che ci riscalda, il fiore che ci allieta, il frutto, le vesti, la casa, tutto è dono suo; serviamoci di questi doni come di altrettanti mezzi per lodare e benedire Dio, come di gradini per salire fino a Lui. Le anime seguiranno il nostro esempio, ascolteranno con più fede la nostra parola, e fra tante prove e dolori della vita, specie in quest’ora gusteranno il soave conforto della cristiana rassegnazione e si orienteranno a Dio che ci ha creati, che ci ha redenti per la vera vita.

Vi raccomando in fine la carità, che deve essere il distintivo di noi Poveri Servi. Via ogni grettezza indegna di un’anima religiosa e sacerdotale; senza la carità, anche se facessimo miracoli, non saremo creduti; invece tutti disarmano dinanzi alla vera carità di Cristo; la predica che più si ricorda è quella della carità, e un atto di bontà compiuto nel silenzio e nel nascondimento a favore di chi soffre, da chi lo riceve non sarà mai dimenticato. La vera religione, alla fin fine, consiste nella carità: “Spezza il tuo pane all’affamato, accogli nelle tua casa i poveri e i pellegrini, se vedi un ignudo rivestilo, e non disprezzare la tua carne”. Cari ed amati fratelli, come è bello richiamare questi grandi pensieri dei Libri Santi! meditiamoli e mettiamoli in pratica secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Guardate, e ricordatelo bene, che l’Opera dei Poveri Servi muore di certo se non sarà così, e che nessuna forza, nessun nemico esterno la può far deviare e rovinare; solo noi, se non viviamo e pratichiamo lo spirito puro e genuino.

Vi raccomando tanto, fate tesoro di queste mie povere parole, mettendole in pratica subito. Meditatele sovente, specialmente nei giorni di Ritiro e nei prossimi Santi Esercizi, che in quest’anno vi raccomando di fare con particolare impegno. Essi ci aiuteranno a fare quella revisione di cui vi ho parlato in questa mia; bisogna che ci rinnoviamo, per farci sempre più conformi all’immagine del Figlio di Dio, N. S. Gesù Cristo, condizione necessaria per la nostra eterna salvezza, come dice l’Apostolo; che se queste parole sono dette per tutti, quanto più per noi, che per la nostra specialissima vocazione dobbiamo più degli altri seguire da vicino Gesù, come altrettanti Cristi, per generare Cristo nei nostri fratelli, in tutte le anime che la divina Provvidenza ci fa avvicinare.

E affinché vi possiate meglio disporre, vi dico subito che gli Esercizi, a Dio piacendo, saranno, come il solito, il 1º e 30 settembre; il turno del Noviziato il 24 dello stesso mese. Preghiamo fin d’ora lo Spirito Santo, la cara Madonna, affinché dispongano le anime nostre come hanno disposto gli Apostoli e i Discepoli nel cenacolo, e ci preparino ad una nuova, beata Pentecoste.

Io sono sempre in mezzo a voi, amati fratelli, con il pensiero, con la mia benedizione, e con la sofferenza; benedico a tutti e con voi benedico la nuova pianta dei Fratelli esterni, pianta che Dio ha messo vicino all’Opera dei Poveri Servi e che farà un immenso bene nelle famiglie, nella società e nel mondo.

PS. Questa mia lettera sia letta e commentata in chiesa dal Superiore a tutti i fratelli appena ricevuta, mentre raccomando di far tesoro tutti di queste mie povere parole, dette e sentite in cuore per santificazione nostra e dell’Opera dei Poveri Servi.

* LETTERA XLIV 20 luglio 1945

Miei cari fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siamo sempre con noi.

Eccomi qui davanti al mio Crocefisso, dal quale mi pare parta l’ispirazione di scrivervi questa mia povera lettera, per dirvi tutto quello che il mio cuore desidera a bene delle vostre anime, a santificazione della cara nostra Congregazione, che, come altra volta vi ho detto, ha relazione, non so come né quando, con l’ora attuale. Ricordatelo bene: l’Opera dei Poveri Servi è destinata, nella economia della divina Provvidenza, non solo a bene nostro, ma ancora della nostra Verona, della diletta Patria nostra e di tutta l’umanità, a patto però che noi corrispondiamo, ritornando, e presto, alle pure sorgenti dello spirito e della vita degli Apostoli e dei primi cristiani. A questo, con divina insistenza, il Signore ci chiama con la potente voce dei gravi avvenimenti dell’ora attuale, per salvare noi e la cara Patria, l’Italia, nazione e popolo da Dio eletti ad essere luce e sale per tutta la povera umanità, poiché fu per predisposizione della divina Provvidenza che nel centro di essa, in Roma, fosse elevata la Cattedra del Vicario di Cristo, il Papa, Maestro di verità, che, additando le vie della giustizia e della carità, anche oggi, come sempre, conduce il mondo alla pace vera, alla prosperità e alla salvezza, così da doverlo ancora una volta proclamare: salus mundi Pontifex.

Quale grazia, miei cari fratelli, ma nello stesso tempo quale responsabilità, se, nonostante tanti divini favori, nonostante tanta misericordia, tanto perdono da parte di Dio, facessimo come prima o peggio di prima! E qui subito una mano sul cuore, prima io stesso, e dopo ciascuno di voi: quale profitto abbiamo tratto da questo flagello? Siamo usciti più buoni, più virtuosi? Ci siamo corretti dei nostri difetti? Abbiamo pianto e detestato i peccati? Abbiamo promesso di essere tutti del Signore, veri suoi servi, fedeli alle nostre sante Regole, tutti intenti a santificare le nostre anime? perché, o cari, questo è il fine di tutti noi, salvare l’anima. E fosse vero che tutti facessero questa riflessione, secondo il loro stato e si convincessero che tutto il lavoro che si fa per la vita terrena non vale proprio niente se non è coordinato con la vita futura, con la salvezza dell’anima, memori della parola di N. S. Gesù Cristo: “Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?”.

Ed è appunto questo, cari fratelli, il nostro compito: pregare, soffrire, vivere secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, per impetrare dal Signore, oltre le grazie per noi, anche copiose benedizioni e grazie per la nostra città, e per la nostra cara Patria, che, specie in questi momenti, ne ha un bisogno tutto particolare, perché possa essere all’altezza della sua missione, e quindi una Patria riedificata in Cristo, sulle basi granitiche del S. Vangelo, unico codice perché regni e trionfi nel mondo la giustizia e la carità che tutti affratella nel più giusto e vero senso della parola; così possiamo lavorare per la ricostruzione materiale, ma soprattutto spirituale e morale. Finora, purtroppo si sono dimenticati, conculcati anzi, tutti i valori soprannaturali e dello spirito; si è confidato nella scienza, nelle ricchezza; si è affermato il diritto della forza contro la forza del diritto; si è stabilito il nuovo mito della razza e del sangue, con inaudito orgoglio ripudiando la nobilissima adozione a figli di Dio in Cristo; e che cosa ne è derivato?

Troppo evidente e clamoroso è il crollo di tante ideologie, eppure le terribili lezioni del passato forse ancora non bastano. Nel tentativo di ricostruire dopo tante rovine, si fanno da molti grandi passi, ma fuori di strada, se si dimentica Dio, la Redenzione, l’anima, l’eternità. Se non è il Signore che edifica la casa e la città, dice la S. Scrittura, ogni fatica e ogni sforzo è vano: Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam.

Ed è anche vero che tante avversità sono castigo del peccato, frutto della odierna apostasia da Dio e del vero paganesimo sempre più dilagante nella famiglia, nella società, attraverso la moda invereconda, il cinema immorale, la stampa e le illustrazioni corruttrici, gli scandali pubblici, per i quali non possiamo che attenderci sempre più gravi flagelli da parte di Dio, secondo il monito scritturale: Propter peccata veniunt adversa!

La vita presente, staccata da Cristo, perde ogni suo incanto; vissuta in Cristo, secondo il S. Vangelo, coordinata con la vita futura nella Patria celeste, diventa la grande e bella vigilia di una festa perenne. Oh, se fossimo tutti dominati da questi pensieri! Se non a parole ma a fatti servissimo il Signore, allora si irradierebbe da noi quella luce divina che N. S. Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra, e per la quale egli illumina ogni uomo che viene a questo mondo.

Allora sarebbe facile il precetto della carità, sarebbe anzi lieta e gioconda cosa vivere nella carità sincera, nell’amore vicendevole degli uni per gli altri, memori che siamo tutti figli del medesimo Padre che sta nei Cieli, fratelli in Cristo che ci ha redenti, costituendo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Così cesserebbe l’odio che tanto male produce oggi nel mondo; non vi sarebbero più divisioni, rappresaglie, vendette: tutte opere di Satana, grande nemico di Dio e nostro. Per questo vi dicevo che bisogna riedificare in Cristo. Oh, se in tutte le nazioni, in tutti gli Stati ritornasse Cristo, il suo Vangelo, questo povero mondo diventerebbe davvero un anticipato Paradiso!

Ma per questo bisogna pregare e pregare. Durante il tremendo flagello testé passato non si poteva parlare di preghiera, non si voleva; tutto era fondato sulle sole forze umane, sulla superbia, ed ecco la rovina, ed ecco il mondo come è ridotto…

Cari fratelli, preghiamo, preghiamo; la preghiera, unita con una vita santa, ottiene miracoli; ed ora ci vuole proprio un miracolo perché tutto ritorni nell’ordine. Fratelli, questa è la nostra parte, parte grande, nobile, divina; pregate e fate pregare, e a quanti avvicinate, siamo grandi o piccoli, sapienti o ignoranti, dite con franchezza della necessità della preghiera, specie in quest’ora.

E, guardate Provvidenza divina, mi viene ora nelle mani uno scritto di persona che io credo ispirata, che parla proprio della preghiera per la nostra cara Patria, specie in quest’ora importantissima per l’avvenire di essa, scritto che io avrei rimorso se non ve lo facessi conoscere.

Anche questo è una grazia che ci fa il Signore; siamone a Lui grati e riconoscenti, per amor di Dio, che il Signore non passi invano sopra di noi.

E affinché la nostra preghiera sia più accetta al Signore, mettiamola nelle mani e sulle labbra della cara Madonna, per la cui intercessione, come siamo stati prodigiosamente liberati dall’incubo e dagli orrori dell’invasione, così confidiamo di conseguire quella pacificazione degli animi che sarà preludio della pace vera che dobbiamo meritarci con un sincero ritorno all’osservanza della santa Legge di Dio e vivendo una vita in tutto conforme al S. Vangelo, che, come vi ho detto, sarà vita di anticipato Paradiso, proemio della vera ed eterna vita con Dio in cielo.

Ecco pertanto il tenore dello scritto, al quale ho qui sopra accennato e che vi raccomando di bene meditare e praticare. Guai a noi se, dopo aver ascoltato la parola e la voce del Signore, non la mettiamo in pratica, indurendo in tal modo ancor più il nostro cuore! Quella parola sarebbe per noi di condanna. Che questo non sia, o cari ed amati fratelli, per nessuno di noi.

PER LA SALVEZZA D’ITALIA

Crediamo di essere nel vero affermando che forse molti dei Cattolici italiani non si rendono conto esatto delle attribuzioni di quella che sarà la futura Costituente.

Si pensa da tanti che essa abbia semplicemente lo scopo di decidere se lo Stato nostro debba reggersi con forma monarchica o repubblicana, e si dimentica, o si ignora, che sarà compito della Costituente di dare allo Stato italiano uno nuovo Statuto, poiché la costituzione largita da Carlo Alberto il 4 marzo 1848 è considerata sempre come Statuto fondamentale del Regno italico, ma, deformata in seguito e sostanzialmente abrogata dal passato regime, non corrisponderebbe più, nel suo ordinamento primitivo, al clima politico dell’Italia di oggi e alle esigenze di una nuova struttura sociale quale è reclamata dai tempi nostri. Per conseguenza la nuova carta costituzionale che sarà data all’Italia, dovrà affrontare non solo il problema della forma dello Stato (repubblicana o monarchica) nonché quello delle autonomie, o meno, Comunali e Regionali, e della nostra struttura economica (proprietà, sua funzione, suoi limiti, iniziativa privata e controllo pubblico, riforma agraria, ordinamento del lavoro), ma anche il problema religioso, famigliare, educativo e della tutela dei diritti dell’umana persona e del cittadino italiano.

Chi non vede a prima vista quanto la futura Costituente investa gli interessi di noi cattolici come cittadini, come credenti, come anime, come eredi di un patrimonio di valori morali, religiosi, storici, con i diritti della fede, con la gloria e le tradizioni della cristiana civiltà del popolo italiano?

Chi è che non afferri immediatamente l’enorme portata di uno Statuto dal quale dipenderà se l’Italia sarà o meno considerata come nazione Cattolica, se essa sarà o meno avulsa dal suo passato bimillenario di madre della civiltà cristiana, se le nostre famiglie non saranno peggiormente rovinate dall’introduzione del divorzio, se sarà sancita la libertà di insegnamento nei diritti della scuola privata, se l’unità sindacale sarà severamente informata al rispetto delle coscienze; se la dignità della persona umana sarà tutelata da ogni insidia liberticida, da aggressioni suscitate da pregiudizi settari?

Per mettere in salvo valori e diritti di tale suprema importanza è necessario e doveroso organizzarsi nel campo politico e sociale, e non perdere un solo minuto nell’opera di addestramento e di preparazione alle competizioni elettorali dalle quali può dipendere la salute o la rovina del nostro paese; ma basterà questo? Che cosa crediamo di poter fare senza I’aiuto di Dio? E come fare assegnamento su di esso senza invocarlo? E come non invocarlo apertamente, socialmente, degnamente, quando anche dagli stessi eretici ci viene l’esempio del supremo riconoscimento di Dio in espressioni solenni di non ambigua fede?

Aggiungete alle accennate preoccupazioni tutte quelle altre che derivano dal naufragio desolante dell’onestà, del pudore e degli stessi sentimenti di pietà umana, nonché dalle insidie che si tendono alla fede stessa e dalla penosa situazione economica e internazionale, e poi dite se non è questa l’ora della preghiera, e d’una preghiera sentita, perseverante, generale, per la salvezza della nostra Italia diletta.

Lasciamo naturalmente a chi spetta il compito di invitare i fedeli a pubblica preghiera, come sempre avviene, nel tempo ritenuto conveniente, il occasione di comuni necessità; noi intendiamo semplicemente rivolgerci oggi a quanti hanno coscienza di quel che importi salvare alla nostra Patria la sua impronta cristiana cattolica, perché in uno slancio di privata carità ci si trovi uniti in una crociata di preghiere da iniziarsi senza indugio.

Collochiamo la nostra Italia nel cuore adorabile di Gesù.

Che cosa ci impedisce di ripetere a vantaggio della Patria la pratica dei Nove primi Venerdì del Mese? Come per mezzo di questa devota forma abbiamo chiesto un giorno la salvezza della nostra anima, chiediamo oggi la salvezza della nostra Italia Cattolica.

E poiché il momento non è privo di legittime trepidazioni, e poiché Satana compie lo sforzo supremo per rovinare l’umanità che odia, facciamoci arditi a penetrare nello stesso sacrario del Cuore del Salvatore per chiedergli in carità che si degni di operare dal suo Cuore una trasfusione del suo Sangue divino nelle nostre vene esauste.

Tante povere anime, già così deboli, sono uscite dalla prova di questi anni tragici, esaurite di forze spirituali, disorientate, scardinate, in condizioni tali di dissanguamento religioso da non potersi salvare che con una trasfusione di vitali energie.

Ebbene: se nella S. Comunione del primo venerdì del mese porteremo a Gesù un cuore palpitante di carità per i nostri fratelli d’Italia, il Sangue divino, che nel Sacramento d’amore scende realmente nel nostro essere, non potrà non estendersi, nella sua benefica virtù, a tutti quelli che portiamo in cuore, poiché non è possibile immaginare che la divina infinita Carità non tenga conto del fatto che noi non possiamo essere separati, nella nostra trepidante angoscia, dalle sorti delle anime tutte della nostra Patria.

Sarà compito della nostra Fede di rimettere in circolazione nelle vene esauste d’Italia il Sangue di quel Cuore che ad essa ha assegnato la sede del suo supremo potere spirituale, affinché la patria nostra, non solo sia salva nella sua fede religiosa, ma ritorni alla sua privilegiata missione di primato come Madre della Cristiana Civiltà.

In conformità a quanto è detto in questo scritto, desidero che nelle vostre preghiere raccomandiate al Signore queste importanti intenzioni, intensificando la devozione e il ricorso al Cuore Sacratissimo di Gesù, fonte di ogni consolazione, pieno di bontà e di amore per noi. In particolare desidero che in tutte le Case il S. Rosario di ogni giorno sia indirizzato a questo stesso scopo, aggiungendo ad ogni posta la bella invocazione liturgica: Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus audi nos.

Come sempre, vi raccomando di pregare tanto tanto per me, che ne ho estremo bisogno, prima per la mia anima e poi per l’Opera del Signore, mentre di gran cuore paternamente tutti benedico.

* LETTERA XLV 18 agosto 1945

Amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A breve distanza dall’ultima mia lettera e quasi a complemento di essa vi scrivo la presente, per farvi sentire ancora la mia povera parola e dirvi quello che sento profondamente nel mio cuore di Padre e di Casante e Custode di questa grandissima Opera del Signore.

A grandi mali grandi rimedi; miei cari fratelli, il male che dilaga oggi nel mondo e sembra prendere proporzioni sempre maggiori, mi pare sia senza precedenti; il demonio, nemico giurato del Signore e delle nostre anime, usa tutte le arti perché quest’incendio divampi sempre più, per mezzo dei suoi anche troppo fedeli seguaci, che sono tutti coloro che commettono l’iniquità, di essi servendosi per tenere schiava la povera umanità, che Dio con infinito amore ha creata, redenta e alla quale ha dato e continua a dare aiuti e mezzi divini, affinché possa valorizzare la presente vita, che è, si può dire, come la vita di un giorno rispetto all’eternità, coordinandola con la vera vita del cielo, nostra Patria.

Purtroppo la maggior parte degli uomini chiude gli occhi e non considera queste grandi verità, le dimentica, vive così una vita terrena, vita dei sensi, delle passioni e, come dice il salmo, “l’uomo elevato al grande onore della figliolanza divina non comprese, si è paragonato agli animali senza senno ed è divenuto simile ad essi”.

Ma dove si andrà a finire, miei cari ed amati fratelli, che cosa accadrà, se non si pone un argine, un rimedio efficace a tanto male? Nel passato, come ricorderete, noi sovente abbiamo pregato, abbiamo fatto qualche triduo Eucaristico, per espiare i peccati nostri e del mondo, per propiziarci la divina misericordia, affinché ci fossero risparmiati i castighi divini; le armi di Satana: l’egoismo, la superbia, la perfidia, l’odio ebbero il sopravvento ed ecco quanti disastri, quante sciagure, quante rovine ne sono venute! E l’umanità si è convertita? Sono cessati i peccati? In quale conto si tiene la santa Legge di Dio?

Mio Dio! Cessato questo immane flagello il male si è, si può dire raddoppiato. La generale apostasia da Dio, l’orgoglio, l’accontentamento delle più basse passioni, la sete sfrenata di piaceri, di divertimenti, cinematografi, balli, la moda invereconda, l’idolatria della carne, l’odio tra fratelli, la guerra aperta contro Dio, contro N. S. Gesù Cristo, la sua Chiesa, il suo Vicario e tutto l’ordine sacerdotale, costituiscono un quadro terrificante.

Questo nel mondo; e noi cristiani, religiosi, sacerdoti, come viviamo? Come ci conformiamo nei pensieri, nei giudizi, nella nostra vita pratica alle massime, ai principi del S. Vangelo? Ahimè, quale abisso fra la teoria e la pratica, fra la morale e il nostro Credo, fra la fede che professiamo e la vita che viviamo! Ed è perciò che ancora una volta io mi domando: dove si andrà a finire? Quali altri castighi la giustizia divina ci riserva nell’avvenire?

Il Signore, miei cari fratelli, ha la sua ora; a noi Poveri Servi, ve l’ho detto più volte, mi sembra che il Signore voglia affidare una speciale missione per l’ora attuale. Per questo dobbiamo ancora una volta sinceramente umiliarci dinanzi all’infinita Maestà di Dio, irritata per i nostri peccati, piangere e detestare prima le nostre colpe, espiare per noi e poi riparare e innalzare suppliche per tutti i nostri fratelli, per il mondo e in particolar modo per la nostra cara Patria, che in questo momento specialmente di importanza grandissima per l’avvenire di essa, ha particolare bisogno di Dio, della sua grazia, dei suoi aiuti. Per tutte queste ragioni, nella nostra Casa di S. Zeno in Monte si farà un solenne Triduo Eucaristico ad onore del S. Cuore di Gesù, Triduo al quale io vorrei si unissero tante anime, tutte le anime, per attingere a questa divina sorgente di ogni consolazione quelle grazie, quegli aiuti, quel conforto di cui più che mai tutti sentiamo bisogno in quest’ora di generale smarrimento e confusione; e al Cuore di Gesù cerchiamo di condurre tutti quelli che avviciniamo, con la parola, con l’esempio, con la preghiera: oh se il Cuore di Gesù regnasse veramente nel mondo, mentre sappiamo che il suo regno “è regno di verità e vita, regno di santità e grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”!

Se il Triduo Eucaristico è solo per la Casa di S. Zeno, desidero invece che in tutte le Case, a cominciare dal prossimo mese di settembre, si faccia con particolare impegno e devozione la pratica dei primi venerdì per nove mesi consecutivi, alla cui pratica è legata, come sapete, la grande promessa del S. Cuore, con l’intenzione che essa giovi soprattutto per la nostra cara Patria, nella grave ora che attraversiamo, per conciliare ad essa grazie ed aiuti specialissimi da parte del Cuore divino di Gesù.

Pertanto nei prossimi giorni 16, 17, 18 agosto, che seguono immediatamente la Festa dell’Assunta, Gesù nel Sacramento del Suo amore sarà solennemente esposto e noi ci succederemo per turno nell’adorazione; l’Ottava, poi, dell’Assunta, nella quale quest’anno per la prima volta si celebra per tutta la Chiesa la festa del Cuore Immacolato di Maria, sarà per noi una giornata Mariana, dedicata interamente a questo Cuore Immacolato ed ad esso nello stesso giorno rinnoveremo pubblicamente la nostra consacrazione.

Così le nostre povere preghiere, presentate per le mani della cara Madonna saranno certo più efficaci e a Dio più gradite; ed io confido che una fitta pioggia di grazie scenderà sulla nostra Congregazione, sulla nostra Patria, sul mondo; ma per questo dobbiamo unire alla preghiera la promessa sincera di cambiare vita, di vivere come vuole il Signore, secondo il S. Vangelo, e adoperarci perché il peccato, causa unica di tanta rovina e di tanti mali, venga tolto, perché sia osservata la santa legge di Dio, e cessino gli odi e le vendette, perché fiorisca in tutti la vita cristiana nel vero senso della parola.

In questo proposito di rinnovarci spiritualmente ci dovranno confermare i Santi Esercizi ormai non lontani; vi esorto ad entrare in essi come ad un cenacolo, ed oh piacesse a Dio che gli Esercizi di quest’anno siano per noi quasi una Pentecoste, per uscirne, come gli Apostoli, veramente trasformati in Dio, per vivere davvero lo spirito puro e genuino dell’Opera e compiere così la missione che la divina Provvidenza vuole affidarci.

Che il Signore ci aiuti con la sua grazia.

Pregate tanto per me: come sempre, ve lo chiedo anche questa volta, perché ne sento tanto ma tanto bisogno, mentre nella mia povertà di gran cuore vi benedico.

* LETTERA XLVI 1 – 8 settembre 1945

Fratelli dilettissimi

La grazia del Signore sia sempre con noi tutti, specialmente in questi santi giorni di Esercizi Spirituali. Sono questi giorni destinati a santificare le anime nostre; sono questi giorni di grande misericordia, dove ancora una volta il Signore – pensate: il Signore! quello che un giorno, forse non lontano, ci chiamerà al grande rendiconto – il Signore, dico, ci chiama, per dirci le parole di bontà, per farci conoscere la grande grazia, il grande onore che ci ha fatto togliendoci dal mondo per farci suoi collaboratori, con la vocazione a questa grande, grandissima Opera dei Poveri Servi, per compiere i grandi disegni di bene, sia nell’ordine spirituale, come in quello morale e sociale, a vantaggio della povera umanità.

Miei fratelli, ve l’ho detto tante volte, ve lo ripeto ancora: l’Opera dei Poveri Servi è grande, per la sua natura, per il bene che è destinata a fare, e soprattutto per lo spirito che il Signore le ha dato.

Anche nella stima degli uomini quest’Opera è grande; e tutti guardano a noi con interesse particolare, sentendo qualche cosa di speciale che si irradia da quest’Opera; la posizione stessa, incantevole e bellissima di questa Casa, e di altre nostre Case, è un richiamo ad ammirare la grandezza della bontà e misericordia del Signore, che pensa ai suoi figli, a patto che essi cerchino sempre il suo regno e la propria santificazione.

L’Opera dei Poveri Servi ha una missione tutta particolare poi in quest’ora critica e difficile della storia; nei disegni della provvidenza ha una relazione intima con l’ora attuale per il rinnovamento dello spirito cristiano nel mondo; e questi disegni il Signore si degnerà di sviluppare gradatamente, per il bene dell’umanità, se noi saremo fedeli al nostro programma e se vivremo lo spirito puro e genuino dell’Opera, spirito che ormai tutti dobbiamo conoscere bene, e del quale dobbiamo essere pervasi e compenetrati. E questo spirito, ve lo dico sinceramente, non ho rimorso di non averlo infuso a nome di Dio su tutti voi in generale e su ciascuno in particolare: con la mia povera parola in pubblico e in privato, e con i miei poveri scritti, con le lettere che più volte vi ho mandato, scritte ai piedi del mio Crocefisso, e sempre domandando al Signore che mi ispirasse quello che sarebbe per la sua maggior gloria e il bene spirituale vostro.

Queste lettere, anzi, vi prego di rileggerle ogni qual tratto, meditarle seriamente, per investirvi del vero spirito dei Poveri Servi, e farne tesoro per il vostro avanzamento nel divino servizio in quest’Opera.

Fratelli dilettissimi, per amor di Dio vi raccomando questo spirito puro e genuino, perché solamente così potremo compiere i divini disegni che il Signore vuole attuare per mezzo nostro. Il demonio, nemico di Dio e delle anime, non vuole quest’Opera e tenterà ogni via, ogni arte, anche sotto forma di bene e di zelo, pur di svisarla, di farla deviare dalla sua caratteristica, e se potesse, pur di annientarla. Stiamo attenti, miei cari, e guardiamo di non lasciarci vincere dallo spirito del male; ascoltiamo sempre la voce del Signore, seguite in tutto e per tutto la voce di questo povero “Casante” messo dalla misericordia di Dio a custodia dell’Opera: sono un poveretto fra i poveretti, un miserabile fra i miserabili: ma fin che la bontà del Signore mi tiene qui, dovete ascoltarmi: è il Signore che si degna di adoperare l’ultimo dei suoi servi e dei suoi ministri per dirvi quello che dovete fare per il bene e lo sviluppo dell’Opera. Vi raccomando tanto di ascoltare queste mie povere parole, di farne tesoro; il Signore si degnerà concedere anche singolari carismi a chi mette come Casante dell’Opera; ascoltatelo con spirito di fede, seguitelo docilmente e generosamente.

Fratelli dilettissimi, che grande responsabilità pesa su noi tutti e su ciascuno! Il Signore ci guarda con occhi di speciale predilezione, ci segue e ci guida con affetto più che paterno, e opera veri miracoli per noi, lo possiamo proprio dire; e l’abbiamo visto e costatato in pratica tante volte. A noi ha affidato questa creatura, che è l’Opera dei Poveri Servi; sta a noi di nutrirla, sta a noi il mantenerla, svilupparla sempre meglio, e di estenderla sino agli ultimi confini della terra. E come? Con una grande fede in Dio e nella sua Provvidenza, una grande e profonda umiltà, lasciandoci maneggiare da Lui, come cenci, come creta. Guardate alle anime, ecco il nostro compito; guardate a tutte le anime, ma in modo speciale alle più povere e più abbandonate, quelle che sono la predilezione di Dio. Non fermiamoci alla corteccia, non cerchiamo le cose di questo mondo, gli onori, le grandezze; anime, anime: ecco quello che dobbiamo cercare; tutto il resto non vale niente.

Già voi ricordate bene come le origini dell’Opera sono i giovani abbandonati; è questo il fondamento sul quale la divina Provvidenza ha sviluppato il seme durante questi quasi quarant’anni di vita. Nei nostri tempi, poi, è urgente più che mai darsi alla ricerca dei poveri giovani abbandonati dal mondo e dei più bisognosi. E come a Verona, così si farà a Roma, e in tutti quei luoghi che la divina Provvidenza ci darà. Con questo fondamento divino, che sono queste creature – le quali, specie in quest’ora, sono a migliaia – son certo che il Signore svilupperà altre grandi opere, particolarmente quella sacerdotale, che ci condurrà alle prime sorgenti della vita apostolica: unico mezzo per salvare il mondo.

Per amor di Dio, che al punto della nostra morte, quando saremo lì per il grande rendiconto, non ci abbiano a venire incontro anime che andarono dannate per colpa nostra, perché noi non le abbiamo cercate ed aiutate, perché non le abbiamo assistite quando erano in pericolo, anime rovinate per sempre perché noi non abbiamo imitato il buon Samaritano, Cristo Gesù, come era nostro dovere e nostra vocazione. Fratelli, questo sarebbe il principio del nostro inferno fin dal letto di morte. Che non avvenga a nessuno di noi tanta sventura, tanta disperazione.

Fratelli dilettissimi, facciamo un serio esame in questi santi giorni, facciamo tutti questo esame, e, se troviamo d’essere venuti meno allo spirito dell’Opera, un atto di umiltà subito, e un fermo proposito di rimediare e di vivere d’ora innanzi come il Signore ci vuole.

Ho detto che su di noi pesa una grande e nobile responsabilità; ed è vero, perché l’Opera dei Poveri Servi ha un’intima relazione coi tempi presenti. Ve lo dico con certezza; ho dei segni che la nostra Opera è una grande luce per tutta l’umanità, che vive nella totale oscurità; è una fonte dove molti e molti verranno a bere le acque di vita eterna; è quel modello sul quale si formeranno tante altre opere parallele, a vantaggio della santa Chiesa: qui verranno a vedere, a osservare, a ricopiare come Dio vuol essere amato e servito. Che grande onore e che grande responsabilità!

Fratelli, mettiamoci con impegno, dunque; tutti un cuor solo ed un’anima sola, per compiere i divini disegni. Non temiamo di nulla; nessuna forza esterna, nessun ostacolo esterno può impedire il compimento di questi disegni, e arrestare lo sviluppo dell’Opera. Solo noi possiamo distruggere l’Opera, solo noi possiamo mettere ostacolo sulla sua via luminosa, se non vivessimo secondo il nostro spirito. Che il Signore ci salvi da tanto pericolo, e ci faccia mille volte morire, piuttosto che rovinare l’Opera sua.

Mettiamoci dunque con impegno; rinnovelliamoci in questi santi giorni di bontà e misericordia; viviamo conforme il nostro spirito puro e genuino. Ricorriamo al Signore con la preghiera umile e fervente; fratelli, vi raccomando quanto so e posso la vita interiore: date la massima importanza alle pratiche di pietà, che sono il sostegno della vita spirituale: senza l’aiuto del Signore non si può far niente, in modo speciale quando si tratta della salvezza delle anime. Buona cosa le opere esteriori di zelo e di apostolato; ma, o miei cari, se manca l’interiore, se manca lo spirito, non avremo che dei “rochetoni” che fanno molto rumore, ma nessun frutto.

E ancora vi raccomando le Regole; siate osservanti, non trascuratene alcuna, per quanto piccola e secondaria vi potesse sembrare: tutte son regole dateci dal Signore, e costituiscono la nostra forza, e il segreto della buona riuscita nelle nostre fatiche.

Vi raccomando la carità fraterna; amatevi l’un l’altro di amore sincero, cordiale. Lungi da noi la mormorazione, la critica; se vedessimo qualche cosa che non sembra a posto, compatiamoci a vicenda e sosteniamoci gli uni gli altri; con la carità, col compatimento, con lo spirito di Cristo, i difetti scompariranno, perché il Signore stesso si incaricherà di intervenire a toglierli.

Nelle vostre fatiche quotidiane, nei lavori manuali che spesso dovete fare, talvolta con non lieve sacrificio, ravvivate la fede, guardate in alto e santificate tutto con la retta intenzione, con la buona volontà di fare del bene per mezzo di queste cose. Non disprezzate gli umili uffici; tutto è grande se fatto per il Signore, ma specialmente nella Casa poi acquista una nobiltà tutta propria. E nel trattare gli affari e gli interessi materiali, non dimenticate mai che siamo Servi della divina Provvidenza, Servi del Signore; e quindi anche le cose materiali siano irradiate dallo spirito, trattate al lume della fede, come si addice a persone consacrate a Dio. Vedano i secolari un modo superiore, una luce soprannaturale in queste relazioni temporali, affinché ne restino edificati e imparino anche loro a cercare sempre e soprattutto il santo Regno di Dio.

Analogamente comportatevi nelle conversazioni, nelle discussioni: la politica, le questioni sociali che agitano il mondo di adesso, le guerre e la pace, tutto insomma che tocca da vicino i problemi temporanei, trattiamo al lume della fede, secondo il nostro spirito, alieno dalle vedute umane e mondane, sempre sotto la luce del soprannaturale, dell’interessi del Regno di Dio e della religione. Il Vangelo, miei cari, il Vangelo in pratica: ecco quello che ci deve stare a cuore.

Termino questo mio scritto col raccomandarvi di fare tesoro di quanto vi ho detto col cuore in mano. Se vivrete secondo lo spirito puro e genuino, mi sarete di grande aiuto per portare il peso affidatomi dal Signore; guai se fosse altrimenti! Ne dovreste rendere conto al Signore. Ma mi tengo certo che tutti, un cuor solo ed un’anima sola, vi manterrete fedeli ai santi propositi e vivrete conforme la santa vocazione.

Pregate per me, diletti fratelli; ne ho estremo bisogno. Pregate che io per il primo metta in pratica quello che raccomando a voi. Aiutiamoci a vicenda in questi quattro giorni di terreno pellegrinaggio, per lo sviluppo dell’Opera, a bene delle anime e a gloria di Dio; e saremo poi uniti nel gaudio del santo Paradiso, in quel reparto speciale che il Signore tiene preparato ai suoi servi fedeli.

* LETTERA XLVII Epifania 1946

Miei cari ed amati fratelli

La pace che Gesù Bambino è venuto a portare sulla terra, e che gli Angeli nella Notte Santa annunziarono per la prima volta agli uomini di buona volontà, regni sempre nei nostri cuori. Mi pare sia questo il migliore augurio ch’io possa farvi per il nuovo anno 1946, di cui abbiamo avuto la grazia di vedere l’alba, allietati nello spirito dalle soavi celebrazioni liturgiche proprie del tempo Natalizio.

Il primo d’anno, come ricorderete, fu una bellissima giornata, ed io, a mensa, ne presi motivo per augurare ai fratelli di S. Zeno che, come fuori raggiava uno splendido sole, così risplendesse sempre nelle nostre anime sacerdotali e religiose il sole della divina grazia, per attirare su di noi i doni e gli aiuti dello Spirito Santo, in quest’anno primo di pace, dopo l’immane sconvolgimento di popoli e di nazioni, dopo la terrificante tragedia di dolori, di sciagure, di rovine, di stragi, di morti, che non possiamo ricordare senza raccapriccio.

Tuttavia, tutte queste tristi vicende nella mente e nei disegni della Provvidenza vogliono essere un lievito, una forza, una chiamata a tutti gli uomini, per una generale purificazione, e per noi un insistente, pressante invito perché lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi, dallo stesso divin Fondatore messo fin da principio, sia sempre in piena efficienza. Solo così potremo compiere i grandi disegni di Dio, propri dell’ora eccezionale che attraversiamo, e che la nostra Opera è chiamata, sempre con questo spirito, ad attuare.

Perciò, miei cari ed amati fratelli, quanto so e posso vi raccomando prima di tutto gran fede e grande spirito di fede. Dico spesso a coloro che ho la grazia di avvicinare, che questa è l’ora della fede; purtroppo lo spettacolo di un mondo che ritorna sempre più pagano, il dilagare di teorie atee e materialistiche, la lotta ora sorda e ora aperta, sempre satanicamente organizzata contro Cristo e la sua Chiesa, contro il suo Vicario e contro tutto quello che è sacro, il disprezzo della divina legge, gli scandali, il rallentamento della vita cristiana e dello spirito apostolico in coloro stessi che dovrebbero precedere con il buon esempio, tutto questo può portare come conseguenza un indebolimento della fede anche nei buoni. “Sovrabbondò l’iniquità e diminuì la carità di molti” dice il Signore.

E’ dovere nostro ravvivare questa fede, perché brilli come il sole nel cielo della nostra anima, non solo per noi ma anche per gli altri. Quindi la nostra sia una fede pratica, operosa; nessun contrasto tra la fede che professiamo e la condotta che teniamo; la fede deve segnare la norma costante delle nostre azioni, dei nostri pensieri, dei nostri giudizi. In questo senso è detto: “Il giusto vive di fede”. Nel mondo si vuol spesso conciliare Cristo con Satana, le pratiche di pietà con usi e costumi pagani; ma in noi deve risplendere la pura luce di Cristo: Egli è la “luce vera che illumina ogni uomo che viene a questo mondo”. Ma la sua luce è oscura, non si può vedere se non è riflessa da noi; come vicino al sole, ove non sono elementi che ne riflettano i raggi luminosi, regnano le tenebre più fitte. Per questo è detto: “La luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non la compresero”. Noi ascoltiamo e pratichiamo l’ammonimento divino: “Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei cieli”.

Alla fede uniamo secondo il nostro spirito, un’illimitata fiducia e un tenero, figliale abbandono nella paterna, sempre vigile ed amabile Provvidenza divina. Dio è Padre, ha cura di noi e dei nostri cari; nulla sfugge al suo sguardo, nulla gli può capitare d’improvviso, quasi di sorpresa; tutto è regolato e ordinato dalla sua infinita sapienza, potenza e bontà. Soprattutto potremo dire dalla sua bontà. Non c’è madre che ami tanto la sua creatura, come Dio ama tutti e ciascuno di noi. A tutto egli arriva, anche più e meglio che non arrivi la luce del sole al filo di erba, all’atomo sperduto negli spazi. Egli ha contato persino i capelli del nostro capo, e senza di lui non ne cade neppure uno; gli uccelli dell’aria che non seminano e non empiono granai, sono quotidianamente nutriti da Lui, che insieme provvede una veste smagliante ai gigli del campo: perché dunque temeremo per noi e per le persone che ci sono care?

Qualcheduno potrebbe dire: ma perché allora tanti lutti e dolori, tante prove e disgrazie? E qui mi par di sentire quasi l’eco di molte voci strazianti: sono madri, spose, fratelli, sorelle che piangono i loro cari dispersi o caduti sul campo di battaglia, o periti per i disagi, gli stenti, le privazioni, nei terribili campi di concentramento, senza una parola amica e buona, forse senza una preghiera, una lacrima. E sono forse i più buoni coloro che la raffica ha portato via, forse coloro che più hanno pregato non furono ascoltati, esauditi. Che vale dunque l’essere virtuosi? Che vale pregare, compiere opere buone? Così diceva anche Anna al suo santo sposo Tobia, visitato da tante disavventure, nonostante le sue preghiere, le sue elemosine e la sua carità nel seppellire i morti. Ma Tobia, ripieno di Spirito di Dio, con piena fiducia nella divina Provvidenza, la rimproverò dicendo: “Non parlare così, perché noi siamo figli di santi e aspettiamo quella vita che Dio darà a coloro che non perdono mai la loro fede in Lui”.

Amati fratelli, impariamo anche noi a coordinare la vita presente con la vita futura; non dimentichiamo che siamo nell’esilio, lontani dalla vera nostra Patria, che questo è il tempo della prova; ricordiamoci che i nostri cari vicini e lontani, in qualunque caso e circostanza, sono sempre nelle mani di Dio, quindi in buone mani; che se a loro e a noi non vengono concesse le grazie che domandiamo, altre ce ne sono riservate in cambio di quelle, senza confronto più preziose e importanti. “Le mie vie non sono le vostre vie” dice il Signore; fidiamoci di lui, umiliandoci sotto la potente sua mano, poiché Egli ci è sempre Padre, e quando ci percuote non ci ama meno di quando ci consola.

Un’altra virtù che direi essenziale per noi e per il nostro spirito è la carità. Mai come adesso è necessario moltiplicare le opere di carità; questa è l’ora in cui occorre sacrificarci, privandoci di cose in altri tempi ritenute necessarie; in questo ci dà esempio luminosissimo il S. Padre, che ha allargato braccia e cuore a tante miserie, arrivando anche là dove sarebbe sembrato impossibile arrivare. Come l’Apostolo dobbiamo, specie in quest’ora, “farci tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo”.

Mi restò impressa l’osservazione di un religioso: noi facciamo, egli disse i tre voti di povertà, castità, obbedienza; perché non facciamo anche il voto di carità? Certamente la carità è l’argomento più persuasivo, è la predica più efficace che si possa fare, quella che non si dimenticherà più. Mi piace riferirvi qui un fatto. Tempo fa la Provvidenza accompagnò da noi un pastore protestante in divisa di soldato; io gli dissi qualche parola alla buona; che siamo tutti fratelli figli del medesimo celeste Padre, che considerasse la nostra Casa come casa sua, che io lo tenevo come fosse dei miei. “E’ la prima volta, mi disse, che io sento parlare così; le sue parole mi fanno una grande impressione, le ricorderò sempre; se da per tutto ci fosse questa carità scambievole, non vi sarebbe bisogno d’altro, il mondo sarebbe già tutto cristiano”. Vedete, dunque, che cosa si può fare con la carità? E questa mia povera raccomandazione vorrei fosse indirizzata in modo particolare ai miei cari Fratelli Esterni, che hanno il compito di attingere nella sua sorgente lo spirito puro e genuino dell’Opera, per irradiarlo al di fuori. Date voi per primi l’esempio, e in tutte le vostre cose, negli affari, nelle vostre relazioni regolatevi con questi criteri soprannaturali, mostrate disinteresse e distacco dai beni terreni, dalle superfluità inutili; tutto fate servire alla causa del bene, al trionfo della verità, a far conoscere ed amare N. S. Gesù Cristo, poiché in Lui solo noi possiamo sperare salvezza, benessere, pace.

Ma per questo è assolutamente necessario, miei cari ed amati fratelli, vivere una vita di intima unione con Dio, ricorrere alla preghiera, non fatta in qualunque modo, a fior di labbro, ma che porta al cuore, perché allora ne esperimenteremo l’efficacia. Un Santo dice che la preghiera è l’onnipotenza dell’uomo e la debolezza di Dio.

E in particolare ricorriamo con fiduciosa insistenza allo Spirito Santo, unico vero Maestro della vita interiore e che prega in noi, come dice l’Apostolo, “con gemiti inenarrabili”.

Mi pare e mi sento che in quest’anno il Signore voglia in modo speciale beneficare la povera umanità con grazie e aiuti particolari, affinché tutti possano orientarsi verso N. S. Gesù Cristo, e modellare la loro vita secondo gli insegnamenti di Lui, che è venuto al mondo ed è morto sulla croce perché tutti gli uomini ugualmente redenti col suo preziosissimo Sangue, si sentano così affratellati da formare una perfetta unità, ut sint consummati in unum.

Ma questa è opera solo dello Spirito Santo. V’è bisogno, direi quasi, d’una novella Pentecoste. Fu lo Spirito Santo che “della moltitudine dei credenti formò come un cuor solo ed un’anima sola”; lo Spirito Santo che ispirò molti dei primi cristiani a spogliarsi dei propri averi per metterli nelle mani degli Apostoli, per il bene comune; quando i fratelli di Gerusalemme soffrivano la fame, fu ancora lo Spirito Santo che ispirò i cristiani a soccorrerli. Fu solo lo Spirito Santo che formò gli Apostoli e li fece capaci di rendere a Cristo la più splendida testimonianza con la parola, con gli esempi, con i miracoli, soprattutto con il sacrificio della vita stessa.

Anche oggi, attraverso il tremendo cataclisma abbattutosi sulla povera umanità, attraverso tanti lutti e dolori, tante barriere e ostacoli infranti, Dio vuol rinnovare il mondo. Venga dunque lo Spirito Santo, brilli la sua luce nelle nostre menti, il suo fuoco accenda i nostri cuori e operi prima in noi stessi quella trasformazione che desideriamo portare negli altri.

Voi specialmente, miei cari fratelli Sacerdoti, che siete in cura d’anime, siate ripieni di fede e di Spirito Santo come gli Apostoli, come il Diacono S. Stefano, e opererete prodigi. Adoperatevi a tutto potere perché rifiorisca nelle famiglie la vita cristiana, perché sia osservata la santa legge di Dio, venerato e rispettato il focolare domestico, perché si stabilisca la pia abitudine della preghiera in privato e in comune, la frequenza ai Sacramenti, la santificazione della festa. Parlate spesso di N. S. Gesù Cristo, fatelo conoscere vivente nella sua Chiesa, nel Vangelo, nel suo Vicario, nella SS. Eucarestia. Cercate di impedire l’offesa di Dio, e specialmente il diabolico vizio della bestemmia, che attira sopra di noi i più grandi castighi; ditte chiaro a chi bestemmia che presta la sua lingua al demonio, parla il linguaggio dell’inferno, abbruttisce la sua anima e procura a se e ai suoi una vera infelicità, poiché il bestemmiatore non avrà mai pace e turberà quella della sua casa.

Ma il vero cristiano non pensa solo a sé, egli spinge il suo sguardo anche agli altri, in tutti egli vede dei figlioli di Dio e dei fratelli in Cristo. Egli prega per tutti, affinché s’adempia il voto di Gesù, “che si faccia un solo ovile sotto un solo pastore”. Mi pare che questa sia l’ora di Dio per i grandi ritorni dei fratelli da tanto tempo separati. A proposito dei quali il S. Padre Pio XI disse una frase molto indovinata: “Essi sono – disse – come lingotti d’oro staccati dal masso principale”; dobbiamo quindi non disprezzarli, ma preparare loro la via, soprattutto con la preghiera, l’offerta di sacrifici e di altre opere buone. Questo lo dobbiamo fare sempre, ma lo faremo con impegno tutto particolare nella ormai vicina Ottava di preghiere per l’Unità, dal 18 al 25 gennaio, che in quest’anno desidero sia fatta in tutte le Case con la maggior solennità possibile, specialmente a Maguzzano, dove da più anni è istituita, con decreto Vescovile, la santa Adorazione Eucaristica quotidiana proprio a questo scopo.

Quanto so e posso vi raccomando di associarvi tutti, assieme alle vostre anime, a questa crociata di preghiere per affrettare il ritorno dei fratelli lontani; anzi nella mia povertà prego, e anche voi fate pregare, perché, se a Dio piace, si effettui un desiderio che vagheggio da oltre vent’anni, e cioè che si possa riunire in un luogo di raccoglimento e di preghiera tutti i capi di religione in buona fede, per uno scambio di vedute, per conoscersi senza discussioni, e soprattutto per invocare, come in un cenacolo, lo Spirito Santo. Un ambiente adatto mi sembrerebbe Maguzzano, e io sarei felice se la Provvidenza volesse disporne a questo santo fine.

Ad ogni modo, quello che mi sento è che l’Opera è chiamata ad attuare speciali disegni di Dio, proprio dell’ora presente. Guardiamo di non mettere ostacoli, teniamoci pronti. Molti fratelli nostri sono privi della luce: dobbiamo noi portarla loro; siamo ricchi dei doni di Dio come cristiani, come religiosi, come Sacerdoti; dobbiamo farne parte agli altri. Amati fratelli, quale grazia, ma insieme quale responsabilità! Ci aiuti il Signore, per intercessione della Vergine Immacolata, nostra Madre e Patrona del nostro Istituto, affinché possiamo sempre tutti corrispondere ed essere, nel pieno senso della parola, Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Mi raccomando tanto alla carità delle vostre orazioni; io sempre vi porto nella mente e nel cuore, e per voi offro le mie quotidiane sofferenze e preghiere. Che s’adempia il voto e la preghiera che faccio ogni mattina nel ringraziamento della S. Messa: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum: Amen.

* LETTERA XLVIII Quaresima 1946

Ai miei cari Fratelli interni ed esterni

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

In questa lettera, che con cuore di Padre vi scrivo, come sempre, ai piedi del mio Crocefisso, sento che il divino Padrone vuole che io rivolga la mia povera parola, insieme a voi, miei amati fratelli religiosi, anche ai cari Fratelli Esterni, prima cellula di una grande Opera, piccolo seme di un grande albero. Come indica il loro nome, essi non sono religiosi propriamente detti; non lo potrebbero neanche essere, perché hanno la loro famiglia e vivono nel mondo, ove devono irradiare quella luce che attingono alla sorgente dell’Opera. Sua Eccellenza l’amatissimo nostro Vescovo, che ho sempre considerato il Vescovo della Provvidenza per noi, si è degnato di benedire questa nuova creatura, che così è nata legittimamente, e la sua benedizione è caparra della benedizione di Dio. Così la divina Provvidenza per vie mirabili, ha voluto maturare un disegno delineatosi da anni, mettendo questi miei cari Fratelli Esterni al vostro fianco, perché formino un tutt’uno con voi, compiendo una loro speciale missione propria dell’ora presente, parallela alla vostra, sempre con il medesimo spirito puro e genuino che il divin Fondatore ha messo fin da principio, e guai se questo spirito venisse meno! L’Opera cadrebbe, questo faro luminoso, acceso dalla divina Provvidenza a beneficio della povera umanità, ora più che mai disorientata, scardinata, immersa nelle tenebre di tanti errori e passioni, si spegnerebbe, con grandissimo danno, direi con eterno danno nostro, per non aver corrisposto alle grazie del Signore.

Cari miei fratelli, non finirò mai e poi mai di dirvi e ripetervi che quest’Opera dei Poveri Servi nell’ora attuale dev’essere luce, vita e continuo richiamo al santo Vangelo, alla vita degli Apostoli e dei primi cristiani. Quando si sbaglia strada e ce se n’accorge, bisogna subito tornare indietro e rimettersi su quella giusta che conduce alla meta; ora il passato e il presente, con la voce eloquente dei tragici avvenimenti di cui fummo e siamo testimoni, ci dicono che l’umanità ha sbagliato strada, deve quindi tornare indietro. E’ inutile illudersi, bisogna rifare il cammino, riprendere la via giusta, e qual’è questa via? Non altra che quella dell’osservanza della divina legge; dobbiamo tornare a Dio, a Cristo, al suo Vangelo, che dobbiamo osservare vorrei dire alla lettera, perché è parola di Dio, viva e perenne, che mai si muta, non viene meno mai.

Vedete invece come la maggior parte degli uomini vivono, pensano, agiscono come tutto dipendesse da loro, non si curano di Dio e della sua Legge, guardano solo la vita presente, il benessere materiale, fisico, purtroppo l’uomo crede di far da solo, di bastare a se stesso; la scienza, il progresso, le scoperte ci riempiono di meraviglia, doni grandi di Dio, che dovrebbero coordinarsi al bene di tutti, inorgogliscono l’uomo e arrivano a dargli la sensazione di non aver più bisogno di Dio, e l’uomo si mette egli stesso al posto di Dio, ripetendo coi fatti, se non con le parole, il proposito blasfemo di Lucifero, quando disse: “Sarò simile all’Altissimo; innalzerò il mio trono sopra le stelle”.

Quale follia e insieme quale ingratitudine, mentre queste meravigliose conquiste dovrebbero maggiormente avvicinare Dio all’uomo, messo a contatto con le leggi così sapienti, che a evidenti caratteri portano impresse le tracce e il sigillo della divinità. E questo avviene fra i popoli cristiani, dopo venti secoli di redenzione; per questo mi par di sentire il lamento di Gesù, rivolto specialmente a noi Sacerdoti e Religiosi e cristiani: Quae utilitas in sanguine meo?

La mia vita, i miei esempi, i miei insegnamenti, che sono divini, come vengono osservati e messi in pratica? Io sono venuto al mondo per voi, vi ho dato la mia legge, sono vissuto in tanta povertà, ho faticato, oscuro artigiano, nella casetta di Nazareth, nella mia vita pubblica ho annunciato agli uomini la più santa lieta Novella, ho moltiplicato i prodigi a sollievo di tanti infelici, ebbi compassione delle turbe fameliche, sono morto per voi, rimanendo tuttavia vostro compagno ed amico nei santi Tabernacoli, rinnovando sugli altari di tutto il mondo il sacrificio della Croce, per applicarne a voi abbondantemente i frutti preziosi, per darvi la mia carne in cibo e il mio sangue in bevanda. Ma quale corrispondenza ho io trovato fra gli uomini? Quae utilitas?

Purtroppo, miei cari fratelli, questo grido, questo lamento divino non lo si comprende, l’uomo è volontariamente sordo e cieco, vuol seguire le sue vie, le vie del piacere, dell’orgoglio, dell’odio, dell’egoismo, dell’apostasia da Dio, e trova la sua rovina. Cristo è venuto per conciliare la terra col cielo, per dirci che la vita presente non è altro che una breve parentesi, una vigilia, una preparazione alla vera vita, che non è di quaggiù; per insegnarci che niente giova possedere anche tutto il mondo se non si arriva a Dio, a salvare l’anima; questa è la luce vera destinata a illuminare ogni uomo che viene a questo mondo; ma, come dice il Profeta, gli uomini amano più le tenebre che la luce.

Ed ecco il compito speciale dei Poveri Servi: riportare nel mondo la fede in Dio, quella fede viva operosa che genera la fiducia in lui e nella sua paterna Provvidenza; noi dobbiamo essere fari accesi nella notte oscura del mondo, da noi si deve irradiare la pura luce di Cristo e del suo Vangelo, Codice divino per tutti gli uomini e specialmente per noi.

E questa missione è particolarmente vostra, miei cari Fratelli Esterni, che vivete a contatto col mondo; la vostra vita irreprensibile e santa sia la predica che farete a tutti; poi dite la parola buona, usate grande carità con tutti, secondo quell’aurea regola di S. Agostino: odiare il male, ma amare e compatire coloro che lo commettono. Vi raccomando tanto la preghiera, la frequenza dei Sacramenti; noi dobbiamo sfruttare, lasciatemi passare la parola, le miniere soprannaturali che solo noi possediamo, e ricordiamoci che per questo non ci dobbiamo credere dei privilegiati: il Signore ci ha fatti ricchi dei suoi doni perché gli comunichiamo anche agli altri che ne sono privi.

Purtroppo il mondo ritorna pagano, nonostante tanti inviti, tanti richiami che il Signore ci ha fatti e continuamente ci fa; forse siamo ancora in tempo di far prevalere e trionfare la bontà e la misericordia del Signore; chiamiamo Dio con noi: “Mane nobiscum, Domine”! L’empio e chiunque opera l’iniquità, crede forse di essere libero, e invece è schiavo del peggiore dei tiranni, serve a Satana, nemico di Dio, il genio del male, che stabilisce il suo regno nelle colpe e nei peccati. Per avere ascoltato lui ecco in quale baratro è caduta la povera umanità! Non dimentichiamo che egli è ingannatore e bugiardo fin da principio. Se invece ascoltiamo il Signore, se gli prestiamo un fedele servizio, godremo della vera libertà, propria dei figlioli di Dio. Egli sarà con noi, godremo la sua pace. Se gli uomini vorranno ricostruire senza di Lui, si affaticheranno invano. Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Ma se faticheremo con Lui, i nostri sforzi saranno benedetti, e avremo la fortuna di avere la sapienza di Dio per guida, la sua onnipotenza per aiuto, e di essere i collaboratori con Dio per la nostra e altrui santificazione.

Ma un’ultima cosa sento il bisogno di dirvi; abbiamo in questi giorni sentito sgorgare dal cuore Apostolico del S. Padre la parola che ha elettrizzato il mondo; ma più che aver inteso, è necessario farne tesoro, specialmente noi che dobbiamo essere in prima linea nel cooperare col Vicario di Gesù Cristo in terra.

Il Signore si è servito della malvagità umana per ben arare il terreno, per abbattere tante barriere e così la S. Chiesa sempre più si innalza e fa sentire la sua voce fino agli ultimi confini della terra, tutti richiamando al suo seno. Ma oh quanti fratelli nostri non sentono questa chiamata, vivono lontani e fuori dalla vera Chiesa! E sono nostri fratelli, ed è dovere nostro usare tutti i mezzi, perché anch’essi tornino all’ovile. Il pensiero dell’unità cristiana deve essere nel cuore di ogni cattolico e in modo speciale di noi Sacerdoti e Religiosi. Vorrei anzi dire che uno scopo nostro, ossia dei Poveri Servi, dev’essere anche questo, di cooperare all’unità cristiana. Anche voi, cari Fratelli Esterni, avete una speciale missione vostra; nella vostra famiglia, nell’ufficio, nella professione che esercitate, nell’ambiente di lavoro, quanto bene potete fare! Avete poi il vostro Regolamento, tenetelo non solo scritto o stampato sulla carta, ma nel cuore, e praticatelo, e così facendo concorrerete voi pure a compiere il grande palpito di Cristo: ut unum sint.

E i mezzi? Ve li ho accennati: l’Eucarestia, la S. Messa, la preghiera, la devozione alla cara Madonna, la carità, lo spirito di fede, vedere in tutti l’immagine di Dio, dare il buon esempio, perché proprio bisogna incominciare di qui. Bisogna avere per dare, vivere per far rivivere; viviamo Cristo e il Suo Vangelo e lo comunicheremo anche agli altri. Mi sono sempre sentito, ma oggi in modo tutto particolare, che l’Opera dei Poveri Servi, l’Opera dei Fratelli Esterni, dev’essere il piccolo gregge che deve richiamare gli uomini e il mondo al santo Vangelo. Dio mio, quale grazia, quale onore! ma insieme quale responsabilità!

Vi prego e vi scongiuro, leggete, studiate ogni giorno qualche tratto del S. Vangelo, vivetene lo spirito che è lo spirito di Cristo e dell’Opera nostra; siate in efficienza di virtù e di santità, per essere prima di tutto sale e luce per voi stessi, e diventare quel “genus electum” di cui parla l’Apostolo S.Pietro.

Vissuta così, la vita presente è vita di pace e di grazia, di serenità e gioia nel Signore, saggio e caparra dell’eterna beatitudine in Cielo.

Ma se tanto vale per i cari Fratelli Esterni, quanto più vale per voi che avete la fortuna di chiamarvi e di essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza! Per questo, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore, l’osservanza delle sante Regole, e specialmente la fedeltà a quelle piccole prescrizioni che appunto perché piccole si può essere tentati di trascurare. Io ho questa massima, che le più grandi cose sono fatte di piccole cose; l’oceano immenso è pur formato di innumerevoli goccioline d’acqua. E poi niente è piccolo di quello che si fa per il Signore, e ciò vale tanto più per noi, che in tutto e sempre dobbiamo regolarci con lo spirito di fede, caratteristica di quest’Opera, la quale potrà compiere i nuovi disegni che Dio ha sopra di essa, propri dell’ora attuale, a patto che noi siamo all’altezza della nostra santa vocazione. L’Opera, ricordatelo, siamo noi; da noi dipende quindi, la sua stabilità, diffusione, fecondità. Guai a noi se non tendiamo con tutte le nostre forze alla nostra santificazione! Per amor di Dio guardiamo di corrispondere!

Siamo nella S. Quaresima: “tempo veramente accettevole, giorni di salute”, questi, per noi. Avremo presto anche i santi Spirituali Esercizi: sono tutte grazie del Signore; approfittiamone per rimediare al passato e rinnovare i nostri propositi di bene. Viviamo in modo, o cari, che la nostra condotta, i nostri sacrifici, le nostre preghiere di questi giorni siano un contrappeso sulle bilance di Dio per attirare la sua divina misericordia; senza dire che così ci prepareremo santamente alla massima solennità cristiana, la Pasqua di Resurrezione. Pregate tanto per me.

* LETTERA XLlX Esercizi 1946

Amati fratelli in Cristo

Ho pregato perché il Signore mi conceda la grazia di potervi rivolgere una parola, che, detta in questi momenti in cui la grazia di Dio è venuta così abbondante nella mia anima, nelle vostre anime, sono più che certo porterà frutti di bene, prima per la santificazione personale vostra, e poi per la santificazione di questa grande, grandissima Opera, alla quale per tratto tutto particolare della divina Provvidenza noi apparteniamo.

Miei cari fratelli, non vi dico cose nuove, vi ripeto e vi dico in nome di Dio quello che tante e tante volte vi ho detto. Io qui non sono altro che un povero custode, messo qui dalla divina Provvidenza per manifestare la bontà, la misericordia del Signore, ma fino a tanto che il Signore mi tiene qui, ricordatelo, mi dovete in tutto ascoltare, perché è questo uno dei tratti caratteristici dell’Opera: il Custode, il Casante presente e futuro avrà aiuti e grazie e lumi particolari dallo Spirito Santo, per condurre e guidare questo divino Bastimento che è l’Opera, la Famiglia dei Poveri Servi.

Fratelli cari, siate cenci, creta, disposti a tutto, siate conche e canali e conformate con la divina grazia, la vostra vita a quella degli Apostoli, non avendo altro di mira che la gloria di Dio e il bene delle anime. Questa parola “anime” deve elettrizzare i vostri cuori, pensando che Gesù per tutte le anime ha dato la sua vita, ha versato tutto il suo Sangue; ed è per le anime, per tutte le anime, specie in quest’ora, che la Provvidenza divina ha messo nel mondo sconvolto e che sta per rovinare, quest’Opera dei Poveri Servi. Amati fratelli, il nostro pensiero, il nostro palpito più vivo siano le anime; quante anime anelano la luce in mezzo a tante tenebre, quante sono sitibonde di grazia e di pace, dopo le delusioni di un mondo che crolla! Ma per andare loro incontro, perché queste anime siano salvate, prima di tutto è necessario che ciascuno di noi tenda alla propria santificazione; ed ecco allora l’importanza di vivere praticamente lo spirito puro e genuino della nostra Opera; per dare bisogna avere, per avere bisogna che noi tutti riceviamo da N. S. Gesù Cristo, che deve essere il nostro divino modello. Non faremo niente, rovineremo l’Opera, se noi non ci santifichiamo; ed ecco l’importanza della vita interiore e delle pratiche di pietà, dell’osservanza delle Sante Regole; lasciamo tutto, ma non lasciamo le pratiche di pietà, perché solo così, insieme con noi, l’Opera sarà in piena efficienza e compirà i grandi disegni che la Provvidenza vuole compiere.

Fratelli, quale gloria, ma nello stesso tempo quale grande responsabilità! L’ora attuale è terribile, non si sa cosa potrebbe avvenire da un momento all’altro; stiamo pronti a tutto, stiamo uniti con N. S. Gesù Cristo e saremo sicuri di vincere. Fratelli, vi ho detto ancora: “nessuna forza esterna potrà distruggere quest’Opera, solo noi se non viviamo come il Signore vuole”.

La Provvidenza divina, dopo le tante grazie del passato, ci ha fatto anche questa dei Santi Esercizi; da questo Cenacolo dobbiamo uscire tutti rinnovati, come gli Apostoli nel giorno della Pentecoste; gli Esercizi di quest’anno 1946 segnino il principio di una nuova vita, tutta spesa per il Signore; quale pace godremo allora anche in questa vita di esilio, ma più che tutto, quale premio in Cielo! Sì, miei cari ed amati fratelli! pensiamo spesso al Paradiso per il quale siamo fatti; portiamo Dio alle anime, a tutte le anime, ed avremo la dolce certezza di avere assicurata la salvezza dell’anima nostra.

Io sempre vi porto nella mente e nel cuore; vi seguo vorrei dire passo per passo, nel vostro lavoro e offro al Signore la mie non piccole sofferenze perché il vostro lavoro sia fecondo di santi frutti. Voi non dimenticate il vostro Padre, pregate, pregate tanto per me, non velo dico per consuetudine, no; ne sento estremo bisogno. E che a tutti noi il Signore conceda la grazia di ritrovarci tutti, nessuno, nessuno escluso, nel Santo Paradiso. Vi do la S. Benedizione, che sia come sigillo alle grandi grazie che il Signore vi ha fatto in questi santi Esercizi, e questa benedizione vi accompagni sempre e sia fonte di luce, di forza e di pace per il vostro apostolato in quest’ora tanto terribile e pur tanto grande nella mente di Dio, perché, se noi saremo in piena efficienza, la bontà divina risplenderà ancora una volta sopra la povera umanità caduta tanto in basso.

* LETTERA L Pentecoste 25 maggio 1947

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare e cui dovete essere “sale e luce” per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera, alla quale solo per un tratto di particolare predilezione il Signore vi ha chiamati.

Senza dubbio, cari ed amati fratelli, noi viviamo in una epoca che esce dall’ordinario corso delle cose e degli avvenimenti: la si potrebbe giustamente definire “epoca di emergenza”, tanto profondo e generale è il contrasto delle idee, tanto minaccioso il cozzo che si teme inevitabile tra le forze del bene e quelle del male; non possiamo quindi, anzi non dobbiamo restare inattivi, indifferenti: sarebbe tradire quella missione di bene che a ciascuno è affidata a pro dei fratelli. Guardate come lavorano e si organizzano gli avversari: purtroppo molto spesso i figli delle tenebre sono più prudenti dei figli della luce. Dobbiamo sentire potente il bisogno e il dovere di una totale riforma della nostra vita, per essere, come tante volte vi ho detto, “in piena efficienza”, onde trovarci pronti, in un domani forse non lontano, a fare tutto quello che il Signore ci domanderà, qualora ci veda ripieni di Lui, “Vangeli viventi, altrettanti Cristi” come dice l’Apostolo.

Questo vale per tutti, sacerdoti, religiosi, cristiani, ma vale specialmente per noi, perché voi sapete, come tante e tante volte vi ho detto, che l’Opera ha fini particolari, propri dell’ora attuale: quale gloria, quale privilegio! ma insieme quale responsabilità, se non siamo come veramente il Signore ci vuole. Mettiamoci dunque subito all’impegno, facciamo un serio esame di coscienza e poi dei santi propositi di bene. Ricordiamoci che la vita passa presto; in un giorno più vicino forse di quello che non pensiamo, ci ritroveremo stesi sul letto di morte; beati noi allora se avremo corrisposto al cumulo immenso di grazie da parte del Signore! Quanta pace, quanta consolazione inonderanno il nostro spirito! Ancora sul letto di morte, io credo, vedremo Gesù che verrà a consolarci e a portare le nostre anime al premio eterno.

Ma poveri noi se ci troveremo a mani vuote, senza aver trafficato i talenti ricevuti! Per questo ho sentito il bisogno di rivolgervi ancora una volta, sarà forse l’ultima, la mia povera parola, che per quanto io sia misero e povero canale, zero e miseria, vi parlo però a nome di Dio, che vi vuole strumenti umili, docili, per compiere cose grandi con cose piccole, perché, come sempre, Dio sceglie “le cose stolte del mondo per confondere i sapienti, e le cose deboli per confondere le forti, le cose vili e spregevoli e quelle che non sono per confondere quelle che sono”, affinché a Dio solo sia onore e gloria. Per questo tante volte vi ho detto: l’Opera sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera, avrà la protezione di Dio se starà lontana dalla ricerca delle protezioni umane. Ed anche per conto vostro non ambite di far cose grandi, invece fate gran conto delle cose piccole. Nel servizio di Dio tutto è grande e divino. La preziosa margherita della vostra santificazione è nascosta nel campo delle quotidiane e semplici occupazione vostre; nulla quindi trascurate: i più piccoli doveri, le minime regole contengono tutte e vi manifestano la santa volontà di Dio; Ricordatevi che la fedeltà di un servo si manifesta soprattutto nell’osservanza dei minimi ordini del suo padrone.

Viviamo la vita della fede, non solo per noi ma anche per le anime che avviciniamo; dobbiamo essere veramente quello che esse ci stimano e credono; per amor di Dio che non siano ingannate, e un giorno non devano rimproverarci che la vita da noi vissuta era ben diversa da quella che esse si pensavano: quale confusione sarebbe per noi! Siamo invece, come ci esorta l’Apostolo, veri “figli della luce; ora, frutto della luce è tutto ciò che è buono, giusto e vero, tutto ciò che piace al Signore”.

Solo così potremo dirci ed essere veramente Poveri Servi nel pieno senso della parola; a che servirebbe averne il nome e non possederne lo spirito? Meglio sarebbe, in questo caso, ritornare nel mondo, dove un Fratello potrebbe ancora sperare di salvarsi e aiutare l’Opera stessa, mentre restando qui, sotto i padiglioni della divina Provvidenza, porterebbe lo sconcerto, il disagio, e non si potrebbero compiere i divini disegni. Quale responsabilità! Pensiamoci bene, e se il nostro desiderio è di rimanere, in ginocchio ve lo dico, guardate, anzi dirò meglio, guardiamo di corrispondere e di tendere continuamente alla nostra santificazione.

Miei cari fratelli, l’umanità è come avvolta in fitte tenebre, gli uomini non vogliono saperne di Nostro Signore, il male che dilaga è grande, ma non ci deve spaventare; un “fiat” può annientare le forze del male, distruggere tanti errori, rovesciare posizioni e cose, e far sì che si realizzino “caeli novi et terrae novae”; allora la povera umanità potrà conoscere che solo in Dio e nel santo Vangelo praticamente vissuto si trova la soluzione chiara e precisa di ogni questione terrena, e al tempo stesso ci assicurerà l’acquisto e il possesso dell’eterna felicità. Poiché la vita presente dev’essere coordinata con la vita futura; “che cosa giova all’uomo, dice il Signore, guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?”.

Vi sono, è vero, tante bellezze e meraviglie anche in questo mondo, e dobbiamo esserne grati a Dio, essendo doni della sua amabile e paterna Provvidenza, ma non dobbiamo attaccarvi il cuore; pensiamo piuttosto che, se ha abbellito così il rovescio del lavoro, come sarà il diritto? E se il Signore per noi ha profuso tante bellezze in questa terra d’esilio, quali saranno le gioie della Patria? Non per nulla Gesù ha voluto ricomperarci il Paradiso a costo del Suo preziosissimo Sangue! Non dimentichiamo questi pensieri e questi principi fondamentali, non perdiamo mai di vista l’anima, il Cielo, l’eternità.

Amati fratelli, stanno per compiersi quaranta anni, dacché il Signore, per tratto particolare della sua divina misericordia, ha fondato quest’Opera, qui nella nostra Verona e proprio a S. Zeno in Monte, terra da lui prediletta e benedetta, che non a caso ha voluto su quest’altura. Anche il faro, si pone in alto, perché illumini da lontano; la nostra Opera, dal colle di S. Zeno, deve irradiare la sua luce “usque ad finem terrae”.

In questi XL anni, con la divina grazia si è fatto un po’ di bene, il Signore ha manifestato molti disegni ed altri ancora ne manifesterà per la sua gloria e il bene delle anime, a patto che anche in futuro e sempre si stia fedeli allo spirito puro e genuino dell’Opera. Uno di questi disegni mi pare che il Signore si sia degnato di manifestarmi in questi giorni: è un disegno grande, un incarico divino che viene affidato alla nostra Opera, che se da una parte è titolo di predilezione, dall’altra ci deve riempire di sacro timore, consci della debolezza e fragilità nostra; tuttavia son certo e sicuro che lo riceverete tutti con riconoscenza e cercherete di corrispondervi con il più grande impegno e fervore.

Gesù Benedetto, Padrone assoluto, nella sua divina bontà e misericordia, si rivolge alla nostra Opera, e la chiama ad una particolare azione riparatrice per gli incredibili sacrilegi che si commettono non solo in paesi a noi lontani, ma in molte città della stessa nostra cara Patria, pur tanto prediletta dalla divina Provvidenza. Fa orrore pensare a quello che Satana mette in opera, in quest’ora più che mai, perché la terra sia bruttata da orribili contaminazioni sacrileghe, prendendo di mira soprattutto la SS. Eucarestia. La nostra Opera deve fare da contrappeso a tanto infernale odio contro Dio e contro le cose più sacre della nostra santa Religione, con preghiere riparatrici e ancor più con la santità della vita.

In questa divina luce di espiazione e riparazione mi sembra di capire il perché delle sofferenze di tanti nostri cari Confratelli, e forse il Signore ne chiederà anche di maggiori. Dobbiamo essere disposti e preparati, pensando al gran dono della sofferenza che ci rende conformi a N. S. Gesù Cristo, che con i suoi patimenti e la sua morte ha pagato per i peccati di tutti gli uomini.

E’ lo stesso Gesù benedetto che ci vuole associare a sé per cooperare con Lui e compiere ciò che manca alla sua Passione. E come ci vuole compagni nel patire, ancor più ci vuole partecipi dei suoi stessi interni sentimenti nel soffrire. Come Lui, accettiamo tutti i dolori fisici e morali dalle mani amorose del Celeste Padre, e quando dovessimo soffrire da parte degli uomini, preghiamo per essi, ripetendo la preghiera di Gesù pendente dalla croce: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che si fanno”. La loro conversione, il loro ravvedimento ci devono stare a cuore assai più di quello che dovessimo soffrire da parte loro. Oh, se la nostra preghiera, avvalorata dalla sofferenza, potesse ottenere la conversione anche di uno solo di coloro che presiedono alle Nazioni, chi potrebbe calcolare il bene che ne verrebbe?

Vedete, dunque, miei cari fratelli, quali orizzonti va tracciando la Provvidenza a noi e alla nostra religiosa Famiglia. Siamone riconoscenti e guardiamo di corrispondere a questa singolare predilezione divina. Queste sono le vere ricchezze per l’Opera, e ricordiamoci che dinanzi a Dio non ha molta importanza il moltiplicare le Case, ma bensì intensificare lo spirito e la nostra vita interiore. Egli cerca noi stessi, e vuole essere onorato soprattutto dal nostro sacrificio, dalla rinuncia di noi stessi, dalla nostra immolazione per la santificazione nostra e la salvezza delle anime.

Ed ecco quanto mai opportuno il mese di giugno, miei cari ed amati fratelli, per entrare nel più ampio spirito di questo nuovo fine che il Signore ci vuole affidare. La devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù mira principalmente alla riparazione, come Gesù stesso ha rivelato a S. Margherita e la Chiesa, ha solennemente confermato; e quest’anno la festa del S. Cuore, grazie alla santa e provvida iniziativa di un’anima guidata dallo spirito del Signore, dovrà essere una giornata consacrata alla santificazione del clero.

Tutte queste circostanze ci devono animare sempre più allo spirito e alla pratica della riparazione, e la cara Madonna in questi giorni che ci rimangono del suo bel mese, e coincidono con la novena e la festa di Pentecoste, ottenga a noi, come agli Apostoli, una larga infusione dello Spirito Santo, che ci trasformi e accenda nei nostri cuori il fermo proposito di corrispondere sempre più e sempre meglio alle aspettative del Signore.

Ecco, miei cari ed amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi. Pregate tanto, ma tanto per me. Non ve lo dico per complimento: ne sento estremo bisogno, prima per la mia povera anima, e poi per questa grande Opera del Signore. Anche io sempre vi porto nella mente e nel cuore e prego per tutti, vicini e lontani. Vi seguo dovunque con la preghiera, con la sofferenza e con la Paterna benedizione; ed anche ora più col cuore che con la mano vi benedico tutti.

* LETTERA LI Verona 18 agosto 1947

Miei amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Questa mattina mi sono sentito di scrivere ad ogni nostra Famiglia religiosa, per richiamare a tutti un punto della massima importanza, e ogni Superiore locale legga queste mie povere parole, commentandole con giusta fermezza ai cari nostri Fratelli e Sacerdoti.

Anzi tutto ricordo loro che l’Opera dei Poveri Servi è la pupilla dell’occhio di Dio, fu Lui a fondarla e la dirige con Provvidenza tutta particolare; ora Satana ha i suoi ausiliari e si serve della lingua mordace e mormoratrice per colpirla, e purtroppo sono proprio quelli che la Provvidenza ha prediletto con doni e grazia. Li metto sull’avviso, che domandino perdono a Dio e vivano tutti lo spirito puro e genuino dell’Opera, e che quando parlano con gli esterni, pesino le parole. Non basta dire di obbedire a Don Giovanni, bisogna fare quello che dice Don Giovanni.

Fu il Signore che ha voluto che dica così, per risparmiare castighi ai mormoratori.

Le nostre Costituzioni sono molto severe in proposito, e vorrei che tutti leggessero e meditassero la regola 91, che dice così: “si eviti con ogni cura la mormorazione, soffocatrice della carità e della pace, seminatrice di discordie, massime se si riferisce alle disposizioni dei Superiori. Chi ammonito, non si corregge da questo difetto, sarà rimandato” (Costit. 106 del testo approvato dalla S. Sede).

Ognuno faccia un serio esame e prometta di emendarsi, se non vuole essere allontanato direttamente da Dio. Pregate tanto per me, che vi benedico come sempre con cuore di Padre.

* LETTERA LII Santi Spirituali Esercizi 1947

Miei amati, amatissimi fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Ringrazio e benedico di cuore il Signore che anche questo anno mi concede di rivolgervi la mia povera parola nel tempo dei Santi Esercizi, che sono sempre giorni di grazie e di grandi misericordie. Forse sarà l’ultima volta che io vi parlo in nome di Dio, Padrone assoluto di questa sua Opera, destinata a compiere miracoli di bene in quest’ora tanto oscura anche per la santa Chiesa, e che solo il ritorno pratico alla vita degli Apostoli e dei primi cristiani può rischiarare, illuminare.

Ma che cosa vi dirò come mio ultimo ricordo, come mio testamento? – Non cose nuove, ma vi ripeterò quello che tante e tante volte vi ho detto e ripetuto. E prima di tutto ricordatevi che l’Opera dei Poveri Servi è grande, grandissima nella mente di Dio; nata nel Sacro Costato di Gesù Crocefisso, è destinata a compiere nuovi e grandi disegni divini propri dell’ora attuale, a patto che noi viviamo lo spirito puro e genuino che il divino Fondatore ha messo fin da principio, a patto che tutti corrispondiamo, vivendo all’altezza della nostra speciale vocazione.

Satana freme, non vorrebbe l’Opera, e tenterà tutti i mezzi per distruggerla, se fosse possibile; ma come vi ho detto ancora, io non temo i nemici esterni; anzi le lotte le contraddizioni che vengono dal di fuori, serviranno a maggiormente consolidarci; d’una sola cosa io ho paura: del peccato; ho paura che il demonio cerchi e trovi degli ausiliari in qualcheduno di noi. Mio Dio, quale rovina sarebbe! Ma quale sorte toccherebbe a chi profanasse la Casa di Dio col peccato, e facesse causa comune col demonio ai danni dell’Opera! – Quando, anni addietro, rivolgevo più spesso la mia povera parola ai cari ragazzi, molti di voi ricorderete, io ero solito dire che la Casa è benedizione o rovina; benedizione per chi corrisponde e rovina per chi non corrisponde; benedizione o rovina nel tempo, ma più che tutto nella eternità. Se questo è vero per i ragazzi, quanto più per noi amati fratelli!

Per questo in ginocchio vi prego e vi scongiuro: guardate di corrispondere; che il nome dei Poveri Servi della divina Provvidenza non ci sia di condanna quando ci presenteremo dinanzi al Tribunale di Dio, perché, o cari, verrà per tutti il giorno in cui dovremo rendere conto a Dio della nostra vita, delle grazie ricevute e non corrisposte; ma noi dovremo rendere conto come membri di quest’Opera di Dio, che vive da quarant’anni e, si può dire, ci ha allevati, nutriti, e tutto quello che abbiamo al presente, l’abbiamo per riguardo e in vista dell’Opera.

Vivete la vita di fede; in un mondo che si allontana sempre più da Dio, accendiamo in noi stessi questa fiamma, che rischiari anche ad altri il cammino; ma la nostra sia una fede pratica; quindi vi raccomando lo spirito di fede; vedere il Signore in tutto e in tutti; anche negli avvenimenti dolorosi, anche quando il Signore permette la prova. I Santi hanno vinto per mezzo della fede, e anche noi saremo dei vincitori secondo la grandezza della nostra fede.

Vedete il Signore nei Superiori; negli ordini che vi vengono dati, che se questo pensiero ci fosse famigliare e potessimo dire e ripetere sempre: “Dominus est! E’ il Signore!” quanto ricca di meriti sarebbe la nostra vita! E poi pieno e figliale abbandono in Dio e nella sua Provvidenza; Dio non può mancare di parola; ora Egli ha detto: “Cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose”.

Se la Provvidenza venisse a mancare, guardiamo se prima siamo mancati noi ad Essa; che se il Signore permetterà la prova, allora più fede, più fede, e vedremo Dio. – E mostrate a tutti questo abbandono nell’avvicinare i benefattori; nel trattare gli affari non mostratevi eccessivamente interessati, non fate risaltare voi stessi, ma Dio, l’Opera. Ricordatevi, noi dobbiamo scomparire. – Chi fa caso alla singola pietra di questa bella chiesetta? – Noi ammiriamo solo la chiesa nel suo complesso. Noi siamo le vive pietre che compongono un altro grande edificio, che è l’Opera dei Poveri Servi. Che tutti vedano l’Opera, senza curarsi di noi che, ripeto, dobbiamo scomparire.

Vi raccomando tanto la vita interiore; stiamo uniti a Gesù, come tralcio alla vite; che cosa può fare il tralcio se non rimanere attaccato alla vite? – Ricordiamo la grande parola di Gesù: “senza di me non potete far niente”.

Quindi le pratiche di pietà; vada tutto, ma non si trascuri le pratiche di pietà. Per quanto si abbia da fare, si trova il tempo di mettersi a tavola; le pratiche di pietà sono l’alimento indispensabile della nostra vita cristiana e religiosa, sacerdotale. La nostra sia sopra tutto pietà Eucaristica, pietà Mariana.

L’Eucarestia è la devozione caratteristica della nostra Opera: Gesù vivente in mezzo a noi, dimorante nei nostri tabernacoli, che ci invita a se per consolarci e santificarci, che ci promette la vita eterna: che cosa possiamo cercare di più e di meglio?

Quindi, per noi Sacerdoti la celebrazione della S. Messa e per voi Fratelli la S. Comunione, siano il centro della nostra vita e della nostra giornata. Ma a Gesù si va per mezzo di Maria; siamo devoti della cara Madonna, veneriamo in Lei sopra tutto il grande privilegio della sua Immacolata Concezione: Maria Immacolata, nelle cariche perpetue, la Padrona dell’Opera nostra.

Siate umili; l’umiltà rende possibili e stabili tutte le virtù; amate il nascondimento, buseta e taneta; il Signore allora verrà a cercarci ed adoperarci. – Siate docili ed obbedienti; come cenci, come creta, senza testa, perché allora il Signore ci presterà la sua; non cercate le protezioni umane, Dio solo ci basti. – Siamo Vangeli viventi, per irradiare intorno a noi la luce di Cristo, affinché conoscano e glorifichino il Padre nostro che sta nei Cieli.

Guardiamo di essere fedelissimi ai Santi Voti; saranno un giorno la nostra gloria; fate che non siano per nessuno la sua condanna. Specialmente vi raccomando la santa povertà; non prender niente come proprio; unita alla povertà è la semplicità in tutto, nel vestito, nella stanza, nelle camerate, oh, che bell’ornamento la semplicità! anche nella cultura dei capelli, nessuna ricercatezza mondana, guai altrimenti!

Vi raccomando poi tanto il voto e la virtù della castità, per la quale noi viviamo la vita degli angeli fin da questa terra, alla quale sono legate le più belle e grandi promesse del Signore. Quanti precauzioni sono necessarie, specie dovendo vivere in mezzo a tanta corruzione del mondo! Siate come il raggio del sole, che penetra dovunque senza imbrattarsi, anzi purificando il fango della strada.

A voi, cari Confratelli Sacerdoti, raccomando che siate cauti nell’esercizio del vostro ministero; curate le anime, solo le anime, e fra queste le più povere, le più abbandonate, le più reiette dal mondo.

E anche voi, cari Fratelli, grande precauzione nel trattare con i ragazzi; maxima debetur puero reverentia – Non toccate e non lasciatevi toccare, vigilate sul vostro cuore, non abbassatevi mai a gesti o a parole che disdicono ad un’anima consacrata a Dio; date buon esempio in tutto, sempre; guai a chi desse cattivo esempio! Mio Dio, piuttosto morire che dare anche un minimo scandalo.!

Vi raccomando la carità: oh la carità è divina, è Dio stesso: “Deus caritas est!” – Io non saprei concepire un Povero Servo senza la carità; rileggendo una conferenza tenutavi qualche anno fa durante un corso di Esercizi, ho trovato scritte queste parole: “se io sapessi che un religioso non ha la carità, in ginocchio lo pregherei di andarsene; sarebbe la rovina dell’Opera”. – Queste parole hanno tutto il loro valore anche adesso, e ve le confermo a nome di Gesù Benedetto, che dai suoi domanda soprattutto che siano una sola cosa e consumati nella carità: “Ut unum sint”. Noi dobbiamo attuare in noi stessi, nelle nostre famiglie religiose questo palpito del Cuore divino di Gesù, ed estenderlo ancora a tutti i fratelli della terra, specialmente a quelli separati o non ancora illuminati dalla luce del S. Vangelo, pregare per essi, offrire sacrifici, adoperarci in tutti i modi perché anche ad essi possano essere partecipati i doni di grazia che noi possediamo.

La nostra carità sia pratica, aiutiamoci a vicenda, sopportiamoci, fra di noi ci sia un cuor solo ed un’anima sola, che non apparisca mai nelle nostre Case il male grande della mormorazione; il mormoratore presta la sua lingua al demonio per ferire Gesù Cristo nella persona del suo fratello; ricordatevi che Giuda prima di essere traditore fu mormoratore; per questo io ho paura, mi fa spavento la mormorazione.

E finalmente ancora una volta vi dico e vi ripeto: ascoltate il Casante presente e futuro; io sono povero e meschino, zero e miseria, ma fino a che la misericordia di Dio mi tiene qui, avete l’obbligo di ascoltarmi. Siate il mio respiro, riguardatemi come inquadrato nell’Opera; guardate che alle volte mi basta una sguardo, una parola, un’attenzione per consolare il mio cuore, che tante volte nuota nell’amarezza e nel dolore. Fate questa carità a questo vostro padre, che vi porta sempre nella mente e nel cuore, e tanto vi ama nel Signore.

Ecco, amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi; tenete queste mie povere parole come il mio ultimo ricordo, come il mio testamento; e soprattutto mettetele in pratica: beati voi allora! compirete i divini disegni, e avrete il Paradiso fino da questa terra, nel vostro cuore, e un giorno una grande ricompensa in Cielo. Che nessuno manchi allora, che tutti ci possiamo trovare insieme uniti a lodare e benedire Iddio per sempre: ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum. Amen.

* LETTERA LIII 7 ottobre 1947

Amati fratelli in Cristo

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. A tutti è noto quanto stia a cuore al S. Padre la cura e l’assistenza dei giovanetti più poveri ed abbandonati e, appunto per questo, esposti a maggiori pericoli.

L’intenzione che per il mese di ottobre Egli ha voluto assegnata ai 35 milioni di iscritti all’Apostolato della Preghiera è proprio “per i fanciulli abbandonati” e recentemente la Radio Vaticana, commentando tale intenzione, illustrava largamente quanto si è fatto e quanto ancora resta a fare in questo importantissimo settore, che può avere ripercussione anche gravissima nella compagine sociale, specialmente in quest’ora.

L’invito del Papa è sceso in fondo al nostro cuore e ci impone di fare quanto più è possibile per realizzarlo in forma concreta e pratica, tanto più essendo questa la finalità propria delle nostra Casa Buoni Fanciulli, che da quarant’anni (1907-1947) si è andata prodigando per raccogliere sotto i padiglioni della divina Provvidenza centinaia di giovanetti abbandonati: presentemente sono più di cinquecento le famiglie cristiane formate da antichi allievi, che proiettano così nella società gli effetti della buona educazione avuta e degli insegnamenti appresi.

Tuttavia finora l’Opera nostra si è limitata ai soli fanciulli interni; ma sembra giunto il momento di allargare il raggio di attività e di carità, estendendo anche agli esterni l’umile nostra azione di bene.

La divina Provvidenza ci è venuta incontro offrendoci la Casa della ex GIL presso Porta Nuova, per trasformarla in un ambiente adatto per accogliervi la gioventù, e il nome “Patronato Buoni Fanciulli” ne indica già gli scopi e le finalità.

Infatti fino dallo scorso anno si sono ivi raccolti giovanetti poveri nelle ore libere dalla scuola, per toglierli dai pericoli dell’ozio e della strada, dando ai più bisognosi la refezione e facendo a tutti trovare un’amorevole assistenza nello studio e nella ricreazione.

Contemporaneamente un’altra importante attività si è svolta, e si svolgerà ancora, a vantaggio dei giovani studenti che dalla provincia vengono in città per frequentare la scuola, creando per essi la “Casa dello studente”. In essa detti studenti trovano amorosa assistenza durante l’orario extra – scolastico, ed hanno pure una refezione calda, aule riscaldate per lo studio e un lieto e conveniente sollievo.

In questo nuovo anno è volontà di Dio che si abbia a dare inizio contemporaneamente ad un’altra opera, la cui importanza non può sfuggire ad alcuno: le Scuole Professionali, che, a Dio piacendo, si inizieranno entro il mese di novembre. In dette scuole si accoglieranno giovanetti poveri che, terminate le scuole elementari, desiderano imparare un mestiere; vi si fermeranno dalla mattina alla sera, alternando le ore del lavoro con ore di studio e di conveniente sollievo. Si darà loro anche la refezione del mezzogiorno, il tutto gratuitamente, secondo il programma e lo spirito della nostra Opera.

Certo i pesi che ci verremo addossando non sono lievi, le difficoltà saranno senza numero, ma confidiamo nell’aiuto della divina Provvidenza, della quale tuttavia sollecitiamo molti che ne hanno la possibilità a divenire ministri e cooperatori in un’opera sì bella, così necessaria e provvidenziale. Tanto più che l’ambiente è stato semidistrutto dalla guerra e occorrono ingenti somme per ricostruirlo e adattarlo allo scopo; da parte del Governo e di altre Autorità nulla si è potuto ottenere. Occorrono pure somme fortissime per provvedere macchinari, attrezzi e utensili, banchi di lavoro e di scuola e arredamento in genere. Eppure è assolutamente necessario affrontare il grave problema.

Dovremo abbandonare l’impresa per mancanza di mezzi? Ci sembrerebbe tradire la nostra speciale missione di bene! D’altronde, ci sono ancora, per grazia di Dio, anime veramente buone e cuori generosi che meritano di capire e di fare la carità; ho sempre visto infatti che per fare la carità bisogna esserne degni; la carità non impoverisce, ma arricchisce per il tempo e più che tutto per la beata eternità. A tutti costoro ci rivolgiamo nel Nome del Signore, anche a nome di tanti giovanetti bisognosi che domandano soccorso e attendono. Che fra noi non si avveri il lamento del Profeta: “I piccoli domandavano il pane e non v’era chi loro lo spezzasse”. Questa è l’ora di fare una vera “crociata di carità”.

Voglia il Signore illuminare e muovere le anime buone, i suoi servi fedeli a fare quanto è loro possibile; quanto si offre in carità per amor del Signore, viene assicurato ad una Banca che non fallisce e ricompensa col cento per uno: la Banca della divina Provvidenza.

Invoco grazie e doni celesti.

Questa lettera costituisce un’attuazione di quanto il Padre ebbe più volte ad esprimere e che lasciò anche scritto in documenti ufficiali: “Potrà il Signore permettere qualche grave prova per saggiare la nostra fede; potrà anche avvenire di dover mendicare di porta in porta; e questo il Signore lo farà conoscere al Casante” (commento del Padre alle costituzioni: vedi anche Lettera LXIII, p. 294).

Anche in questo caso l’eccezione conferma la regola dell’abbandono nella divina Provvidenza, la cui essenza, del resto, non consiste nel non chiedere, ma nel non angustiarsi.

* LETTERA LIV Natale 1947

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi tutti e vi renda perfetti nel servizio di Dio.

Siamo alle feste di Natale; e il mio cuore pensa in modo speciale a voi, che la divina bontà ha voluto, ci ha voluti, membri di questa grande Opera propria dei tempi attuali, tanto difficili ma tanto importanti per la Chiesa e per il mondo tutto.

Quanto so e posso, vi raccomando di corrispondere sempre più alla vostra santa vocazione, vivendo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. – Ma qual’è questo spirito? – mi ha domandato uno dei Poveri Servi. Voi lo conoscete: è quello che il divin Fondatore ha impresso fin dai primi anni, ed ha sviluppato in questi quaranta anni di vita dell’Opera. Spirito di umiltà, di distacco dai beni della terra, di ricerca del regno di Dio, di abbandono figliale alla santa Provvidenza, niente ricerca delle protezioni umane: queste verranno da sé, a patto che noi non le cerchiamo. Anime, anime! Ecco il nostro programma. E le anime dei poveri, degli umili, dei diseredati; queste sono le gemme preziose onde si arricchisce l’Opera dei Poveri Servi.

Quindi il mio augurio per Natale è che siamo tutti all’altezza della nostra vocazione, ben compresi della grazia fattaci dal Signore col chiamarci nell’Opera.

E siccome le cose grandi son fatte di cose piccole, lasciate che richiami alla vostra, alla nostra attenzione alcune piccole cose, che altre volte vi ho raccomandato: piccole grandi cose, che, se messe in pratica con docilità di figli, serviranno a mantenerci nello spirito puro e genuino.

1 – Evitiamo ogni ricercatezza, certe comodità, superfluità. Quello che è necessario sì, va bene; ma è facile un po’ alla volta esagerare, e farsi un corredo che mal si addice ad un Povero Servo. Dipendete sempre da chi ha la responsabilità morale della Casa; e non sbaglierete. Che il voto di Povertà non corra il pericolo di diventare una irrisione: osserviamolo lietamente, generosamente. Se ci manca qualche cosa, siamone contenti, perché siamo dei poveri. Ricordiamo il caro Fratello Francesco Perez: dipendeva puntualmente in tutte le cose, anche le più piccole.

2 – Riguardo alla persona, evitiamo ogni singolarità, specialmente nei capelli: proprietà sì, pulitezza anche; ricercatezza no, mai! La nostra modestia sarà una predica muta ma eloquente agli altri. Noi dobbiamo essere esemplari a tutti.

Ho visto, nella mia esperienza, delle defezioni; andar fuori strada persone delle quali non sembrava doversi avere alcun timore; eppure, i segnali primi venivano proprio da queste piccole cose, da queste singolarità.

3 – Siate docili, obbedienti; dipendete con spirito di fede dai Superiori, anche nelle piccole cose, nelle spese per oggetti che credete necessari a voi o alla Casa. L’obbedienza vi salverà dagli abusi e renderà preziosa la vostra vita, perché renderà preziose le vostre azioni; e il voto di obbedienza sarà una felice realtà, che ci preserverà da errori, e ci farà simili al Signore Gesù, che per amor nostro si è fatto obbediente fino alla morte.

4 – Una cosa che mi sta tanto a cuore, è la bicicletta, specialmente per i sacerdoti; temo assai che l’uso degeneri in abuso; sarebbe un gran male per tutta l’Opera. Perciò vi raccomando:

a) – In città, particolarmente nelle vie principali del centro, non è bello vedere il sacerdote in bicicletta; e può essere un pericolo. Si eviti quindi al possibile di passare per certe vie; si scelgano le meno frequentate, meglio ancora quelle delle periferie. E quando è inevitabile recarsi al centro, non sarà male smontare, e menare a mano la bicicletta; questo salvaguarderà molto la dignità personale.

b) – La bicicletta sia adoperata solamente per vera necessità, specialmente per ministero, per recarsi in luoghi distanti ad aiutare, per esempio, confratelli, a cercare anime, ecc.

c) – Soprattutto raccomando: ricordiamoci che siamo religiosi, e religiosi speciali. Dobbiamo tenerci nella dovuta dignità e compostezza esteriore. Adoperando la bicicletta secondo le direttive dei Superiori locali, guardate di farlo con spirito buono, è lo spirito con cui si fanno le cose, che dà anima ad esse. Ma se manca lo spirito, sono inutili le raccomandazioni e le limitazioni. Usando la bicicletta, tenete un comportamento grave, dignitoso, evitando esibizioni, corse, curiosità. So bene che ormai la bicicletta non è un mezzo di divertimento, nemmeno per le persone di mondo; guardiamo allora che non lo diventi per noi, sacerdoti e fratelli. Adoperiamola solo quando la prudenza la renda necessaria per fare carità ai confratelli, per moltiplicare il bene, per cercare anime.

Un’ultima cosa importante: avrete sentito che il Santo Padre ha scritto una Enciclica sui mali odierni, e ha dato l’allarme sulla gravità dell’ora. E’ un’ora terribile non si sa a che cosa si vada incontro. E, purtroppo, molti di noi non se ne rendono conto.

Il Papa esorta alla preghiera per propiziare la divina misericordia sul mondo. Noi dobbiamo essere tra i primi ad assecondare i desideri augusti del Sommo Pontefice. A tal fine qui a S. Zeno in Monte facciamo preghiere speciali davanti al Santissimo. Nelle altre Case lascio alla prudenza e discrezione dei Superiori locali stabilire quello che crederanno opportuno a questo scopo.

Termino raccomandandovi ancora una volta il nostro spirito. Io non ho paura, o miei cari, di nemici esterni: questi non possono mai rovinare l’Opera. Chi la rovina siamo noi se non vivremo lo spirito puro e genuino. Il Signore ci preservi da tanta disgrazia.

Pregate per me, che vi porto nella mente e nel cuore. Siate la mia vita, il mio respiro; tutti uniti lavoriamo alla diffusione del santo regno di Dio e alla salvezza delle anime, per trovarci un giorno tutti uniti nel gaudio del Signore.

* LETTERA LV Epifania 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Alla precedente mia circolare faccio seguire a breve distanza questa mia povera lettera, per farvi qualche altra raccomandazione. E anzitutto guardate, guardiamo che questa è un’Opera tutta speciale, che ha una stretta relazione con la grave ora che attraversiamo, e che incombe sempre più terribile e minacciosa sull’intera umanità. Ma l’Opera, come vi ho detto ancora, siamo noi, Poveri Servi; e questo nome deve essere non una semplice etichetta, bensì un nome pratico, cioè dobbiamo essere realmente quello che il nome significa. Siamo servi, non pretendiamo dunque di farla da padroni: il servo dipende in tutto dal padrone, fa di tutto per accontentarlo; noi abbiamo un Padrone che insieme è Padre, e che ci darà una ricompensa eterna per un breve e quasi momentaneo servizio.

Non solo siamo servi, siamo anche poveri; accontentiamoci dunque di quello che la Provvidenza ci dà, amiamo la santa povertà, pronti a sopportare con generoso abbandono in Dio quei disagi, privazioni, sacrifici che sono i compagni inseparabili della vera povertà, ed insieme le nostre vere ricchezze.

L’Opera è come una bilancia in perfetto equilibrio: un piccolo peso è sufficiente per farla traboccare da una parte; così anche una piccola trasgressione può portare nell’Opera un grande sconcerto. Teniamoci dunque nell’attitudine di Poveri Servi, cioè di servi fedeli e vigilanti, sempre attenti e pronti al cenno di Gesù Benedetto, Padrone assoluto, come è detto nelle cariche perpetue, dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere, togliendo da noi e dalla casa tutto quello che Gli può dispiacere. Saremo così “gli scopatori del buon Dio”, che tengono sempre pulito questo suo palazzo, e soprattutto il nostro cuore, la nostra anima, dove Egli abita con la sua santa grazia, costituendoci così santuari della sua divinità.

State ben attenti a non venire meno allo spirito puro e genuino; osservate l’apparecchio radio: anche il più leggero spostamento d’onda è sufficiente per perdere la trasmissione desiderata. E per questo vi dico e vi ripeto: guardate al Casante, a lui obbedite in tutto e per tutto, state attenti anche a un semplice cenno, a un desiderio, ad un batter di ciglio; per questo vi dico, non fermatevi all’esteriorità, ma miratelo sempre come inquadrato nell’Opera; non considerate la persona, guardatelo tre dita più in su della testa, e allora vedrete Dio in Lui, nei suoi ordini, nei suoi consigli e indirizzi; nella sua parola vedrete con sicurezza la volontà di Dio.

Se, ad esempio, egli dicesse: pianta la questo chiodo; voi piantatelo anche se è storto, anche se vi sembrasse un lavoro inutile, sbagliato; con questo spirito soprannaturale, vi dico e vi ripeto, guardate al Casante presente e futuro, altrimenti l’Opera perderà una sua caratteristica e la sua speciale fisionomia.

Ricordiamoci inoltre che nel nostro lavoro deve risaltare solo e sempre l’Opera, noi dobbiamo scomparire.

E siccome le grandi cose sono fatte di piccole cose, come vi dissi l’altra volta, quanto so e posso fate tesoro delle seguenti raccomandazioni, osservandole puntualmente:

1 – siate fedeli alla visita in chiesa prima di uscire di casa, come pure al vostro ritorno.

2 – Ricevete prima e poi la benedizione del Superiore o del Sacerdote che ne fa le veci, dicendo dove andate e per quali ragioni; al vostro ritorno riferite brevemente quanto vi è occorso.

3 – Non recatevi in casa di parenti o conoscenti senza il dovuto permesso: anche se si tratta di visitare qualche malato; e tali permessi siano dati raramente e con le debite cautele.

4 – Trattando con persone estranee, non mettetele a parte dell’intimità; non manifestate cose e avvenimenti di famiglia; siate riservati e prudenti; mortificate la curiosità di tutto sapere; non fermatavi a leggere manifesti murali, titoli di giornali o riviste, indicazioni cinematografiche, ecc.; il Povero Servo deve essere esemplare in tutto, edificando con il suo contegno grave e modesto.

5 – Una parola sulla corrispondenza: non scrivete che per necessità o convenienza, non dimenticando che siamo poveri; consegnate aperte tutte le lettere al Superiore. E’ grave mancanza impostare senza permesso; così pure la corrispondenza in arrivo deve essere vista dal Superiore. Leggete, a questo proposito, quanto dispongono le nostre sante Costituzioni, e osservatele nella lettera e nello spirito; nessuna eccezione, all’infuori dei casi previsti dalle stesse Costituzioni.

Dovendo scrivere per qualche legittimo motivo a persone di altro sesso, state attenti ad evitare certe espressioni poco opportune, anche se non vi è niente di male; la nostra delicatezza su questo punto sia assoluta.

Nei passati giorni abbiamo avuto la dolorosa notizia della morte del nostro Re Vittorio Emanuele III. Ho letto con piacere lo scambio cortese di telegrammi e specialmente quello inviato dal Santo Padre; i rispettosi commenti dei giornali, e i solenni funerali avvenuti; per conto mio, ho dato subito ordine ai Superiori delle Case vicine di darne notizia con ogni deferenza, invitando tutti a pregare in suffragio dell’anima benedetta, e a considerare la caducità delle cose umane e delle grandezze terrene. Non spetta a noi di giudicare e tanto meno condannare. De mortuis nihil, nisi bene: è umano ed è cristiano; anche in questo noi dobbiamo dare esempio.

Pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno. Vi benedico.

* LETTERA LVI Giovedì Santo 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Eccoci anche quest’anno per la bontà e misericordia del Signore, vicinissimi ormai alla santa Pasqua, che sempre e per tutti deve essere un vero passaggio dalla vita forse della colpa a quella della grazia, da una vita tiepida e rilassata ad una vita più osservante e fervorosa. A questo ci invita la Chiesa con le commoventi espressioni della sacra Liturgia, esortandoci a deporre l’uomo vecchio e a rivestirci dell’uomo nuovo. “Se veramente siete risorti con Cristo, Ella ci dice, cercate le cose di lassù; non abbiate gusto e desiderio che delle cose del cielo: “quae sursum sunt, quaerite, quae sursum sunt sapite”.

Ma la Pasqua di quest’anno mi pare sia, specialmente per noi Poveri Servi, un nuovo e forte richiamo alla santità. Mai come adesso dobbiamo sentire il bisogno che Dio resti con noi, che non ci lasci, che non ci abbandoni in quest’ora così grave e oscura. Certamente non è Dio che ha bisogno di noi, ma noi abbiamo un grande e assoluto bisogno di Lui. Dobbiamo quindi chiamarlo con gemiti e lacrime; dobbiamo pregare con assiduità e fervore. Ma la miglior preghiera, ricordiamolo bene, o miei cari, è la santità della nostra vita. E se questo vale per tutti, in modo particolarissimo vale per noi Poveri Servi, che con la grazia di Dio, per la nostra missione di religiosi, dobbiamo essere luce e vita a tutto il mondo.

Amati miei fratelli, quante volte vi ho detto e ridetto che dobbiamo essere in efficienza, vivendo in pieno lo spirito puro e genuino dell’Opera! Che Dio ha dei nuovi e grandi disegni da compiere; che la nostra Opera ha stretta relazione con l’ora attuale; che molti guardano al nostro bel S. Zeno in Monte, “terra veramente benedetta”, come a cittadella posta sul monte, e si sentono rinvigoriti nella fede, confortati nelle prove, guardando a noi e credendoci santi. Quale responsabilità se non lo fossimo! Noi saremmo dei traditori.

Ricorderete, io spero, quello che lo scorso anno vi ho detto, che cioè il Signore, per un tratto di bontà e di misericordia tutta particolare, chiama la nostra Opera e le affida una speciale missione e azione riparatrice. Ora voi comprendete che la migliore riparazione consiste nello sforzo continuo per l’acquisto della perfezione e della santità.

Solo per mezzo della nostra santità personale potremo santificare l’Opera e il mondo, e “segnare la strada” anche agli altri, quella strada, quella via stretta ma unica che conduce alla vera vita, come anche al benessere e alla prosperità temporale, e che consiste nell’osservanza della divina Legge. Credetemi, amati fratelli, la predica muta del buon esempio è la più efficace. Sono stanchi molti di belle parole, di discussioni ecc.; desiderano e vogliono i fatti e le opere. Sono le buone opere nostre che glorificano il Padre Celeste. Che cosa gioverebbe predicare, insegnare la perfezione e non praticarla? Potremo noi dire allora come l’Apostolo: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”?

Ma per essere santi non pensate che si debbano fare cose straordinarie, no; basta che siano sante e perfette le disposizioni con cui attendiamo ai nostri doveri quotidiani. Ricordiamoci che per quanto sia umile il posto che uno occupa, può illuminarsi con la luce della santità, ed è questo quello che importa, solamente questo.

E qui miei cari e amati fratelli, una mano sul cuore e facciamo un serio esame di noi stessi: come viviamo? Ci chiamiamo Poveri Servi, ma lo siamo in pratica? Per amor di Dio, che questo nome tanto onorifico non sia un giorno di condanna per nessuno di noi.

Per questo, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore e le pratiche di pietà che ne sono l’alimento; viviamo di fede, guardiamo e giudichiamo le persone e le cose con spirito di fede, con criteri soprannaturali; diamo grande importanza alle sante Regole; siamo umili; “buseta e taneta”, e allora il Signore verrà a cercarci, e ci adopererà mettendoci anche, se a lui piace, sul candelabro, ma per parte nostra noi dobbiamo vivere nascosti e scomparire, noi non dobbiamo essere che poveri servi.

Non preoccupiamoci di fare cose grandi secondo il mondo; Gesù è rimasto trent’anni nella casetta di Nazareth, attendendo alle occupazioni più semplici e più umili. Quando i suoi esempi saranno l’unica norma della nostra vita? Quando saremo, come spesso vado ripetendovi, “Cristi e vangeli viventi”? Allora potremo fare anche miracoli, e allora soltanto potremo compiere i grandi disegni che Dio ha sopra di noi e sull’Opera.

E qui mi sento di ripetere per tutti quello che alcuni giorni fa ho detto in refettorio ai cari fratelli di S. Zeno in Monte. Mi pare che di quando in quando il Signore mandi il suo Angelo a vedere se siamo in efficienza, e trovandoci quali Egli ci vuole, cioè tutti attenti a vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera, Egli non solo ne è contento, ma in vista di ciò mi pare voglia concedere tante grazie alla povera umanità, sull’orlo dell’abisso.

Quale privilegio, quale grazia, miei cari, ma quale responsabilità!

Chi mi dice che alla santità della nostra vita, al vero spirito dei Poveri Servi vissuto in pieno, non possa essere legata la salvezza della povera umanità? Vi dico queste cose, per sgravio di responsabilità; guai a me se non vi dicessi quello che sento nell’intimo del mio povero cuore! Ma al tempo stesso sento di raccomandarvi che non facciate poco caso di quanto vi dico, col pretesto che son sempre le stesse cose, che è sempre la medesima campana che suona; no, o miei cari ed amati fratelli, non pensate così: un giorno dovrete, dovremo rendere conto al Signore, ciascuno nel suo stato, ciascuno secondo le grazie ricevute. E noi Poveri Servi, quale cumulo di grazie abbiamo ricevuto! Per amor di Dio guardiamo di corrispondere!

E parlando a voi, intendo comprendere, con le debite proporzioni, anche i i cari Fratelli Esterni, perché anch’essi fanno parte dell’Opera e partecipano quindi alle grazie, ai meriti e alle responsabilità dei Poveri Servi. Se anch’essi vivono nel santo amore e timore di Dio, irradiando lo spirito puro e genuino dell’Opera, prima in casa compiendo tutti i doveri inerenti al loro stato, e poi fuori casa, nell’ufficio, nell’officina, dovunque, oh, quanto bene possono fare, specie in quest’ora così grave e decisiva per le sorti della nostra cara Patria, da Dio prediletta, perché Sede del vicario di Cristo e dalla quale deve partire la luce e la parola debellatrice dell’errore.

Ma a voi, miei cari Fratelli Esterni, specie in questo momento tanto delicato, in modo particolare raccomando la carità; fermezza nel combattere l’errore, ma carità grande con tutti gli erranti: “interficite errores, diligite homines!” ecco l’aurea regola di S. Agostino. Oh, se invece di prendere di fronte gli avversari (non mi sento di chiamarli nemici, perché anch’essi sono nostri fratelli); se invece di inveire contro di loro, si cercasse di illuminarli, direttamente o indirettamente, pregando per essi! Proprio in questi giorni mi sono sentito di celebrare per essi la Santa Messa, perché il Signore si degni di illuminarli, di far cadere dai loro occhi il velo che li acceca così da non vedere l’abisso, sull’orlo del quale camminano senza accorgersene. Anzi desidero che in tutte le Case si faccia, dopo la Pasqua, una giornata di preghiere “pro Russia”, e per tutti coloro che militano contro Dio e contro la Chiesa.

Uniamo la nostra preghiera alla preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

Possa la nostra preghiera affrettare la conversione di tanti fratelli, e l’ora del trionfo di Dio sulla terra, che sarà anche l’ora della pace per la povera umanità.

Il Signore ci dia questa grazia.

Ecco, miei cari ed amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi; sono parole sgorgate, dirò così, spontaneamente dal mio cuore; voi ricevetele con vero spirito di fede e pregate sempre e tanto per me, che faccia io per primo quello che dico a voi, e possa così trovare grande misericordia nella ormai vicina grande chiamata.

Vi auguro buona e santa Pasqua; nella mia povertà prego per tutti e tutti benedico, unitamente ai vostri cari.

* LETTERA LVII Verona 23 aprile 1948

Lettera diretta alla Famiglia Religiosa di Roma e portata dal P. Maestro Don Pietro Murari in occasione del suo primo viaggio a Roma, dal 23 – 4 al 3 – 5 – 1948

Miei cari e amati fratelli

La pace e la grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Mi sento proprio ispirato dal Signore a mandarvi, attraverso il caro Don Murari, la mia benedizione, i miei saluti e la mia povera parola, che voi ascolterete come parola di Dio.

In ogni tempo, ma specialmente adesso, è necessario che viviamo lo spirito puro e genuino della nostra grandissima Opera, lo spirito evangelico del Quaerite primum, che noi possiamo trovare nelle nostre Costituzioni, nelle nostre Regole e nella nostra stessa vita pratica.

Facciamo quindi un serio esame, ricordando che il segreto e l’efficacia del nostro lavoro sta nella santificazione nostra personale: sine me nihil potestis facere. Nessuno dà ciò che non ha. Vivere di Cristo, vita interiore. Dobbiamo essere Vangeli viventi in un mondo che ha dimenticato il Vangelo. C’è ancora tanta parte di Vangelo che noi dobbiamo tradurre in pratica.

E per andare alla pratica, vi raccomando quanto so e posso le nostre sante Regole. Esse sono l’espressione pratica, momento per momento, della volontà di Dio. Leggetele spesso e meditatele.

Viva voce della volontà di Dio è il vostro Padre, il Casante di questa grande Opera, che voi dovete ascoltare come il portavoce di Dio stesso. Voi non dovete guardare la mia miseria, ma Dio che mi ha chiamato a questo grande compito. Vi parlo come sul letto di morte: sento che tradirei la mia vocazione se non lo dicessi: ascoltatemi, ascoltate il presente e futuro Casante dell’Opera se volete lavorare con frutto nell’Opera dei Poveri Servi; esso avrà sempre lumi e grazie particolari.

Noi passiamo, ma l’Opera resta; come il mondo guarda alla Chiesa in questi momenti, così la Chiesa guarda a noi. Per questo noi dobbiamo essere in efficienza piena. L’Opera ha relazione strettissima con l’ora attuale. Anni fa non lo sapevo ancora, ma adesso è volontà chiarissima di Dio: La nostra Opera è Opera dei tempi. Non dimentichiamolo. Come il Signore volle diffondere il Cristianesimo attraverso gli Apostoli, così ora è volontà divina che il mondo ritorni a Cristo attraverso l’Opera dei Poveri Servi. Vocazione sublime ma piena di impegni e responsabilità. Per questo vi dico: guardate più alla qualità che alla quantità; i pochi formeranno i molti, se sono veramente imbevuti dello spirito puro e genuino. Santificazione personale, riempirci di Cristo; non multa, sed multum. Non deve apparire la nostra persona; ricordiamoci del nostro motto: “buseta e taneta”. Dobbiamo amare il nascondimento. Non mettiamoci in vista. Se il Signore vorrà, ci metterà Lui sul candelabro, noi da parte nostra dobbiamo desiderare di restare ignorati e sconosciuti. Del resto l’unico modo di brillare è di dare buon esempio e di vivere integralmente il Vangelo.

Viviamo nell’abbandono più completo e fiducioso alla divina Provvidenza. Nessuna preoccupazione materiale: il Signore ci manderà sempre il necessario. Viviamo staccati dalle cose della terra e non confidiamo mai nei mezzi umani.

L’Opera è il giardino di Dio, vi potrà essere in essa qualche albero speciale, suscitato da Dio, che avrà magari bisogno di mezzi fissi, per il quale il Casante darà disposizioni particolari, ma anche allora, come sempre, lo spirito particolare che ci anima, deve essere quello del Quaerite primum.

Vi raccomando di dare grande importanza alle cose piccole; nulla è piccolo nella Casa del Signore e le cose grandi sono formate di cose piccole. Vi raccomando soprattutto l’obbedienza, la dipendenza, l’accordo fraterno nelle vostre iniziative.

Il Signore ha bisogno di voi per entrare nelle anime. Tutti siamo strumenti nelle mani di Dio, io, poi, zero e miseria, pure; nel quadro dell’Opera ciascuno di noi è necessario per realizzare i disegni di Dio.

Lavoriamo nel posto che ci ha assegnato l’obbedienza, lavoriamo con cuore e zelo, ma nello stesso tempo ricordiamoci che la nostra attività deve essere inserita nell’Opera come un ramo nel tronco. La stessa linfa deve scorrere in tutti i rami. Il mostro cuore deve battere per tutta l’Opera, non isoliamoci, cerchiamo che le nostre Case siano unite il più possibile, partecipando gli uni alle gioie e ai dolori degli altri: tanti raggi un unico sole, tanti rami un unico albero, tanti canali una unica fonte.

Questa è l’ora di Dio; l’ora delle grandi chiamate e misericordie, l’ora della traduzione in atto di tutto il Vangelo. Cristo e la Chiesa hanno dei potenti e agguerriti avversari: ma in essi noi, più che dei nemici da combattere, dobbiamo vedere dei fratelli da salvare, delle anime da guadagnare a Cristo, da convertire e amare. Il mondo guarda alla Chiesa; ma la chiesa siamo noi; Dio guarda alla nostra Opera e l’Opera siamo noi. Il mondo domanda luce, verità, amore, salvezza. Tocca a noi di non lasciare morire ancora una volta questo ardente desiderio e dare a lui il dono divino delle grazie.

Miei cari ed amati fratelli, viviamo la nostra vocazione, sentiamo la nostra responsabilità. Voi siete la mia vita, il mio respiro. Ho bisogno di voi per vivere. Spero e son certo che il caro Don Murari mi porterà consolanti vostre notizie. Vedrete in Paradiso quale grazia e quale merito sarà il vostro per aver ascoltato e sostenuto il vostro Padre, messo qui dalla bontà e misericordia del Signore.

Miei cari fratelli e diletti figlioli, vi benedico con tutta l’effusione del mio cuore, mentre vi sono vicino, vicinissimo col la preghiera e riconoscenza. Pregate, pregate tanto per me, e che tutti, terminata la nostra terrena giornata, ci possiamo, per grazia di Dio, trovare tutti uniti nella celeste Gerusalemme: “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

* LETTERA LVIII Verona, 5 agosto 1948

Miei cari ed amati Confratelli

La pace, la grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso scrivo questa mia povera lettera, indirizzandola proprio a voi che siete guide e pastori di anime nelle Parrocchie che la divina Provvidenza vi ha affidate; a proposito delle quali immagino che saprete già come al principio dell’Opera inclinavo a credere che esulasse dal nostro programma di lavoro l’apostolato e il ministero parrocchiale propriamente detto; se questo invece è un fatto compiuto, penso che non può essere venuto a caso, ma a fine di compiere qualche particolare disegno divino, tutto proprio dell’ora attuale, che per conto mio è un richiamo continuo da parte del Signore, perché tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi, ritorniamo a vivere la vita degli Apostoli e dei primi cristiani, per essere in tal modo “sale della terra e luce del mondo”.

Ma al presente voglio dirvi che mi pare sia giunta l’ora di attuare da parte nostra quel divino programma: “Gratis accepistis, gratis date”; parole queste che mi fecero sempre grande impressione fino dai primi anni di sacerdozio, unitamente alle altre: “Quando vi mandai senza sacca, senza borsa e senza calzari, vi mancò mai niente?” “niente” risposero gli Apostoli.

La parola di Dio non è, o miei cari e amati fratelli, come la parola dell’uomo, che muta, mutando tempi e circostanze, ma essa conserva sempre il suo primo valore e significato, manca solo che la mettiamo in pratica; e mi pare che questo sia un compito speciale che il Signore affida alla nostra Opera, di precedere con l’esempio. Per questo mi sono sentito fortemente mosso a darvi alcune norme che vi comunico con la presente circa l’amministrazione di alcuni Sacramenti, e che io ho maturato nella preghiera e nella sofferenza, e per le quali ho voluto anche sentire prima il parere di alcune persone molto autorevoli e altrettanto competenti in materia. Dalle quali avendo avuto parole di plauso e di incoraggiamento, volli tuttavia sottoporre tutto a S. Ecc. l’amatissimo nostro Vescovo, che per me è l’autentico interprete della volontà di Dio, come ne è il legittimo rappresentante. Egli lodò e approvò tutto, tranne l’articolo che riguarda l’unica classe dei funerali; avendo parlato il mio Vescovo, è come avesse parlato il Signore, per cui ci vogliamo attenere con filiale abbandono alla sua decisione; ma intanto ecco io affido a voi il compito di osservare le presenti norme nella lettera e nello spirito e mi farà piacere sapere qualche cosa circa i risultati conseguiti.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere, di cui sento il più grande bisogno, per fare fino alla fine la santa volontà del Signore; anch’io vi porto nella mente e nel cuore, vi seguo nel vostro lavoro che immagino assillante, ma appunto per questo vi raccomando di non trascurare la vita interiore e le pratiche di pietà; ricordatevi che le anime si salvano soprattutto in ginocchio, perché non dimenticatelo mai, non siamo noi, non è la nostra attività, ma è la grazia di Dio che converte le anime.

Vi raccomando di non preoccuparvi di fare molte cose, ma di fare bene quello che fate: non multa sed multum. Benedico a voi, alle vostre anime, dirò meglio alle nostre anime e a tutti i Confratelli e Fratelli che lavorano.

I – PER IL BATTESIMO

1) – Dare tutta l’importanza che merita questo Sacramento, il quale ci costituisce figlioli di Dio e ci comunica la vita soprannaturale della grazia. Quindi molto istruire i fedeli, spiegando ad essi l’alto significato delle singole cerimonie;

2) – Amministrare il Battesimo collettivamente, specialmente nelle Domeniche;

3) – Amministrarlo con solennità: (curare l’assistenza dei chierichetti opportunamente istruiti ed educati, che portino le cose necessarie e rispondano alle domande del sacerdote);

4) – Un distinto suono delle campane avverta i fedeli del rito che si sta celebrando;

5) – amministrarlo gratuitamente, e non ammattendo differenza alcuna tra ricchi e poveri.

II – PER IL MATRIMONIO

(quando si celebra regolarmente)

1) – Sia celebrato con solennità uguale per tutti.

a) – Si celebri la Messa votiva Pro Sponsis, permettendolo il rito;

b) – L’altare sia convenientemente addobbato;

c) – Si procuri un servizio liturgico: (chierichetti, suono dell’organo o dell’harmonium, possibilmente si eseguiscano mottetti liturgicamente adatti);

d) – Si eviti tutto quello che è disdicevole alla santità del rito e del tempo: (suono del violino, gli assolo, prendere fotografie degli sposi in chiesa…)

e) – Il suono festivo delle campane annunci ai fedeli il costituirsi di una nuova famiglia cristiana;

2) – Il Parroco rivolga brevi parole di esortazione agli sposi, ma non parli mai in lode di uno o dell’altro degli sposi.

3) – Il Matrimonio sia celebrato gratuitamente. Tuttavia i fedeli siano istruiti ed educati a fare una offerta libera nel modo che sembrerà più opportuno.

III – PER I FUNERALI

1) – Se dalle disposizioni Diocesane non è consentita, come sarebbe in votis, l’unica classe, si cerchi ad ogni modo di elevare la classe dei poveri, che anche per essi ci sia la Messa cantata, e siano osservate le norme come per gli altri funerali, pensando che sono tutti nostri fratelli, e che tutti siamo uguali dinnanzi a Dio, che anzi onora di preferenza il povero, nella cui persona dichiara di essere onorato Lui stesso. Quindi:

a) – Si disponga un conveniente servizio liturgico, servendosi dei chierichetti per il canto dei salmi e della Messa;

b) – Durante il tragitto dalla casa alla chiesa, e dalla chiesa al cimitero si recitino preghiere o eseguiscano canti tratti dalla liturgia dei Defunti, e si esiga da tutti un contegno serio e grave, e se ne dia l’esempio;

c) – Ci sia la Messa cantata, possibilmente in Terzo. Quando nella Parrocchia non c’è numero sufficiente di Ministri, si procuri l’assistenza dei Sacerdoti confinanti, ma solo in numero sufficiente per rendere decoroso il servizio liturgico, e questo, s’intende, per tutti;

d) – Se il funerale ha luogo nel pomeriggio, l’Ufficio e la Messa si cantino al mattino, “cadavere moraliter praesente”;

e) – Il suono delle campane sia uguale per tutti;

f) – Si raccomanda l’esatta esecuzione dei canti nella Messa e nelle Esequie; ciò sarà di grande edificazione ai presenti, fra i quali si trovano spesso persone che entrano in chiesa solo raramente.

2) – Sia il Parroco che ordina e regola il funerale, non già le Imprese delle Pompe Funebri.

3) – Il Parroco si mostri molto discreto nell’esigere le tariffe prescritte dall’Autorità Diocesana, sia facile anzi a rinunciarvi quando lo creda opportuno, e non ne esiga alcuna dai poveri.

NB. – I certificati di Battesimo, Cresima, Matrimonio e di Morte, richiesti in carta libera, siano rilasciati gratuitamente.

PS. – Prima di spedire queste lettere ho creduto opportuno farle vedere a S. Ecc. Mons. Vescovo per la sua benedizione.

Egli lesse attentamente e poi con paterno affetto approvò e benedisse, augurando che l’esempio buono che parte della Casa, influisca santamente anche negli altri, e piano piano vada allargandosi e affermandosi sempre più.

Questo, per me, fu ed è di grande conforto e lo considero come auspicio di celesti benedizioni.

* LETTERA LIX Santi esercizi 1948

Miei cari ed amati fratelli

Sono qui davanti al mio Crocefisso, e mi pare che proprio dal suo Cuore divino siano scaturite queste mie povere parole che anche quest’anno ho la grazia di rivolgervi in questi Santi Esercizi, che mi pare rivestano nel piano del Signore un carattere tutto particolare. Certo Egli ha parlato e parla al nostro cuore, più fortemente forse che altre volte per mezzo del messo di Gesù, che io considero come l’Angelo inviatoci da Dio per richiamarci a considerare sul serio la grandezza di quest’Opera e a vivere non soltanto a parole, ma a fatti, lo spirito puro e genuino.

Come vo ho detto ancora, Dio vuole servirsi dell’umile nostra Opera per compiere grandi cose, per ricondurre la povera umanità che, immersa nelle tenebre dell’errore e nel fango dei vizzi, ha smarrito ogni senso del soprannaturale e del divino, sulle vie della salvezza e della prosperità temporale ed eterna. Sembra questo un paradosso! Eppure è così: quando Dio vuol compiere grandi disegni, si serve dei più umili strumenti, come si è servito della stoltezza della Croce per convertire il mondo pagano, e come fu proprio nella oscura grotta di Betlem che gli angeli cantarono: “Gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà”. “Quid boni a Nazareth?” era il detto comune; eppure proprio a Nazareth il Verbo visse e conversò con gli uomini.

Vi ho detto ancora che la nostra Opera è la tromba, l’altoparlante del buon Dio; bisogna però che la tromba sia in efficienza, e l’altoparlante funzioni, perché si senta la voce di Colui che parla; per venire alla conclusione che, per compiere questi nuovi e grandi disegni divini, è assolutamente necessario che l’Opera sia in efficienza, mediante lo spirito puro e genuino che Gesù benedetto, Padrone assoluto, ha nesso fino dal principio. Ma l’Opera, ricordiamolo bene, non è qualche cosa di astrato, come non è costituita dai fabbricati e dai terreni: l’Opera siamo noi; noi quindi dobbiamo essere in pina efficienza; miei cari ed amati fratelli, una mano sul petto, e facciamo un serio esame: come viviamo? siamo in pratica quello che diciamo di essere, cioè veri Poveri Servi della Divina Provvidenza?

Alla luce sovrabbondante di questi Santi Esercizi, il Signore ci ha fatto chiaramente vedere il male che dobbiamo togliere e il bene che dobbiamo fare; mano quindi all’opera, con fermi e generosi propositi di voler corrispondere e camminare in maniera degna della nostra santa vocazione, per compiere così i divini disegni ed essere, come vi dicevo, tromba e altoparlante del buon Dio.

Per parte mia, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore, ricordatelo bene: tralci e vite, conche e canali; senza di me non potete far niente; non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me. Bisogna, o miei cari, che di ogni Povero Servo, fratello o sacerdote che sia, si possa dire con verità: egli è Gesù. Noi sacerdoti essere Gesù all’altare, nel confessionale, nell’annunziare la divina parola, nelle visite ai malati, nell’amministrazione dei Sacramenti, nella recita del divino Ufficio; voi, fratelli, nel disimpegno dei vostri uffici e doveri, a contatto dei cari ragazzi, nelle necessarie relazioni con i secolari, dicendo sempre la parola buona di vivido sapore evangelico, e soprattutto dando l’esempio di una via pratica e vissuta secondo il santo Vangelo; ormai il mondo è stanco di parole, vuole vedere i fatti: se noi fossimo altrettanti Gesù, quanto bene potremmo fare; saremmo veramente sale della terra e luce del mondo.

Ma alimento della vita interiore sono le pratiche di pietà, santa meditazione, lettura spirituale, santa Messa santa Comunione, la visita al SS. Sacramento, il santo Rosario, le altre preghiere private nostre, secondo il nostro fervore e la nostra devozione; miei cari ed amati fratelli, in ginocchio ve le raccomando tutte, e vi prego di dare ad esse la massima importanza; siate puntuali a farle e fatele in comune; fatele con santo fervore che è frutto anch’esso di preghiera assidua e ben fatta. Ricordatevi che dalla pietà, quindi dall’amore e dalla fedeltà vostra alle pratiche di pietà, si potrà con sicurezza giudicare se siete o no buoni Religiosi, se siete o no veri Poveri Servi.

Vi raccomando ancora l’osservanza delle sante Regole, stimatele, siate ad esse non solo fedeli, ma fedelissimi; non dite mai: sono cose da poco; no, o miei cari: le cose grandi sono fatte di cose piccole e le piccole negligenze sono altrettanti fori per i quali esce lo spirito del Signore e penetra lo spirito del mondo. Siate fedeli in particolare alle piccole prescrizioni delle nostre Sante Regole, come ricevere la benedizione dal Superiore e la visita in chiesa prima di uscire di Casa e al ritorno; puntualità agli atti comuni ecc.

Vi raccomando poi tanto lo spirito di fede: vedere Dio in tutti e tutti in Dio; vedere Dio nel povero che incontrate per via, nella persona con la quale dovete trattare, nei ragazzi che dovete educare, nelle anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare, nei nostri fratelli, in questo vostro Padre; quante volte vi dico e vi ripeto che non dovete guardare la mia povera persona, ma il rappresentante di Dio, inquadrato in questa sua grandissima Opera! e ricordatevi bene che, finché la bontà e la misericordia divina mi tiene qui, avete il sacro dovere di aiutarmi, di ascoltarmi; mi pare che sia proprio Gesù che lo vuole; dovete aderire al Casante come l’edera al muro, come la luce al sole. Quante grazie sono legate a questo spirito di fede, a questi criteri e principi soprannaturali! Guardate che spesso a me basta una parola, un sorriso, un’attenzione per consolare il mio cuore; sono, come tante volte vi ho detto, una pianta sensitiva: in questo c’è tutto.

Miei cari ed amati fratelli, termino dicendo che dobbiamo uscire da questi santi Esercizi come gli Apostoli dal cenacolo, rinnovati, trasformati; Satana freme, non vuole, chissà cosa farà, ma vi assicuro che con voi è Gesù, e con Lui non dovete temere: “Io ho vinto il mondo” Egli dice; e con l’aiuto della sua grazia lo vinceremo anche noi, superando difficoltà, ostacoli, tentazioni, ecc.

Non dimenticate che in cima a tutti i nostri pensieri dobbiamo porre il pensiero della nostra santificazione: tutto ha ragione di mezzo: il fine, l’ideale nostro, la meta alla quale dobbiamo tendere è questa: farci santi a qualunque costo. E nei momenti difficili, nelle varie contingenze della vita, nelle inevitabili croci e sofferenze, guardiamo a Gesù Crocifisso e diciamo: quello che è buono per Gesù è buono anche per me.

Fratelli, santificatevi: e vi santificherete vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera, che è fede, abbandono nelle braccia della divina Provvidenza; noi dobbiamo scomparire; l’Opera, solo l’Opera!

La cara Madonna, nella cui festa terminiamo i santi Esercizi, ci aiuti e sostenga in questo grande nostro compito, ci assista in vita e in morte; oh, sul letto di morte, un vero Povero Servo che è vissuto secondo lo spirito puro e genuino, pregusterà, io credo, la gloria del santo Paradiso! Tutta la nostra vita sia una preparazione a quel grande momento, che verrà per tutti, come è arrivato quasi all’improvviso, per il nostro caro Don Albano; e allora non temeremo la morte, sarà un felice cambio; lasceremo l’esilio per la Patria, la terra per il Cielo, le lotte per la vittoria, le tribolazioni per la gioia e il gaudio dei Santi.

Pregate tanto per me e io vi porto nella mente e nel cuore. Vi seguo tutti e tutti benedico.

R I C H I A M I

Credo opportuno ripetervi qui alcuni avvisi e richiami, alcuni dei quali già fatti in passato.

1) – Modestia nel vestire; non va bene mettersi senza giacca e senza panciotto, sia pure durante il lavoro: se mai indossate un camiciotto leggero; non va bene rimboccare le maniche oltre il gomito; oppure indossare camicette con maniche che coprono appena la spalla o poco più; non è conforme alla modestia religiosa indossare la sola canottiera e flanella della salute.

2) – I Fratelli non escano mai senza berretto e cappello. Ai Sacerdoti raccomando la berretta anche in Casa.

3) – Ai Sacerdoti raccomando un uso discreto della bicicletta, evitino le vie più frequentate della città.

4) – Nessuna ricercatezza per i capelli; non ciuffo, non discriminature, non la coppa. Se una eccezione potesse essere consentita ne è solo giudice il vostro Padre.

5) – Non si giochi mai alle carte per nessun motivo.

6) – Grande discrezione nell’uso della macchina fotografica; non si facciano fotografie senza il permesso del Superiore locale.

7) – Radio: si usi con molta discrezione; la custodia è affidata al Superiore locale.

8) – Richiamo l’esatta osservanza del silenzio maggiore.

* LETTERA LX Santo Natale 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Buon Natale e Buon Anno, a tutti e a ciascuno di voi, miei cari ed amati figli. Ecco la parola che spontanea mi nasce dal cuore, e che mando a voi in questi santi giorni. E una parola breve ma che vorrei fosse meditata assai, e che fosse il compimento di quella che avete ricevuto nel libriccino apposito. Veramente io non avevo mai pensato a un libretto simile, e quando mi fu presentato, ne rimasi sorpreso; ci ho pensato prima di accettarlo. Ma poi ho visto che poteva essere un bene, e che per ciascuno di voi era una nuova grazia, perché vi offre la opportunità di meditare le parole che in tante occasioni vi ho rivolto.

Meditate, dunque, la parola del vostro Padre, che tanto vi ama; parola che non è mia, ma di Gesù, perché è Lui il Fondatore di quest’Opera, è Lui che l’ha voluta; ed è Lui che ha dettato a questo povero e meschino suo Casante ciò che la deve mantenere in vita per compiere i grandi e divini disegni ai quali è destinata.

Meditate quelle parole; in esse troverete racchiuso lo spirito, nutritevi di esso. Come cenci, come creta molle, sempre pronti a tutto, anche ad un cenno di chi rappresenta il Signore! Quello che importa è la nostra santificazione personale; solo così potremo fare del bene alle anime: se vivremo integralmente il nostro spirito, che è quello del santo Vangelo.

Quante grazie ci ha fatto il Signore mediante quest’Opera! e la più grande di tutte è quella di averci chiamato a farne parte come Poveri Servi della Divina Provvidenza. Ricordatevi che l’Opera è di Dio, non mia; è di Lui, che l’ha fondata e la sostiene. E l’Opera è salute o rovina; salute per chi corrisponde, rovina per chi non corrisponde. Nella lunga esperienza di questi quarant’anni ho visto che, se uno non corrisponde, ci pensa il Signore ad allontanarlo; ma guai a quel poveretto!

Non discutete mai. Che se qualcuno non si sentisse di vivere questo spirito, in ginocchio, lo prego e lo scongiuro: è meglio che se ne vada prima che lo mandi via il Signore stesso, divino Fondatore dell’Opera. Queste parole ve le lascio come mio testamento. Fatene tesoro per le vostre anime; e allora Gesù stesso al termine dei vostri giorni, vi verrà incontro con volto amabile, per ricevervi con sé nella beata eternità.

Sono certo che il Signore Gesù – che in questi giorni adoriamo umiliato nel presepio – esaudirà la preghiera che in ogni giorno dopo la santa Messa Gli faccio: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Pregate, pregate tanto per me: il Signore sa quanto ne ho bisogno.

Più con il cuore che con la mano vi benedico tutti.

* LETTERA LXI Quaresima 1949

Miei cari ed amati fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Vicini alla Santa Quaresima sento una forza tutta particolare che mi spinge a rivolgervi la mia povera parola, così come mi sgorga spontanea dal cuore, in relazione anche con i gravi avvenimenti di quest’ora che precipita e che, se è ora di Satana, soprattutto però è ora di Dio.

Miei cari ed amati fratelli, è sceso in fondo al mio cuore di sacerdote l’appello angosciato che il Vicario di Cristo in questi giorni ha fatto sentire al mondo intero.

Egli è sopraffatto dalla tristezza e dall’angoscia nel vedere che la malvagità dei cattivi ha raggiunto un limite di empietà incredibile; al punto, ha detto il Santo Padre, che è impossibile non scorgervi le insidiose e inique trame del nemico infernale, il cui programma è “odiare Dio e rovinare l’uomo”. E infatti l’anima dell’uomo è naturalmente cristiana, l’uomo tende istintivamente alla bontà, alla giustizia, alla verità; come dunque, senza l’intervento di Satana, si potrebbe spiegare tutta questa ondata di irreligione e di empietà, questa impressionante marea di corruzione che tutto minaccia di sommergere, questo paganesimo nella vita e nei costumi per cui trionfa nel mondo l’idolatria della carne e lo sfrenato amore del piacere? Come spiegare tanto sangue fraterno versato, così fiera persecuzione mossa alla Chiesa nei migliori dei suoi figli e sovente nei suoi più degni ed invitti Pastori, e nello stesso suo Capo, il Vicario di Cristo? Come spiegare tanto scempio della persona umana, che spietatamente senza il minimo rispetto viene umiliata, asservita, troppo spesso seviziata e spenta nel sangue con inaudita efferatezza? Non può essere altro che il demonio, nemico giurato dell’uomo, in quanto è la viva immagine di Dio e destinato ad occupare in Cielo i posti perduti da Satana per l’aperta sua ribellione contro Dio.

Ma il demonio, miei cari ed amati fratelli, da solo nulla o ben poco potrebbe fare; per riuscire nei suoi perfidi divisamenti, per stabilire il suo impero tirannico, egli ha bisogno e cerca degli ausiliari fra gli uomini stessi, facendosi alleato delle loro passioni. Questi ausiliari di Satana, l’Apostolo S. Paolo li ha già previsti fin dal suo tempo.

“Verranno, egli dice, tempi difficili, perché gli uomini saranno egoisti, avari, vanitosi, superbi, bestemmiatori, disobbedienti, scellerati, senza amore, senza pace, calunniatori, incontinenti, crudeli, senza umanità, traditori, perversi, amanti più del piacere che di Dio” (II Tim. 3).

Ed oh! quale strage menano tutti costoro anche fra il popolo cristiano, che è il popolo di Dio, mentre, come dice il Santo Padre, “questi nemici del nome di Dio, con la suprema audacia loro propria, si impadroniscono di ogni mezzo, di tutti gli espedienti: libri, opuscoli, giornali, radio, colloqui privati, le scienze e le arti, tutto è in loro potere per spargere il disprezzo delle cose sacre!”.

Ma a questo punto sento il bisogno di fare a me stesso una duplice domanda: in primo luogo, se la società odierna fosse più cristiana, se tutti, ma specialmente noi sacerdoti e religiosi fossimo veramente sale della terra e luce del mondo, con la santità della nostra vita, sarebbe mai possibile questo impressionante progresso del male, la scarsa reazione dei buoni, quando anche essi stessi non abbandonano la propria fede e la pratica della religione, per passare nel campo dei nemici di Dio e della Chiesa?

Purtroppo, dobbiamo confessare che ci siamo molto, ma molto allontanati dai principi ed insegnamenti, dalle massime del Santo Vangelo! Quale differenza spesso fra ciò che si crede e quello che si pratica! “La luce venne nel mondo, ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce” (Jo. 3, 19). Altrimenti come spiegare che ci sia così poco cristianesimo pratico, dopo venti secoli di luce e di grazia?

Il dono della fede, il possesso della verità e della divina grazia, costituiscono un grandissimo privilegio per noi, ma non per goderne da soli, bensì per renderne partecipi tanti altri nostri fratelli. Il divino Maestro ha dato il suo ordine: “andate e ammaestrate tutte le genti” (Mt. XXVIII, 18). Ma come fu eseguito quest’ordine per tanti secoli?

Tuttavia, per noi in particolare, un’altra riflessione è utile fare. Tutti riconosciamo che in Italia il 18 aprile abbiamo avuto un vero miracolo di grazia da parte del Signore, ma come gli abbiamo dimostrato in pratica la nostra riconoscenza? Quale mutamento è avvenuto nelle nostra vita? Le chiese si sono viste più frequentate, la festa più santificata, i costumi meno pagani e più cristiani, più rispettato il santuario della famiglia, più decisa l’opposizione dei buoni contro la campagna d’immoralità diffusa specialmente attraverso la stampa, il cinematografo, la spiaggia, ecc.? Oppure quel dono divino, lungi dall’offrire il pretesto per abbandonarsi ad un quieto vivere, doveva costituire un nuovo impegno per tutti, ed essere considerato come un punto non già d’arrivo, ma piuttosto di partenza per nuove conquiste in ogni campo.

Purtroppo invece non fu così; quale meraviglia quindi se i nemici della Religione e della umanità sono sempre più forti, se trovano le porte aperte e il terreno adatto per spargere la loro pessima zizzania, se tarda l’aiuto e l’intervento del Signore a debellare le avverse forze del male?

Ma un’altra considerazione mi pare torni qui opportuna; senza dubbio l’ora attuale è grave ed oscura, non sappiamo che cosa essa ci riservi nell’avvenire, tuttavia penso che siamo ancora in tempo per stornare da noi nuovi disastri e flagelli, se davvero ritorneremo alla pratica del santo Vangelo, di tutto il Vangelo, senza mutilazioni, “sine glossa”, ossia senza arbitrarie interpretazioni, ma cercando di penetrarne il senso e lo spirito puro e genuino, per conformarvi poi i nostri giudizi e la nostra vita.

Il Vangelo ci parla, ad esempio, di Dio che è Padre, che ha cura di noi assai più che degli uccelli dell’aria, e dei fiori del campo, così che non ci lascierà mai mancare il necessario per il cibo e per il vestito, a patto che noi cerchiamo in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia: quale è la nostra fede nella paternità di Dio, quindi la nostra fiducia nella sua santa ed amabile Provvidenza?

Il Vangelo ci predica il distacco dalle cose della terra, ci esorta a “non accumulare ricchezze dove la ruggine e la tignola consumano, dove i ladri dissotterrano e rubano, ma ad acquistare dei tesori nel cielo”, per il quale unicamente siamo fatti; ci insegna quindi che la vita presente è solo una preparazione alla vita futura, la vigilia d’una grande festa, la quale durerà sempre.

Ci conforta nel dolore e nelle inevitabili prove e sofferenze, assicurandoci che poi “la nostra tristezza si cambierà in gioia”: sostiene la nostra fede e speranza, mostrandoci l’efficacia assoluta della preghiera.

Vuole che ci amiamo l’un l’altro, come Gesù ci ha amati, cioè fino al sacrificio di noi stessi e delle nostre cose, e ci insegna che la sostanza della Religione sta proprio nella carità, non di parole ma di opere.

E quasi a conferma di questo nuovo e grande precetto, ci parla di continuo, ponendolo nel massimo risalto, dell’ineffabile mistero della carità di Dio verso l’uomo, per cui l’uomo da prima è elevato all’ordine soprannaturale, destinato cioè a vedere e possedere Dio per sempre; poi, dopo la caduta di Adamo non viene abbandonato a se stesso, ma ricomperato e redento col Sangue di Gesù, Figliolo di Dio fatto uomo, che si è immolato sull’altare della Croce per i nostri peccati. E quasi ciò non bastasse, quel sacrificio, viene ogni giorno rinnovato sui nostri altari, ed il Corpo ed il Sangue di Gesù, sotto le umili apparenze di pane e di vino, sono dati a noi in cibo e bevanda, medicina e nutrimento delle anime nostre, pegno della vita eterna e della beata risurrezione.

Ecco le grandi, consolanti ed immutabili verità alle quali dobbiamo conformarci tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi; si può dire che tutto il mondo guarda a noi, all’Italia, a Roma, Cattedra della verità e Centro della Cattolicità, per cui a noi incombe un obbligo in un certo senso più grave che altrove. Quale esempio potremo dare nel vicino Anno Santo ai pellegrini di tutto il mondo, se saremo all’altezza del nostro compito, se ci sforzeremo di essere Vangeli viventi!

Oh, come vorrei che queste mie povere parole fossero sentite da tutti i cristiani, come un forte stimolo a cambiar vita, per offrire al mondo lo spettacolo di un cristianesimo che si rinnova, riproducendo la vita degli Apostoli e dei primi cristiani!

L’altra domanda che dobbiamo farci, è questa. Molti sono i nemici di Dio, i persecutori della Chiesa, coloro che si sono schierati dalla loro parte; che cosa facciamo per il loro ravvedimento? Sono pur essi nostri fratelli, anche le loro anime costano il Sangue di N. S. Gesù Cristo, essi pure dovranno presentarsi al divin Tribunale, e rendere conto della loro vita; e che cosa sarà di loro, se non si ravvedono e non si convertono in tempo?

Per guarire le varie malattie e curare i corpi si aprono ospedali e case di cura, si fanno tutti i tentativi possibili; e per guarire le anime, salvare questi nostri fratelli, non ci daremo nessun pensiero, specialmente quando abbiamo a nostra disposizione mezzi efficacissimi?

Mezzo efficacissimo è la preghiera alla quale il S. Padre ci invita; essa potrà risvegliare e rendere sempre più vivo lo zelo per la causa del bene e della religione, per difenderci noi stessi dai pericoli, per convertire coloro che tante volte sono vittime dell’ignoranza e dei pregiudizi, perché cresciuti in ambienti corrotti e ostili. Una volta ho avvicinato uno di questi poveri nostri fratelli e, conosciuta la verità, colpito dalla grazia, non rifiniva di ringraziare il Signore, ed era felice.

Spesso sono più disgraziati che cattivi; d’altra parte a noi deve stare a cuore non di combatterli, ma di conquistarli, portandoli a Gesù, l’amico dei peccatori, il Pastore buono che va in cerca della pecorella smarrita. Ed oh quanto bene questi fratelli illuminati e ritornati a Dio potranno fare a tanti altri!

Ma la preghiera, ci ricorda il Santo Padre, deve essere avvalorata da ferma fiducia e accompagnata da un seguito di buone opere.

Bella e santa cosa certe solenni manifestazioni religiose, le proteste per i delitti contro gli innocenti, ma esse devono essere seguite da un cambiamento profondo di vita, dalla pratica fedele delle virtù cristiane e religiose, altrimenti tali manifestazioni sarebbero un’irrisione, che lascia il tempo che trova, se piuttosto non attirano nuovi castighi del Signore.

E con la santità della vita soprattutto potremo anche meritare che il Signore ponga fine a tanti mali, e ci conceda finalmente di godere gli effetti della sua infinita misericordia, il suo perdono e la pace vera, di cui sentiamo tutti tanto bisogno. Spesso anche i buoni si domandano: perché il Signore non impedisce la persecuzione e non soccorre le vittime di essa? Dobbiamo riflettere che sono i nostri peccati che legano, per così dire, le mani al Signore. Noi formiamo il corpo mistico di Cristo; la Comunione dei santi è una realtà soprannaturale, e ogni membro risente del bene e del male di ogni altro membro. Noi siamo come dei vasi comunicanti: ci possiamo comunicare gli effetti della divina giustizia, come i doni della misericordia. Per cui se noi ci convertiremo davvero, possiamo sperare con certezza che il Signore verrà in nostro aiuto e soccorso.

Finalmente dobbiamo offrire a Dio l’omaggio della riparazione, che dovrà intensificarsi nella domenica del 3 aprile p.v., che coincide col cinquantesimo dell’Ordinazione Sacerdotale del Santo Padre, e nella quale Egli ha dato facoltà ai Sacerdoti di celebrare una seconda Messa per la remissione dei gravissimi peccati commessi in quest’ora. “L’Eterno divin Padre, ha detto il Vicario di Cristo, verrà propiziato e placato con il Sangue prezioso dell’Agnello Immacolato, la cui voce è più efficace di quella del sangue dell’innocente Abele e di tutti i giusti. E se l’ateismo e l’odio contro Dio è gravissima colpa, noi possiamo col lavacro del Sangue di Cristo lavare l’esecrando delitto, distruggerne le conseguenze, implorando perdono ai colpevoli e preparando alla Chiesa uno splendido trionfo”.

In omaggio agli augusti desideri del Santo Padre, desidero e dispongo che in tutte le chiese delle nostre Case e delle Parrocchie affidate all’Opera nostra, sia celebrata con solennità questa Messa di riparazione, e che si aggiunga, nelle funzioni pomeridiane, un’ora di solenne Adorazione Eucaristica, durante la quale innalziamo speciali preghiere per la conversione dei ciechi nostri fratelli che combattono la Chiesa e i suoi ministri, e sono in grave pericolo di dannare se stessi.

Questo invito alla riparazione dobbiamo sentirlo rivolto in modo particolare a noi, perché, come vi ho detto ancora, fra i compiti che la divina Provvidenza affida all’umile nostra Opera, uno è anche quello della riparazione, per cui possiamo ritenere che le povere preghiere, i piccoli sacrifici da noi offerti, siano particolarmente accetti a Dio, ed abbiano un’efficacia tutta speciale, non per i nostri meriti, ma per un tratto di predilezione da parte del Signore, che ha voluto quest’Opera proprio in questi tempi.

La Vergine Immacolata che più volte ha visitato questa nostra povera terra, specialmente a Lourdes e a Fatima, invitandoci alla preghiera e alle opere di penitenza, purtroppo non fu ascoltata e anche al presente non la si ascolta, per cui ci dobbiamo riconoscere immeritevoli della sua materna protezione; tuttavia preghiamola che si degni assisterci spiritualmente, supplire alle nostre deficienze e avvalorare con la sua materna intercessione la riparazione che desideriamo offrire a Dio, uniti a tanti altri nostri fratelli, secondo i desideri e le intenzioni del Vicario di Cristo.

Miei cari ed amati fratelli, viviamo bene, osserviamo le nostre sante Regole, compiamo in tutto e sempre il nostro quotidiano dovere, amiamo Iddio, cerchiamo in primo luogo il suo santo regno. Facendo così potremo sperare di compiere i divini disegni e cooperare all’immancabile trionfo di Cristo e della sua Chiesa.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere: sempre più ne sento il bisogno, per poter fare sino alla fine la santa volontà di Dio.

Nella mia povertà anch’io prego e vi ricordo, unitamente ai vostri cari, mentre in questo momento più con il cuore che con la mano vi benedico, con l’augurio di trovarci un giorno tutti uniti in Cielo, nostra Patria.

Amati fratelli,

Il Signore sia sempre con noi. Come vedete, l’amato nostro Padre Don Giovanni ha scritto di getto l’unita che vi ho battuta dall’originale.

Non v’è bisogno di molte parole per farvi rilevare tutta l’importanza di tutte le parole del Padre, ma in particolare di quelle che Egli ci rivolge in questo momento in cui attendiamo la notizia ufficiale della cresima della nostra cara Congregazione.

Il Superiore di ogni religiosa famiglia legga, commenti ai fratelli, richiamando tutti al dovere di rinnovarci nello spirito dell’Opera, nell’osservanza di tutte le sante Regole, grandi e piccole, se pure può dirsi piccolo quello che concerne la gloria di Dio, la nostra santificazione e il bene delle anime.

Con affettuoso saluto e in unione di preghiere

(Sac. Luigi Pedrollo)

* LETTERA LXII Verona, 7 giugno 1949

Miei amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. Nel mentre mi avvicino sempre più alla grande chiamata, sento tutta la grande responsabilità che pesa su di me e su voi tutti, quando compariremo al grande rendiconto, in quel momento ultimo e decisivo – pensate, pensiamo – per tutta l’eternità. O sempre con Dio in Cielo, in paradiso, o sempre all’inferno: che disperazione per quel religioso dei Poveri Servi che ha trascurato, che non è vissuto secondo la sua grande e particole vocazione!

Non ho rimorso, certo, di non aver detto a parole e in scritto quanto è grande l’Opera dei Poveri Servi, come è speciale la nostra vocazione, che consiste in queste parole: cenci, creta, disposti a tutto, cercare le anime, tutte le anime, specie le più povere, le più abbandonate, in una parola vivere e morire con lo spirito puro e genuino che lo stesso Gesù ha messo Lui, divino Fondatore, in quest’Opera, che culmina in quelle parole: buseta e taneta.

Amati fratelli, sento come non mai il bisogno di raccomandarmi alle vostre orazioni, e per me e per l’Opera. Sento il bisogno di raccogliermi in silenzio più del solito per sentire quello che domanda per me e per voi Gesù: A nome di Gesù vi dico di pregare in modo particolare per me; state per qualche giorno più uniti al vostro Padre che tanto vi ama, perché quante grazie vi ha fatte e vi farà il Signore se tutti sarete uno con il Padre, ciascuno di noi scomparendo perché viva solo l’Opera che è tutta di Gesù per l’ora attuale in modo particolare! Avrei, a tal fine, desiderio che in tutte le case si facciano preghiere speciali per avere tutti quegli aiuti spirituali e materiali di cui abbisogna l’Opera e che certo non mancheranno se tutti con la divina grazia cercheremo il santo Regno di Dio e la sua giustizia… et haec omnia…

Amati fratelli, facciamoci santi per santificare l’Opera e compiere tutti i grandi disegni di Dio propri dell’ora attuale; che grazia, che pace, che premio alla finne della vita!

P.S. Per tre giorni raccomando la coroncina della Provvidenza.

* LETTERA LXIII Festa del Preziosissimo Sangue 1949

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui davanti al mio Crocefisso vi scrivo questa mia povera lettera a nome di Dio, per dirvi che Gesù, Padrone assoluto di quest’Opera, ha dato il suo divino benestare, per mezzo della Santa Sede, accordando all’umile nostra Congregazione il “Decretum laudis”.

Fratelli, ringraziamo di cuore il Signore; con questo sigillo santo noi ora possiamo andare avanti sicuramente e compiere quei nuovi e grandi disegni, tutti propri dell’ora attuale, che la divina Provvidenza ha sopra di noi, sempre secondo lo spirito puro e genuino di questa Opera che è di Dio e che nessuna forza, come tante volte vi ho detto e ve lo ripeto in questa circostanza solenne, come fossi sul letto di morte, la può distruggere, ma solo noi, se non viviamo come vuole ed esige la nostra specialissima vocazione. Fratelli, pensate, pensiamo tutti a queste gravi parole: solo noi, se non viviamo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera!

Appena la divina Provvidenza mi pose in mano il “Decreto di lode”, non potei fare a meno di ammonire: “grande grazia, ma insieme grande responsabilità; dono grande, ma altrettanto grande deve essere il nostro impegno di rinnovarci, di santificarci, osservando ad litteram, ad litteram le sante Costituzioni, imbevendoci e compenetrandoci tutti del loro spirito, fino all’ultimo nostro respiro, che sarà porta per il santo Paradiso”.

Per questo la prima cosa che mi sento di raccomandarvi è che viviate, o meglio dirò che tutti viviamo le nostre sante Costituzioni, che si imperniano in una vita di viva fede in Dio e di figliale fiducia nella divina Provvidenza. Purtroppo viviamo in un mondo più pagano che cristiano; gli uomini non vivono e non pensano che alla terra, alla soddisfazione dei sensi e delle passioni, illudendosi di trovare in essi la felicità, cui tutti naturalmente aneliamo e per la quale siamo fatti; ma non la trovano e sono infelici, perché solo in Dio, dice S. Agostino, è la nostra pace, la nostra gioia: “Signore, Tu ci hai fatti per Te, ed inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te”.

Sembrano venuti quei tempi difficili previsti dall’Apostolo S. Paolo, nei quali, egli dice, gli uomini saranno egoisti, avari, vanitosi, superbi bestemmiatori, disobbedienti scellerati, senza amore, senza pace, calunniatori, incontinenti, crudeli, senza umanità, traditori, perversi, amanti più del piacere che di Dio.

Fra tanto male, anche i buoni sono disorientati, sfiduciati; la loro fede, se non è spenta del tutto, è languida: “Abundavit iniquitas, refrigescitis caritas multorum”. Ed ecco il compito che la divina Provvidenza affida alla nostra Opera: ravvivare in questo povero mondo la fede, con la parola e soprattutto con l’esempio. Dio, l’anima, l’eternità, per molti sono parole quasi vuote di senso. Noi invece viviamo di questa fede sicura ed incrollabile, che non viene meno in qualunque prova, fosse anche la persecuzione e la morte stessa. Dio non ha bisogno di essere dimostrato, ma portato da noi. L’esempio vale più di qualunque apologia. Oh se vivessimo davvero le grandi verità della nostra fede: l’ineffabile mistero dell’Incarnazione, il Presepio, il Calvario, l’Eucarestia, Dio in mezzo a noi, con noi in noi! Sono misteri che dovrebbero rapirci in estasi di corrispondenza e di amore! Le prediche non si va più ad ascoltarle, ma se gli uomini vedessero queste verità realmente vissute, quali felici e sante impressioni ne riceverebbero!

Ma dove, miei cari ed amati fratelli, attingeremo questa viva fede, se non alle pure sorgenti del santo Vangelo? per questo tante volte vi ho detto e ripetuto che dobbiamo essere altrettanti Cristi e Vangeli viventi, per essere fari di luce alla povera umanità brancolante nelle fitte tenebre, di tanti errori, nel fango di tanti vizi. E’ come l’Eco del comando di Gesù Benedetto: “Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei Cieli!”. Nelle quali parole notate come Gesù, richiamando il pensiero di Dio, lo chiama Padre, ed anzi Padre nostro. Voglio dirvi, miei cari fratelli, che la fede vera e genuina considera Dio, non solo come creatore e Signore, ma soprattutto come Padre. Fede quindi nella Paternità di Dio, e perciò fiducia illimitata, figliale abbandono alla divina Provvidenza, che è caratteristica tutta propria della nostra Opera, uno degli insegnamenti che il Signore vuol dare per mezzo di essa al mondo.

Ricordiamoci che la divina Provvidenza è una tenera Madre che tutto ordina per il nostro bene, anzi per il nostro maggior bene; dobbiamo sentirci portati dalle sue materne mani; è vero, molte volte dobbiamo soffrire, e la natura può provarne talvolta quasi sgomento; non meravigliamoci; anche Gesù conobbe la tristezza, il tedio e la paura, giungendo a pregare il Padre di allontanare da Lui l’amaro calice, soggiungendo però che si rimetteva alla sua paterna Volontà.

Adesso noi vediamo solo l’orditura del lavoro e il rovescio del ricamo, potrà sembrare che tutto sia confusione, ma quando potremo vedere il lavoro finito e il diritto del ricamo, allora essi ci appariranno in tutta la loro magnifica e meravigliosa fattura.

Ma se la divina Provvidenza ha cura di tutti, notiamolo bene, amati fratelli, Ella veglia su di noi con una cura tutta particolare, a misura che noi staremo al grande e divino programma.

Abbiamo noi avuto sempre fin qui fede così grande, così pieno e totale abbandono nella divina Provvidenza? Io viglio sperare di sì, ma se per somma sventura così non fosse, in questo momento, in questa circostanza solenne ravviviamo la nostra fede e promettiamo di vivere in conformità ad essa.

Per noi in modo tutto particolare stanno quelle parole che a me hanno fatto sempre grande impressione, fin dai miei primi anni di sacerdozio: “Quando vi mandai, così Gesù ai suoi Apostoli, senza sacco, senza borsa e senza bastone, vi è mancato qualche cosa?”. “Niente”, risposero essi.

Deh, che non vi siano mai angustie e ansie! Non cerchiamo di metterci in vista, non facciamo réclame; questo dispiacerebbe tanto al Signore, e facendo così verremmo a mostrare al mondo la nostra poca fede, e giustamente il mondo ci potrebbe dire: sì, avete la Provvidenza, ma a parole; a fatti invece, ecco le preoccupazioni, ecco che cercate i mezzi, ecco che nelle prove venite meno.

Fratelli, quante volte l’ho detto! ma ancora lo ripeto: quando in quest’Opera manca la Provvidenza, in via ordinaria è perché veniamo meno al nostro programma, la nostra vita non è da religiosi, da figli della Provvidenza. Oh se noi viviamo come vuole la nostra vocazione, stiamo certi che la nostra vita sarà una continua calamita della Provvidenza. Potrà il Signore permettere qualche grave prova per saggiare la nostra fede; potrà anche avvenire di dover mendicare di porta in porta; e questo il Signore lo farà conoscere al Casante; non dovremo allora turbarci, ma piuttosto godere e sentirci, direi quasi nella “perfetta letizia”. Stiamo certi che se la coscienza ci dice che siamo fedeli alla nostra santa vocazione, dopo la prova la Provvidenza verrà con “misura ricolma, agitata e scossa”.

Ma guai, o cari, se per colpa nostra non viene onorato ed amato questo divin attributo della Provvidenza, che proprio nei disegni di Dio deve essere richiamato per mezzo nostro in questi tempi di mancanza di fede e di sollecitudine per le cose transitorie, mentre tutto viene fondato sui calcoli umani, sul progresso della scienza, della civiltà, e a Dio e alla sua Provvidenza non si dà parte alcuna!

Sono troppi i “fuggitivi della Provvidenza”, come gli chiama lo Spirito Santo, i quali, invece di abbandonarsi alla potenza, alla sapienza e all’amore di questa tenera Madre, confidano in se stessi, nelle loro forze e risorse, calcolano sui denari che possiedono, rubano quello che è di Dio. Noi di quest’Opera dobbiamo manifestare con le parole e con la vita pratica questo divino attributo: oh quanto bene allora potremo fare! Sacerdoti apostoli, fratelli apostolici, pieni di fede e di figliale abbandono in Dio, saranno senza dubbio generatori di tante opere, quanti sono i bisogni della società presente, così fidati nella Provvidenza, da fare strabiliare il mondo; perdonate l’espressione, mi è uscita spontanea dal cuore; Dio è e sarà con noi, l’Opera è tutta sua.

Ma per questo bisogna essere santi, ci vogliono dei santi. Ed è perciò che vi raccomando tanto l’osservanza delle Regole e dei santi Voti. Nessuno venga meno agli impegni assunti: ricordiamoci che tutte le doti esterne, tutti i doni, tutte le qualità naturali, senza la nostra santificazione, valgono meno di zero; quello che importa è la santità, essere veri e santi Religiosi.

Sacerdoti e Fratelli, gli uni e gli altri figli di una medesima Madre, la Congregazione, che siano fra loro “cor unum et anima una”, tutti intesi ad una sola cosa, a cercare il santo Regno di Dio, uniti nel vincolo dell’amore scambievole, aiutandosi compatendosi a vicenda.

Nella nostra cara Congregazione il Sacerdote si consideri come l’ultimo dei Fratelli, ed il Fratello si senta come investito di uno specialissimo carisma sacerdotale, non solo per il Battesimo, che, come dice l’Apostolo S. Pietro, ci rende partecipi di un regale sacerdozio, ma ancora per la speciale vocazione in quest’Opera. E sia gli uni che gli altri ricordino che l’influenza loro nelle anime dipende non tanto dall’apostolato e dalle attività esteriori, quanto invece dal grado della loro santità. Per questo mi è famigliare il pensiero che ho letto sul Graf: “Non tutti i sacerdoti sono santi, ma tutti i santi sono sacerdoti”.

Amate l’umiltà e il nascondimento, che solo apparisca l’Opera, noi dobbiamo scomparire; siate come cenci e creta, senza testa; portate il nome dei Poveri Servi, guardate anche di esserlo in pratica. Sacrificate quindi ogni superfluità, ogni gingillo; amate la povertà: beati voi se vi troverete qualche volta in condizioni di sentirne anche gli effetti! Siate, siamo servi, quindi guardatevi dal fare la vostra volontà; ascoltate in tutto e per tutto i vostri Superiori, e in particolare obbedite al Casante dell’Opera, presente e futuro. Sento che il Signore gli darà lumi e grazie speciali, a bene dell’Opera in generale e di ciascuno di voi in particolare. Non fermatevi a guardare la persona; guardate tre dita più in su della testa e troverete il Signore.

Càpita alle volte che ci sono dei problemi da risolvere e che le vedute, i pareri sono divergenti; in questi casi discutete pure tra di voi in santa carità, ma per la decisione rimettetevi sempre con piena fiducia al Casante: in questo modo state sicuri che farete sempre la volontà di Dio, salverete più facilmente la santa umiltà e carità, e otterrete le divine benedizioni su di voi e sul vostro lavoro.

Voi sapete quanto io sono povero e meschino, ed è proprio per questo che il Signore mi ha scelto in quest’Opera, perché così meglio si vedrà Lui; tuttavia sento che avete l’obbligo di aiutarmi. Vi dico spesso che voi siete il mio respiro, la mia vita, e sento di ripetervelo ancora una volta. Guardate che a me basta solo uno sguardo, una parola, un’attenzione, per sentirmi come rinfrancato; evitarmi un dispiacere, assecondare un desiderio, vedervi a me vicini, questi ed altri simili atti si ripercuotono nel mio cuore di Padre, sempre tanto sensibile, come voi sapete, recandomi tanto conforto. Ma soprattutto fate quello che vi dico, non obbligandomi a tacere, a chiudermi nel mio silenzio; il Signore non sarebbe contento e non si compirebbero i divini disegni.

Inoltre quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore: siate conche e canali, conche per voi, canali per gli altri. Siate come tralci intimamente uniti alla vera vite che è Gesù, avendo Egli detto: “chi rimane in me e io in Lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far niente”.

Nulla trascurate, poiché tutto è grande quello che si fa per il Signore, e le piccole regole, le piccole osservanze, non sfuggono allo sguardo del Padre Celeste, che osserva con uno sguardo di pericolare compiacenza quello che per suo amore si fa nel segreto, nel nascondimento, e ve ne darà un giorno una grande ricompensa; ma fin d’ora statene certi, benedirà e feconderà il vostro lavoro, e gusterete la pace e la gioia propria dei figlioli di Dio, e quale conforto proverete sul letto di morte! Quanta sicurezza di passare dal letto degli ultimi vostri dolori, all’immenso gaudio del Cielo per la beata eternità!

Ecco quello che mi sono sentito di dirvi, miei cari ed amati fratelli. Guardate di pensare e di riflettere al momento solenne in cui ci troviamo; nei prossimi esercizi, emettendo i santi Voti, dovremo come rinascere alla nostra cara Congregazione e quindi rinnovarci. Quale responsabilità sarebbe assumere così gravi impegni e poi venir meno ad essi!

Per questo vi dico: se qualcuno non si sentisse, si ritiri per amor della sua anima e dell’Opera, che non ha bisogno di nessuno, o piuttosto ha bisogno di chi con fede e amore si abbandoni in Dio e alla sua divina Provvidenza; ma le molte prove che mi avete dato fin qui del vostro spirito di fede e di sacrificio, mi danno motivo di bene sperare anche per l’avvenire.

Fratelli, noi passiamo, ma l’Opera resta, deve vivere, camminare, andare fino all’estremità della terra, sino alla fine del mondo; ma questo sta in noi, è legato alla nostra personale santificazione.

Pregate per questo vostro Padre, che tanto vi ama nel Signore, e che, sebbene povero e meschino, vi lascia una grande eredità, l’eredità di un’Opera che santificherà in modo speciale le vostre anime in terra, e poi vi procurerà un posto specialissimo in Cielo. Che tutti, nessuno eccettuato, possiamo un giorno ritrovarci lassù a lodare, benedire e ringraziare Iddio di averci chiamati a far parte di quest’umile nostra Congregazione.

La Vergine Immacolata, Padrona di quest’Opera, ci ottenga quegli aiuti spirituali e materiali di cui abbiamo bisogno e accolga i nostri voti, custodisca i nostri propositi, ci difenda dai nostri spirituali nemici, ci protegga nei pericoli, ci soccorra nei nostri bisogni, ci consoli nel punto della nostra morte e ci porti nel santo Paradiso.

Pegno di queste grazie sia la paterna benedizione che a tutti e a ciascuno più con il cuore che con la mano desidero impartirvi.

* LETTERA LXIV Verona 25 agosto 1949

Ai singoli Superiori delle Case

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

All’avvicinarsi del santo tempo degli Esercizi sento il bisogno di rivolgere per mezzo tuo la mia povera parola quale mi sgorga spontanea dal cuore agli amati fratelli, esortando tutti a disporsi con una preparazione specialissima a farli veramente bene, per trarne un frutto più abbondante del solito. Quest’anno infatti è per noi, per la nostra cara Congregazione, un anno di speciali benedizioni; abbiamo avuto il dono grande e il sigillo divino dell’approvazione Pontificia, che importa in noi una grande responsabilità ed un impegno nuovo per essere veri Poveri Servi, non a parole soltanto, ma a fatti.

Mio caro…, l’ora che attraversiamo è grave, la lotta fra il bene i il male, fra la luce e le tenebre, non fu mai così aperta, così tremenda; è l’ora di Satana, ma insieme l’ora di Dio, che prepara l’ora del trionfo di Cristo e della sua Chiesa. Ma v’è bisogno della nostra cooperazione, quindi urge, urge il ritorno pratico alle pure sorgenti del Santo Vangelo; e se, come mi pare e come sento nell’intimo del mio cuore, la divina Provvidenza vuole servirsi dell’umile nostra Opera per compiere questi nuovi grandi disegni, voi capirete la necessità di rinnovarci e di camminare in maniera degna della nostra speciale, anzi specialissima vocazione.

Ed ecco quanto mai opportuni, per questo, i santi Esercizi; nel silenzio, nel raccoglimento, nella preghiera parlerà il Signore; diciamo con il profeta: “Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta!”, ovvero con San Paolo: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

E cominciamo a metterci tutti, io per il primo, una mano sul petto per domandare perdono delle mancanze e dei peccati commessi, specialmente nella Casa del Signore, come membri di quest’Opera; e poi un fermo proposito di incamminarci per la via che conduce al monte santo della perfezione cristiana, religiosa, sacerdotale; sarà una via stretta, via di rinuncia e di sacrificio, ma quanta pace proveremo nel cuore fino da questa terra, e poi quale ricompensa in Cielo!

Mio caro ed amato…, quante altre cose vorrei dire ancora! Ma tu leggimi in cuore, di’ a tutti che diano grande importanza alla mia povera parola, che mi ascoltino, che siano il mio respiro e la mia vita, vivendo lo spirito puro e genuino di questa grandissima Opera, che il Signore guarda come un tempo guardava a Betlem e a Nazareth. Se noi saremo ripieni di questo spirito e di questi sentimenti, v’assicuro, faremo miracoli, vorrei dirvi, faremo strabiliare il mondo, perché il Signore si serve delle cose più umili e nascoste per compiere i suoi più grandi disegni.

In questi santi e benedetti giorni vi sarò più che mai vicino con la preghiera e la sofferenza, e voi pregate tanto per me, per questo vostro Padre che sempre vi porta nella mente e nel cuore, e che in questo momento più con il cuore che con la mano vi benedice; e ricordiamoci che il Povero Servo che giorno per giorno nelle mansioni affidategli dall’obbedienza vive lo spirito puro e genuino dell’Opera, ha assicurata la sua eterna salvezza e ha già in mano le tessera per il santo Paradiso. Quale dono, quale grazia!

* LETTERA LXV Verona 8 settembre 1949

Parole del Ven. Padre Don Giovanni alla fine degli Esercizi Spirituali, dopo la Prima Professione Triennale fatta a S. Zeno in Monte l’8 settembre 1949.

Amati fratelli, non mi sentivo di parlarvi, ma all’ultimo momento mi sono sentito come scosso e mi pareva di sentir Gesù che mi diceva: “Io sono e sarò sempre con te, perché questa Opera è Opera mia. Va’ e di’ loro queste parole”.

II primo è pensiero di ringraziamento per il dono grandissimo di questi santi Esercizi Spirituali, diretti proprio dallo Spirito Santo, proprio secondo i nostri bisogni spirituali.

E’ una grande Opera che Gesù stesso ha fondato ed è grande grazia appartenere ad essa. Guardiamo di uscire da questi Spirituali Esercizi come sono usciti gli Apostoli dal Cenacolo, per portare la luce e la vita alle anime e al mondo.

Gesù sarà con noi! La prima nostra preoccupazione è la santificazione nostra. Guai a noi se non ci facciamo santi! Ricordatevi che per santificare bisogna essere santi! Ci santificheremo vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Nessuna prova esterna, nessun nemico potrà rovinare la nostra Opera. E se qualcuno tenterà di distruggerla, gli Angeli di Dio difenderanno quest’Opera. Io solo posso rovinare quest’Opera. Quale responsabilità!

L’ora attuale è triste. Ma il Signore ha attuato nella sua Opera dei disegni che io una decina di anni fa non pensavo neppure. E’ Gesù che opera, o cari, con lo spirito puro e genuino. Se noi vivremo con lo spirito puro dell’Opera, sono sicuro che il Signore farà i miracoli dei primi tempi del cristianesimo. Il Signore non ha bisogno di nessuno. E spesse volte io ho detto che non mi preoccupo di mandar via un ragazzo: pensa il Signore ad allontanare chi non corrisponde.

Ma guardiamo noi di non avere la disgrazia di essere esclusi! Guardiamo di corrispondere attraverso il dolore e la sofferenza, che sono il sigillo delle Opere di Dio.

Io vi porto nella mente e nel cuore e vi sono vicino con la preghiera e con la sofferenza inerente all’ufficio di Casante.

Tutto il mondo guarda a noi. Grandi disegni Gesù vuol compiere, ma li vuol compiere con noi.

* LETTERA LXVI Verona, 4 ottobre 1949

Ai singoli Superiori delle Case.

Mio carissimo

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi.

Leggo qui nuovamente il decreto di Approvazione riportato nel Bollettino Ecclesiastico Veronese, e il commento così bello che lo accompagna. Nel leggerlo, sento in me più viva che mai la responsabilità che il Signore, per tratto speciale di sua infinita bontà, si è compiaciuto di addossare a noi. Il Povero Servo ha in sua mano la propria sorte eterna, e quella di tante anime.

E’ il Paradiso che ha in sua mano, se fedelmente corrisponde alla sua vocazione, vivendo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera; sarebbe l’inferno se non volesse corrispondere e per colpa sua restassero incompiuti i divini disegni della Provvidenza. Che non sia mai di nessuno di noi tale disgrazia!

L’Approvazione Pontificia è il sigillo di Dio su la nostra Opera. Il Signore ancora una volta ci ha dato saggio della sua speciale predilezione per noi. Beati noi se prenderemo nuova lena per corrispondere!

Viviamo dunque nell’umiltà, nella carità, nello spirito di sacrificio: buseta e taneta, lontano dalle protezioni umane, appoggiati alla Provvidenza. Anime, anime! Ecco quello che dobbiamo cercare e domandare. Siamo “Vangeli viventi” come ne desidera il caro Gesù, per salvare le anime. Il nostro esempio la vita religiosa nostra sia una predica eloquente, che dà valore a quello che diciamo a voce, specialmente predicando. E allora compiremo i disegni di Dio, e assicureremo la nostra sorte eterna e quella di tanti nostri fratelli.

Data l’occasione, dirai queste mie raccomandazioni anche agli altri. Viviamo bene, facciamoci santi! E la nostra opera procederà a sempre nuovi sviluppi, a salvezza di tante anime.

Prega tanto per me, sai, che ne ho estremo bisogno. Prega che io per il primo sia all’altezza della responsabilità che richiamo alla tua attenzione.

E io di gran cuore ti benedico, augurando che il Signore Gesù trovi in te, e nei Confratelli Poveri Servi, le sue divine compiacenze; e nell’ultimo dei tuoi giorni ti possa dire: “Euge serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui”.

* LETTERA LXVII Santo Natale 1949

Miei cari ed amati fratelli interni ed esterni

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Buono e santo Natale! Proprio dal fondo del cuore mi sgorga questa parola di augurio per voi. Parola semplice, ma al tempo stesso piena di grande significato. Gesù Bambino rinasca nei nostri cuori, in tutti i cuori, e rinascendo ci comunichi i suoi stessi sentimenti, e ci faccia amare quello che Egli ha amato, ed abbracciare quello che Egli ha abbracciato, affinché la sua vita si manifesti in noi: “ut et vita Jesu manifestetur…”, così che ciascuno di noi arrivi a dire a se stesso in tutte le prove di questa vita di esilio: – Quello che è buono per Gesù, è buono anche per me!

Oh come prego e supplico lo Spirito Santo, che voglia donare a questa mia povera parola tanta efficacia da produrre in tutti voi copiosi frutti di grazia e di santità! Miei cari ed amati fratelli, la santità, la nostra personale santificazione: ecco il grande bisogno e il grande imperativo dell’ora presente, che è l’ora di un continuo richiamo del Signore a tutta la povera umanità, ma specialmente a noi sacerdoti, religiosi e popolo cristiano, perché esso sia veramente il popolo di Dio, e noi viviamo la vita degli Apostoli e dei primi cristiani. Mai come adesso il mondo andò errando lontano da Dio, brancolando nelle tenebre di tanti errori e vizi; ora, è solo la luce della santità che si irradia da noi, che gli può rischiarare il cammino e indicare la via del grande ritorno a Cristo e alla sua Chiesa. Di qui la responsabilità nostra, il gravissimo compito di coloro che hanno ricevuto il divino mandato di insegnare: “Euntes docete omnes gentes!” con la parola, ma soprattutto con l’esempio di una vita pienamente conforme ai principi e alle massime del santo Vangelo, vissuto e praticato così com’è, sine glossa, ossia senza arbitrarie mutilazioni e vani commenti, per essere davvero altrettanti Cristi e altrettanti Vangeli viventi.

Solo la santità, secondo il mio povero parere, può risolvere i gravi problemi sociali che si agitano in quest’ora. Oh se fosse vivo in noi, come era vivo negli Apostoli e nei primi cristiani, il pensiero della paternità di Dio! Cioè che Dio è Padre infinitamente buono e provvido, che noi tutti siamo fratelli in Cristo, che dobbiamo fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi! Non vi sarebbero più egoismi, lotte di classe, odi, vendette, che hanno sovente il loro triste epilogo nel sangue fraterno versato.

Davanti al Presepio abbiamo tutti bisogno di riflettere e di meditare l’incomprensibile mistero degli abbassamenti dei Figliolo di Dio fatto uomo, del quale dice l’Apostolo, che essendo infinitamente ricco, si è fatto povero, affinché per il volontario suo spogliamento noi diventassimo ricchi dei suoi doni e della sua grazia: “Propter vos egenus factus est cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis”.

Dove mai, se non qui davanti al Presepio, i Santi appresero quella celeste dottrina che, essendo di tutti i tempi, sembra tuttavia scritta per l’epoca nostra? “Voi ricchi, diceva S. Giovanni Crisostomo, ricordatevi che siete dispensatori, non possessori delle vostre ricchezze, e quando date ai poveri, un tale atto di misericordia è giustizia”. E S. Agostino nelle sue istruzioni al popolo diceva: “Voi fate il Segno di croce, venite in chiesa, ascoltate le prediche, sapete partecipare ai canti della sacra Liturgia, vi accostate ai Sacramenti, ma tutto questo non mi può dire ancora che voi siete cristiani; ciò che vi dimostra tali è solo la carità, è l’amore verso i fratelli”. Tutti questi insegnamenti, alla fine non sono altro che un magnifico commento alla lettera ispirata dell’Apostolo S. Giacomo, il quale dice testualmente così: “Che giova, o fratelli, a uno dire d’aver la fede, se non ha le opere? Forse la fede lo potrà salvare? Se un fratello o una sorella son nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: ‘andate in pace, riscaldatevi, satollatevi’, senza dar loro il necessario al corpo, che gioverà? Così la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa” (Jac. II, 14).

Questo, miei cari ed amati fratelli, è lo spirito puro e genuino del santo Vangelo, quello spirito nuovo che Gesù è venuto a portare sulla terra, che è fuoco di carità per Iddio e di amore verso i fratelli, che ne sono la viva immagine. Ed è ancora nella carità e nell’amore che consiste la vera santità.

Alla quale ci impegna anche un altro motivo, ed è il sapere che la nostra santificazione e la santificazione delle anime mediante la preghiera e la penitenza è il primo e principale fine proposto dal Santo Padre nell’indire l’Anno Santo che avrà inizio appunto con la solennità di Natale. E’ un invito rivolto a tutti i fedeli, ma senza dubbio in modo tutto particolare rivolto ai Religiosi, quindi anche a noi Poveri Servi della Divina Provvidenza. E’ questo il nome dei Fratelli Interni, ma anche voi, amati Fratelli Esterni, come appartenenti all’Opera, dovete possederne lo spirito, così bene compendiato nello stesso nome; ricordatevi che è una grande grazia che Gesù vi ha fatto, di associarvi all’Opera dei Poveri Servi.

Analizziamo pertanto il nostro nome: ci diciamo poveri; dobbiamo dunque amare la santa povertà e soffrirne i disagi, le privazioni, i sacrifici, che ne sono le naturali conseguenze: chi ama gli agi ed è attaccato alle proprie comodità, è povero di nome ma non di fatto, e quale premio allora potrà ripromettersi dalla sua professione di povertà? L’amore poi alla santa povertà ci darà la possibilità di dividere con altri fratelli i beni a noi compartiti dalla divina Provvidenza.

Siamo servi: sull’esempio di Gesù, che fin dalla sua nascita si proclama il servo per eccellenza del Padre, dobbiamo conformarci sempre alla santa volontà di Dio che ci viene manifestata dalle sante Regole e dagli ordini dei Superiori; “Quae placita sunt Ei facio semper”. Quante volte vi ho detto che dobbiamo essere senza testa, come creta, come cenci, disposti a tutto! Deh, che queste parole non siano un giorno di nostra condanna!

Ma anche voi, amati Fratelli Esterni, dovete obbedire, cioè osservare la santa legge del Signore, nel compimento dei vostri doveri nella famiglia, nell’ufficio, nella professione che esercitate, in tutto e sempre; ricordate in particolare il dovere del buon esempio. Quale pregiudizio ne avrebbe I’Opera dal cattivo comportamento di qualche Fratello Esterno!

Infine siamo i servi della Divina Provvidenza: dobbiamo vivere e dimostrare in pratica il “non v’angustiate…” del santo Vangelo; lontani dalle protezioni umane, usare e custodire religiosamente quelle che il Signore ci manda; per conto nostro amiamo il silenzio e il nascondimento; accontentiamoci dello sguardo e dell’approvazione di Dio. Qualche volta la Provvidenza vorrà che l’Opera si manifesti anche esternamente, ma appena assolto il mandato, ritorniamo nel nostro silenzio e nascondimento: “buseta e taneta”.

Ed anche voi miei cari ed amati Fratelli Esterni, vivete in questa atmosfera di silenzio, nella piena fiducia e figliale abbandono in Dio e alla sua divina Provvidenza; cercate prima le cose dell’anima, la vostra santificazione, tenendovi lontani dal peccato, coordinate la vita presente con la vita futura, sopportate con generosità le inevitabili prove della vita, e quanto al resto state certi e sicuri, il Signore non vi abbandonerà, poiché ha impegnata la sua parola: “Quaerite primum regnum Dei… et haec omnia adiicientur vobis”.

Questo era quello che mi premeva di dirvi, ma siccome non è ormai molto lontana “l’Ottava di preghiere per l’unità della Chiesa” solita a farsi dal 18 al 25 gennaio, sento anche il bisogno di esortarvi a farla quest’anno con impegno tutto particolare. Voi sapete che a Maguzzano, fin dall’inizio, è stata autorizzata con Decreto Vescovile, l’Adorazione Eucaristica quotidiana, con il preciso scopo di pregare per il ritorno dei Fratelli separati, ed ho dato disposizione perché a Maguzzano questa “Ottava” si faccia il più solennemente possibile. Ma anche nelle altre Case desidero che si dia ad essa la massima solennità e a tutti raccomando di offrire preghiere e sacrifici per implorare dal Signore grazie di luce e di cristiana fortezza, necessaria per intraprendere la via del ritorno, superando ovvie difficoltà e ostacoli; così che di tutti i fedeli e credenti in Cristo si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore.

Oh, se questo movimento verso la Casa del Padre comune, alla volta dell’ovile di Pietro, si iniziasse su larga scala, quanto bene ne verrebbe alle anime, quanto vantaggio e prestigio alla Chiesa, quanta gloria a Dio! Anche se umanamente parlando la cosa si presenta difficile, nulla è impossibile a Dio; e non dimentichiamo che ogni grazia è legata alla nostra incessante e fervida preghiera.

Davanti al Bambino Gesù preghiamo dunque per tutte queste intenzioni; pregate pure per questo vostro Padre, che vi porta tutti nella mente e nel cuore, e che ogni giorno prega e offre le sue sofferenze per voi e per tutti i vostri cari, ai quali con voi più con il cuore che con la mano benedico. Che terminata la nostra terrena giornata, possiamo ritrovarci tutti nessuno escluso, nel santo Paradiso, essendo questo il fine della nostra vita di prova e di esilio, ma insieme vigilia della vera vita, che consiste nel pieno ed eterno possesso di Dio.

P.S.

Quanto so e posso vi raccomando di leggere e di meditare frequentemente quello che vi dico o a voce o per mezzo dello scritto, perché è parola che mi nasce nel cuore e che vi ripeto sempre a nome di Gesù benedetto; così alimenterete in voi lo spirito puro e genuino che Egli fin da principio ha messo nell’Opera.

* LETTERA LXVIII Verona, 30 gennaio 1950

Miei cari ed amati figlioli di Roma

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Sono qui davanti al mio Crocefisso e penso e medito all’infinito amore di Gesù per le nostre anime, che ha amato fino alla totale sua immolazione sulla Croce, e redento a prezzo del suo preziosissimo Sangue. Mio Dio, come costano le anime, come bisogna faticare e soffrire per salvarle!

Con questa stessa visione davanti agli occhi della vostra mente, con questa intima convinzione in fondo al vostro cuore vi prego di leggere e meditare queste mie povere parole che vi scrivo a nome e per volontà di Gesù, sia per esortarvi a vivere sempre più intensamente quello spirito puro e genuino che il divino Padrone ha messo fin dall’inizio in quest’Opera che è tutta sua e alla quale noi abbiamo la grazia di appartenere, sia per darvi quelle norme e disposizioni che mi sembrano necessarie e opportune, perché di tutte le Comunità romane si faccia veramente una sola famiglia, in piena conformità di indirizzo, in perfetta fusione di cuori e di spirito, come si conviene a coloro che sono fratelli, figli della stessa madre, che è la nostra cara Congregazione.

E in primo luogo quanto so e posso vi raccomando la vita interiore: conche e canali, tralci e vite, ecco come devono essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Quindi date la massima importanza alle pratiche di pietà, che alimentano in noi la vita d’unione con Gesù. Guai a chi le trascura o le compie solo superficialmente! A poco a poco lo spirito si affievolisce, subentra la tiepidezza e le cose allora si fanno senza fervore e senza slancio, e ben scarso sarà il frutto che ricaveremo dall’esercizio del sacro ministero, da ogni forma di apostolato. Che se vi sentite talvolta languidi, freddi, distratti, senza entusiasmo nella ricerca del santo Regno di Dio, ricorrete allo Spirito Santo, che è luce, che è calore, che è forza, che è conforto: Adsit nobis, quaesumus, Domine, virtus Spiritus Sancti…

In secondo luogo, ve lo raccomando tanto, vivete la vita di fede e di filiale fiducia e abbandono in Dio e alla sua paterna Provvidenza; state lontani dalle protezioni umane, pure accogliendo quelle che la Provvidenza vi manda; non appoggiatevi agli uomini, e non contate sui vantaggi materiali e morali che vi possono venire da loro, avendo sempre presente la parola del Signore: “Maledictus homo qui confidit in homine… benedictus vir qui confidit in Domino, et erit Dominus fiducia eius!”

Inoltre non preoccupatevi di far molte cose: non multa, sed multum! Fa molto chi fa bene; fa molto chi attende di proposito alla sua santificazione; ma chi tende a mille altre cose, anche buone in sé, e facesse più calcolo del multiforme suo lavoro esteriore che della vita interiore e della sua santificazione, cadrebbe in quella che si chiama eresia dell’azione. Ma anche a prescindere da questo eccesso, ricordatevi che quando si mette mano a molte, a troppe cose, è facile che c’entri l’io e sia escluso Dio.

Deh non sia così per nessuno di noi! e facciamo di tutto per essere, come tante e tante altre volte vi ho detto, altrettanti Cristi e Vangeli viventi, sale della terra e luce del mondo. Se il mondo va male, in gran parte la colpa è anche nostra; cominciamo noi dunque la nostra riforma, e mettiamo in cima a tutti i nostri pensieri il grande pensiero della nostra personale santificazione, per ottenere la quale dobbiamo stare attenti a non uscire dalla santa volontà di Dio. Che cosa giova fare grandi passi, ma fuori di strada? Quindi, allorché avete in animo di fare qualche cosa che vi pare sia per la gloria di Dio e il bene delle anime, sottomettete prima umilmente i vostri progetti e iniziative all’approvazione dei competenti Superiori vostri. Chi opera in questo modo è sicuro di fare la volontà di Dio, Dio lavorerà con lui e renderà santamente feconde e fruttuose le sue opere; ma chi fa di sua testa, d’una cosa sola è certo, di sbagliare. Facessimo anche miracoli, riscotessimo l’approvazione e gli applausi del mondo, a nulla ci gioverebbero, se non forse per la nostra rovina e condanna.

Anche un’altra raccomandazione mi preme di farvi, ed è questa: in quello che fate non dovete mai proporvi il buon nome e il prestigio vostro personale, ma bensì il bene e il vantaggio dell’Opera. Noi dobbiamo scomparire, quello che deve restare è l’Opera, solo l’Opera. Chi cerca se stesso, il proprio interesse, commetterebbe una rapina nell’olocausto, riprendendo per sé quello che una volta ha solennemente donato al Signore.

E’ vero, come Parroci o Vice Parroci, riceverete il mandato e l’investitura della competente autorità Ecclesiastica, alla quale dovete rendere conto e dovete da essa dipendere; ma voi non siete persone private, bensì rappresentanti, esponenti della Congregazione; propriamente parlando, non voi, ma è la Congregazione che per mezzo vostro riceve in consegna le anime, in mezzo alle quali non potete esercitare il sacro ministero a vostro arbitrio, ma come Poveri Servi, cioè secondo lo spirito, gli indirizzi, i criteri propri dei Poveri Servi. Chi facesse diversamente, non solo porterebbe un grave pregiudizio all’Opera stessa, ma si priverebbe di quegli aiuti e grazie che renderebbero particolarmente fruttuoso e fecondo il suo santo ministero, secondo la parola di Gesù: “Chi rimane in me e io in lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Viviamo dunque lo spirito della nostra Opera, come cenci, come creta, senza testa, “buseta e taneta”, nel nascondimento, nell’umiltà; allora il Signore ci adopererà, potrà anche metterci sul candelabro e compiere i nuovi, grandi disegni, tutti propri dell’ora attuale.

Ed infine vi raccomando tanto e poi tanto che viviate uniti, cor unum et anima una; sebbene vi sia stata affidata la cura d’anime in zone lontane l’una dall’altra, però dovete vivere il medesimo spirito, mantenere unità d’indirizzo; per questo, anche in passato, vi ho sempre raccomandato che vi teneste uniti a S. Filippo, per opportuni scambi di vedute, per una fraterna intesa e collaborazione. Tuttavia mai come in questi ultimi tempi ho sentito il bisogno, la necessità, l’urgenza che le diverse Borgate formino un’unica Famiglia, nel pieno senso della parola; ed è venuto delineandosi e maturandosi nella preghiera e nella sofferenza un piano, che mi pare torni di grande gloria di Dio e sia di grande vantaggio alla cara nostra Congregazione. Il piano è questo: che il caro Don Ottorino, nella sua qualità di Parroco di S. Filippo, rivesta la qualità di un vero Superiore, quale mio rappresentante. Voi ne comprendete la ragione; dovrei io stesso venire o mandare a visitarvi di quando in quando; queste visite però non possono essere frequenti così come sarebbe necessario, ed anche prescindendo da ciò, sento che è necessario che un mio rappresentante risieda in loco.

Quindi d’ora innanzi, al caro Don Ottorino sono affidati compiti nuovi. Egli deve visitare le nostre Famiglie religiose di Roma, rendersi conto delle varie opere e attività che sorgono in ciascuna, invigilare sulla osservanza della disciplina religiosa, accertarsi che tutto procede secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, ecc. Inoltre, se i singoli Religiosi, preposti alle varie Borgate, restano liberi nell’ordinario esercizio del sacro ministero, quando si tratta di nuove attività ed iniziative, prima di attuarle devono sottoporle all’approvazione del nuovo Superiore, che per ogni buon fine si terrà in frequente contatto con i Superiori Maggiori.

Miei cari ed amati figlioli, ecco quello che mi premeva di dirvi; ricevete questa mia povera parola, come parola di Gesù, Padrone assoluto dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere; beati voi allora! Compirete cose grandi, non secondo gli uomini, ma secondo Dio, gioverete alla vostra anima e a tutte le anime, specie a quelle che la Provvidenza ci volle affidare, e con questa fiducia, terminata la vostra terrena giornata di lavoro, guarderete in faccia alla morte, per sentirvi ripetere quelle consolanti parole: “Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre orazioni, ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà del Signore. E che poi un giorno ci possiamo ritrovare insieme uniti per sempre nel santo Paradiso. Più con il cuore che con la mano, vi benedico tutti.

* LETTERA LXIX Verona, 1 luglio 1951

(Nel 50º di Sacerdozio del Ven. Padre)

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, nel pieno riposante silenzio delle creature e delle cose, quale mi è dato di gustare in questo magnifico luogo, offertomi dalla divina Provvidenza per un breve periodo di convalescenza, penso a tutti voi, e con il cuore in mano vi ringrazio per le tante preghiere e suppliche che avete fatte per me, nel tempo della dolorosa prova che il Signore ha permesso per i suoi fini, ma soprattutto per la mia personale santificazione.

Per me, la carità più grande che uno possa farmi è la preghiera, soffio di Dio da cui deriva a noi ogni bene; che se oggi posso rivolgervi la mia povera parola, quale mi sgorga spontanea dal cuore, è appunto perché il Signore ha ascoltato ed esaudito le vostre preghiere. Con queste voi avete aiutato me, ed io desidero aiutare voi con la presente lettera, che se non vi dirà cose nuove, tuttavia vorrei che fosse come il mio testamento e il miglior ricordo del 50º del mio Sacerdozio.

Io non so se avrò la grazia di arrivare a farne la celebrazione; ma fin d’ora nel mio cuore benedico e ringrazio il Signore del grandissimo dono del Sacerdozio, concesso anche a me, tanto povero e meschino. Ed insieme oh come sento il bisogno in questa straordinaria ricorrenza di chiedere a Dio perdono per tutte le deficienze e miserie di questo non breve periodo di vita sacerdotale, e di offrire in uno spirito di umiltà e con l’animo veramente contrito il divin Sacrificio “pro inumerabilibus peccatis et offensionibus et negligentiis meis”; e al tempo stesso vi prego e vi scongiuro di unirvi anche voi a me con la preghiera, per ottenermi dal Signore il perdono del male fatto fin qui, affinché possa trovare pietà e misericordia nella mia ormai non lontana chiamata al divino Tribunale. Pregate, inoltre, perché questa grande data segni per me una nuova tappa per la mia personale santificazione e per la santificazione dell’Opera.

Mio Dio, come sento tutta la responsabilità di Povero Servo! Come e più ancora di Casante e Custode di questa grandissima Opera! Per questo, quanto so e posso vi dico e ripeto, guardate di pregare tanto per me, che in quest’ultimo scorcio della mia vita abbia ad essere quello che vuole Gesù.

Nella mia povertà anch’io vi porto nella mente e nel cuore, e in questo 50º ripeterò con più intenso fervore la preghiera che sono solito di fare da tanti anni dopo la Santa Messa: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis, laudem te, in saecula saeculorum”! Oh sì, miei cari ed amati fratelli, che dopo compiuta la nostra terrena giornata, ci possiamo ritrovare tutti insieme nel santo Paradiso, come il Signore ci ha uniti in terra, chiamandoci a far parte di quest’Opera che è tutta sua, per mezzo della quale vuole compiere nuovi e grandi disegni tutti propri dell’ora attuale, e li compirà sicuramente, a patto che noi stiamo sempre fedeli al nostro divino programma: “Quaerite primum…!”

Miei cari ed amati fratelli, l’ora attuale è senza dubbio una grande ora; come fossi sul letto di morte, mi sento di dirvi che è l’ora decisiva per il trionfo della Chiesa e della nostra santa Religione, per l’avvento dell’età di Gesù!

Ne abbiamo chiari segni nei carismi e grazie singolarissime che lo Spirito Santo comparte a certe anime (tra queste a P. Lombardi, che io chiamo il messo di Dio), le quali, attuando in pieno gli insegnamenti e le massime del santo Vangelo, preannunziano questo trionfo di Gesù nella lotta tremenda che in questo ultimo tempo è ingaggiata tra le forze del bene e quelle del male.

Noi Poveri Servi dobbiamo contribuirvi con la santità della vita, irradiando la pura luce del santo Vangelo, essendo Vangeli viventi, cercando anime, solo anime, specialmente quelle più bisognose; come vi ho detto ancora: creature abbandonate, vecchi, poveri, malati, sono le nostre ricchezze, le gemme dell’Opera.

Questo miei cari fratelli, è lo spirito puro e genuino che Gesù ha messo fin da principio, che è ormai consacrato dalle nostre sante Costituzioni, che “in visceribus” vi raccomando di leggere spesso e di meditare, per osservarne anche le più minute disposizioni. Poiché non dovete dimenticare che le grandi cose sono fatte di tante piccole cose, come la vastità dell’oceano risulta da infinite piccole gocce d’acqua. Del resto, la grandezza delle azioni dipende unicamente dalla misura dell’amore con cui si fanno; e a queste piccole cose si rivolge ora il mio pensiero, e mi pare che sia proprio Gesù a volere che io le abbia a richiamare come in sintesi, in questa solenne circostanza, prime a me stesso e quindi anche a tutti voi.

Ricordiamoci che non si è mai abbastanza pensato al “porro unum est necessarium”, che il resto è niente, è fumo e vanità. Coordinare la vita presente con la vita futura, pensare e parlare spesso dell’anima, dell’eternità, del paradiso, dell’inferno; giudicare delle cose e avvenimenti alla luce dei principi soprannaturali, vedere tutto in Dio e Dio in tutto; nel filo d’erba, in un fiore, in un frutto, in ogni creatura piccola e grande, riconoscendo l’infinita potenza, sapienza e bontà di Dio, che è grande nelle cose grandi e massimo nelle cose minime.

Questo miei cari, è spirito evangelico pratico, questa è vera sapienza cristiana. E quanto v’è bisogno di anime che incarnino questo spirito, che irradino questa luce in mezzo a tante tenebre del modo, tenebre d’ignoranza, di errori e di corruzione! Ed è quello che Gesù vuole da tutti i cristiani, ma specialmente da noi sacerdoti e religiosi: a noi essendo rivolto in modo tutto particolare il monito di Gesù: “così risplenda la vostra luce, affinché vedano le vostre opere e glorifichino il Padre vostro che stà nei Cieli”.

Se possederemo questo spirito, non ci sarà difficile vedere nei poveri, nei vecchi, nei malati le vive immagini di Gesù, i prediletti di Lui; stimare come meritano tanti piccoli atti di carità: dire una buona parola, avere un gesto, un sorriso, recare un servigio; tanti piccoli sacrifici, rinunce, distacchi, tante piccole mortificazioni, che sembrerebbero insignificanti ed invece sono efficacissime per preservarci dal contagio e dalla corruzione del mondo, per conservare ed accrescere in noi il santo fervore. Voi vedete qui aperto un orizzonte vastissimo; beati voi se saprete scendere a pratiche applicazioni, secondo il vostro carattere, il vostro ufficio, le vostre inclinazioni!

Siamo umili: “buseta e taneta”; amiamo l’ultimo posto: ama nesciri et pro nihilo reputari, non solo a parole, che poco importa, ma a fatti. Quindi mortifichiamo generosamente il solletico dell’amor proprio, che tenderebbe a fare cose grandi e appariscenti; miei cari fratelli, che cosa giova l’applauso del mondo? perché non ci basterà l’approvazione di Dio? “Chi mi ha da giudicare, dice l’Apostolo, è il Signore”.

Ve l’ho detto tante volte: noi dobbiamo scomparire; quella che deve risplendere è l’Opera; che se al Signore piacesse di collocarci in alto, per parte nostra conserveremo il desiderio e l’amore dell’ultimo posto, dicendo intanto con sincero sentimento del cuore: “Non nobis, Domine, non nobis, sed, Nomini tuo da gloriam”.

Osservate le piccole Regole: la puntualità agli esercizi comuni, alle pratiche di pietà, alle refezioni; quanta giocondità apporta questa osservanza della vita comune! “Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum”!

Vi raccomando tanto il silenzio, specialmente il silenzio maggiore; alla sera, giunta l’ora, lasciate tutto, in ogni angolo della Casa regni il massimo silenzio. Ricordatevi che dal Silenzio si può misurare il grado di fervore di una comunità.

Vi raccomando la vita interiore, la vita di intima unione con Dio; non dimenticate che da questa soltanto dipende la fecondità delle nostre attività e la stessa nostra santificazione: “chi rimane in me e io in lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far niente”. Ricordate quindi quello che tante volte vi ho detto: tralci e vite, conche e canali; nell’esercizio stesso del sacro ministero, credetelo, non sono le prediche che convertono, ma la grazia divina, che viene data agli umili e rifiutata ai superbi: “Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam”.

Fra le prescrizioni delle nostre sante Regole vi è pure quella di non fumare; la richiamo qui, non perché ve ne sia bisogno, ma solo per ribadire un pensiero che ho sempre avuto; e anche per l’avvenire ricordate che, se uno non potesse o non si sentisse di osservarla, chiunque sia, fosse pure fornito di doti e talenti straordinari, potrà fare del bene altrove, ma l’Opera non sarebbe per lui.

Il Signore, state certi, non mancherà di suscitare persone degne di capire e aiutare l’Opera; servirsi di esse, lungi dall’essere contrario allo spirito, è anzi un assecondare i piani della divina Provvidenza; ma per conto vostro non cercate appoggi e protezioni umane, perché il Signore è geloso; la nostra fiducia in Lui dev’essere totale, costante, non venir meno neanche nei momenti più difficili e critici che certamente verranno. In queste prove dovremo fare un serio esame di coscienza, levare gli ostacoli, che sono: la poca fede, una difettosa corrispondenza, qualche attacco a noi stessi e alle creature, e guardare soprattutto che non vi sia peccato.

Oh il peccato! Che male tremendo sarebbe per l’Opera! Vi ho detto ancora che nessuna forza esterna potrà distruggere quest’Opera, come nessuna forza, permettete il confronto, può distruggere il Vangelo e la Chiesa. Se noi staremo fedeli al nostro programma, se il “Quaerite…”, oltre che essere scritto sulla carta, sarà insieme scolpito nel nostro cuore, v’assicuro, le lotte e le persecuzioni serviranno piuttosto a consolidare e rafforzare l’Opera; l’unica cosa che io pavento, e che sola potrebbe annientare quest’Opera, è il peccato. Per amor di Dio, che nessuno di noi giunga, ve lo ripeto, a commettere questo delitto, a tradire l’Opera del Signore. Mio Dio, quale responsabilità peserebbe sopra di lui!

Vi raccomando anche la carità e l’unione fraterna: uniti fra di voi e con il vostro Padre, con il Casante presente e futuro, che avrà lumi e grazie speciali per guidare l’Opera in generale, e ciascun membro in particolare, secondo la volontà del divino Padrone N. S. Gesù Cristo. Se starete uniti nella carità, nell’aiuto e compatimento scambievole, nel generoso sacrificio di voi stessi per amor dei fratelli, vi dico che sarete invincibili; Satana avrà paura di voi, perché egli non teme le prediche, le organizzazioni esterne, ma teme unicamente la santità. A proposito del demonio ricordatevi che egli lavora sempre sul naturale, e non può nuocere se non a chi vuole, a chi gli mette in mano qualche filo; per riuscire egli si serve del nostro carattere, di qualche debolezza, del nostro giudizio, d’una simpatia, di qualche attacco alle cose, all’ufficio, all’occupazione, alle persone ecc. Miei cari fratelli, cerchiamo solo Dio, quello che facciamo, molto o poco che sia, facciamolo tutto e solo per Lui, e da Lui riceveremo una ben larga ricompensa.

La carità sia proprio il nostro distintivo, non solo in casa fra di noi, ma verso di tutti. Ricordiamolo bene, noi non abbiamo dei nemici da combattere, ma dei fratelli da amare, da illuminare, da correggere, da edificare secondo il detto di S. Agostino: “Diligite homines, interficite errores”.

Diamo nella misura che ci è possibile, ma con cuore largo, molti purtroppo possiedono delle ricchezze per loro castigo, hanno il portafoglio pieno ma il cuore vuoto. Oh, se ricordassero il grave monito di Gesù: “come è difficile che un ricco si salvi”! Vedete, i poveri hanno molte vie di salvezza, ma i ricchi ne hanno una sola, quella della carità. In questo senso io dico sovente che i poveri sono fatti per salvare i ricchi, come ce lo dimostrano chiaramente le parole che il divin Giudice pronuncerà nella inappellabile sentenza finale: “avevo fame e mi deste da mangiare, ecc.”.

Ancora, non dimentichiamo che la nostra natura è decaduta, quindi non presumete mai di voi stessi, delle vostre forze; fuggite sempre le occasioni, fate come i medici, i quali, curando i malati, si premuniscono contro ogni possibile infezione del male.

Guardatevi dallo scoraggiamento, pessimo consigliere e alleato di Satana ai vostri danni; umiliatevi sì, ma non scoraggiatevi mai. Se ci sono delle debolezze, tentazioni ecc., usate i mezzi per superarle: vigilanza, preghiera, mortificazione, fiducia in colui che, mentre non permetterà che siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ci darà il necessario aiuto e la grazia per vincere, e saprà anche trarre molti vantaggi dalla tentazione stessa.

State anche in guardia dal falso misticismo e sentimentalismo, specialmente voi, amati fratelli sacerdoti, nella direzione delle anime, affinché, cominciando con lo spirito, non si finisca nel senso e nella carne. Massima serietà e cautela con certe anime pie; se aveste sentore di qualche pericolo, troncate, provvedete a tempo, per non piangere o far piangere quando sarebbe troppo tardi.

Vi raccomando tanto e poi tanto di non parlare di politica, peggio, di appassionarvi per essa; noi non dobbiamo conoscere altra politica che quella del santo Vangelo: anime, vita futura, regno di Dio, ecc.

Lodiamo e approviamo il bene, sia che venga fatto da noi o da altri. Ci deve premere la gloria di Dio, non il nostro prestigio.

Siate acqua cristallina con i vostri Superiori, col vostro Padre Don Giovanni, che sapete quanto vi ama tutti nel Signore; manifestate le vostre pene le vostre ansietà, i vostri timori e desideri; e poiché siamo in argomento, ricordatevi quello che ho detto ancora: è meglio non far niente col Padre, che fare grandi cose senza di lui.

Siate santamente orgogliosi della vostra santa vocazione, amatela, cercate di corrispondervi, perché a questa corrispondenza è legata la vostra eterna salvezza; chi vive e muore santamente nella vita religiosa, ha il passaporto bell’e firmato per il Paradiso: quale grande grazia non è mai questa, per noi, miei cari fratelli!

Amate anche la Casa, dove siete, dove vi ha mandati la obbedienza; ogni Casa è come una creatura di Dio, e io dico sempre che questa creatura deve essere ben vestita: vestito della Casa è la proprietà, l’ordine, la pulizia, ecc…

Vi raccomando di non mettere gli estranei a parte di quello che si fa nella Casa: non introdurrete nessuno nell’intimità della vita comune, che è riservata ai soli Religiosi; si trattino con carità, ma ogn’uno stia al suo posto.

Miei cari ed amati fratelli, vorrei potervi dire ancora molte altre cose, ma spero che basti così; solo ora in ginocchio vi prego e vi scongiuro, mettetevi, o dirò meglio mettiamoci una mano sul petto, ed esaminiamoci seriamente come ci siamo diportati fin qui, per rimediare dove ne vedessimo il bisogno.

A far questo mi pare quanto mai opportuno il tempo ormai non lontano dei santi Spirituali Esercizi; disponetevi a farli con tutto l’impegno; sono giorni di salute, nei quali il Signore metterà a nostra disposizione, se occorre, grazie anche straordinarie, tanto più in quest’anno che è pure Anno Santo per tutta la Chiesa.

Tutto ci deve stimolare ad un più intenso lavoro per le nostra santificazione: il più efficace rimedio a tanti mali, l’unica soluzione pratica dei difficili e urgenti problemi dell’ora attuale.

Ma un’altra cosa mi sento di dirvi in questa circostanza; voi sapete che, oltre al Noviziato, le nostre Costituzioni prescrivono una seconda prova di almeno tre mesi; ai Fratelli, ma specialmente ai Sacerdoti che lo desiderassero e me lo domanderanno, mi sono sentito di offrire, quasi come dono del mio 50º, la possibilità di approfittare di questa grandissima grazia del Signore, sebbene non siano compresi nell’ambito della Regola stessa.

Questo vi dica quanto mi sta a cuore il vostro rinnovamento interiore, nello spirito della vostra santa vocazione, per riprendere poi con più ardore e forze e con più profitto il lavoro del vostro apostolato e del sacro ministero.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere, ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà di Dio, perché, miei cari fratelli, sapete quanto le anime e le opere di Dio costano.

Prima di finire, sento di ringraziare tutti coloro che mi sono stati più vicini nel tempo della mia lunga prova, per tutto quello che hanno fatto per me; in particolare ringrazio il mio caro Don Luigi, per la parte sostenuta nel governo della nostra amata Congregazione, avendo fatto le mie veci. Sopra di loro invoco la più larga ricompensa del Signore; mentre, in questo momento, più col cuore che con la mano, tutti benedico.

P.S.

Questa lettera quanto prima verrà letta e commentata dai Superiori delle singole Case, i quali poi ne dispenseranno una copia a ciascuno dei fratelli.

Approfitto di questo momento per raccomandarvi di leggere ogni venerdì “La Parola del Padre”, di cui mi sento di richiamare qui il punto dove è raccomandato il buon esempio, specialmente coi ragazzi; ricordatevi quel detto sapiente: “Maxima debetur puero reverentia”! Accostatevi a loro come a Gesù; amate le loro anime, non le grazie esteriori; non accarezzate, ma nemmeno percotete in nessun modo, altrimenti perdereste il prestigio e l’ascendente del vero educatore e dell’apostolo.

* LETTERA LXX Verona, 18 novembre 1951 – A.S.

Carissimi fratelli

La grazia, la benedizione e la pace di Gesù Benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Come custode di quest’Opera del Signore mi sento di dirvi una parola, e la dico così come mi sgorga spontanea dal cuore.

Una gravissima sciagura ha colpito la nostra cara Patria: tanti nostri fratelli sono rimasti senza tetto, si son visti portar via dalla furia delle acque i loro averi, le loro case, persino i loro cari congiunti! Chi può misurare il cumulo di dolori e di privazioni che in così pochi giorni si sono abbattuti su tante famiglie d’Italia?

Miei cari fratelli e figlioli, come mi sanguina il cuore al pensiero di tante sventure! Come vorrei poter sollevare tante sofferenze, andare incontro a tanti bisogni! Solo il Signore lo sa, Lui che istantemente prego perché dia sollievo e consolazione agli afflitti e dia a coloro che possono la grazia grande di comprendere l’occasione provvidenziale che loro si offre di aiutare con ogni mezzo i fratelli sofferenti.

Pregate anche voi, cari fratelli, preghiamo tutti insieme e facciamo pregare: per i vivi che sono nel bisogno e per coloro che la furia degli elementi ha strappato da questa terra per condurli al giudizio di Dio. E poi facciamo tutti quanto sta in noi, per lenire tante sofferenze, ricordando che sono nostri fratelli coloro che soffrono.

Siamo poveri, ma nelle nostre Case non rimangano in questi giorni posti vuoti; vuoto soprattutto non rimanga il nostro cuore, chiudendosi all’altrui dolore. Facciamo agli altri quanto vorremmo fosse fatto a noi se ci trovassimo in analoghe circostanze.

Ma poi i bisogni urgenti della misericordia corporale da esercitare con i nostri fratelli, non ci distolgano da un attento esame della situazione spirituale, prima nostra e poi della nostra Italia e del mondo intero. Nostra, prima di tutto. Dobbiamo sentirci responsabili anche noi delle presenti miserie e riconoscere che abbiamo bisogno di santificarci seriamente, se vogliamo tener lontani altri flagelli.

Esaminiamoci bene, ciascuno nel proprio stato: corrispondiamo noi in pieno alle infinite grazie che il Signore continuamente ci elargisce? Noi che oggi ci commoviamo a tante sventure materiali, sentiamo ugualmente la tragedia di tante bufere spirituali nel nostro prossimo?

Sapete quanto mi sta a cuore la diagnosi di tanti mali che affliggono l’umanità e in particolare la nostra cara Patria! Questa nostra Italia che io vorrei chiamare il paradiso terrestre della Chiesa di Dio; questa Italia che è la sede del Vicario di Cristo e quindi in qualche modo la centrale di comando di Cristo sulla terra; questa Italia che Dio ha ricolmato di grazie straordinarie, di miracoli e benefici senza numero!

E come ripaghiamo una predilezione così chiara e tangibile? Come si vive da molti che pur si dicono cristiani? Come, per esempio, viene santificata la festa, giorno del Signore? Quanti che si accontentano di ascoltare una Messa quasi per moda e per sport, senza curarsi di comprendere il divin Sacrificio, trascurando l’istruzione religiosa, il santo Vangelo, la frequenza ai Sacramenti!

E come si vive nel santo Matrimonio? Ci si dovrebbe preparare come ci si prepara al sacerdozio e invece si tende solo alla ricerca del godimento, allo star bene, ad evitare tutto ciò che sappia lontanamente di sacrificio. E dire che se, invece di pensare solo a star bene, si pensasse di più a vivere da veri cristiani e a divenire migliori, si finirebbe anche con lo stare meglio! Poiché se è vero che la vera felicità si trova solo nel cielo, è pur vero che l’unica felicità che si può avere su questa terra è quella che viene dalla retta coscienza, come dice la Sacra Scrittura: Pax multa diligentibus Deum.

Quanti peccati salgono al Cielo! Ricordo sempre il detto di una santa vecchietta, che udivo quando ancora ero ragazzo: su peccati, giù flagelli!

E tuttavia in queste pubbliche calamità non dobbiamo tanto vedere un castigo per i poveretti che ne sono vittime, quanto una voce di misericordia del Signore che ci richiama sulla retta via della virtù e del bene, affinché ricordiamo soprattutto che non siamo fatti per la terra ma per il cielo.

Facciamo perciò noi, proprio noi un serio esame, e se vedessimo che abbiamo deviato dal retto sentiero, ritorniamo sulla strada della virtù, verso la perfezione del nostro stato.

Tanti nostri fratelli sono in errore per ignoranza o per altre cause che solo Iddio può giudicare; l’ho visto tante volte, trovandomi a contatto con fratelli nostri che disgraziatamente combattono la nostra santa religione; il più delle volte ho constatato che li ha condotti a ciò l’ambiente in cui sono stati educati, la tradizione di famiglia, un torto o un cattivo esempio ricevuto, e di loro potrebbe dire il Signore: nesciunt quid faciunt.

Questi nostri fratelli disgraziati possono dunque portare delle scuse; ma noi, noi non abbiamo scuse. Facciamo dunque un serio esame e passiamo subito alla pratica di una vita veramente cristiana, secondo il santo Vangelo, sine glossa, senza mutilazioni e accomodamenti. Solo così potremmo concorrere ad abbreviare i giorni della prova e a sollevare tanti innocenti e sofferenti.

Diciamo al Signore con convinzione e con ardore di carità: Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas. O Signore, facci sentire quaggiù i rigori della tua giustizia, purché non li riservi nell’eternità!

Ma dobbiamo essere soprattutto noi stessi a mortificarci, prevenendo la mortificazione dall’alto. Guerra, guerra al peccato!

Guerra in modo particolare al peccato, diciamo così, di sistema, al peccato che entra nella pacifica abitudine, al peccato che si tollera, che si scusa e che si ama nel proprio cuore.

Il mondo ha un gran bisogno di luce per redimersi: voi lo sapete bene; la fede è poca, e anche dove c’è la fede, parrebbe che fosse conosciuto solo il Credo, senza il Decalogo e i precetti; e come se ciò non bastasse, non solo fra i senza Dio, ma persino tra di noi c’è chi attenta, con diabolica malizia, volutamente alla stessa innocenza dei bimbi: cose che fanno inorridire e fremere di santa indignazione. E allora si capisce perché le calamità si abbattono sul nostro capo. Chi è cristiano sa bene che il peccato fa infelici i popoli e le nazioni, che chi ha con sé la virtù ha con sé il premio, mentre il peccato porta seco necessariamente il castigo.

Per questo povero mondo, in frenetica ricerca del godimento e che è continuamente senza pace e gioia, dobbiamo essere noi i portatori di luce, di serenità, della vera pace. In che modo? Ve lo ripeto ancora una volta: col fuoco di un amore veramente operante verso Dio e verso il prossimo; con la luce dell’esempio per il mondo che ci guarda e aspetta da noi la prova della validità della nostra fede; soprattutto con la carità esercitata con cuore aperto e generoso e sempre illuminata dai motivi soprannaturali della nostra santa Religione.

La sciagura che si è abbattuta ora su tanti nostri fratelli è un’occasione propizia per tutte queste cose insieme. Cari fratelli, che nella meditazione dei nostri doveri personali e nell’esercizio della virtù della carità abbiamo la grazia di accostarci maggiormente a Gesù e alla nostra cara Madre Celeste, esempio di ogni virtù e canale di ogni grazia. Gesù e Maria ci aiutino a santificarci e a santificare la povera umanità. E’ questo il fine principale della nostra Opera; sia anche la prima preoccupazione di tutta la nostra attività e di tutta la nostra vita.

In questi giorni di dolore per tutti, vi sono vicino più che mai. Stiamo tanto uniti nella preghiera. Io ne ho tanto, tanto bisogno.

Più che con la mano, vi benedico col cuore straziato dal dolore, ma tanto pieno di amore per voi e per tutti i fratelli nostri.

* LETTERA LXXI nel 44º anniversario della Casa: 1907-1951.

Ai miei cari fratelli, ex Allievi e Buoni Fanciulli,

Miei cari fratelli, figlioli ed ex allievi

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi, e la sua pace ricolmi i vostri cuori.

Qui, ai piedi del mio Crocefisso, oggi, 44º anniversario della Casa che il Signore ha fondato nel 1907, penso alle grazie che la Provvidenza ha elargito in questi 44 anni di vita a voi e a me. Come abbiamo noi corrisposto? Come corrispondiamo adesso?

Mi viene alla memoria una immagine-ricordo per vestizione clericale di tanti anni fa, che ho letto appena congedato, nel 1896: c’era scritto: “Unam petii a Domino, hanc requiram: ut inhabitem in Domo Domini omnibus diebus vitae meae”. Questa grazia ho chiesto al Signore: di abitare nella sua casa tutti i giorni della mia vita.

Mi sembra che questa domanda debba essere proprio il desiderio ardente del nostro cuore, come ringraziamento delle grazie grandi ricevute qui nella Casa, e poi come canto di lode alla Provvidenza, che ci ha prediletto in mille guise.

Ora la Casa che il Signore ha suscitato per il bene di tante anime, e nella quale oggi voi, oh figlioli, abitate, richiama il pensiero a tre case che il celeste Padre ha provvisto all’uomo, sua creatura prediletta.

La prima casa è l’Eden, il Paradiso terrestre: ed oh, quanto bella e ricca l’aveva apprestata il Signore per l’uomo, suo figlio adottivo! C’era l’abbondanza dei beni di terra; c’era soprattutto la grazia santificante, l’amicizia di Dio.

Questa doveva essere la casa dell’uomo. In essa, una pace ineffabile, una serenità senza nubi, una vita senza tristezze.

Quanta generosità nel celeste Padre verso l’uomo! quanta ricchezza di amore, che doveva passare intatta nei discendenti sino alla fine dei secoli! Invece, il peccato è venuto a sconvolgere il piano del Signore, e a provocare la perdita del divino patrimonio, l’espulsione dalla casa bella e ricca dell’Eden.

Dover uscire dalla “Casa del Padre”, dalla propria casa: quale sventura! Lo vediamo proprio in questo giorni, in cui tante migliaia di nostri fratelli sono stati costretti dalla furia delle acque a lasciare la propria casa, le masserizie, gli utensili, tutto, tutto! Lasciare la casa: è delle più terribili sventure che possano capitare.

E capitò ad Adamo. Ma, buon per lui e per noi suoi discendenti, che il celeste Padre, nella infinita sua misericordia, ha provvisto subito un’altra casa, adatta alla nuova condizione dell’uomo decaduto: ha riadattato la Terra, come oggi noi l’abitiamo, perché fosse la dimora dell’esule, e desse modo a noi peccatori di espiare la infedeltà, e riacquistare il diritto alla casa miseramente perduta. Al figlio prodigo, che volontariamente ha abbandonata la casa paterna, il Padre celeste ha provvisto una casa dove le pene e le contrarietà si accompagnassero alle gioie e dolcezze della vita, così da richiamare l’uomo alla nostalgia della casa perduta, alla riparazione del peccato, all’amore di Dio.

Al figlio prodigo il celeste Padre ha assegnato una Legge sapiente e di grande misericordia, tutta adatta alla vita umana, al buon ordine e alla prosperità del mondo.

Il popolo Ebreo, depositario di questa Legge di Dio, quante volte ne ha sperimentato la bontà ed efficacia nella sua storia! Secondo le promesse e le minacce di Dio per bocca di Mosè e di altri Profeti, il popolo aveva benedizioni quando osservava la legge, aveva castighi talvolta tremendi quando veniva meno. Libertà e prosperità nei periodi di fedeltà, schiavitù e miseria nei periodi di infedeltà. E la storia si ripete lungo i secoli, anche adesso; e si ripeterà sempre: le avversità avvengono per i peccati, dice lo Spirito Santo.

Quale dunque non dev’essere il nostro impegno, perché in questa casa assegnataci dal Padre misericordioso sia sempre in vigore la divina Legge! Dobbiamo essere fedeli noi, e procurare che tutti i nostri fratelli, siano fedeli: con la parola e con l’esempio di una vita onesta possiamo e dobbiamo procurare tutto questo alla nostra casa. Lo facciamo noi? Come viviamo? Tanto più che, nella pienezza dei tempi, il Figliolo stesso del celeste Padre, Gesù Cristo, è venuto ad apprestarci una casa veramente nuova, la Santa Chiesa, casa veramente divina, nella quale troviamo la ricchezza dei beni spirituali.

Quale fortuna per noi, cristiani, di appartenere a questa dimora che sa tutta di cielo! Quivi, capo è Gesù, fattosi “fratello maggiore”, Maestro e Salvatore. Legge e regolamento di questa casa è il Vangelo, che è venuto a perfezionare l’antica legge di Dio, e tradurla in legge di amore. Qui i divini rifornimenti della grazia: i santi Sacramenti. Qui, i fulgidi esempi dei Santi, che ci spronano al bene, le molteplici loro opere che attuano la carità pratica in ogni bisogno e necessità della vita.

Come apprezziamo noi questa casa? facciamo onore alla Chiesa, vivendo da buoni cristiani?

Le ricchezze di questa terza casa sono così grandi, che la Chiesa arriva a dire: “o felix culpa! oh fortunato peccato di Adamo, che ha attirato da Dio il Redentore Gesù!”.

Ma, come nella casa domestica non bastano le ricchezze dei rifornimenti, ma occorre attingere a queste ricchezze: così nella Chiesa occorre che le valorizziamo. Dunque, miei cari, viviamo di fede.

Il Battesimo ci ha fatti cristiani, membri vivi della Chiesa. Come viviamo il Battesimo? Osserviamo tutta la Legge, specialmente della carità?

La Cresima, che ci ha dato la maturità di cristiani, ci ha fatti soldati di Cristo, come la viviamo? Da veri e prodi soldati?

L’Eucarestia ci fornisce l’alimento spirituale dell’anima; come ci accostiamo a questo divino Banchetto? E con quale frequenza? Forse appena una volta all’anno? Oh, andiamovi spesso a prendere da Gesù la forza di camminare per la via della bontà, e per averne la gioia spirituale!

La Confessione ci riabilita nella grazia di Dio, nelle figliolanza adottiva. Quanto buono è il Signore! Se cadiamo nel peccato, ecco Egli offre prontamente il rimedio! Ebbene: ricorriamo subito alla Confessione appena avessimo la disgrazia di cadere; non aspettiamo un’ora sola, che potrebbe essere fatale per una rovina irreparabile. E così dite degli altri Sacramenti.

L’ Eucarestia, poi, non è solo Sacramento, ma Sacrificio della nuova legge. Come vi assistiamo? Assistiamovi con viva fede, non con la indifferenza di troppi cristiani, per i quali la Messa festiva, invece di essere un’ora di gioia intima con i fratelli e con Dio, è un tormento, un peso, al quale ci si adatta per forza, per evitare il peggio.

E il giorno festivo, giorno del Signore per eccellenza, lo santifichiamo? Accontentarsi della santa Messa è poco; bisogna intervenire al Catechismo.

Guai a chi trascura di istruirsi, specialmente ai nostri tempi! Sarà facile preda di errori, perderà quel poco che ha imparato prima, e camminerà verso la rovina eterna. Come si osserva il riposo festivo? Miei cari: ricordate un proverbio molto saggio e vero: il guadagno di festa va fuori per la finestra. Iddio è costretto a punire coloro che profanano il suo giorno. Diceva il Curato d’Ars: Io conosco due modi per mandare a male i propri affari: rubare e lavorare di festa.

Per amore di Dio, vi raccomando tanto: rispettate il giorno del Signore! E, se è vero che si può prendersi un onesto sollievo, è vero pure che spesso si esagera: certe gite lontane, certi sport, ecc. non sono certo nello spirito cristiano; invece di sollevare, stancano: e tengono l’uomo lontano dalla Chiesa e dalla famiglia.

Un altro punto di capitale importanza per il buon andamento di una casa, è il Matrimonio. Guardate, miei cari, che è una grande cosa: Gesù lo ha elevato a dignità di Sacramento! Come l’Ordine sacro crea i sacerdoti, padri delle anime, il Matrimonio crea i genitori, collaboratori diretti di Dio Creatore. Con quanta “devozione” adunque deve essere riguardato e usato il Matrimonio! Con quale premura deve essere preparato, sotto lo sguardo del Signore, per averne poi la piena benedizione! Il mondo ha idee tutto diverse da quanto insegna la ragione e la Religione; il mondo fa di tutto per dissacrare il Matrimonio. State allerta! Rispettate il Matrimonio quasi direi come la santa Eucarestia: è anch’esso un Sacramento e Sacramento grande.

E finalmente ricordate che nella casa si sta bene se c’è l’armonia dei cuori, l’amore reciproco. Nella casa della terra, nella santa Chiesa ancor più, dobbiamo custodire questo segreto della felicità. La carità pratica che ama tutti, per amore di Dio, che soccorre secondo le forze, che sacrifica del proprio per provvedere il fratello… ecco il distintivo del cristiano, del fortunato abitatore della grande casa che è la Chiesa. “Oh, quanto bella e buona cosa è che i fratelli abitino insieme in mutua concordia!” esclama lo Spirito Santo. Siamo tutti fratelli, tutti figli del medesimo Padre che sta nei Cieli, redenti dal medesimo Sangue di Cristo, destinati a raggiungere il Paradiso.

Quando in una famiglia un fratello non si comporta bene, è lontano per cattiva condotta, c’è il fratello buono che lo invita e lo esorta al ritorno. Così dobbiamo fare noi con i nostri fratelli traviati, che vanno dietro al male, a programmi cattivi…; li dobbiamo invitare, esortare. Non sono nemici da combattere, ma fratelli da ricondurre a casa.

Il Paradiso; Ecco l’ultima definitiva abitazione che il celeste Padre ci ha preparato se saremo stati fedeli abitatori della casa terrena, se saremo stati uomini retti, cristiani ferventi. Miriamo lassù la nostra ultima casa: puntiamo lassù i nostri ideali, i nostri desideri, lassù dove il Padre ci aspetta, per coronarci di gloria, e immergersi nel suo gaudio.

Pensiamo spesso al Paradiso? Oh, se ci pensassimo sul serio, come volentieri compiremo i nostri quotidiani doveri, di uomini, di cittadini, di cristiani!

Queste cose ho meditato nel giorno anniversario della Casa che la Provvidenza ha fondato, il 26 novembre 1907. Nella Casa avete trovato tutto il necessario per la vita di uomini e di cristiani. “Come potrò sdebitarmi di quanto ho ricevuto nella Casa?” mi scriveva uno dei cari ex allievi; e concludeva con il proposito di “vivere lo spirito della Casa” che è spirito del Vangelo puro e genuino.

Così va fatto; così cercate di fare tutti.

Allora, dopo aver onorato la Casa che il celeste Padre vi ha preparato qui in terra, sarete, saremo tutti fatti degni di venire introdotti nella ultima Casa del Padre: il santo Paradiso, dove saremo eternamente felici e beati; perché così è la vita: siamo fatti per il Cielo. Non dimentichiamolo mai.

Il Signore esaudisca la preghiera che faccio tutte le mattine: “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum: unito ai miei fratelli e a tutti i tuoi giovani ti lodi in eterno, o Signore”. Con questa preghiera e con questo augurio, di gran cuore vi benedico, e con voi benedico i vostri cari. Pregate per me.

* LETTERA LXXII 28 dicembre 1951

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace che si irradiano dal santo Presepio inondino i nostri cuori e regnino in tutte le nostre Religiose Famiglie.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, sul finire dell’anno vecchio e alle soglie del nuovo, penso in modo tutto particolare a voi, e mi sento di rivolgere questa volta proprio a voi la mia povera parola, perché a vostra volta l’abbiate a commentare agli altri fratelli, e tutti ne facciamo tesoro, prima a bene e a santificazione della nostra anima, e poi a bene e a santificazione di questa grande, grandissima Opera, che, come tante volte vi ho detto e non cesserò di ripetervi, è tutta e solo Opera di Gesù per i tempi di adesso, ossia con finalità tutte proprie della grave, gravissima ora che attraversiamo e che incombe sempre più minacciosa sulla povera umanità; ora di Satana, ma insieme ora di Dio.

Ma l’Opera, ricordiamolo bene, non sono le case, le officine, le scuole, gli ospedali; l’Opera siamo noi! e se noi non ne vivessimo lo spirito puro e genuino che Gesù ha messo fin da principio, essa non sarebbe altro che un nome vuoto di senso e privo di ogni efficacia. Per amor di Dio che questo non avvenga per nessuno di noi; chiamati a far parte di quest’Opera, noi abbiamo l’alto privilegio di essere gli ausiliari del buon Dio, nel compiere i suoi nuovi e grandi disegni; quale onore, ma insieme quale responsabilità!

Anche Satana ha i suoi ausiliari, senza dei quali ben poco potrebbe nuocere, ma aiutato da loro, quanto male, quante rovine egli semina nel mondo! Ora guardate come Satana è servito dai suoi, con sacrificio di tempo, di denaro, di riposo, talvolta della vita stessa; e che cosa dà ad essi in cambio? Ahimè, quante segrete amarezze, quanti rimorsi quale infelicità loro procura! “Non c’è pace per l’empio”, dice lo Spirito Santo. Invece quanta pace dona il Signore a chi lo ama e lo serve fedelmente, a chi lavora e si affatica perl’avvento del suo santo Regno! S. Paolo era inondato di gioia, in mezzo alle più grandi tribolazioni; e S. Stefano, nel suo martirio, guardando in alto, pieno di sicurezza diceva: “vedo i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo stare alla destra della virtù di Dio”, in atto di venire in soccorso del suo fedele ministro. E chi potrà poi descrivere la grandezza del premio che il Signore prepara nella beata eternità a quanti hanno perseverato sino alla fine nel suo divino servizio? Dice infatti l’Apostolo: “La momentanea e leggera tribolazione nostra, produce per noi un eterno e sopra ogni modo sublime peso di gloria… Né occhio vide, né orecchio intese, né cuor dell’uomo seppe desiderare ciò che il Signore tiene preparato a quelli che lo amano”.

Ma in che modo, miei cari ed amati fratelli, potremo aiutare il Signore a compiere i suoi divini disegni, ed essere veramente i suoi collaboratori, i suoi ausiliari?

Osservate quello che avviene ai nostri giorni in questo povero mondo senza pace. Si studiano sempre nuovi tipi di armi, tutti mirano a perfezionarle, a fare delle nuove scoperte, ed è una gara tremenda a chi possiede le armi più terribili e micidiali, perché confidano così di riuscire vincitori in caso di guerra. Ebbene, noi dobbiamo fare altrettanto nel campo spirituale, facendo nostra la esortazione dell’Apostolo: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce… una volta eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Vivete dunque come figli della luce… ora frutto della luce è tutto ciò che è buono giusto e santo”.

Ecco dunque le nostre armi, sicuramente invincibili: guerra al peccato, sforzo continuo per l’acquisto delle virtù cristiane e religiose. Satana non teme coloro che trascurano di usare queste armi; egli non teme in nessun modo la mediocrità; ma non può far nulla con le anime veramente generose e fedelissime nel divino servizio. Tali devono essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Quindi quanto so e posso vi raccomando di vigilare, di pregare, di agire, in una parola di fare tutto il possibile perché tra di noi non regni assolutamente il peccato. Noi amiamo indicare le nostre opere con il bellissimo appellativo di “Case del Signore”; come potrebbero essere tali se vi fosse il peccato? Per amor di Dio guardate, guardiamo tutti di far guerra continua al peccato; anche ai figlioli rinnovate spesso la raccomandazione che non profanino la Casa del Signore col peccato; che se per disgrazia l’avessero a commettere, tosto lo tolgano dal loro cuore con la contrizione e con la confessione; che da tutti e da ciascuno si dica sempre al peccato: di qui non si passa!

Ed a questo scopo vi prego in ginocchio e vi scongiuro: guardate che ci sia sempre la sorveglianza, cercate di togliere per quanto è umanamente possibile, tutte le occasioni, perché guai se il peccato commesso potesse essere imputato a nostra colpa!

Ed ora, fra le molte cose che vorrei dirvi, vi raccomando in primo luogo le pratiche di pietà; che tutti vi siano fedelissimi, non tollerate abusi, richiamate in pubblico e in privato, se occorre; non datevi pace se non avete provvisto come si conviene su questo punto della massima importanza.

Quindi guardate che siano opportunamente distribuiti i turni di meditazione e di lettura spirituale, che all’una e all’altra si dia il tempo prescritto e che la meditazione sia preparata con cura fin dalla sera precedente.

Raccomando che siano fissati i confessori per ogni Casa e che i fratelli si accostino alla confessione regolarmente.

Non trascurate le conferenze quindicinali, a proposito delle quali ripeto il mio desiderio, cioè che anche i Fratelli si abituino a tener qualche conferenza agli stessi Fratelli.

Tutti diano grande importanza al Ritiro mensile; sia fatto regolarmente e nel miglior modo, curando l’osservanza del silenzio; chi fosse stato impedito, non se ne creda dispensato, ma vi supplisca privatamente.

Vi raccomando che da tutti siano osservati i santi Voti; in particolare cercate di togliere gli abusi in materia di povertà, come sarebbe tenere presso di sé oggetti di valore o di lusso, superfluità, macchine fotografiche, a proposito delle quali raccomando anche a voi di farne un uso moderato.

Vigilate con ogni attenzione perché nessuno si esponga a pericoli con la bella virtù; in particolare non permettete che i Religiosi entrino in case private, se non con giusto motivo e in casi rarissimi, ed anche allora avvertiteli che non ricevano doni di sorta, come indumenti, dolciumi, liquori, ecc.

In generale da tutti si osservi la massima delicatezza nel trattare con persone d’altro sesso, anche quando fossero ammesse a visitare la Casa.

Raccomando tanto l’osservanza scrupolosa della clausura con le Sorelle; si trattino con ogni riguardo e riserbo, non intrattenendosi a parlare con loro oltre lo stretto necessario. In casa e fuori tutti devono accorgersi dal nostro comportamento che noi siamo Religiosi e Religiosi speciali.

Attendete con ogni cura al buon andamento della vostra Casa, senza però dimenticare la Casa Madre e tutta l’Opera; il vostro pensiero non si chiuda nella breve cerchia della vostra Casa, e se potete cercate anche di aiutare materialmente e soprattutto spiritualmente.

A questo proposito, da qualche tempo penso al grande bisogno che abbiamo di vocazioni, specialmente di Fratelli, i quali hanno una parte importantissima nella nostra Congregazione.

In passato nelle nostre Case si sono maturate delle vocazioni eccellenti, ma da alcuni anni questo provvidenziale afflusso è quasi cessato. Come mai? Chi sa quante volte vi sarete rivolti anche voi una simile domanda, alla quale non è così facile dare una risposta adeguata, anche perché le cause possono essere varie. Quello che dobbiamo tuttavia certamente fare, in primo luogo è di esaminare se forse, almeno in parte, la causa non sia da parte nostra. Facciamo noi, ad esempio, tutto il possibile per edificare i giovanetti che la divina Provvidenza ci viene affidando? Abbiamo zelo perché crescano buoni? Con loro ci mostriamo felici della nostra vocazione e ne parliamo con santo entusiasmo? Siamo generosi, amanti della fatica e del sacrificio? Sappiamo portare le anime giovanili solo al Signore, o cerchiamo di cattivarci il loro affetto? Guardate che chiunque lega un cuore a sé, lo ruba a Gesù.

Se troviamo di aver mancato in qualche cosa, domandiamo sinceramente perdono al Signore, promettendo di comportarci meglio per l’avvenire, cercando di invogliare l’animo dei giovanetti delle cose più belle e sante. Questo sarà anche un eccellente mezzo per favorire la formazione e lo sviluppo di qualche buona vocazione.

In secondo luogo dobbiamo fare un’altra cosa assai importante, ed è questa: pregare! Ce l’ha insegnato Gesù stesso, avendoci detto: “Pregate il Padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. Pregate spesso, anche tutti i giorni, a questo fine, sarà una cosa ottima, ma mi pare che sarebbe quanto mai opportuno dedicarvi una intera giornata ogni anno in ciascuna Casa. Questa proposta mi fu presentata da un carissimo nostro confratello nell’ultimo corso di Esercizi Spirituali e vi dico che mi è piaciuta moltissimo. Ora con la presente vi invito ad attuarla, secondo lo specchietto a parte. In detta giornata ogni Fratello dovrà fare un’ora di adorazione privata, secondo un turno precedentemente disposto, anche se non sarà necessariamente continuo.

Non sarà male che anche i figlioli sappiano di questa speciale giornata di preghiere, ma ad essi non si richieda nulla in più degli altri giorni.

Invece sarà cosa buona che il Superiore e anche qualche Fratello parlino di quando in quando intorno alla possibilità di orientarsi alla vita religiosa, facendo vedere il merito grande di chi si consacra interamente al Signore, proponendo gli esempi di santi giovanetti e anche di qualche nostro Fratello defunto.

Io spero che, se tutti metterete l’impegno che merita, in questa santa pratica, il Signore benedirà le nostre umili preghiere, coronandole di frutti salutari e copiosi.

Prima di chiudere, sento di farvi i più santi auguri per la fine i il principio d’Anno. Il tempo che passa e fugge ci sia monito e stimolo a valorizzarlo il più perfettamente possibile, ricordando che esso vale quanto vale Dio. Il mezzo migliore poi per trafficare questo prezioso dono, è di spenderlo interamente per il Signore. A poco serve ogni nostra attività se ci mettiamo fuori dal campo soprannaturale, se non ci conformiamo alla santa volontà di Dio. “Beati quei servi, ha detto Gesù, che alla venuta del Padrone saranno trovati vigilanti!” Il Povero Servo è vigilante se vive di fede, se mira costantemente ai valori soprannaturali, se unicamente cerca il santo Regno di Dio e la sua giustizia, convinto che anche il compito più umile può illuminarsi con la luce della santità.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno per fare la santa volontà di Dio sino alla fine. Più col cuore che colla mano vi benedico, unitamente agli altri fratelli e a tutti i figlioli.

Che per tutti si verifichi la bella preghiera che sono solito di fare ogni mattino dopo la S. Messa: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Giornata di preghiere per le vocazioni – Turni per le varie Case.

Si è pensato di suggerire il 1º venerdì del mese come giornata di preghiere per le Vocazioni, secondo quest’ordine:

Gennaio: S. Zeno in Monte – S. Benedetto – S. Giacomo.

Febbraio: Nazareth (1º giovedì)

Marzo: Milano – Patronato di Verona

Aprile: Madonna di campagna – Villaggio dall’Oca

Maggio: Costozza Giugno: Ferrara

Luglio: Roncà Agosto: Negrar – S. Pancrazio

Settembre: Borgate di Roma

Ottobre: C. B. F. Primavalle

Novembre: Ronco all’Adige

Dicembre: Maguzzano

* LETTERA LXXlII 12 febbraio 1952

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Abbiamo tutti ascoltato nella domenica 10 febbraio, vigilia dell’Immacolata di Lourdes, il pressante accorato appello del Santo Padre, proprio ispirato dallo Spirito Santo, e che io direi un S.O.S. lanciato non solo alla città di Roma, ma al mondo intero, perché tutti considerando la gravità dell’ora si scuotano da un funesto torpore, si sveglino dal sonno, e, lasciate da parte le inutili discussioni, comincino a fare, ad agire e facciano tesoro, poiché non si tratta di interessi solo materiali, ma dei beni spirituali di infinito valore, ai quali è legata la nostra eterna salvezza.

Se poi l’augusta parola del Vicario di Cristo, detta con tanto paterno calore e trepida ansia apostolica, è diretta a tutto il mondo cristiano e anzi a tutti gli uomini di buona volontà; come dobbiamo pensarla rivolta più particolarmente a noi, Poveri Servi, che in quest’ora tanto oscura, in cui non si sa che cosa da un momento all’altro possa accadere, abbiamo l’obbligo di vivere praticamente e integralmente il santo Vangelo! E’ questo l’unico mezzo per richiamare sulle vie della giustizia e della vera pace la povera umanità, che brancola nelle tenebre e cammina inconsciamente sull’orlo dell’abisso, perché ha ripudiato Dio, la sua Chiesa, il santo Vangelo.

Né ci rincresca alcun sacrificio. Guardate quello che da anni stanno facendo gli uomini di governo, per dare al mondo un miglior assetto economico e sociale, quanti sacrifici e lotte debbono sostenere, quante difficoltà superare, e con quanta pazienza perseguono i loro fini, con quale tenacia sono protesi al raggiungimento delle mete che si prefiggono; non è giusto quindi che noi restiamo indifferenti ed inerti, mentre il Santo Padre tutti richiama alla coscienza delle proprie responsabilità.

Mettiamoci dunque, miei cari ed amati fratelli, una mano sul petto, facciamo un serio esame di noi stessi e domandiamoci sinceramente: vivo io lo spirito puro e genuino dell’Opera? Sono io vero Povero Servo? E’ vero, abbiamo fatto la professione, il nostro nome figura nel libro dei Professi, ma può bastare questo per essere veri Poveri Servi? Voi convenite che è necessario viverne lo spirito. Allora consideriamo innanzi tutto la grazia che il Signore ci ha fatto, chiamandoci a far parte di quest’Opera che è tutta sua, e per chiarire meglio il mio pensiero mi servirò di un esempio.

Quando Gesù chiamò gli Apostoli, essi possedevano già una grazia ordinaria e comune a molti, con la quale potevano salvarsi facendo i pescatori e osservando la divina Legge; ma allorché Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”, ricevettero una grazia nuova e straordinaria, una grazia di privilegio, che li costituì discepoli e Apostoli del Signore. Tale grazia diede loro un carattere nuovo, un’impronta nuova; non penseranno più alla barca, alle reti, alla famiglia, ma solo ad essere gli Apostoli di Gesù. E come resteranno fedeli a questa speciale vocazione! Infatti, se incontrano difficoltà, non si tirano indietro; diffidati, affermano arditamente: “E’ necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; imprigionati, battuti: “ne andavano contenti per essere stati fatti degni di soffrire qualche cosa per il nome del Signore”; alla fine coronarono la loro vita con un glorioso martirio. Tutto questo ha operato in essi la grazia straordinaria della loro vocazione.

Una simile grazia l’abbiamo ricevuta anche noi, e se vi corrispondiamo fedelmente, essa opererà nell’intimo della nostra anima una profonda trasformazione, per cui il Povero Servo si distinguerà dagli altri nel pensare, nel sentire, nel giudicare, nel trattare; in ogni circostanza seguirà l’impulso e lo spirito della sua specialissima vocazione.

Essere e mostrarsi in tutto, sempre e in ogni luogo, Poveri Servi, ecco la grazia nostra, la nostra caratteristica, ecco insieme il nostro impegno e il centro cui devono indirizzarsi, tutti i nostri sforzi, per raggiungere quella personale santificazione che è al tempo stesso condizione indispensabile per essere in piena efficienza e poter donare anche agli altri.

Ma, praticamente, a che cosa deve mirare il vero Povero Servo? Come deve pensare, giudicare delle persone, delle cose, degli avvenimenti? Come deve agire da solo, in presenza d’altri, nell’esercizio dei sacri ministeri, come pure nel trattare gli stessi affari materiali?

Quale vasto campo di serie ed importanti riflessioni si apre qui al nostro sguardo, miei cari ed amati fratelli!

Un vero Povero Servo prima di tutto deve portare scolpito nella mente e nel cuore il grande nostro programma : “non v’angustiate… cercate in primo luogo il Regno di Dio…”. Cercare Dio, la sua gloria, la propria santificazione, le anime, solo le anime, e fra queste le più povere, le più abbandonate, vere gemme dell’Opera; e tutto questo nell’esercizio d’una carità generosa e disinteressata, che non dice mai basta, che nei fratelli vede le vive immagini di Gesù: ecco la prerogativa di un Povero Servo.

Inoltre egli deve vivere di fede e dello spirito di fede; fede viva e sentita nella paternità di Dio, che tutto, anche le pene e le prove inerenti a questa nostra povera vita di esilio, fa servire al nostro vero bene; sentire e vivere la vita di abbandono fiducioso, figliale in Dio e nella sua Provvidenza, senza mai angustiarsi nelle difficoltà; come Gesù, non proporsi, nella vita, altro scopo che di far piacere al nostro celeste Padre: “Quae placita sunt ei facio semper”; aver solo di mira la divina volontà: “Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me”; vivere la vita di unione con Dio, come tralcio e vite, come conche e canali.

Oltre a ciò, il Povero Servo è ben convinto che quello che importa non è fare molte cose, ma fare molto: “non multa sed multum!”. Fa molto chi fa bene, fa molto chi si tiene nell’obbedienza, nella dipendenza dei Superiori, e specialmente del Casante presente e futuro, al quale, ve lo ripeto, il Signore darà lumi e grazie particolari per guidare l’Opera in generale, e ciascuno in particolare.

E qui torna opportuna una raccomandazione per quelli fra voi che il Signore ha chiamato a dirigere una famiglia religiosa. Ricordatevi che non ogni attività rientra nel novero di quelle volute da Gesù per la nostra Opera; state bene attenti su questo punto, e per non sbagliare dite tutto al vostro Padre, con semplicità e sincerità; se egli approva e benedice, andate avanti, certi e sicuri di avere con voi anche la benedizione di Dio.

Non fidatevi dei vostri lumi, e lasciate che vi ripeta quello che altre volte vi ho detto e che deve essere una nota caratteristica della nostra Opera: Meglio non far niente col Padre, che miracoli di bene senza il Padre”.

Il Povero Servo non cerca lodi, ama il nascondimento, non disprezza gli uffici umili. Vi ho detto ancora che per me il Fratello con la scopa in mano è come il Sacerdote all’altare. Non guardiamo la santità delle azioni ma la santità nelle azioni.

A questo proposito voglio raccontarvi un grazioso episodio. L’Imperatore Ottone aveva chiesto ad un ragazzino: come ti chiami? – Giacomo! egli rispose – Che mestiere fai? – Il pastore, e conduco ogni giorno le pecore al pascolo. – E cosa guadagni? – Maestà, quello che guadagnate voi; guadagno il Paradiso o l’Inferno!

Sapiente e sensata risposta! E come bene esprime quello che intendo dirvi! Oh, sì, miei cari ed amati fratelli, tutto è grande, nulla è piccolo nel servizio del Signore, basta che noi facciamo tutto con grande amore e con l’unica mira di piacere a Dio.

Vivete queste grandi verità, sentitene tutta la bellezza, siano in voi come un lievito, un fermento, per manifestarle poi al di fuori, per irradiarle anche agli altri, perché un Povero Servo deve essere tale da per tutto.

Irradiate lo spirito puro e genuino dell’Opera! E’ questa la raccomandazione, il monito che si fa ai Sacerdoti nostri ex allievi, e anzi il loro impegno specifico; perché, altrimenti, la Provvidenza gli avrebbe tanto amorevolmente curati per tanti anni nella sua Casa? Ma se ciò vale per loro, quanto più per noi!

E a questo proposito, credete sia a caso che la Provvidenza abbia disposto che nell’Opera ci siano ben sei Parroci; tre a Roma e tre a Verona?

Quanto bene possono fare, portando ovunque e sempre lo spirito dell’Opera, in Parrocchia, nella predicazione soprattutto, nelle adunanze, nelle discussioni!… dire, quando occorre, con santa franchezza: su questo e quel punto, il nostro spirito esigerebbe di fare così e così!

Ma a tutti, Sacerdoti e Fratelli, qui raccomando, tutti prego e scongiuro: vivete lo spirito puro e genuino dell’Opera.

L’Opera è come una torre: noi dobbiamo difenderla; il nemico di Dio fa di tutto perché non sia come Gesù la vuole, cerca di spostarne lo spirito, servendosi non degli estranei o degli avversari, ma di noi stessi; mio Dio, quale responsabilità! Nessuno si presti al gioco del nemico di Dio; siate tutti solidali, coltivate lo spirito di corpo; vivete cioè gli uni per gli altri, ognuno goda del bene che fanno i Confratelli, come fosse bene proprio; aiutatevi a vicenda; che nessuno demolisca con critiche o mormorazioni, specialmente con gli estranei, l’azione dei propri fratelli, ma regni sovrana la carità, perché dov’è la carità, ivi è Dio.

E lasciate che vi ripeta qui un pensiero che ricordo di aver detto negli esercizi spirituali di settembre, e che allora mi fece grandissima impressione. Dalla nostra personale santificazione, dall’essere noi in piena efficienza mediante lo spirito puro e genuino dell’Opera, può dipendere la vita o la morte dell’Opera e lo scongiurare o meno nuove calamità al mondo. Mio Dio, quale responsabilità.

Miei cari ed amati fratelli, finisco con un ultimo pensiero. Si cerca di fabbricare, di migliorare le condizioni d’ambiente, secondo le esigenze del nostro tempo, e sta bene; ma quanto più dobbiamo preoccuparci di lasciare a quelli che verranno dopo di noi un patrimonio di virtù e di esempi, ai quali essi potranno ispirarsi per essere insieme i continuatori dell’Opera e dello spirito puro e genuino che ne è la caratteristica! Oh come dal cielo godremo nel vedere i futuri sviluppi dell’Opera, e la gloria che procura a Dio, il bene che reca alle anime lo spirito da noi tramandato come in eredità!

Questa grazia domandiamo con la nostra umile e fervida preghiera, interponendo l’intercessione, sempre tanto efficace, della nostra celeste Madre, la Vergine Immacolata. Oh preghiamola per noi, per l’Opera, per il mondo! E’ diffuso più o meno latente, anche fra i buoni, un senso di scoraggiamento; molti sono disorientati, ma sapete perché? Purtroppo guardano al basso e si dimenticano di guardare in su. Diamo l’esempio di fiducia nella invocazione di Colei che, mentre nella sacra Scrittura è detta forte e potente come un’esercito schierato a battaglia, è insieme salvezza del popolo cristiano, mistica stella che ci addita il porto nel mare burrascoso della vita, nostra certa speranza per il tempo e per la beata eternità.

Pregate tanto, ma tanto per me, che ne ho estremo bisogno, affinché possa fare sino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi; e in questo momento, più con il cuore che con la mano, tutti benedico.

* LETTERA LXXIV 2 marzo 1952

Ai confratelli in cura d’anime.

Carissimo confratello

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi.

In questo santo giorno, I domenica di Quaresima, sento un forte impulso a rivolgerti la mia parola, quale mi nasce spontanea dal cuore di padre, che sente tutte le ansie e desideri dei cari figli.

La Provvidenza ti ha affidato una porzione del gregge di Cristo da pascere, anime da condurre alla salvezza eterna, educandole alla vita praticamente cristiana. E tu sei Povero Servo; come tale, devi irradiare attorno a te lo spirito puro e genuino dell’Opera, devi svolgere il tuo nobile ministero secondo questo spirito che il Signore Gesù stesso ha dato all’Opera.

Ed oh, quanto è urgente in questi nostri tempi far rivivere lo spirito cristiano del santo Vangelo! E’ di pochi giorni fa l’accorato appello del Santo Padre, Vicario di Cristo, per un rinnovamento spirituale dei cristiani nell’ora presente così gravida di minacce, ma anche così importante per l’avvenire della santa Chiesa e del mondo. Se tutti devono corrispondere all’appello del Vicario di Cristo, quanto più il Povero Servo messo dal Signore a reggere una Parrocchia! Animo dunque! Se mi è lecito, aggiungo la mia calda esortazione a quella del Santo Padre; e dico a te: abbi cura del tuo gregge; spendi generosamente le tue sollecitudini per il bene delle anime. Tutte, tutte le anime siano oggetto del tuo amore.

Mi pare inoltre di doverti ripetere con S. Paolo: “Non lasciar passare invano la grazia del Signore, poiché nel tempo accettevole – dice il Signore – io ti esaudirò”. Ed eccoci proprio nel tempo accettevole, la santa Quaresima, di preparazione alla Pasqua e preparazione alla nostra risurrezione spirituale in Cristo. “In ogni cosa mostriamoci degni ministri di Dio, con la pazienza, la sofferenza, le fatiche, lo zelo delle anime”.

In particolare poi mi sento di raccomandarti quelle pecorelle, che, sviate da dottrine erronee, combattono contro il Signore e contro la sua santa Chiesa. Poveretti! Sono degli sbandati, dei fuorviati, dei malati. Per essi quindi occorrono cure più sollecite, perché anche essi sono pecorelle del Signore, redente dal Sangue di Gesù Cristo, chiamate alla santità come tutti gli altri. Certo, non dobbiamo transigere con l’errore; ma dobbiamo però scindere l’errore dall’errante: l’errore è una cosa, l’errante è ben altra. Non sia mai che il Povero Servo trascuri dunque queste anime; son nostri fratelli, sono anime che il Signore vuole salvare.

La nostra Opera fa professione di cercare i più poveri; e non è una povertà grandissima quella dello spirito, più ancora di quella materiale? Abbi dunque una cura speciale per costoro; cerca di accostarli con la carità di Cristo, con l’affetto di padre, sull’esempio di Gesù, che andava in cerca dei peccatori anche più traviati, volentieri li accoglieva, li confortava a confidare, li convertiva.

A tal fine ricorda che siamo tutti un solo corpo: il corpo mistico di Cristo. Quindi ogni buona azione fatta da un membro, rifluisce beneficamente sulle altre membra; e, come nel corpo fisico il lavoro della vita si intensifica proprio là dove più grande è il bisogno: per una malattia, una infezione, o altro, così tu, Povero Servo, nello spirito dell’Opera, procurerai di portare giovamento a quanti sono lontani. Una preghiera, una buona azione, un sacrificio, una sofferenza, un sospiro d’amore a Gesù… sono tutti mezzi efficaci della grazia per fare del bene alle anime e attirarle a noi.

Io stesso, sentendomi più che mai unito a te, offrirò una intera giornata – domenica 16 c. – per il bene delle anime a te affidate; preghiere, sofferenze, ogni cosa insomma, saranno invocazione a Gesù perché salvi tutti e li santifichi, specialmente chi ne ha più bisogno. Dillo pure anche ai tuoi parrocchiani, che io sono loro vicino, vicinissimo col cuore, perché tutti li amo immensamente nel Signore, e tutti li desidero quali li vuole e desidera il Signore.

Se tutti davvero ci metteremo a vivere cristianamente, oh, allora sì, il mondo cambierà faccia, e i tempi si faranno migliori! Con il vivere in grazia di Dio, si metteranno a posto anche le cose materiali della terra, e verrà la pace; mentre vivendo nel peccato, in disgrazia di Dio, tutte le cose vanno a male e in iscompiglio.

Ti ho aperto il mio cuore, per infervorarti a lavorare con sempre nuova lena al bene spirituale dei tuoi fedeli. Io ti porto nella mente e nel cuore, facendo mie le cure e sollecitudini tue per il regno di Dio nelle anime.

Prega tanto, ma tanto per me, e fa’ pregare, che ne ho grande bisogno.

Che tutti ci possiamo trovare uniti un giorno lassù, in Paradiso, a cantare le divine misericordie, e godere il frutto della nostra povera vita spesa per i cari fratelli.

* LETTERA LXXV 10 aprile 1952

Miei cari ed amato fratelli

La grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi tutti, e ci sostenga nel cammino della povera vita.

E’ il Giovedì Santo: se è sempre giorno molto solenne e caro al cuore del cristiano e del Religioso, mi sembra che quest’anno rivesta una solennità tutta particolare; il Giovedì Santo 1952 mi pare che nei disegni del Signore abbia qualche cosa di tutto suo ed è per questo che stamane ho celebrato la S. Messa prima di tutto per la mia povera anima, e per voi, cari fratelli; ma in modo speciale per il mondo tutto, che ha tanto bisogno di luce e di alimento spirituale, che solo da Gesù può venire.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, mentre ringrazio Gesù del dono grande fatto con la sua Eucarestia alle nostre anime, penso e medito sul nostro dovere di Poveri Servi in quest’ora decisiva della storia. L’Opera è di Gesù: tante volte ve l’ho detto, e sempre ve lo ripeto; è Lui al timone della barca, è Lui l’anima che dà e conserva la vita dell’Opera. Certo, vi è anche l’elemento umano: siamo noi, poveri uomini, con le nostre miserie e deficienze; noi siamo come il corpo fisico dell’Opera; il corpo può andar soggetto a malanni, a difetti; ma l’anima no; essa rimane sempre in piena efficienza. Voglio dire come voi capite bene, che nell’Opera ci potranno essere delle manchevolezze materiali e morali: ma finché noi ci teniamo fedeli allo spirito puro e genuino che Gesù ci ha impresso, l’Opera va avanti, si sviluppa sempre più e sempre meglio, si dilata e si perfeziona, come la vita fisica del corpo; e allarga la zona di bene, a gloria di Dio, a vantaggio delle anime. Constatando, quindi, qualche deficienza, non deve il Povero Servo fermarsi a criticare, a escogitare: ci vorrebbe questo… manca quell’altro… ecc.; sarebbe tempo perso! Invece il Povero Servo si ripiega su se stesso, e pensa: come vivo io lo spirito dell’Opera? Come osservo le mie Regole? Concorro a incrementare l’Opera con la mia condotta e lo sforzo della mia santificazione? Oppure metto ostacoli con la trascuratezza, con i peccati, con la vita tiepida, senza fervore di amore a Gesù?

Oh! se tutti e sempre faremo così, l’Opera è assicurata. Verranno sì delle prove, anche grandi; sorgeranno difficoltà serie, contrarietà che parranno insuperabili: ma Gesù, che è l’anima dell’Opera, trovando in noi strumenti adatti saprà trionfare di tutto e di tutti, anzi fortificherà sempre più la sua Opera, come avviene nel corpo fisico assuefatto alle difficoltà; acquista ed accresce energie per reagire vittoriosamente.

L’Opera, come tante volte vi ho detto, ha un suo rapporto speciale con l’ora presente: Gesù guarda a noi e chiede il contributo efficace della nostra vita per compiere i suoi divini disegni di misericordia per l’ora presente. Il mondo è pieno di male; il male trionfa in lungo e in largo; ma, o miei cari, Gesù vuole esercitare la sua grande misericordia e dare al mondo ancora una volta la sua pace, la sua grazia: pegno di prosperità anche materiale.

Guai a noi se per colpa nostra non potesse attuare i suoi disegni! E se per colpa nostra dovesse venire il tracollo tremendo che gli uomini si meritano! Ma no: nessuno di noi vorrà ritirarsi; tutti e ciascuno vogliamo corrispondere all’invito di Gesù, Padrone assoluto della Casa, e concorrere alla salvezza delle anime e del mondo. Che grazia grande! Che nobile impresa, questa, che deve entusiasmare il nostro cuore di Poveri Servi!

Animo dunque! Questo Giovedì Santo segni un balzo in avanti nella nostra vita di Poveri Servi, tutti protesi alla santificazione nostra personale e all’attuazione dei divini disegni. Con gli Apostoli assisi attorno a Gesù nel Cenacolo, diciamo anche noi: siamo pronti e disposti a tutto, caro Maestro; siamo pronti a seguirti dovunque vorrai, fosse anche in carcere o alla morte! Troppo onorati ci sentiamo di lavorare sotto di Te, alla salvezza delle anime, alla diffusione del tuo Regno! Domine, non sum dignus!

Queste parole mi sono sgorgate proprio dal cuore questa mattina.

Pregate tanto per me, che mentre parlo a voi, abbia a praticare io per il primo questi santi propositi.

Tutti uniti, un cuor solo ed un’anima sola, viviamo il nostro spirito, siamo Vangeli viventi, portatori di Cristo al povero mondo che va alla deriva. Beati noi nel tempo; più felici nella eternità.

* LETTERA LXXVI luglio 1952

Cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con noi.

Mi sono sentito spinto a dirvi ancora una volta la mia parola, quale mi nasce spontanea dal cuore, per il bene vostro e della Congregazione. Per amore di Dio, fate tesoro di questa parola; accoglietela come mio testamento. Mi tengo sicuro che mi ascolterete.

Tante volte mi sentite raccomandare lo spirito puro e genuino dell’Opera: a voce e per iscritto ve lo raccomando continuamente; e voi di certo vi sforzate di assecondare il desiderio del vostro Padre, che è volontà precisa di Gesù.

Ma, mi pare di sentire qualcuno domandarsi: in che cosa consiste questo spirito puro e genuino?

La risposta è molto facile, e molto importante: lo spirito puro e genuino dell’Opera è segnato chiaramente nelle nostre sante Regole. In esse abbiamo l’indicazione sicura di quello che il Signore vuole da noi Poveri Servi. Molti di voi, la maggior parte anzi, siete vissuti tanti anni nella Casa, siete cresciuti quindi nel clima tutto speciale dell’Opera; avete toccato con mano l’umiltà che deve contraddistinguere il Povero Servo e l’Opera stessa: “buseta e taneta”: mai cercare protezioni umane, ma solo ricevere quelle che il Signore manda; fidarsi prima di tutto del Signore.

Avete sentito tante volte inculcare la parola di Gesù: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio – cioè la vostra santificazione – e tutto il resto lo avrete in soprappiù”. avete fatto esperienza come la Casa si fonda sulla completa fiducia nella divina Provvidenza: anime, anime! Nessuna preoccupazione per i mezzi materiali: questi verranno se noi faremo la nostra parte.

Queste ed altre cose avete visto nella pratica dell’Opera; ebbene: questo è lo spirito puro e genuino. Questo spirito è come la fisionomia particolare dell’Opera: ed è il binario sul quale deve camminare. Ogni treno deve correre sul proprio binario per arrivare alla meta prefissa; guai se entra nel binario altrui! è il disastro. Ora tutte le Opere hanno una fisionomia; tutte hanno il loro binario stabilito dal Signore; cambiare lo spirito di un’Opera vuol dire toglierla dal binario assegnatole, condannarla alla rovina.

Questo spirito della Provvidenza, amati fratelli, dovete irradiarlo in mezzo al mondo. Voi specialmente, sacerdoti in cura d’anime : ricordatevi che siete sempre Poveri Servi, e quindi dovete regolarvi secondo lo spirito dell’Opera. Gratis accepistis, gratis date; massimo disinteresse, umiltà, nascondimento. Anime, anime! Ecco il nostro spirito, ecco la condizione per la quale l’Opera accetta cura d’anime.

Ci sono tanti modi di compiere il bene, di curare le anime; ma ciascuno di noi deve fare il bene che il Signore vuole, non qualunque bene. Non vi lasciate lusingare dal miraggio di opere buone: state sempre nel giusto binario.

Conservate l’unità di intenti e di lavoro: risplenda sempre e in tutto non la persona, ma l’Opera. Non facciamo chiesuole, nicchie di attività personali; siamo pronti a sacrificare il nostro io perché regni Iddio, e si manifesti la sua Opera. Noi, povere persone, dobbiamo scomparire; l’Opera deve restare.

Carità nell’unità: ecco l’ideale che dobbiamo proporci nella nostra vita di Poveri Servi. Si potrà fare anche del bene, apparentemente; ma se non siamo uniti secondo lo spirito, il Signore si allontana. Raccomando quindi che tutte le Case si tengano sempre più unite ed affiatate con la Casa Madre; di qui si prenda il tono; qui si guardi come al faro che guida per la retta via.

State attenti a tutte le cose; anche le minime possono compromettere il nostro spirito e falsare la fisionomia dell’Opera. Che grande responsabilità si assumerebbe il Povero Servo che concorresse a questo!

Guardiamo di trovarci sempre in piena efficienza, sempre fedeli al nostro spirito, per compiere i divini disegni. Siamo in un’ora difficile e decisiva nella storia; la santa Chiesa è combattuta da ogni parte aspramente, con tutti i mezzi. Possiamo dire che mai come oggi “le porte dell’inferno” si sono coalizzate così fortemente contro Cristo e la sua Chiesa. Eppure, questa è l’ora di Dio, l’ora del trionfo, ancora una volta Cristo deve trionfare. Ma, chi determinerà questo trionfo? La grazia del Signore, per mezzo di coloro che si faranno degni strumenti. Tutte le opere buone suscitate dal Signore sono strumenti per il trionfo del bene; e la nostra ha una relazione tutta propria con i tempi presenti, quindi è destinata ad assolvere un compito tutto suo in questa santa battaglia contro il male. Sta a noi lavorare alacremente nel posto assegnatoci e nel modo stabilito dalla Provvidenza; beati noi! avremo benedizioni particolari da Dio.

Mettiamoci con tutto l’impegno, dunque, per corrispondere ai disegni del Signore. Stiamo uniti a Lui: fedeli alle pratiche di pietà, coltiviamo la vita interiore: uniti a Gesù, faremo qualche cosa, senza di Lui, non faremo nulla. Né ci rincresca di sacrificare le nostre vedute, tutta la nostra vita nel servizio del Signore; guardiamo a Gesù: quale generosità di dedizione per noi! quale mortificazione a tutta prova! doniamoci con tutto l’entusiasmo all’Opera, ben contenti di servire, di sacrificarci, di consumarci alla gloria di Dio e al bene delle anime.

E’ un’ora particolarmente grave, dicevo. Guardatevi d’attorno, e ve ne convincerete subito.

Guardiamo il settore della gioventù: quanto si fa ai nostri tempi per rovinare l’innocenza e corrompere i giovani! Sembra impossibile che ci siano uomini che mettono tutto il loro studio nel rovinare la fanciullezza: con spettacoli, divertimenti, mode, sport… tutto fanno servire al triste scopo di rovinare. E’ cosa orrenda, che provoca i più tremendi castighi del Signore su una società che permette tanti scandali.

La nostra Opera ha dalla Provvidenza come fine suo primario proprio la cura della gioventù; specialmente si deve occupare dei giovani più poveri, abbandonati e quindi più esposti ai pericoli morali e materiali. Apprezziamo, o miei cari, questo nobile compito che il Signore ci affida; e lavoriamo con generosità e spirito di fede nell’assistere, istruire, coltivare i cari giovanetti. Diamo loro il sacro patrimonio di una educazione schiettamente cristiana; con la parola e con l’esempio facciamo del nostro meglio, per crescerli “in età, sapienza e grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini”.

Guai se guardassimo alle classi medie o agiate! Non è il nostro campo. Peggio se ci lasciassimo prendere dalla smania del lucro, così contrario al nostro spirito e alle Regole. Un povero, un sofferente, un abbandonato porta con sé lo sguardo e la protezione di Gesù.

Altro settore nel quale le cose vanno male: la famiglia. Opera di Dio, vivaio della umanità, essa dovrebbe essere un santuario, dove si inalzano a Dio i sacrifici accettevoli, e dove le nuove generazioni imparano a compiere la volontà di Dio. Invece, quante volte la famiglia viene dissacrata dal vizio, dal peccato, da certi enormi delitti che gridano vendetta al cospetto del Signore! Che cosa sarà domani della società, se il suo vivaio è corrotto?

Lavoriamo a tutto potere per salvare la famiglia, cellula dell’umanità, affinché ritorni al suo posto di nobiltà e di santità. Non si risparmi fatica per ricostruire su basi cristiane le famiglie che si vanno formando, e per ritornare alla loro nobiltà quelle che se ne sono allontanate.

Oggi, o miei cari è in atto una guerra accanita contro tutto ciò che vi è di bene. Il progresso gigantesco dell’umanità nei nostri tempi meriterebbe che gli uomini fossero ben avanti nelle vie dello spirito e corrispondessero con grandi virtù ai grandi doni del Signore. Invece vediamo proprio il contrario: tanta gente si serve di questi doni per fare la guerra al Signore.

Come si può spiegare tanto male? E’ un mistero di iniquità; si può dire che Satana è uscito dall’inferno e ha invaso il mondo; non potendo sfogarsi contro il Signore, si accanisce contro le creature del Signore, contro gli uomini che ne sono l’immagine. Ma Satana ha bisogno di aiuti; egli non ha lingua per parlare, non ha corpo, non ha mani per agire; quindi cerca strumenti: e ci sono uomini che prestano a lui le mani, la lingua, il cervello, la forza per fare quello che egli vuole: il male; il peggior male alle anime. Quanti ne trova di tali uomini! Poveretti costoro! Mi fanno una profonda compassione; ed anche a voi, perché sono nostri fratelli, figli del medesimo Padre, redenti dal medesimo Cristo, e destinati al medesimo Paradiso. Specialmente nell’ora attuale si può dire che sono un esercito che marcia serrato sotto la direzione di Satana e si sacrifica per lui! Che orrenda cosa: essere le mani, la lingua di Satana!…

In quante forme, poi, il diavolo conduce questa guerra alla santa Religione! Ogni pretesto è buono per coprire i suoi disegni: ora è di migliorare le condizioni economiche della povera gente, ora di elevare il tono della vita, ora di ricreare dalle fatiche il lavoro quotidiano, ora di istruire… il bersaglio peraltro è sempre uno: la Religione, la santa Chiesa. Lì si mira, lì si vuole arrivare: a distruggerla una volta per sempre.

Quello che mi impressiona profondamente, poi, è che questo spirito del mondo sa insinuarsi pian piano perfino tra i cristiani, sa infiltrarsi anche nelle opere più buone e sante, anche nelle case religiose, se non si sta più che attenti; sotto colore di bene, di penetrare in qualche ambiente, di avvicinare certa gente… si ammettono poco alla volta concessioni e compromessi che finiscono col rovinare le opere di bene, e falsare lo spirito del Vangelo che le deve animare.

Attenzione, dunque, o miei cari ed amati fratelli; che non penetri fra noi lo spirito del mondo, che è spirito di Satana. Noi religiosi teniamoci ben stretti a Gesù, viviamo pienamente il suo Vangelo, senza compromessi; e non temiamo; sotto le bandiere di Cristo nessuna cosa potrà vincerci, perché dove è Cristo è la vittoria. E’ finito il tempo delle mezze misure; stiamo alla realtà, fidiamoci del Vangelo, teniamoci alle sue leggi, svolgiamo un’azione decisa e ordinata come Egli stesso ci ha insegnato.

Attenzione a non far concessioni o compromessi; che, sotto pretesto di allargare il campo del bene, non facciamo delle falle pericolose, e condanniamo al naufragio il mistico bastimento del Signore. non accontentiamoci di essere canali, ma cerchiamo di essere conche e canali insieme: ripieni noi di Cristo e del suo spirito, per dispensarlo poi agli altri.

E’ l’ora decisiva, o miei cari fratelli: O Cristo o Satana. Beati noi che siamo chiamati a combattere per Cristo e la sua Chiesa! La vittoria sarà certamente del Signore; ma il merito ridonderà a coloro che avranno combattuto sotto le insegne di Cristo; anche noi, se staremo fedeli alla nostra vocazione, porteremo Cristo al mondo, specialmente a quelli che non lo conoscono o non lo vogliono riconoscere.

L’ateismo: è una piaga del nostro tempo. Eppure, o miei cari, credetelo: per quanto l’uomo faccia, non può spegnere questo sole che è Dio nell’intimo del proprio essere. Iddio ha impresso in noi un’orma così profonda che non si può cancellare. L’ateismo nasce da passione; l’esperienza lo dimostra chiaramente. “Dixit insipiens in corde suo: non est Deus; l’insipiente ha osato dire: non esiste Dio”. Ma perché? “Corrupti sunt…”. La corruzione li ha portati a questo; e “animalis homo non percipit ea quae sunt spiritus; l’uomo animale non può capire le cose dello spirito”. Io ho sempre visto che solo due categorie di uomini non credono in Dio: i bambini che non sono arrivati all’uso di ragione, e i poveretti che l’anno perduta. Voi stessi l’avrete visto tante volte, che, dove non si ammette Iddio, c’è il peccato, l’immoralità e il disordine. L’uomo si abbassa ad una vita di sensi; questo cuore questa mente fatta per le cose superiori, vengono avviliti da una vita tutta terrena, animalesca: ed ecco l’incredulità, non tanto per convinzione, quanto per il bisogno che non vi sia un Dio giusto che punisce il peccato. Nella mia esperienza ho sempre visto che guasto il cuore, è guasta la mente; messo a posto il cuore, è messa a posto la mente.

Si voglia o non si voglia, tutti abbiamo un’anima da salvare. Cristo è morto per salvare le anime. Bisogna lottare contro il male, per salvare la nostra anima. L’umanità è caduta e molti mali la affliggono quaggiù; ma nella mia esperienza ho costatato che molte volte il male e la sofferenza sono voluti proprio dall’uomo, con il peccato. Tornando al Signore, vivendo bene, oh, quanti malanni di meno sarebbero al mondo! Quanta pace e serenità anche nelle pene inevitabili della povera vita!

Abbiamo compassione per tanti poveretti che servono a Satana. Sono nostri fratelli redenti anche loro dal Sangue di Gesù Cristo. Sbagliano, è vero; ma noi dobbiamo cercare di salvarli. “Diligite homines, interficite errores”, diremo con S. Agostino: guerra all’errore, senza compromessi; ma amore grande agli erranti!

Abbiamo l’esempio di Gesù nostro Maestro, che nelle parabole ci ha dato il suo ritratto: ora è il pastore che lascia le novantanove pecorelle per cercare quella che si è sbandata; ora è il Padre che accoglie il figlio prodigo pentito…

Dobbiamo fare di tutto perché i nostri fratelli si convertano e tornino all’ovile. Quanti di loro, forse, non hanno mai sentito una buona parola! Quanti sono stati traviati da compagnie perverse, da ambienti malati, da letture cattive, da scandali!… Oh, quanta compassione dobbiamo sentire per loro! Andiamo loro incontro col più grande e sincero affetto; vedano che noi cristiani li amiamo, li comprendiamo, li desideriamo come veri fratelli.

Anzi, a questo proposito mi sento ispirato a indire per tutta l’Opera una giornata penitenziale per il ritorno di tutti coloro che combattono la santa Chiesa e corrono sulla via della perdizione. Mi sembra opportuno l’ 1 agosto, 1º venerdì: è proprio la giornata di riparazione al SS. Cuore, quindi molto opportuno a questo scopo. In quella giornata eleviamo al Signore le nostre preghiere, offriamo espiazioni, sacrifici per il bene dei fratelli. Cantiamo le Litanie dei Santi, come facevano gli antichi cristiani in tempi di spirituali necessità.

E voi sacerdoti che lavorate nelle Parrocchie, fate sapere questa iniziativa, e invitate i fedeli a unirsi nella preghiera penitenziale per la conversione dei fratelli, specialmente pel ravvedimento di coloro che combattono la nostra santa Religione.

Tutti uniti, cor unum et anima una, facciamo dolce violenza al Cuore di Gesù perché diffonda il suo spirito su tutti, e ci infiammi del suo santo amore.

Vi ho aperto il mio cuore, diletti fratelli, perché vi animiate a conservare e ravvivare sempre più lo spirito puro e genuino dell’Opera. E’ una responsabilità per me se non vi parlassi a nome del Signore; ed è una responsabilità per voi se non mi ascoltaste. Ma son certo e son sicuro che farete tesoro di queste mie parole e vi sforzerete di corrispondere alla nostra speciale vocazione.

Così compiremo i divini disegni, e attireremo le più abbondanti benedizioni sull’Opera, perché possa contribuire efficacemente all’avvento del regno di Dio nell’ora attuale.

Pregate per me. Io vi porto nella mente e nel cuore più del solito, e per voi prego che la grazia della vocazione magis ac magis abundet.

Più col cuore che con la mano, vi benedico tutti, ad uno, ad uno, con tutto quanto avete di più caro su questa terra, con l’augurio e la preghiera che faccio da tanti anni: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum.

I Direttori di Comunità si faranno un impegno di leggere e commentare questa mia lettera ai membri della loro famiglia religiosa.

* LETTERA LXXVII Verona, 11 ottobre 1952 – Maternità di M. SS.ma

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Con voi ringrazio e benedico la bontà e misericordia del Signore, che anche in quest’anno ci ha concesso di fare i santi spirituali Esercizi, con immenso vantaggio per le nostre anime sacerdotali e religiose. Ma v’è sempre bisogno di rivedere di quando in quando le partite della nostra anima, specialmente in un’ora in cui lo spirito del mondo cerca di forzare le porte del Santuario e delle stesse Case Religiose, per penetrare insidiosamente anche nei cuori consacrati a Dio.

Per questo ho pensato di farvi alcuni richiami e raccomandazioni, e mi tengo sicuro che ne farete tesoro per la vostra personale santificazione e per la santificazione dell’Opera, che è tutta di Gesù e perciò deve essere come Egli la vuole. Solo così, miei cari ed amati fratelli, potremo compiere i nuovi e grandi disegni che il Signore ha sull’Opera in generale e sopra ciascuno di noi in particolare.

1) – Quanto so e posso vi raccomando di riempirvi tutti dello spirito puro e genuino dell’Opera, che è lo spirito di Gesù, lo spirito del santo Vangelo, vissuto e praticato interamente, e senza compromessi e arbitrarie interpretazioni, “sine glossa”, come tante volte vi ho ripetuto.

Ravvivare nel mondo la fede nella paternità di Dio, la fiducia e il figliale abbandono nella sua divina Provvidenza: ecco il fine speciale della nostra Opera, ecco il principale nostro dovere. Ma non possiamo ravvivare nel mondo questa fiamma, se prima non arde in noi. Ricordatevi che tutte le nostre opere devono manifestare questa fiducia e questo abbandono nella divina Provvidenza. Che nessuno dei Poveri Servi ponga la sua fiducia più nei mezzi materiali che nella Provvidenza. Ricordatevi che Gesù non ha detto: senza i mezzi non potete far niente, ma bensì: “senza di me non potete far niente!” Abbiate dunque fede che, se noi saremo fedeli al nostro programma: “Quaerite primum Regnum Dei”, il resto ci verrà dato in aggiunta.

2) – Vi raccomando tanto la vita interiore; chi non la possiede rassomiglia a un corpo senz’anima. Vita interiore; quindi le pratiche di pietà; per amore di Dio non trascuratele mai, lasciate tutto, ma non lasciate le pratiche di pietà. Siate puntuali; se non avete potuto farle o siete arrivati in ritardo, fatene l’accusa; sia oggetto del vostro rendiconto la fedeltà o meno alle pratiche di pietà.

Per questo guardatevi dalle troppe occupazioni, che un po’ alla volta vi distoglierebbero dall’attendere seriamente alla vostra anima. Anche per noi vale il monito di Gesù: “che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se perde la sua anima?”

3) – Ho testé nominato il rendiconto di coscienza; quanto anch’esso è necessario per eliminare molti inconvenienti che derivano dal non farlo regolarmente! I fratelli lo facciano al proprio Superiore e il Superiore locale lo faccia al vostro Padre almeno ogni tre mesi, dando conto di tutti i fratelli. Siate libri aperti coi vostri Superiori, non abbiate timore di manifestarvi ad essi, perché troverete sempre in loro dei fratelli, degli amici, dei consiglieri che tanto vi amano nel Signore.

4) – Altro punto importante è l’osservanza del silenzio, poiché da tale osservanza si può arguire il buono o cattivo andamento di una Casa Religiosa.

Soprattutto vi raccomando il silenzio maggiore. Arrivata l’ora stabilita, ognuno si ritiri al proprio posto e regni dovunque il più assoluto silenzio delle persone e delle cose. I Superiori delle singole Case ne siano santamente gelosi e non lascino mai di inculcarlo e di richiamarlo ogni qualvolta ce ne fosse bisogno.

Ricordatevi che nel silenzio il Signore parla. Uno che fa troppo chiasso, non può ascoltare la sua voce. “Io condurrò l’anima nella solitudine, e parlerò al suo cuore”.

5) – Altro punto delicatissimo è l’osservanza della clausura. I Superiori locali non permettano o tollerino abusi su questo punto. Come sapientemente prescrivono le nostre sante Costituzioni, si comunichi con le Sorelle attraverso le ruote e gli sportelli. non si entri nei reparti riservati alle Sorelle senza espressa licenza, anche quando uno dovesse entrarvi per eseguire qualche lavoro.

Si parli con le Sorelle solo per ragioni d’ufficio, limitandosi anche allora allo stretto necessario; con esse si parli sempre con il massimo rispetto, con tutta la carità, ma senza nessuna affettazione. Nessuno si fermi a mangiare in cucina, nessuno entri in guardaroba per fare o ricevere commissioni. Per amor di Dio, tenete nel massimo conto queste importantissime raccomandazioni, e guardatevi anche dal minimo sentore, dalla minima apparenza del male.

6) – Raccomando a tutti di non leggere giornali o riviste poco o punto convenienti a persone religiose; in particolare non permettetevi di sfogliare riviste mediche, riviste e giornali illustrati messi a disposizioni dei clienti nei salotti d’aspetto.

7) – Desidero che tutti si attengano alle seguenti norme circa la cura delle vesti e della persona. La biancheria personale sia confezionata secondo le norme della più delicata modestia, sia per i Religiosi come per i ragazzi. A questi non si permetta di indossare la semplice canottiera, mutandine e calzoncini troppo succinti.

Ai Fratelli raccomando di non comparire mai davanti agli altri con le maniche della camicia corte o rimboccate fino alle spalle; si usi piuttosto un camiciotto leggero.

Per i vestiti dei nostri Religiosi non si provvedano stoffe eccessivamente costose, non essendo questo conforme alla povertà che professiamo.

A tutti i Religiosi è proibito coltivare i capelli secondo l’uso mondano; senza uno speciale permesso nessuno tenga il ciuffo; così pure nessuno usi per i capelli sostanze profumate o adoperi saponi odorosi o tenga l’orologio a polsino; al Povero Servo s’addice la nettezza della persona, che pure tanto raccomando, la proprietà del vestito e la massima semplicità in tutto.

Analogamente, anche ai ragazzi non si permetta l’uso di certe superfluità che disdicono alla povertà della Casa dalla quale tutto ricevono, come l’uso dei profumi, gli occhiali neri quando non ve ne sia la necessità, occhiali sagomati e con montature di lusso, scarpe e vestiti troppo eleganti, ecc.

Quanto a voi, miei cari ed amati fratelli, queste ed altre superfluità, certi gingilli e oggetti di lusso, ricordatevi che sono affatto contrari alla santa povertà; fate quindi una diligente rivista e, se trovate di averne, portate ogni cosa al vostro Superiore, facendone così un bel sacrificio al Signore.

8) – Ai Superiori locali raccomando di non ammettere facilmente persone estranee nella intimità della famiglia religiosa, ad es. in refettorio; di non concedere ai fratelli qualunque permesso, come di fare una gita o un pellegrinaggio lontano, di visitare i parenti, tranne il caso di una brevissima visita occasionale, oppure di una malattia grave di qualche stretto parente o simili.

Anche durante le vacanze estive non si permettano passeggiate o escursioni che obbligano di pernottare fuori di Casa.

9) – A tutti, ma specialmente ai Sacerdoti, raccomando discrezione nell’uso della bicicletta.

Senza uno speciale permesso nessuno deve permettersi l’uso e l’acquisto di biciclette motorizzate. Ricordatevi che non è e non può essere visto bene il Religioso e specialmente il Sacerdote quando usa mezzi di trasporto che i poveri non possono procurarsi.

10) – Raccomando ai Sacerdoti in cura d’anime di non recarsi a visitare le famiglie se non per giusta esigenza del ministero pastorale. Non accettino inviti a pranzo, non regali che legano sempre le mani e spesso anche il cuore. E’ necessario oggi più che mai che il Sacerdote non scenda dall’altezza alla quale il Signore lo ha elevato, perché gli occhi di molti sono rivolti a lui, e tutti esigono che egli sia diverso dagli altri uomini.

11) – Penso che non a caso la Provvidenza ha disposto che all’Opera siano affidate ben sette parrocchie; vuol dire che il Signore per loro mezzo vuol compiere qualche speciale disegno. Voi sapete quanto mi stia a cuore che nelle Parrocchie siano abolite tutte le tariffe: “Gratis accepistis, gratis date”. Che non vi sia distinzione di classe fra ricchi e poveri, sia nei funerali che nei battesimi e nei matrimoni. Miei cari ed amati figlioli, cominciate voi a dare esempio, e se vi sono difficoltà, fate di tutto per risolverle. Nelle riunioni sacerdotali poi, dite francamente qual è lo spirito dell’Opera e il vostro sentimento su questo punto. Così ogni parrocchia dei Poveri Servi diventerà faro di luce evangelica, e voi, con il divino aiuto, comunicherete quel santo contagio, che suole provocare l’esempio, nonostante critiche e contraddizioni, che di solito verranno da chi meno si crederebbe.

Su questo punto spero di mandarvi norme pratiche e precise, sul come dovrete comportarvi; pregate anzi per questo.

12) – Ma rivolgendovi a voi come Parroci, mi sento di farvi anche un’altra raccomandazione sul così detto cinema parrocchiale. Quando penso alle gravi parole del Sommo Pontefice Pio XI, allorché accenna alla “strage di anime giovani (operata dal cinema), a tante innocenze che si perdono proprio nelle sale cinematografiche”, provo come una stretta al cuore, ed è con le lagrime agli occhi che vi prego e vi scongiuro di non prendere alla leggera questo gravissimo problema del cinema.

Ricordatevi che di ogni pellicola rappresentata assumete voi la responsabilità; per amor di Dio, che alle anime non offrano un veleno micidiale proprio coloro che sono chiamati a prestare solo medicine salutari. Non venite a compromessi che né la coscienza né il Vangelo potrebbero giustificare; siate intransigenti e non lasciatevi adescare dall’interesse.

A tutti i Religiosi poi raccomando di non recarsi ad assistere a rappresentazioni cinematografiche, sia pure nelle sale parrocchiali.

13) – A tutti raccomando di rimanere fedeli alle tradizioni e consuetudini dell’Opera in generale, e di ciascuna Casa in particolare. Non deve il Superiore locale cambiare senza giusto motivo e senza essersi prima consigliato; trattandosi di innovazioni importanti, ricordatevi che dovete domandare e ottenere l’approvazione e la benedizione del vostro Padre.

14) – In fine vi raccomando tanto di amare e aiutare S. Zeno in Monte, “terra santa e benedetta”, come dissi l’ultima sera dei primi Esercizi. Non guardate solo ai rami, ma al tronco; non fatevi delle chiesuole, guardate al Centro, che è la Casa Madre, la quale più riceve e più dà.

Ecco quello che mi son sentito di dirvi in questa circostanza, miei cari ed amati fratelli. Fatene tesoro, rileggete spesso queste mie povere parole e procurate di conformare ad esse la vostra condotta. Sarà questo un bel mezzo per conservare il frutto dei Santi Esercizi, che in quest’anno mi pare abbiano avuto una nota tutta speciale.

Fatevi santi, o meglio dirò facciamoci tutti santi, per salvare e santificare le anime, che saranno in cielo il nostro gaudio e la nostra corona.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità grande delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno per la mia povera anima, così vicina ormai alla grande chiamata.

Più col cuore che con la mano vi benedico.

PS. – Queste norme desidero siano lette in ogni ritiro mensile.

* LETTERA LXXVIII 18 novembre 1952

Miei cari ed amati fratelli

Qui ai piedi del mio Crocefisso, vado pensando a quanto il Signore vuol bene all’uomo, e quanto fa per attirare tutti al suo amore.

Ogni tempo ha le sue caratteristiche, i suoi contrassegni distintivi, che segnano il progresso compiuto dall’uomo nel cammino dei tempi.

Pensiamo come l’uomo lavorava la terra nei tempi antichi e come la lavora oggi: quale progresso! Oggi la macchina facilita il lavoro, toglie quasi del tutto la fatica; oggi un uomo solo fa quello che una volta dovevano fare in venti.

Quanti progressi materiali in ogni attività umana! Dal carro primitivo al treno gigantesco, dalla carrozza all’automobile, dalla barca al transatlantico, all’aeroplano… E’ tutto un progresso ammirevole, che l’uomo ha compiuto valorizzando quell’ingegno che Iddio gli ha dato. Tutto dono del Signore adunque, perché l’uomo apprezzi la bontà del Signore, e corrisponda ai divini disegni.

L’umanità nei singoli tempi e periodi, usa quei mezzi che la Provvidenza fornisce; gli uni devono valorizzare i mezzi primitivi, gli altri quelli perfezionati, noi le macchine svariatissime che il nostro tempo ha realizzato. Ciascuno deve vivere il suo tempo; ciascuno deve rendere conto di ciò di cui dispone.

Questo nell’ordine materiale: grandi giganteschi progressi segnano il tempo nel quale siamo chiamati a vivere. Che grandi doni! e sono per la vita presente, sebbene sia vita di esilio, e di essere decaduti per la colpa.

Ora quello che succede nell’ordine materiale, quanto lo dobbiamo realizza renell’ordine soprannaturale!

E’ proprio qui che mi preme attirare la vostra attenzione di Poveri Servi, o miei cari fratelli. L’ordine morale ci interessa molto di più di quello materiale. Ora, anche in quest’ordine morale la Provvidenza ha fornito all’uomo tanti mezzi, adeguati sempre ai tempi. Così in questi tempi passati, di pari passo con il progresso materiale, sono sorte Opere di bene, che, quali macchine meravigliose, compiono gli svariatissimi disegni d’amore del nostro Iddio verso gli uomini.

Il nostro secolo si può dire che è arrivato al colmo per aiutare le anime e indirizzarle alla vita soprannaturale.

E, fra la varie opere, in questo nostro tempo il Signore ha suscitato l’Opera dei Poveri Servi, con una finalità appropriata alle esigenze moderne, che richiedono in modo tutto speciale la pratica piena e semplice del Vangelo.

Tante volte l’ho detto, e voi già ne siete persuasi per una lunga esperienza: l’Opera ha relazione intima coi tempi attuali; ha disegni tutti propri da compiere. A noi il Signore ha affidato questa sua Opera, che direi potente macchina spirituale, per il progresso morale dei fratelli. Tutte le opere sono buone e belle; ma tutte hanno un loro spirito particolare. L’Opera dei Poveri Servi ha il suo, caratteristico, che noi dobbiamo tenere in piena efficienza, se vogliamo corrispondere e farci santi, per compiere i disegni e fini propri dell’Opera stessa; ricordiamolo bene.

Il Signore ha i suoi tempi e le sue ore; potrebbe da un momento all’altro venire a fare il “collaudo” della sua macchina. Con quanta diligenza si preparano le macchine terrene per il collaudo! Attenzione di qua, attenzione di là, perché ogni pezzo sia a posto, ogni ingranaggio funzioni bene, ogni ruota giri a perfezione. Altrettanto deve essere di noi, che dalla divina Provvidenza siamo stati chiamati ad essere i ‘pezzi” di questa macchina spirituale che è l’Opera dei Poveri Servi. Per amore di Dio cerchiamo di essere bene a posto, perché il divino collaudatore possa essere contento di noi, e adoperarci per i suoi disegni.

Se una macchina al collaudo non risponde bene, la si rifiuta e si ricorre ad altro. Guai a noi se il Signore, non trovandoci quali dobbiamo essere, dovesse rifiutarci! Egli, certamente, compirebbe lo stesso i suoi disegni, ma senza di noi! che responsabilità grande per il Povero Servo! E che premio grande invece, se saremo trovati bene a posto, e degni di attuare qualche disegno provvidenziale per l’ora presente! Che fortuna sarà la nostra! Cerchiamo di meritarla, o miei cari.

Apparentemente il nostro programma ha dei punti che sono in netto contrasto con la prudenza ordinaria; qualche volta vi dico: l’Opera è il rovescio del mondo; ha i suoi fondamenti non in terra ma in Cielo. Ed è vero; ma è vero che tale l’ha voluta il Signore; ed il Signore non si smentisce mai. Fede in Dio, Padre nostro, o miei cari! se saremo fedeli al programma, la promessa di Dio si avvererà per noi, e faremo tanto bene, specie in quest’ora.

Quanta importanza si dà alla parola degli uomini in terra! e va bene. Ma quanta più ne dobbiamo dare a quella del Signore! Crediamo dunque al Signore; fidiamoci della sua parola. Ogni parola di Dio è – lasciatemi passare l’espressione – consacratoria, sacramentale: opera quello che dice.

Certo: Iddio non ha fretta; ha davanti a sé l’eternità. Quindi matura i suoi disegni gradatamente, poco alla volta: è il sigillo delle opere di Dio.

Crediamo, dunque, tutte le parole del santo Vangelo; onoriamo Iddio con questa fede piena e generosa. Non sia per noi il lamento del Signore: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”.

Viviamo, quindi, il nostro tempo, o miei cari; lavoriamo nella nostra Opera, valorizzando la santa vocazione di Poveri Servi. “Non multa sed multum” è un motto che fa per noi. Non ci allettino le molteplici attività, a scapito della vita interiore: quanto so e posso, ve la raccomando tanto questa vita interiore, di unione con Dio: è la base indispensabile di ogni apostolato. “Sine me, dice Gesù, nihil potestis facere: senza di me, nulla potete fare”. Se facciamo da noi soli, senza il Signore, sarà cosa che svapora presto.

Facciamo di gran cuore quel poco che la Provvidenza ci assegna; e avremo collaborato con tutti gli altri nel divino lavoro per il progresso dell’umanità nella via di Dio.

Sempre, ma specialmente adesso, l’umanità è come una sola famiglia, che tende a unirsi sempre più e a mantenersi strettamente unita.

La teoria dei vasi comunicanti si applica anche nella vita morale e spirituale; facendo la nostra parte per quanto piccola in apparenza, noi siamo in comunicazione con tutti coloro che operano nella Chiesa di Dio, e compiamo i divini disegni. Tutto è grande nell’Opera del Signore; nulla è piccolo quando si fa ad onore della Maestà infinita di Dio. Basta farlo bene; basta farlo nello spirito del Signore, sorretti e guidati dalla sua grazia.

L’esempio di Gesù Cristo ci sia sempre davanti agli occhi; non disdegnò di essere povero operaio, Egli che era il Figlio di Dio!

E qui lasciate, o miei cari, che vi raccomandi ancora una volta di dare molto peso, il primo posto, alla vita interiore “senza di me, dice Gesù, non potete fare nulla”. Mettiamocela bene in mente la parola di Gesù, e prendiamola per nostro programma. I Santi, oh, come maturavano i grandiosi disegni di opere immortali! dove e come? ai piedi del Crocefisso, davanti al Tabernacolo, nelle preghiere prolungate, nei digiuni e austerità. Ecco il segreto della loro riuscita. Il Signore è sempre Lui: vuole essere servito oggi come ieri; imitiamo dunque i Santi e faremo cose grandi.

Fidiamoci del Signore; ve lo ripeto. crediamo al Signore con fede ferma, incrollabile, semplice.

Mi viene in mente un caro episodio letto anni fa. Una nave è in preda alla tempesta; tutti i passeggeri sono in ansia e trepidazione per l’imminente pericolo di naufragare. Eppure fra tutti i terrorizzati, c’è un bambino che in un angolo della nave sta giocando, senza nessuna paura. – Come?! tu giochi? non hai paura. – C’è mio padre che guida la nave; son più che sicuro.

Cari ed amati fratelli: al timone della nave c’è il nostro celeste Padre; di che temere? Verranno le tempeste, le difficoltà; niente paura! il timoniere non fallirà il suo compito; e noi giungeremo sicuri al porto dell’eterna salute.

Siamo in viaggio per il Cielo, o miei cari; la nostra vita è orientata lassù; conoscere, amare, servire Iddio in terra, possederlo eternamente in Cielo, ecco ciò che importa, quello che dà valore alla vita. Tutto il resto non vale nulla. Teniamo fisso lo sguardo al Paradiso; e lavoreremo meglio qui in terra, vivendo il nostro tempo, attuando i divini disegni di bene spirituale per i tempi attuali.

Ricordiamo pure il fine principale dell’Opera come è nelle Costituzioni: manifestare al mondo che Dio è Padre, e che governa la nostra Opera con la sua Provvidenza. Dunque, cominciamo noi a tenerlo per nostro Padre: affidiamoci a Lui con fiducia di figli.

L’atmosfera di Dio, nella quale dobbiamo lavorare, è quella della Fede, della Grazia, della Orazione. Non lasciamoci adescare da quel certo spirito che preferisce una atmosfera di razionalità, di attivismo, di accomodamento al mondo.

Volgiamo il nostro sguardo alle creature abbandonate che il Signore ci affida; dobbiamo lavorare attorno a loro per formare buoni padri di famiglia, bravi ed onesti operai. Con la grazia del Signore abbiamo veduto e vediamo frutti consolanti in molti cari ex-allievi, che, usciti dalla Casa, hanno fatto onore alla educazione ricevuta. Per parte nostra cerchiamo di fare il possibile perché tutti riescano così.

E’ questo uno dei compiti assegnati dalla Provvidenza; oh, quanto nobile questo compito!

Lavoriamo con cuore generoso: tutto è grande nell’Opera: scopa, scuola, economato, sacerdozio… Niente è piccolo nella Casa di Dio, quando siamo illuminati dalla fede.

Siamo “pusillus grex”: umili, poveri servi, che fanno quello che il Signore vuole. Saranno per noi le consolanti parole di Gesù: “Non temete, piccolo gregge, ché piacque al vostro Padre affidare proprio a voi il regno”.

Regno di Dio qui in terra, per il bene che faremo e per le anime che salveremo; regno di Dio in Cielo, per il premio e la ricompensa che riceveremo lassù, per quel po’ di servizio fedele che avremo generosamente compiuto in questi quattro giorni di vita terrena.

Teniamo di vista il Paradiso; camminando in terra, guardiamo in Cielo. Terra e Cielo: ecco il fondamento per vivere bene e farci santi. “Che importa guadagnare anche tutto il mondo, se perdessimo la nostra anima”?.

Siamo generosi col Signore! Sacrifichiamo tutto per Lui, per le anime, per il suo regno. “Che importa perdere anche tutto il mondo, se salviamo la nostra anima?” Questo pensiero devono averlo tutti gli uomini, perché tutti abbiamo avuto la vita presente per conoscere, amare e servire il Signore e così salvare l’anima nostra. Ricordiamo sempre le parole di Gesù: “Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?” Queste parole mi sono sgorgate dal cuore.

Pregate sempre per me, che di gran cuore vi benedico.

Cari ed amati fratelli, ritorno al pensiero donde sono partito: viviamo il nostro tempo. Ringraziamo il Signore, che ci ha chiamati a vivere e a lavorare per la beata eternità.

Ogni uomo deve valorizzare le grazie che riceve nel suo tempo; quanto più il Povero Servo, chiamato a una vocazione così speciale e santa! Guardiamo o miei cari, di far bene, perché la macchina, che è la nostra Opera, si trovi sempre in piena efficienza.

Pregate per me che di gran cuore vi benedico.

* LETTERA LXXIX 16 marzo 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Ai piedi del mio Crocefisso ho letto e riletto una lettera che un nostro caro Confratello di Roma mi ha inviato. Ho provato tanta consolazione e commozione nel sentire come i miei figli lontani vivano lo spirito puro e genuino dell’Opera, ricevendone in compenso grazie speciali di luce e di forza, tanto necessarie per il difficile campo del loro apostolato. Ed è sempre la luce dell’Opera, faro luminoso posto da Dio sul monte, che si diffonde in quest’ora terribile, e a poco a poco va compiendo gli speciali disegni che il divin Fondatore già le ha affidato.

Sento proprio il bisogno di far conoscere anche a voi, perché ne facciate oggetto di meditazione, quello che mi è stato scritto, perché sento nell’intimo del mio cuore che è parola ispirata e dettata dallo Spirito Santo. Per amor di Dio, vi scongiuro, in visceribus Christi, fatene tesoro, traducetela in pratica; è il Signore che parla e si serve di tutti e di tutto per richiamarci. Sono i pensieri che io, umile Casante dell’Opera di Dio, ho cercato sempre di infondere nei vostri cuori, in tanto tempo che parlo, che esorto, che scongiuro, opportune et importune, ego vinctus in Domino, in mezzo alla mie sofferenze continue, affinché i miei figli, i Poveri Servi, vivano lo spirito dell’Opera, sine glossa, ad literam!

Ecco cosa mi scrive:

“Amatissimo Padre,… è parecchio ormai che non Le scrivo: non mi scuso, perché so quanto Lei, Padre, comprende la nostra situazione e il molteplice lavoro – data anche la scarsità di personale – in cui siamo impegnati.

Dato che ora ho un momento di tranquillità, vorrei venerato Padre, manifestarLe alcuni pensieri che di continuo occupano la mia mente, sia pure in mezzo alle svariate e, tante volte, opprimenti occupazioni.

Vivo insieme con tanta povera gente: nelle miserabili abitazioni, negli incontri, nell’ufficio parrocchiale e condivido ormai gioie e sofferenze, più sofferenze che gioie.

Torno ora dalla visita a una povera donna, mamma di famiglia, ammalata di TBC, con una figliola da preventorio ed il marito in prigione, la quale essendo sprovvista di libretto di povertà, è costretta a pagare medico e medicine… è l’ultimo dei tanti casi che incontro ogni giorno.

… Ogniqualvolta lascio la canonica e visito la borgata e raccolgo le voci, gli spasimi, le angosce ed il martirio di quei fratelli, torno a casa con il cuore afflitto ed il martirio loro diventa il mio martirio.

Ed il dolore più grande lo provo quando penso che io non posso far niente o poco per alleviarli; in quei momenti di sconforto mi getto ai piedi del Tabernacolo e dico tutto a Gesù, e ho dei fatti che la preghiera non è inutile.

Quante famiglie condannate alla miseria, alla fame, alle malattie, alla sofferenza!

Quale contrasto poi si sente, quando si entra in Roma! Là, leggerezza, mondanità, egoismo, sperpero, soddisfazioni, capricci, ogni comodità ed ogni ritrovato per rendere più lieta e più splendida la vita: qui si lotta per la vita.

Allora mi chiedo: dov’è il cristianesimo?

… Ma la colpa è tutta nostra, che non sappiamo vedere Cristo nel cencioso e nel miserabile; la colpa è tutta nostra, perché nel sofferente non vediamo più la perpetuazione della passione di Cristo: e, perduta questa visione soprannaturale, ci siamo allontanati e abbiamo lasciato libero il campo a Satana per le sue facili conquiste.

Noi cristiani abbiamo una Dottrina, dei principi così umani, così aderenti all’uomo, con cui potremmo debellare con tutta facilità l’opera nefasta di Satana. Cristo nel fratello! Non si tratta più di un essere inidentificato, ma di un uomo che porta nella sua carne l’effige di una personalità divina: Cristo! Un appartenente alla mia stessa famiglia, carne della mia carne. E’ inutile che noi vogliamo sconfiggere il comunismo a tavolino o ricorrendo all’apologetica: sarebbe come se un generale tracciasse i piani dell’offensiva senza dar ordine ai soldati di attaccare; occorre affrontarlo il comunismo e incontrarsi con questo sul campo di battaglia, ma finché i cristiani non faranno quello che i comunisti promettono, la battaglia sarà sempre perduta.

Da parte nostra, con il povero occorre sempre molta comprensione, comprensione che è frutto di fede – vedere Cristo nel povero: ed è frutto di un illimitato amore – virtù che ci fa amare anche se non vi è niente di amabile all’apparenza. Oh! se noi sapessimo che ci sono dei cuori che ci vogliono bene!

Mi pare che questa rivoluzione spetti proprio a noi Poveri Servi di compierla. Il nostro spirito è scaturito dalle fonti genuine del santo Vangelo: l’Opera dei Poveri Servi vuole essere copia vivente del Vangelo. C’è bisogno di questo lievito nel mondo e di questo Lei, amatissimo Padre, ne parla di continuo nelle Sue lettere. Ma come c’è bisogno di non allontanarci da questo spirito! Lo comprendo in questo momento più che mai, e come capisco le Sue ansie per tenerci legati a questi santi principi! Guai a noi!

Lo trasmetteremo questo spirito al mondo in proporzione di quanto lo possederemo noi. L’Opera, che è partita scegliendo come campo preferito i “rifiuti di tutti”, deve rimanere qui; il Povero Servo deve essere pieno di comprensione, vicinissimo spiritualmente e fisicamente a colui che soffre, deve raccogliere le angosce, farle sue, mettersi perfettamente sullo stesso piano dei rifiutati e dividerne le ansie e i dolori, vivere povero con il più povero.

L’Opera possiede tutto questo corredo: Paternità di Dio, uguaglianza perfetta tra i membri della Famiglia, preferenza per i più disgraziati divenuti padroni; amore senza misura, “stofegarli de carità”. Quanto è sublime questo spirito! Io credo nell’onnipotenza dello spirito dell’Opera, che è né più né meno che lo spirito del Cristianesimo.

Vale la pena di sacrificarsi nel vivere così, quando si pensa alle benefiche conseguenze che opererà questa forza viva. Scusi, amato Padre, se mi permetto di dire un mio pensiero: secondo me, l’Opera conserverà la freschezza della sua vitalità solo se rimarrà sempre tra i più miserabili, tra gli scarti, negli ambienti rifiutati dagli altri; se invece, prima di accettare un luogo di apostolato (missione), faremo i nostri calcoli umani, l’Opera s’imborghesirà e finirà con il perdere la sua meravigliosa fisionomia.

Le chiedo scusa della lunga chiacchierata; per me era necessaria: in fondo, un figliolo può dire i suoi pur poveri sentimenti al Padre, e mi perdoni: io desidero solo di essere ricordato al Signore, per vivere da Povero Servo…”.1

Sì, è vero, non dobbiamo andare avanti con calcoli umani, ma nella luce divina del “Quaerite primum”. Ricordatevi che la Chiesa è Cristo, Cristo è l’Opera, la Chiesa quindi è l’Opera. Satana freme; che importa a lui del comunismo, della guerra, del mondo! l’unica paura è la Chiesa; quindi l’Opera, che egli vorrebbe non quale il Signore l’ha fatta.

State ben attenti tutti a non travisare il pensiero di Dio; niente aggiornamenti fuori del Vangelo; le nostre mire siano davvero sempre per i poveri, per i più poveri, per i più abbandonati, per i più sprovvisti di mezzi. Se ci fosse da fare una scelta, si dia sempre la preferenza a quelli che sono sprovvisti di ogni umano appoggio: dove mancano gli uomini, interviene sicuramente la Provvidenza del Padre Celeste; il “Quaerite primum” esige anche questo!

L’Opera, nata nel Costato di Cristo, deve vivere dei palpiti di quel Cuore divino che pulsava per gli infelici, per i poveri… “Evangelizare pauperibus misit me”!

E se questi nostri cari confratelli si sentono abbandonati dagli uomini, che sentano almeno che noi siamo uniti a loro, con la preghiera, con l’aiuto, con la carità. Dobbiamo sentirlo questo desiderio di profonda unione e comprensione fra noi. Dobbiamo formare un tutt’uno un solo blocco, come uno è il Corpo Mistico di Cristo. Per carità che Satana non trovi fessure, screpolature per infiltrarsi e rovinare le opere di Dio! E’ sempre stata per me una spina angosciosa il pensare che forse tra noi non ci sia una unione perfetta, tutta quella comprensione tra Superiori e fratelli, quale è assolutamente indispensabile per compiere i disegni di Dio nell’ora attuale.

State uniti nell’osservanza perfetta dei voti, nella confidenza col vostro Padre, nello sforzo continuo e incessante verso la perfezione, fedeli sempre alla divina nostra vocazione.

Sono tanti anni che ho la grazia di servire il Signore, eppure, ve lo dico in confidenza, ogni giorno, quando indosso la mia veste sacerdotale, ancora da quando la indossai la prima volta, la bacio con gioia nuova e ogni sera recito un’Ave Maria per la perseveranza nella santa vocazione. E voi pregate sempre per me, perché il Signore giudica totaliter aliter dagli uomini: che io non sia come uno di quei cartelli indicatori delle strade, che indicano la via, ma non si muovono mai e mai arrivano dove indicano.

Vi ripeto ancora: siate fedeli e generosi. Guai se qualche Povero Servo tradisse in se stesso la missione che Dio, Padrone assoluto, ha affidato all’Opera! mio Dio quale responsabilità!

Vi parlo nella luce della eternità, siate santi, siate in efficienza; il Signore Gesù sta passando in revisione la macchina pezzo per pezzo; chi non è a posto, sarà scartato e sostituito. Non date un tale dispiacere al Signore, non date un tale dolore al vostro Padre, che tutti vi pensa, tutti vi porta nel cuore e tutti ad uno ad uno vi segue con trepida ansia.

La Madonna ci aiuti ad essere fedeli, come fu Lei, alla nostra sublime vocazione.

* LETTERA LXXX Verona, Festa di S. Giovanni 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori e li infiammi del divino amore.

Vi porto sempre nella mente e nel cuore, e ringrazio la divina Provvidenza che ci ha uniti in quest’Opera, che è tutta del Signore nel più vero senso della espressione, perché Lui l’ha fondata, diretta, sostenuta materialmente e più ancora spiritualmente, dandole la grazia di fare del bene a tante e tante anime lontane e vicine. Quale dono, miei cari fratelli, e come dobbiamo essere riconoscenti e domandare al Signore l’aiuto e la forza di vivere lo spirito puro e genuino, spirito che Gesù ha messo fin da principio e che è condizione indispensabile perché si possano compiere i nuovi disegni, tutti propri della grande ora che attraversiamo!

Come sapete, da qualche tempo la mia salute lascia al quanto a desiderare; per me è un continuo richiamo e ammonimento a tenermi pronto per la grande chiamata, per voi un invito a pregare tanto, ma proprio tanto per me, perché ho estremo bisogno prima per la mia povera anima, poi anche perché il Signore mi dia la forza di compiere in tutto e sempre la sua santa volontà, accettando generosamente quello che Gesù vuole da me in quest’ultimo scorcio della mia povera vita.

Amati fratelli, teniamoci tutti preparati e pronti, affinché quando per ciascuno di noi suonerà l’ora solenne della divina chiamata, possiamo rispondere il nostro “adsum: presente!” con lo spirito puro e genuino integralmente vissuto.

Vorrei dirvi tante cose, miei cari ed amati fratelli, ma comprendo tutto in poche parole: mi pare di sentire che andiamo incontro a delle grandi prove, che tuttavia serviranno al compimento dei divini disegni, tanto più se impreziosite dalla nostra generosa accettazione della divina volontà. Sarà la sicura vittoria per noi, o dirò meglio, del Signore stesso in noi.

Tutti, ma specialmente sacerdoti e religiosi, e ancor più noi Poveri Servi, dobbiamo tenere fisso nella mente che sempre, ma particolarmente in quest’ora, quello che assicura la vittoria è il Vangelo messo in pratica sine glossa e senza compromessi. Mano all’Opera dunque, per farci santi e corrispondere così alla nostra grande vocazione; solo così gioveremo alla salvezza di tante anime, e compiremo i divini disegni e metteremo al sicuro la nostra anima, la nostra eternità. Non dimentichiamo mai che la vita presente ha la sua ragione di essere solo in ordine alla vita futura; tutti abbiamo un’anima da salvare. “Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se perde la sua anima?”. Queste verità, ricordiamolo bene, sono per gli altri, ma anche per noi, sacerdoti e religiosi, anche per noi Poveri Servi!

Vi scrivo queste parole come un mio spirituale testamento; fatene tesoro, o miei cari, affinché ci possiamo un giorno trovare insieme uniti nel santo Paradiso. Come saremo contenti di aver lavorato in quest’Opera, quanto godremo del premio eterno ed infinito che Gesù ci ha preparato! Coraggio, miei cari ed amati fratelli, facciamoci santi, ma sul serio!

Paternamente vi ringrazio delle preghiere che son certo e sicuro voi farete per me nella cara ricorrenza di S. Giovanni mentre più con il cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXI Verona, 21 luglio 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi tutti, e ci ispiri generosi propositi di sempre miglior servizio a Dio e alle anime.

Qui davanti al mio Crocefisso, penso e ripenso a voi; vi vedo intenti alle vostre mansioni, animati da zelo per il bene del prossimo, per la santificazione delle anime. Oh, quanto grande è la vocazione di Povero Servo! più vado avanti e più mi convinco che il Signore ci ha fatto una grazia specialissima di predilezione chiamandoci nella sua Opera. Ma quale responsabilità pesa su noi, o miei cari, di corrispondere nello spirito puro e genuino impresso dal Signore! Beati noi se ci sforziamo di essere all’altezza della vocazione, e di essere degni della fiducia che il Signore ha riposto in noi per l’avvenire dell’Opera stessa!

Procuriamo dunque di far bene, di camminare nella via della santità religiosa; è tutto nostro interesse, ed è interesse delle anime che il Signore ci ha affida.

Due cose in particolare vi raccomando: la vita interiore e lo studio delle sante Regole. Sono i due mezzi sovrani per corrispondere alla santa vocazione e fare tanto bene, come vuole il nostro stato.

La vita interiore: non sarà mai raccomandata abbastanza; se per tutti i cristiani Gesù ha detto: “senza di me non potete far niente”; quanto più per noi religiosi, chiamati a lavorare per le anime! Potremmo faticare, sudare, consumarci in cento e mille attività; ma se manca la vita interiore, non concludiamo nulla, perché manca il contatto con il divino, e il Signore non può adoperarci come suoi strumenti.

Diamo perciò il primo posto alla vita interiore; teniamoci strettamente e intimamente uniti a Gesù Cristo con lo spirito di orazione, con fervido amore, che ci faccia pensare continuamente a Lui e ricorrere al suo aiuto, indispensabile perché il nostro apostolato sia fecondo.

Le sante Regole poi, sono la guida sicura del nostro operare; esse sono come le rotaie, il binario su cui deve correre il treno della nostra Opera. Abbiate un sacro rispetto per le Regole; vedete in esse la parola espressa di Dio; sotto un certo aspetto dovete venerarle quasi come le pagine del Libro divino. Leggetele, studiatele con amore, con desiderio di approfondirne lo spirito, e così diventare ogni giorno più Poveri Servi.

Cari ed amati miei fratelli, fate tesoro delle mie povere parole, che scrivo quali mi nascono dal cuore, per l’unico scopo della vostra santificazione personale e dello sviluppo di questa Opera del Signore. Iddio ha dei disegni suoi speciali da attuare in quest’ora grave, a bene delle anime. Voi sapete che fuori della Chiesa sono quasi due miliardi di uomini nostri fratelli; e anche quelli il Signore vuole salvare; ma, pure, guardate che mistero di bontà!. Egli guarda ai suoi eletti come se fossero i soli nel mondo, come non ce ne fossero altri! Gli è perché il Signore vuol servirsi degli eletti a vocazione speciale, per portare la salvezza nel resto del mondo, per conquistare tutta quella grande massa di suoi figli e nostri fratelli ancora lontani dalla luce del Vangelo.

Corrispondiamo fedelmente, generosamente, alla divina predilezione: all’infinito amore di Dio, cerchiamo di dare il contraccambio con tutto il nostro povero cuore, senza eccezioni, senza riserve. Oh, noi beati! avremo la pace e la benedizione di qua, pegno e caparra di quella felicità che tutti aspettiamo di là da questa vita che passa.

Prima di terminare lasciate che vi raccomandi una cosa di grande importanza. Vi raccomando sempre lo spirito puro e genuino dell’Opera; ora, che siamo nel periodo estivo, bisogna che stiamo attenti a non metterci per la strada comune riguardo alle vacanze e al soggiorno di riposo. Non vorrei che entrasse in noi la smania dei monti, del mare, delle gite, ecc. Il corpo ha bisogno sì del legittimo riposo e sollievo; ma attenti che non ne vada di mezzo lo spirito dell’Opera. Non sarebbe ben fatto che un Povero Servo accampasse pretese di vacanze, scegliendo lui il tempo, il luogo, la durata, ecc., costringendo così il Superiore a delle concessioni che non piacciono al Signore.

Se c’è un vero e reale bisogno, lo si fa presente con umiltà, e senza insistenze, abbandonandosi serenamente alla Provvidenza per ogni decisione. Il Povero Servo deve ricordarsi che non è un “padrone”, tanto meno nella Casa del Signore, dove unico Padrone è Gesù Cristo.

Per andare in montagna, o al mare, e tanto più a casa dei suoi, il vero Povero Servo si rimette ai Superiori, pronto e disposto a rinunciare alle sue vedute, e anche al sollievo, certo e sicuro che il Signore non mancherà di provvedere al suo benessere fisico anche con miracoli, se fosse necessario.

Siamo “servi”, siamo “poveri servi”; che varrebbe questo bel nome se non vi corrisponde la realtà? Se volessimo agire da padroni, da signori che si vogliono prendere tutte le libertà, tutti gli svaghi? Voi capite che saremo fuori di strada completamente; lo spirito sarebbe alterato, rovinato, compromessa l’Opera tutta, e compromessa la nostra personale santificazione.

Quindi, dopo aver molto riflettuto e pregato, mi pare di dover richiamare nel Signore qualche norma per regolare questa materia:

1) – Quando si tratta di colonie per i nostri giovani, il Superiore locale destina lui chi andrà per l’assistenza, e quanto tempo vi si fermerà, anche per stabilire una certa rotazione, senza compromettere l’andamento della Casa.

2) – Se non funzionano Colonie, il Superiore stabilirà con somma prudenza il tempo e il luogo e la durata del periodo di vacanza, quando lo ritiene utile alla salute dei confratelli.

3) – Di regola ordinaria, non si chieda di andare in famiglia per le vacanze; ne potrebbe andare di mezzo lo spirito religioso, e talvolta la vocazione stessa, come una lunga esperienza ormai ha dimostrato. Del resto, credetelo: le vostre visite alla famiglia sono più gradite e giovevoli quando non sono frequenti e non si protraggono troppo tempo; la permanenza prolungata diventa spesso un imbarazzo per la famiglia stessa.

4) – Andate in un luogo, con i debiti modi, si stia alle condizioni ordinarie, senza cercare soddisfazioni e divertimenti eccessivi. Non si creda il Povero Servo, per il fatto che è in permesso, di poter fare alto e basso, andare a destra e a sinistra, di qua e di là, magari lontano dal luogo di soggiorno… E’ cosa stonata questa smania di girare; il Povero Servo sta contento alle cose ordinarie, senza voler fare come gli “altri”, come i ricchi, lui che è povero.

In particolare, poi, raccomando di non allontanarsi dal luogo di soggiorno così da dover pernottare fuori casa, all’albergo o disturbando case private, canoniche, ecc.

5) – Sarà poi una cosa bella e santa cosa, molto gradita al Signore, che, prima di andare in colonia o in vacanza, si passi parola con i Superiori Maggiori, col vostro Padre, per aver la benedizione e l’approvazione, specialmente se si trattasse di viaggi fuori dall’ordinario, pellegrinaggi lontani, ecc. E’ molto importante, sapete, dipendere in questo, e non fare di propria testa. Né valga il pretesto che c’è un invito, che le spese sono pagate, ecc. Non si tratta di spese, ma di anime, e di spirito religioso, di umiltà pratica e di dipendenza figliale, che vale ben più dei soldi.

6) – Ospite in qualche casa, il Povero Servo si ricordi bene di tenere un contegno edificante, riservato, modesto: lo richiede il dovere dell’ospitalità, e più ancora lo stato di perfezione che professiamo.

Questo vale per tutti; ma più particolarmente per i sacerdoti nelle case canoniche, e dovunque vadano per ministero od altro.

In una parola voi capite il mio pensiero e la mia preoccupazione: da Poveri Servi che ci dichiariamo, non dobbiamo fare come tutti gli altri, che, finito l’anno scolastico, parlano già di vacanze, di mari e di monti, come cosa di ordinaria amministrazione, come cosa dovuta, come un diritto. Se le vacanze vengono, il Povero Servo ne approfitta come di un dono di Dio, sempre convinto, per altro, di non averne alcun diritto, quindi sempre pronto a stare fermo al suo posto se i Superiori non lo mandano in vacanza, e senza fare confronti con i suoi confratelli di questa o quella Casa.

Questo, per conto mio, è lo spirito puro e genuino che dobbiamo conservare integro e tramandare a chi verrà dopo di noi.

I Superiori, dal loro canto, abbiano zelo per la salute dei religiosi loro affidati e provvedano meglio che possono, sempre secondo lo spirito dell’Opera, perché non manchi ciò che è utile e opportuno. A tal fine si terranno in stretta relazione con la Casa Madre, sottoponendo a chi di ragione i loro progetti e la loro necessità.

Ed ora che vi ho aperto l’animo su cose assai importanti, vi raccomando tanto di pregare per me, che ne ho estremo bisogno.

Io sempre prego per voi e per quanto vi è caro sulla terra.

Di gran cuore vi benedico nel nome del Signore, augurando di essere veri Poveri Servi, degni della mercede che Iddio vi tiene preparata lassù.

* LETTERA LXXXII 10 agosto 1953

Miei cari ed amati figlioli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Voi sapete quanto mi stia a cuore l’unione e la mutua carità delle varie famiglie religiose fra loro e con la Casa Madre, essendo, questa, condizione indispensabile per vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera. Ut omnes unum sint! Dobbiamo dar noi, Poveri Servi, I’esempio di questa unione e fusione di cuori, che tanta gloria procura a Dio e tanta edificazione a tutti quelli che ci osservano.

A favorire questa unione, molto giovano le visite canoniche dei Superiori, compiute personalmente oppure per mezzo dei loro inviati.

E’ proprio a questo fine e con questo mandato che ora viene a voi il caro Don Carlo Sempreboni, che voi riceverete come fossi io stesso e con l’autorità che compete al Visitatore, a tenore delle nostre sante Costituzioni (art. 266 e segg.).

Sempre vi ricordo, prego e benedico tutti e ciascuno di voi.

Vi raccomando tanto di disporre il vostro cuore a far bene i prossimi santi Spirituali Esercizi, affinché essi portino un rinnovamento di spirito in ciascheduno di noi e in tutta la diletta nostra Congregazione, che è tutta di Gesù.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere. Più col cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXIII Verona, 31 agosto 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto sia sempre nei nostri cuori, e ci illumini su quello che dobbiamo fare per corrispondere sempre meglio alla vocazione.

Ieri sera il Signore ha disposto che vi dicessi una parola, quale mi nasceva spontanea nel cuore, come introduzione ai santi Spirituali Esercizi; ora, anche non essendo a voi presente fisicamente per i tanti miei incomodi di salute, pure vi sono presente e vicinissimo di spirito, particolarmente con questo mio scritto, che mi sento di rivolgervi in questo santo tempo.

Come vi ho detto, sono convinto che gli Esercizi del 1953 abbiano una loro importanza speciale, come speciale è l’Opera alla quale apparteniamo per una grazia di predilezione. Guardiamo dunque di farne tesoro, di approfittarne col massimo impegno. E il punto di capitale importanza, ricordatelo bene, è la nostra santificazione personale, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. A questo sono indirizzati gli Esercizi; a questo dobbiamo indirizzare il nostro lavoro spirituale in questi santi giorni.

Miei cari ed amati fratelli, ogni Congregazione che il Signore ha suscitato e suscita nella sua Chiesa, ha la sua finalità propria; la nostra Congregazione dei Poveri Servi – voi lo sapete ormai, perché tante volte ve l’ho ripetuto – ha il suo spirito, impresso da Gesù stesso; tocca a noi mantenerlo puro e genuino, per tramandarlo agli altri che verranno. Quale responsabilità per noi, ma anche quale merito se corrispondiamo! compiremo i divini disegni in quest’ora grave e difficile della storia umana; coopereremo alla riforma del mondo, alla rinascita del mondo ad una vita veramente cristiana. Ma come potremmo fare questo, se non ci santificassimo prima noi? Ecco il punto che vi raccomando tanto e poi tanto di tenere in vista in questi santi giorni: santificare noi stessi per santificare gli altri.

Vi raccomando o miei cari fratelli, la vita interiore di unione con Dio; rinnovatevi nel fervore delle pratiche di pietà, per farle con sempre maggior frutto e ricavarne sempre nuova fiamma di amore di Dio, per riscaldarne anche i fratelli del mondo.

Abbiate la massima confidenza nel “Casante” dell’Opera, presente e futuro; è troppo importante questa cosa, per il nostro avanzamento spirituale e per lo sviluppo dell’Opera stessa. Il Casante vi rappresenta Iddio, ed è l’autentico interprete della divina volontà, e dello spirito puro e genuino che deve animare l’Opera. State sempre a quello che dice lui, non sbaglierete strada; anzi coopererete a che l’Opera rimanga nel suo giusto binario.

Amate Nostro Signore Gesù Cristo; coltivate la fede pratica nella sua presenza attiva in mezzo a noi. Egli non è lontano, ma vicino; anzi è in noi. Lasciamoci guidare da Lui; cerchiamo di ricopiare i suoi esempi, di imbeverci della sua dottrina e delle sue massime divine.

Fede in Dio, o miei cari; quante volte ve l’ho detto e raccomandato! Fede pratica in Dio, nelle sua Provvidenza, che ha cura di ogni cosa, ma per noi ha una cura tutta speciale. Iddio non si smentisce, né vien meno alle sue promesse; cerchiamo al di sopra di tutto e sempre il suo Regno: e tutto quello che è necessario alla vita materiale l’avremo in aggiunta.

Nessuna forza esteriore varrà a scrollare l’Opera dei Poveri Servi, se noi saremo in efficienza come ci vuole il Signore. Soltanto noi possiamo rovinare l’Opera se non corrispondiamo, se deviamo dallo spirito puro e genuino, se, in una parola non ci facciamo santi. Curiamo dunque nel silenzio la nostra santità personale, nell’abbandono figliale in Dio. Un’eletta schiera di santi vale di più che tutte le conferenze di questo mondo. Prepariamo al Signore dei santi, noi stessi; e il Signore ci adopererà quando e come crederà opportuno.

Tempo fa una persona molto autorevole e spiritualmente tanto unita a quest’umile Opera del Signore mi scriveva: “I Poveri Servi rappresentano nella Chiesa di Dio una mano di lievito evangelico. Spetta poi al Signore di impastarlo con le tre staia di farina; Egli ha i suoi tempi e i suoi modi”. Vi confesso che queste parole fecero a me grandissima impressione; vedete, miei cari, cosa si dice e si pensa di noi; quale dono, ma quale responsabilità!

Ma qui vi faccio un altro rilievo pure di grande importanza: la nostra Congregazione è adoperata dal Signore per i suoi fini speciali, e, con la sua grazia, fa del bene grande, come si vede ogni qual tratto: con il suo spirito speciale, e anche con gli scritti che il Signore si compiace di diffondere. Ebbene, non sia mai che ci abbiamo a preferire agli altri, e ci atteggiamo quasi fossimo qualche cosa; peggio, dei riformatori: per carità riformiamo noi stessi, e diciamo sempre che noi siamo dei poveri servi, che ci sforziamo di santificare noi stessi, secondo il nostro spirito: spirito di umiltà e di nascondimento, di abbandono in Dio.

Sento che il Signore ha qualche disegno speciale da maturare; quale? Non so dirlo; ma so di certo che solamente se noi staremo allo spirito puro e genuino, si compirà questo disegno; altrimenti no. Che grande responsabilità, se per causa nostra i disegni della Provvidenza non si maturassero!

Il Signore parla e parlerà in questi santi giorni, a tutti e a ciascuno; stiamo attenti alla voce del Signore, e facciamo di tutto per seguirla docilmente.

Non perdiamo mai di vista il Signore Gesù, che ci ha qui chiamati e raccolti nel suo nome; Egli sarà sempre con noi “usque ad consummationem saeculi”, come ha promesso, a patto che noi Poveri Servi, cerchiamo di stare uniti a Lui di cuore e di spirito.

Termino o miei cari fratelli, raccomandandomi caldamente alla carità delle vostre preghiere, ché ne ho estremo bisogno. Io prego per voi, per quanto vi sta a cuore, prego che siate cor unum et anima una nel divino servizio qui in terra; perché possiamo poi trovarci uniti lassù, nel gaudio eterno preparato ai “servi buoni e fedeli”.

* LETTERA LXXXIV Verona, 3 ottobre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei vostri cuori.

Mai, posso dire, ho pensato tanto a voi, come questa volta, durante questi santi spirituali Esercizi che state per terminare. Mi sento vicino, presente anzi, in mezzo a voi, quantunque la salute non mi abbia permesso di venire di persona, come ardentemente avrei desiderato.

Voi certamente in questi santi giorni, avete sentita chiara e forte la voce del Signore, che vi manifesta la sua santa volontà, per la vostra santificazione personale e per la santificazione di tutta l’Opera, alla quale senza alcun nostro merito apparteniamo.

Io prego il Signore a confermarvi nei santi propositi che vi ha suggerito, specialmente per mezzo della parola del predicatore, e anche per le buone ispirazioni che certo non ha mancato di mandarvi. Che tutti possiate uscire da questi santi Esercizi rinnovellati in quello spirito della santa vostra vocazione, nel desiderio ardente di cercare sempre al di sopra di tutto il santo regno di Dio e nello sforzo di farvi santi, veramente santi, per santificare le anime.

Qui, ai piedi del mio Crocefisso, mi sento tanto in mezzo a voi, che mi par di vedere non solo tutti in generale, ma ciascuno in particolare: lo vedo nella sua anima, nei suoi desideri, nei bisogni particolari, nei voti che formula per la sua vita avvenire di Povero Servo fortemente affezionato alla sua santa vocazione. Sì, vi vedo tutti, ad uno ad uno, con premura paterna; e per tutti come per ciascuno, innalzo al Signore la preghiera, perché questi Esercizi abbiano a segnare una data fatidica nella vostra vita e nella vita della Congregazione intera. Gli Esercizi del 1953 mi sono sempre apparsi in questa luce di un profondo rinnovamento spirituale per noi, per le nostre anime, per tutta l’Opera del Signore.

Sia per ciascuno di voi il santo proposito: “Ego dixi: nunc coepi”; adesso comincio proprio sul serio ad amare e servire Iddio, con la massima generosità di cui sono capace. Oh, quale vantaggio per tutta l’Opera! Come Gesù guarderà a noi, per adoperarci nel compimento dei suoi divini disegni nell’ora attuale così grave e decisiva! Animo, fratelli! Teniamoci pronti, par compiere quanto il Signore domanderà.

Cerchiamo tutti di mantenerci fedeli allo spirito puro e genuino che Gesù ha impresso nella sua Opera; quante volte ve l’ho raccomandato! ora ve lo ripeto con tutto il cuore, perché da questo dipende non solo l’avvenire dell’Opera, ma anche, o miei cari, l’avvenire spirituale ed eterno della nostra anima. Niente può far del male, rovinare l’Opera, quanto noi stessi, se ci lasciamo andare su questo punto di capitale importanza. Ma se noi tutti, un cuor solo e un’anima sola, ci conserviamo sul giusto binario tracciato dal Signore, oh, allora sì compiremo i divini disegni, e assicureremo l’Opera per sempre nuovi sviluppi, a gloria di Dio, a vantaggio delle anime.

Pregate tanto per me, che sono così vicino al traguardo della mia povera vita; pregate che capisca una volta il valore e la preziosità della sofferenza, prima per la mia anima e per ottenere la divina misericordia, e poi per l’Opera stessa. Aiutatemi voi con le vostre preghiere, con la vostra corrispondenza alla grazia della vocazione, con la vostra santità e il vostro fervore nel divino servizio. Voi siete “il mio respiro”, voi date così l’ossigeno a me poveretto, ormai sulla soglia della eternità. Pregate per me: è questa una grande e squisita carità, della quale vi sono grato e riconoscente, e della quale il Signore non mancherà di ricompensarvi in modo tutto speciale.

Voi, cari ed amati fratelli, siete l’eletta schiera che Gesù si è scelta per i suoi fini reconditi; alcuni di voi siete sacerdoti, insigniti perciò di un carattere sacro che eleva al di sopra dei fedeli; altri siete Fratelli, chiamati a collaborare pienamente coi sacerdoti: tutti una sola famiglia, tutti un solo cuore pulsante, tutti uno spirito vivificante per l’Opera del Signore. Amatevi gli uni gli altri; aiutatevi a vicenda, secondo il precetto di Gesù; e farete cose grandi, farete miracoli nella mistica vigna del Signore. E’ tale la volontà di Dio, manifestata in tanti modi chiari e palesi; sacerdoti e fratelli, uniti nella carità di Cristo, in parità di condizione, tutti protesi nell’anelito di Cristo: salvare anime.

Termino questa mia lettera, che vuole stare in luogo di una mia venuta tra voi, resa impossibile dalle mie condizioni precarie della mia povera salute. Faccio a voi i più fervidi auguri di santità, di amore di Dio, sotto la protezione di quella Madre celeste che in questo mese suo onoriamo in modo solenne.

A Dio piacendo, sabato 3 celebrerò la santa Messa per il Rev. Padre Predicatore, che con tanta unzione e tanto zelo vi ha dispensato la divina parola, e vi ha mostrato la strada giusta per farvi santi e corrispondere alla vocazione. Il Signore lo rimeriti di tanta spirituale carità, e benedica tutto quello che Egli fa per la gloria del Signore, nell’esercizio del suo ministero.

Che tutti ci possiamo trovare uniti lassù, nel santo Paradiso, dopo di aver lavorato unitamente qui in terra nell’Opera del Signore. Come saremo contenti d’aver spesa la nostra povera vita per il Signore! Che bel premio darà il divino Padrone ai servi buoni e fedeli!

Più col cuore che con la mano vi benedico tutti con quanto avete in cuore.

* LETTERA LXXXV Verona, novembre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Sono qui ai piedi del mio Crocefisso ed ho davanti agli occhi più che mai viva la visione dell’immenso cataclisma abbattutosi sui vasti territori dell’Europa settentrionale.

Come il cuore mi si stringe, come sanguina al pensiero che decine e decine di migliaia di nostri fratelli sono rimasti da un momento all’altro privi di tutto, perché tutto fu travolto dalla furia delle acque! E penso in modo particolarissimo a tanti ammalati, ai vecchi alle donne, ai bambini piangenti, smarriti, dispersi, nell’ansiosa ricerca dei propri cari, che forse non ritroveranno più. Penso a tanti poveretti rimasti vittime sotto il crollo delle case o spazzati via e ingoiati dalle onde paurose del mare; ai moltissimi altri in preda al terrore nell’imminente pericolo di essere essi pure travolti, che da ore e ore lanciano il loro disperato S.O.S. e dal cuore affranto sale supplichevole l’umile preghiera: Signore salvali! e salva, sostieni, proteggi coloro che, in nobilissima gara di fraterno amore da tutte le parti del mondo sono corsi in loro aiuto!

Cari ed amati fratelli, unitevi tutti con me nella medesima preghiera; in ognuna delle nostre Case si celebri una santa Messa e si faccia una intera giornata di preghiere per i nostri fratelli, così duramente colpiti. Poi guardate se nelle vostre case potete mettere a disposizione dei posti, anche a costo di sacrificio, per accogliere dei giovanetti particolarmente bisognosi di quelle regioni; che se il Signore vi ispira di fare qualche altra cosa, ditemi subito il vostro pensiero, e io sarò ben lieto di benedire ogni provvida iniziativa, che sia conforme al nostro spirito.

Ma oltre a questo, miei cari ed amati fratelli, riflettiamo seriamente per nostro ammaestramento, domandiamoci: perché il Signore permette queste immani sciagure? Non già nella pretesa di voler penetrare gli occulti giudizi di Dio, ma piuttosto nell’umile adorazione di quello che per noi sarà sempre un mistero, ma tuttavia mistero d’amore. Poiché, anche in questi dolorosissimi avvenimenti, dobbiamo vedere la luce della Paternità di Dio. Dio è Padre sempre, anche quando ci visita con le tribolazioni; Egli non castiga mai solo per castigare; i suoi castighi non sono altro che inviti e richiami della sua infinita misericordia; ci corregge per salvarci, ci manda delle pene perché ci liberiamo dalle colpe, dal peccato che è l’unico vero male, l’unica vera disgrazia. Che se i peccati provocano la giusta collera del Signore, e specialmente certi peccati: la lotta organizzata contro Dio, la profanazione dei giorni festivi, il dilagare della corruzione che aumenta sempre più, gli scandali tesi alla innocenza, la dissacrazione della famiglia e del santo Matrimonio, e anche, dobbiamo pur confessarlo, da parte di anime consacrate l’abbandono della propria vocazione o l’incorrispondenza ad essa; se questi peccati, ripeto, provocano la giusta collera del Signore, tuttavia il grido di tanti dolori e sofferenza senza nome e senza numero, oh come implorano e ci rendono propizia la divina misericordia!

Ma oltre a ciò, con la voce impressionante di questi avvenimenti Dio vuole potentemente richiamare sul retto sentiero la povera umanità, che è come scardinata dai santi principi dell’onestà e della giustizia, della religione e della morale evangelica, poiché non vi può essere speranza di salvezza fuori di Cristo e del suo santo Vangelo. Ritornare a Cristo, praticare il Vangelo con assoluta coerenza, ecco per noi e per tutti il pressante ed urgente richiamo di questi avvenimenti.

Ma ecco che Vangelo vissuto, cristianesimo pratico è pure questa consolante gara di aiuti, che viene offerta in uno slancio di fraternità e solidarietà umana e cristiana. Il dolore affratella i popoli; nel dolore cadono molte barriere, cessano le divisioni i rancori, gli odi; nell’amore ancora trionfa Cristo. Ed ecco un terzo motivo perché il Signore permette questi sconvolgimenti che tanto ci rattristano.

Miei cari ed amati fratelli, con la preghiera, con la santità della vita, specialmente nei Poveri Servi della divina Provvidenza, cerchiamo di contribuire affinché trabocchi la bilancia divina dalla parte della misericordia. Anche per noi è il richiamo di questi giorni, perché viviamo bene, perché corrispondiamo alla nostra santa vocazione. Mai come adesso occorrono dei santi, che siano i canali della divina Grazia. “Bisogna reagire – mi scriveva ieri un distintissimo personaggio – non solo contro il materialismo, ma altresì contro un cristianesimo naturalizzato”. Purtroppo è così: da molti, da troppi cristiani non si vive che per la terra e si dimentica il Cielo. Non si pensa che di soddisfare la sete insaziabile di piacere e di divertimento, senza riguardo alla santa legge di Dio, come un giorno non dovessimo tutti rendere conto a Dio, del nostro operato.

Facciamo tesoro noi intanto di questi insegnamenti e facciamo anche dei santi propositi, che ci aiuteranno anche a santificare la Quaresima, tempo particolarmente accettevole, giorni di salute per noi e per tanti nostri fratelli.

Quanto ho bisogno di preghiere per fare fino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi! Nella mia povertà sempre vi ricordo e prego, e in questo momento più col cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXVI Verona, 26 novembre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto e la protezione della cara Madonna siano sempre con noi.

Siamo entrati nella Novena della Immacolata; ed il mio cuore esulta con voi, nel celebrare il grande privilegio della Concezione Immacolata concesso dal Signore alla nostra Madre celeste.

Sono cent’anni che la Chiesa ha definito come Dogma questa verità sempre creduta e festeggiata nel corso dei secoli. La festa della Immacolata – che per noi dell’Opera è la più grande e solenne in onore di Maria SS. – ci introduce nel grande Anno Mariano. Come deve gioire il Povero Servo, e con quale fervore di spirito deve celebrare questo anno benedetto! Se tutti i cristiani, dietro l’esortazione paterna del Vicario di Cristo, devono celebrarlo col massimo fervore, il Povero Servo deve sentirsi in dovere di andare innanzi a tutti gli altri, se fosse mai possibile, o almeno di non essere secondo a nessuno, nell’onorare la Madonna in questo glorioso suo titolo: l’Immacolata.

Voi avete letto certamente l’Enciclica del Santo Padre a questo proposito; rileggetela spesso, per innamorarvi sempre più della celeste Madre, e infervorarvi a procurare la sua gloria in questo grande Anno.

In ogni Casa, anzitutto, io desidero che si organizzino funzioni solenni, secondo permettono le circostanze locali, e specialmente si partecipi a quelle che verranno indette dall’autorità ecclesiastica. Ogni festività della Madonna sarà per il Povero Servo una bella occasione per manifestare il suo amore alla Immacolata Madre di Dio e nostra.

Ma ricordiamo, o miei cari, che il primo e grande onore da procurare è quello della santità di nostra vita. Le funzioni solenni, i canti, i discorsi, le accademie, ecc. sono belle cose e gradite alla Madonna se vengono dal cuore, se hanno per fondamento la nostra buona volontà di vivere secondo la nostra santa vocazione; altrimenti sarebbero vano suono di tromba, non certo conformi allo scopo della celebrazione quale è designato dal Santo Padre.

Ascoltiamo la sua parola: “occorre che questa celebrazione non solo riaccenda negli animi la devozione ardente verso la santa Vergine, ma sia di stimolo per confermare il più possibile i costumi sull’esempio della Vergine Madre. Come tutte le madri provano soavissimi sentimenti quando scorgono che il volto dei propri figli riproduce per qualche particolare somiglianza le loro fattezze, così Maria Madre nostra dolcissima, non può avere maggior desiderio né più grande gioia del veder riprodotti nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, di coloro che Ella accolse come figli, i lineamenti e le virtù della sua anima”.

E una prima grazia da chiedere, un primo sforzo da fare, è di acquistare “quell’innocenza di costumi, che rifugge ed aborre anche la minima macchia di peccato”, poiché commemoriamo il mistero delle SS. Vergine la cui Concezione fu Immacolata; poi, l’acquisto delle virtù proprie del nostro stato e di quella perfezione religiosa che forma il vero Povero Servo. La Beatissima Vergine, che nell’intero corso della vita, sia nel gaudio come nella tribolazione e negli atroci dolori, mai si allontanò dai precetti e dagli esempi dei divino Figliolo, sembra ripetere a tutti noi, come durante le nozze di Cana: “Fate tutto quello che Egli vi dirà”.

Questo ci insegna, e a queste cose ci esorta la Beata Vergine Maria, Madre nostra dolcissima, la quale ci ama di vero amore, certamente più di tutte le madri terrene.

E infine la preghiera, per noi e per i fratelli del mondo intero. La Madonna in questo suo Anno, vorrà certamente dispensare a più larga mano le sue grazie e i suoi doni. Sta a noi dunque implorare umilmente e fiduciosamente la sua materna e misericordiosa protezione. Anche qui il Santo Padre addita alcune grazie particolari da chiedere; e io mi permetto far mie le sue auguste parole, ed esortarvi a pregare tanto, ma tanto, per il rifiorimento della vita cristiana, la purezza della gioventù, per la santità e fede franca degli uomini, per la famiglia cristiana e la felicità del nido domestico.

Preghiamo per tutti i bisogni, per gli affamati, per gli oppressi dall’ingiustizia, per il ritorno dei profughi alla Patria diletta, per i senza tetto, per gli esiliati e perseguitati.

Preghiamo per i tanti ciechi nello spirito, e perché regni in tutti la carità, la concordia.

Preghiamo per la Chiesa santa, che possa godere la pace necessaria a svolgere la sua benefica azione a vantaggio di tutta la povera umanità, ora brancolante nelle tenebre dell’errore e in pericolo di cadere nell’abisso e nella rovina. La Chiesa sia sempre in cima ai nostri ideali; tutto quello che facciamo, che soffriamo, che desideriamo, sia rivolto all’avvento del santo Regno di Dio, e alla glorificazione della Chiesa, vera arca di salvezza in mezzo al mare tempestoso della vita.

Oh, se noi faremo così, se entreremo con questi sentimenti nell’Anno Mariano, e cercheremo di crescere nello sforzo di santificarci, potremo contribuire al compimento dei divini disegni che il Signore ha sopra dell’umile nostra Opera in generale e sopra ciascuno di noi in particolare.

Miei cari fratelli, fate tesoro di queste mie povere parole. Cercate che in ogni Casa, in ogni aiola della divina Provvidenza rifiorisca, con lo spirito puro e genuino dell’Opera, una più consapevole e tenera devozione a Maria. La nostra devozione non sia a base di un sterile sentimentalismo, ma abbia la sua profonda radice nel Dogma. Si cerchi quindi di meglio conoscere le ineffabili relazioni di questa “umile ed alta” Creatura con la SS. Trinità, i suoi privilegi, la indivisibile partecipazione col suo divin Figliolo alla grande opera della Redenzione.

Di qui scaturisca la nostra ammirazione e venerazione, il nostro figliale attaccamento a Colei, che, essendo la Madre di Gesù, è insieme la Madre nostra. Non stanchiamoci di moltiplicare i nostri umili ossequi, per dimostrarLe la nostra devozione, il nostro amore, come buoni figlioli verso l’ottima fra tutte le madri.

Per cui non mi stancherò mai di raccomandarvi, specialmente in questo Anno Mariano, alcuni ossequi speciali verso Maria: la recita quotidiana dell’intero Rosario, distinguere con qualche fioretto particolare il sabato, celebrare con particolare impegno le feste di Maria, la recita frequente del Piccolo Ufficio (tutto o parte), ecc. per le singole Case: abbellire, se possibile, l’altare o cappella della Madonna. Qui a S. Zeno ho visto con piacere l’accurata sistemazione della Grotta, che era mio vivissimo desiderio, nell’80º mio compleanno, alla vigilia, possiamo dire, dell’anno Mariano; che l’esempio sia imitato! Lascio a voi altre iniziative, delle quali se mi terrete al corrente, sarà per me motivo di conforto in mezzo alle mie grandi e continue sofferenze.

Per le quali vi domando la carità delle vostre preghiere mentre io le offrirò anche per voi e per l’Opera, affinché essa sia sempre come Gesù la vuole, e tutti siamo come investiti dallo spirito puro e genuino che tante volte vi ho raccomandato.

Più con il cuore che con la mano, per l’intercessione della cara Mamma celeste, l’Immacolata Concezione, vi benedice il vostro Affezionatissimo Padre.

* LETTERA LXXXVII Verona, 11 febbraio 1954 – A. M.

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Mi sgorgano spontanee dal cuore di Padre, di fratello, di amico, queste parole che dovevano essere dette prima, nelle circostanze solenni, come ogni anno, a Natale e a Capodanno; quest’anno non fu così, perché il Signore mi ha visitato con la sua grazia e misericordia, permettendo sofferenze che, sebbene non ancora cessate, sono, ringraziando il Signore Iddio, però mitigate.

Per questo mi sento adesso di dirvi la mia parola. Mi tengo certo che ne approfitterete tutti, a vantaggio spirituale delle vostre anime.

So che voi tutti avete pregato, e pregate per me; ve ne ringrazio di tutto cuore! E’ una carità spirituale di grandissimo valore, e della quale sento la più viva riconoscenza. Oh, la preghiera! grande aiuto che sostiene la nostra debolezza, ci conforta nelle prove, ci lega con dolci vincoli al Padre che sta nei cieli. Continuatemi questa grande carità: ne ho estremo bisogno, per compiere sino alla fine, la santa volontà di Dio. Io vi ricambio con la mia preghiera per tutti voi; specialmente in questi mesi nei quali il Signore ha disposto che non potessi avvicinarvi. Oh, come sempre vi rivedevo dinanzi a me, quasi direi uno per uno, con la vostra fisionomia, con i vostri desideri, con il vostro affetto per me. E nella mia povertà ho pregato per voi, che il Signore vi ricolmi delle sue grazie e benedizioni, vi faccia tutti suoi, veramente suoi.

Colgo volentieri l’occasione dell’Anno Mariano che si sta svolgendo con tanta solennità: divina chiamata del Signore – come e più che altre volte – per mezzo della Chiesa, in questi tempi così gravi e difficili. A grandi mali, grandi rimedi, ed il Signore questa volta ci chiama attorno alla sua e nostra Madre, la Madonna Immacolata, affinché ci studiamo di ricopiarne i fulgidi esempi, ne viviamo lo spirito di umiltà, di amore, di obbedienza alla divina volontà che la Madonna ci ha dati nella sua vita. Il Signore ci chiama a specchiarci nel modello di candore che è la Mamma nostra celeste, e sotto la sua guida abbiamo a muover guerra al peccato, a tutti i peccati, per mantenere l’anima nostra bella e fulgente come si addice a veri figli della Immacolata.

La Madonna in questo suo Anno solenne, vuole farci grazie e doni speciali, a condizione che ci mettiamo sul serio a vivere la nostra vocazione di cristiani, di sacerdoti, di religiosi. Chi di noi non vorrà approfittare di questa occasione tanto propizia, di questo Centenario che la Provvidenza divina ci ha riservato?

Raccomando in modo speciale a voi, cari fratelli, di vivere lo spirito della nostra vocazione, per compiere i grandi disegni che il Signore ha sull’Opera.

Animo, dunque! Ciascuno nel nostro stato, abbiamo avuto la chiamata al cristianesimo, alla sequela di Cristo. Viviamo da veri cristiani, ricordando che la vita presente l’abbiamo in funzione della vita futura; questa di adesso passa presto; quell’altra durerà eterna. Viviamo dunque come pellegrini, in questa terra, tenendo di vista la Patria che ci aspetta in Paradiso.

Teniamoci più strettamente uniti a Gesù, con la preghiera, con la pratica devozione alla Madonna Santa, con la vita interiore: diamo il primo posto al Signore: “cerchiamo soprattutto il santo Regno di Dio”.

Il demonio freme, contro i cristiani in modo tutto speciale, perché, se noi vogliamo, abbiamo il segreto per la rinascita del mondo. Oh se fossimo tutti dei Vangeli viventi! Cerchiamo di esserlo, specie in quest’Anno Mariano.

Ecco in breve quello che sento di dirvi. Non posso dilungarmi, perché le forze non me lo permettono; ma voi leggete nel mio animo quello che voglio e desidero da tutti voi.

La Madonna Immacolata, celeste Padrona della Casa, ci ottenga la grazia di corrispondere alla divina chiamata, e di “fare quello che ci dice Gesù”, come esorta il Santo Padre, ricordando l’episodio dei servi alle Nozze di Cana. Fortunati noi, felici noi, nel tempo e nell’eternità!

Pregate tanto per me, che di gran cuore vi benedico tutti, con le vostre famiglie, e quanto avete nel cuore.

* LETTERA LXXXVIII Verona, sabato 23 ottobre 1954

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare mediante il vostro santo ministero e apostolato di bene.

In mezzo alle mie sofferenze, sempre nuove e sempre più acute, oh come vi penso e vi seguo, miei cari ed amati fratelli, e non potendo fare altro, offro a Dio per voi e per le vostre, per le nostre anime le mie povere preghiere, le mie prove e sofferenze quotidiane! Ma anche voi pregate, pregate tanto per questo vostro vecchio Padre, così vicino ormai alla grande chiamata, perché possa capire il grande dono della sofferenza e farne tesoro prima per la mia povera anima e poi per quest’umile e grande Opera, suscitata proprio dal Signore in questi tempi di così poca fede e di tanto egoismo e materialismo, per manifestare al mondo la fede nella Paternità di Dio, la fiducia nella sua divina Provvidenza.

Deh, miei cari ed amati fratelli, come fossi sul letto di morte vi prego e vi scongiuro, guardate che essa sia sempre come Gesù la vuole, vivendone tutti e sempre lo spirito puro e genuino, per tramandarlo poi anche a quelli che verranno dopo di voi. Lo spirito puro e genuino – voi lo sapete, perché tante e tante volte l’ho detto e ripetuto – è lo spirito di Gesù, il suo programma di vita, la sua stessa missione. Come è vissuto Gesù a Nazareth? Come si è dato alle opere della sua vita pubblica? A chi principalmente si è rivolta la missione ricevuta dal Padre?

Viviamo così anche noi. “Buseta e taneta”, “ama nesciri et pro nihilo reputari”; noi dobbiamo scomparire, amare il silenzio, mortificare il desiderio di fare cose grandi, fuggire gli applausi e le approvazioni del mondo, cercare per sé l’ultimo posto; allora il Signore certamente verrà Lui a cercarci e ci adopererà per compiere nuovi e grandi disegni, tutti propri della grave ora attuale.

Nell’esercizio poi del nostro apostolato facciamo come ha fatto Gesù: prima di tutto e soprattutto attendiamo alla preghiera e alla vita di unione con Dio. Quante ore e quante notti Gesù passava in orazione, in intima comunicazione col suo celeste Padre! L’attività esteriore è destinata ad essere sterile, se non affonda le proprie radici nel sacro e fecondo terreno della vita interiore. Siate conche, come tante volte vi ho detto, e non soltanto canali che nulla trattengono per sé e finiscono con l’esaurirsi.

Alla preghiera unite una continua vigilanza sopra voi stessi, e continuo spirito di mortificazione, particolarmente necessario ai nostri giorni, in cui sono senza numero le attrattive e le seduzioni del mondo.

Finalmente la missione di Gesù è e deve essere la nostra stessa missione: evangelizare pauperibus misit me. Le creature abbandonate, i poveri, i vecchi, gli ammalati, ecco le nostre gemme, le gemme dell’Opera. Anime, anime, miei cari! tutto il resto è niente.

In questi pensieri e sentimenti, in questi propositi e sante aspirazioni son certo e sicuro che vi sarete confermati nei santi Esercizi che tutti avete avuto la grazia di fare anche in quest’anno. Conservatene il frutto, vivete e irradiate intorno a voi quelle verità che avete meditate ed approfondite sotto il materno sguardo della Madre nostra celeste, condotti quasi per mano ed istruiti da Lei per mezzo degli zelanti predicatori; così avrete sentito il bisogno di approfondire i motivi della vostra devozione a Maria, vivendo la perfetta vostra consacrazione a Lei.

Oh come torna opportuna, in quest’ultimo scorcio dell’Anno Mariano, la raccomandazione di intensificare la vostra pietà figliale verso la cara Madonna Immacolata, fino dai primi tempi dell’Opera costituita Padrona della Casa! E non dimenticate che la vera e perfetta devozione a Maria è la imitazione di Gesù. “Fate tutto quello che Egli vi dirà”, ci ripete continuamente questa buona Madre.

Riprodurre in noi i lineamenti di Gesù, divenire altrettanti piccoli Gesù, nell’umiltà e povertà, nella perfetta conformità del nostro volere col volere di Dio, Padre nostro che sta nei Cieli, nell’obbedienza generosa e continua, fino al massimo sacrificio, fino alla totale immolazione di sé; oh quale gioia proverà la Madre nostra Maria, vedendoci rassomigliare così al suo divin Figlio! Come ci amerà, di quali doni e grazie arricchirà la nostra povera anima!

E ricorriamo spesso a Lei, in tutte le circostanze, ma specialmente nei momenti di prova e di scoraggiamento, quando vediamo rovesciati i nostri piani, le nostre iniziative anche più sante; ancora quando ci viene richiesto qualche speciale sacrificio e rinuncia. Dico questo anche in considerazione dei recenti trasferimenti di personale, che dopo tanto tempo si sono resi necessari ed opportuni. Mi rendo conto, miei cari ed amati fratelli, di quello che possono costare certi ordini dell’obbedienza; ma non guardate solo al sacrificio presente, ma vi sostenga e vi conforti il pensiero del bene che ne deriverà a voi e alle anime, che, credetelo, non si salvano senza sacrificio: sine sanguinis effusione non fit redemptio.

Ricordatevi che il Signore, per compiere i suoi disegni, non ha bisogno di dotti, ma bensì di veri obbedienti, disposti a tutto, pronti a qualunque cenno dell’obbedienza. Senza dire che è propriamente l’obbedienza che dà valore alle nostre azioni. Il vostro Padre pensa a tutte queste cose, ed è particolarmente vicino a tutti quelli che hanno avuto il dono prezioso di una lettera d’obbedienza.

Ed eccomi ora a darvi una bella notizia. Da quarant’anni desideravo che la vuota cella campanaria del nostro bel campanile di S. Zeno in Monte fosse riempita e rallegrata dalla presenza di una grossa campana. La divina Provvidenza, servendosi, come sempre, di ministri degni di capire e di fare la carità, ha appagato finalmente questo mio vivo desiderio. La campana è arrivata e sarà inaugurata, a Dio piacendo, il 1º novembre prossimo, proprio quando una nuova gemma verrà dal Santo Padre incastonata nella già ricchissima corona della Vergine Immacolata, che verrà proclamata Regina del Cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini.

La campana si chiamerà Regina della Pace, in omaggio alla celeste nostra Regina e quasi a perenne invocazione di pace per gli uomini di tutto il mondo; pace fra loro, pace con se stessi, pace con Dio.

Quel giorno, voi lo sapete, è anche l’anniversario del mio Battesimo per quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi, e perché possa, come vi ho già detto, capire in pratica il grande dono della sofferenza.

Termino, paternamente benedicendovi, più con il cuore che con la mano, nel nome e per l’intercessione di Maria, Immacolata Regina della Pace.

PS. Quando la presente era appena stampata, siamo stati allietati dalla pubblicazione della commovente Enciclica del Santo Padre sulla Regalità di Maria.

Di fronte alla marea di corruzione che avanza sempre più travolgente e minacciosa, di fronte alla paurosa china verso cui è avviata la povera umanità, di fronte alla apocalittica visione di nuovi conflitti e disastri, non c’è, miei cari ed amati fratelli, nessun’altra speranza, che nel figliale e fervido ricorso alla comune nostra celeste Madre e Regina. Così è avvenuto sempre nei momenti più gravi della storia, così avverrà anche al presente; e vorrei che non sfuggisse che con la pubblicazione della presente Enciclica, che porta la data dell’11 ottobre, festa della divina Maternità di Maria, coincidono gli importanti avvenimenti politici, che generano un senso di generale distensione e fiducia per tutti.

Che la cara nostra Madre Maria guardi propizia alla Chiesa, all’Italia, al mondo; guardi in particolare a tanti nostri fratelli che soffrono disumane persecuzioni per la fede, ci ottenga un sincero ritorno alla vita cristiana, perché sorga finalmente una nuova era di pace e di vita veramente cristiana. Così sia!

1 Sperando che abbiano i Novizi la grazia grande di fare la loro professione religiosa.

1 la lettera è di don Gino Gatto

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