06 – PADRE NOSTRO – LA VOLONTA’ DI DIO – Luca Beato oh

 

VI

LA VOLONTA’ DI DIO

( Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra )

Gesù ha predicato l’avvento del Regno di Dio e con i gesti di liberazione dell’uomo dalle forze del male ne ha iniziato la realizzazione.

Ci chiediamo ora qual è stata la norma suprema che ha guidato la sua vita e la sua missione e che poi ha indicato anche a noi. Scoprirlo è molto importante sia per la storia di Gesù, sia per la nostra vita di cristiani oggi.

Non una legge di natura

Gesù per legittimare i suoi precetti non prende le mosse da una natura immutabile, che si presume riconoscibile con sicurezza e in cui tutti gli uomini si ritroverebbero accomunati. L’attenzione di Gesù è rivolta non ad una natura umana astratta, ma al singolo uomo concreto. Gesù non parla, come Confucio, di una legge eterna che governa il mondo e alla quale l’uomo deve conformare il suo agire. Non formula principi primi, da cui si possano dedurre norme morali per ogni caso della vita ( proprietà privata, famiglia, stato, sessualità, divorzio, pena di morte, ecc.). Certo, il mondo e l’uomo parlano di Dio, ne indicano la bontà, la provvidenza e anche il giudizio ( le disgrazie ). Gesù però non si basa sulla natura per ricavarne un sistema normativo. Gesù è alieno da un’etica del diritto naturale.

Gesù non enuncia neanche un’etica formale del dovere, come farà poi Kant. Gesù non propose neppure un’etica materiale dei valori, come venne elaborata soprattutto da Max Scheler. Non stabilisce una scala gerarchica che, dai valori materiali, attraverso quelli vitali, estetici ed intellettuali, salga fino ai valori morali e religiosi. L’amore stesso non viene posto da Gesù come valore supremo da cui derivare organicamente tutto il resto.

Non una legge di rivelazione

Norma suprema non è neppure una legge di Dio rivelata. Gesù non è come Mosè, Zarathustra, Maometto, esponenti di una tipica Religione della Legge di Rivelazione, che regola ogni singolo aspetto della vita.

Nella Storia della Chiesa spesso Gesù è stato presentato come nuovo Legislatore, nuovo Mosè e il Vangelo come una nuova Legge. Che cosa dire di tutto ciò? Mettiamo in chiaro prima di tutto che Gesù non ha mai ripudiato la Legge, ma ha combattuto il legalismo farisaico assai diffuso. La Legge in sè testimonia il volere ordinante di Dio, la sua bontà e fedeltà, la sua grazia e il suo amore per il popolo. La sua osservanza esige non soltanto singole azioni esterne, ma il cuore stesso dell’uomo ( Dt 6,4-7 ). Ciononostante, la Legge non fu per Gesù la norma suprema, tale da escludere ogni possibilità di esenzione. Egli scavalcò non solo la Halacha, la Tradizione, l’interpretazione della Legge, ma anche la Tora, la Legge stessa.

Attaccò le prescrizioni rituali relative alla purezza legale, al digiuno, al cibo puro e impuro ( Lv 11; Dt 14,3-21; Mt 15,11-20 ) e al riposo assoluto del Sabato ( Dt 5,12-14; Mc 2,27 ). Si pone contro la Tora con la proibizione del divorzio ( Mc 2,9 ), del giuramento ( Mt 5,33-37 ), della rappresaglia ( Lc 6,28 ), come pure con l’esortazione ad amare i nemici ( Mt 5,44 ).

Gesù critica il culto. Il Tempio non è eterno, Egli ne prevede la distruzione e la sostituzione. Ai Sacrifici del Tempio, antepone la riconciliazione fraterna.

Si può veramente dire che Gesù non ha dato soltanto delle interpretazioni nuove alla Legge; così pure non ha soltanto inasprito certe norme, come il Maestro di giustizia a Qumran. Egli ha proprio scavalcato la Legge con sorprendente autonomia e libertà. Non è un’affermazione da poco la migliore giustizia predicata da Gesù (Mt 5,20), che suscitava meraviglia negli ascoltatori ( Mc 1,22 ).

Volontà di Dio

Sia fatta la tua volontà” ci ha insegnato a dire Gesù nella preghiera del “Padre nostro”. A Gesù sta a cuore la causa di Dio e l’avvento del suo Regno. Il messaggio dell’avvento del Regno di Dio significa: “Si compia qui ed ora ciò che Dio vuole”. Per Gesù questo vale sempre, perfino nel momento supremo della sua passione ( Mt 26,42 ). Questo deve valere sempre anche per i seguaci di Gesù. Chi compie la volontà di Dio è per Gesù come un fratello, una sorella, una madre ( Mc 3,35 ). Non chi dice : “Signore! Signore!”, ma chi fa la volontà del Padre entrerà nel Regno dei cieli ( Mt 7,21. Cfr. Parabola del figlio disobbediente e del figlio obbediente: Mt 21,28-32). E’ perciò innegabile, e tutto il Nuovo Testamento lo conferma, che per Gesù la norma suprema è la volontà di Dio.

Fare la volontà di Dio è diventato per molti una formula. Per gli Ebrei la volontà di Dio si identificava con la Legge e ciò ha portato al legalismo. La Legge dà sicurezza: si sa quello che si deve fare, nulla di meno ( e questo a volte può risultare gravoso ), ma anche nulla di più ( e questo a volte fa piuttosto comodo ). Il legalismo sviluppa la casistica, così col tempo si accumulano le prescrizioni, man mano che si presentano situazioni nuove. Nell’Antico Testamento si è arrivati alla formulazione di 613 precetti. Nel nuovo Codice di Diritto Canonico sono contemplati 1752 canoni. Quanto più si accumulano comandi e divieti, tanto più si nasconde l’essenziale. E’ possibile osservare la Legge solo perchè così è prescritto, o perchè si temono le conseguenze negative, le sanzioni contro i trasgressori; cosicchè se non fosse prescritto, non lo si farebbe. E’ la formalizzazione dell’Autorità e dell’Obbedienza.

In questo contesto, inoltre, tutti i precetti in linea di principio sono uguali; non si distingue più quello che è importante da quello che non lo è.

L’uomo, oggi come allora, si affida volentieri al legalismo, perchè esso ha i suoi vantaggi. I doveri verso gli altri sono ben definiti. Se poi uno fa il di più, può anche vantare dei meriti davanti a Dio.

Gesù misura la lettera della Legge sulla volontà di Dio e pone l’uomo direttamente al cospetto di Dio in una forma liberatoria e consolante.

Il rapporto tra noi e Dio, ci dice Gesù, non è un rapporto giuridico, ma un rapporto personale. L’uomo deve affidarsi non a una Legge, ma direttamente a Dio, offrendosi a fare ciò che Dio vuole su un piano strettamente personale.

Per questo Gesù non è e non vuole essere un Legislatore. Non redige nè una teologia morale, nè un codice di comportamento. Non emana norme morali o rituali. Non indica all’uomo come debba pregare, digiunare, rispettare i tempi e i luoghi sacri. Il “Padre nostro” ci arriva in due versioni diverse, segno che non si tratta di una formula. Lo stesso comandamento dell’amore non deve essere inteso come una nuova legge giuridica.

Lungi da ogni casistica e da ogni legalismo, Gesù chiama la singola persona ad un’obbedienza verso Dio che deve coinvolgere la vita intera.

Appelli semplici, limpidi, liberatori, non basati sull’Autorità o sulla Tradizione, per offrire esempi, segni, sintomi di vita rinnovata. Grandi, proficue direttive, formulate in modo quasi paradossale, senz’ombra di compromessi.

- Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, càvalo!

- Sia il tuo parlare sì, quando è sì e nò, quando è nò.

- Riconciliati prima con tuo fratello.

E a ciascuno poi spetta il compito di effettuarne personalmente l’applicazione alla propria vita.

Il senso del discorso della montagna

Il discorso della montagna ( Mt 5-7 ; Cfr. Lc 6,17 ss : discorso della pianura ) in cui Matteo raccoglie in modo ordinato i precetti morali di Gesù, costituisce il tentativo più serio e impegnativo di spiegare in che cosa consista concretamente la volontà di Dio. Questo “Discorso” rappresenta una sfida per tutti, cristiani e non cristiani, per capirne il senso e la portata. Perciò è opportuno fare almeno un approccio alle principali interpretazioni.

Un’etica più severa della Legge?

Il fatto che si parli di “giustizia migliore” e di “perfezione”, come pure la definizione data di “Legge di Cristo” ( c’è poi anche il loghion sullo jota della Legge che non andrà perduto ), tutti questi elementi potrebbero farci pensare che si tratti di un’etica più severa. Ma il messaggio di Gesù non è una somma di precetti. Al vertice del discorso stanno infatti le Beatitudini promesse agli infelici con l’avvento del Regno di Dio e la sua giustizia. Il dono di Dio, l’elargizione, la grazia, precedono la norma, il precetto, la direttiva. A tutti viene offerta la salvezza: non ci sono privilegiati ed esclusi. E proprio a coloro che pensano di essere dimenticati da Dio, Gesù annuncia che Dio si è ricordato di loro e viene in loro aiuto.

Un’etica a due classi?

L’etica dei comandamenti sarebbe per i semplici cristiani; l’etica dei consigli evangelici sarebbe per i discepoli, cioè per il clero e i religiosi. Così si è pensato in campo cattolico fino al Concilio Vaticano II.

In realtà il Discorso della montagna e quindi anche i consigli evangelici sono rivolti a tutti. La “giustizia migliore” è richiesta ad ogni uomo come condizione indispensabile per far parte del Regno di Dio.

Un’etica penitenziale?

Il Discorso della montagna sarebbe un prospetto per un esame di coscienza, uno specchio davanti al quale l’uomo vede la sua impotenza, un invito alla penitenza. Noi non riusciamo a realizzare il discorso della montagna, ma ci basta il desiderio di farlo; c’è chi lo fa per noi: Gesù Cristo ( Martin Lutero ).

Ma nel Vangelo non si dice mai che Gesù Cristo pratica i precetti assoluti del Discorso della montagna al nostro posto. La nostra conversione esige non solo la fiducia totale in Dio, ma anche la pratica delle opere dell’amore di Dio e del prossimo.

Una pura etica del sentimento?

Bastano i buoni sentimenti, il cuore. Così Kant, l’Idealismo filosofico e il Liberalismo teologico del secolo scorso. Siamo d’accordo che il motivo, il come e il perchè di una determinata azione sono importanti, ma nel discorso della montagna, come del resto in tutta la vita morale, l’azione in se stessa ha il suo peso preponderante. Già il sentimento è inteso come azione in quanto la precede e la prepara. Ma sentimento e azione, cuore e agire, non vanno disgiunti.

Una nuova etica sociale?

Si tratta del progetto di un nuovo ordine sociale dell’amore e della pace, del Regno di Cristo sulla terra, contro il potere statale, l’ordinamento giuridico, la polizia e l’esercito. Così molti entusiasti ( calmi o rivoluzionari ) nel corso della storia. Così Lev Tolstoj e molti socialisti religiosi.

In realtà il discorso della montagna non viene presentato come una legge basilare di una nuova società, capace di aiutare gli uomini a liberare il mondo da ogni piaga. Esso certo non va limitato ai rapporti individuali e familiari, ma neppure dilatato fino a farne un programma sociale.

Un’etica interinale di breve durata?

Data l’imminenza dell’avvento del Regno di Dio escatologico, questa sarebbe la legislazione eccezionale per il tempo finale. Così J. Weiss e A. Schweitzer.

Ma i precetti di Gesù, ad es. l’amore del prossimo, non trovano la loro motivazione semplicemente nella prossima fine del mondo, ma fondamentalmente nella volontà e nell’essenza di Dio. Non si pretendono azioni eroiche, eccezionali, come la cessione di ogni possesso, il martirio, ma gesti d’amore puramente quotidiani.

Sia fatta la volontà di Dio

Fare la volontà di Dio. Questo è il filo conduttore del Discorso della montagna. Solo con una decisa, coraggiosa attuazione della volontà di Dio si diviene partecipi delle promesse del Regno dei cieli.

Ma il progetto liberatorio di Dio è radicale, rifiuta la casistica e supera il legalismo. Gli esempi sono provocatori ( Mt 5,17-20 ):

- se uno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli anche la sinistra

- se uno ti obbliga a fare con lui un miglio, tu fanne due con lui

- se uno ti toglie la tunica, tu dagli anche il mantello.

Questi esempi provocatori, non sono da intendersi, certo, in senso giuridico. Indicano invece un atteggiamento da tenere nei confronti di chi ci fa violenza. Il precetto di Dio fa appello alla grandezza dell’uomo, tende a un di più, all’incondizionato, all’illimitato, al tutto.

Dio non chiede una mezza volontà, ma la volontà tutta intera.

Dio non chiede solo l’esteriorità controllabile, ma l’incontrollabile

interiorità: esige il cuore stesso dell’uomo.

Dio non vuole soltanto frutti buoni, ma vuole l’albero buono.

Dio non vuole soltanto l’agire, ma l’essere.

Dio non vuole soltanto qualcosa di me, ma la mia vita intera.

Le antitesi del Discorso delle montagna ( Mt 5,21 ss ): “Fu detto agli antichi, ma io vi dico”, esprimono la contrapposizione tra la volontà di Dio e le norme giuridiche. Contro la volontà di Dio non sono soltanto l’adulterio, il giuramento falso, l’omicidio, ma anche ciò che la Legge non riesce ad afferrare: il sentimento adultero, il pensare e il parlare non sincero, l’atteggiamento ostile verso il prossimo.

Se poi nella Chiesa primitiva ci sono stati degli aggiustamenti per ragioni pratiche ( divorzio: Mt 5,32;19,9 ), ciò non toglie nulla al fatto che Gesù, che non era un giurista, abbia fatto degli appelli incondizionati, da tradurre in pratica di volta in volta, nelle diverse situazioni. Per esempio, l’appello alla povertà viene fatto in diversi modi: dare tutto ai poveri ( Mc 10,21 ), dare la metà ( Mc 19,8 ), fare un prestito ( Lc 6,34 ss ), ecc.

Non si tratta, sia ben chiaro, di una superficiale morale della situazione.

Non è la situazione che determina il comportamento morale.

Determinante invece è, nella situazione contingente, il precetto incondizionato di Dio, che vuole investire l’uomo interamente.

Obbedienza nella libertà dei figli di Dio

In questo settore il cambiamento è radicale. Non si parla più di obbedienza di tipo militare in cui bisogna eseguire gli ordini senza discutere. Non si parla più di obbedienza cieca, pronta, assoluta, tamquam cadaver, ma di obbedienza nella libertà dei figli di Dio, di dialogo nella ricerca insieme della volontà di Dio. Le comunità religiose sono formate da persone adulte e il Superiore non è al di sopra di loro come se fossero dei “sudditi” o dei minorenni, ma è il primus inter pares, l’animatore della comunità. Inoltre nel rapporto religiosi e Istituto vengono prima i religiosi e l’Istituto deve aiutarli a raggiungere il loro fine ultimo e non strumentalizzarli al raggiungimento di certi piani settoriali.

Gesù ha sempre cercato nella sua vita dì compiere la volontà del Padre ed ha scoperto che coincideva non con la Legge né con il Tempio, ma con il bene dell’uomo: il Sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato. Questa è stata la sua rivoluzione religiosa per la quale è stato condannato a morte.

Gesù ha insegnato ai discepoli che si deve obbedire solo a Dio: uno solo è il vostro Padre, uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.

Gesù non vuole la sudditanza di un uomo verso un altro uomo. Nel Vangelo viene condannato il potere di dominio ( Mc 10,43 ). La domanda dei figli di Zebedeo è giudicata irragionevole ( Mc 10,35-40 ); nel Regno di Dio il più grande è il fanciullo (Mc 9, 33-37) perché si fida totalmente di Dio; i capi devono servire la comunità ( Mc 10,41-45 ) e non dominarla; Gesù lava i piedi agli apostoli per insegnare loro lo spirito di servizio reciproco. La Chiesa voluta da Gesù è la Chiesa del grembiule.

Ma, come si fa a conoscere la volontà di Dio?

Qui si pone il problema delle mediazioni ufficiali.

Alla Chiesa e ai singoli battezzati Dio fa conoscere la sua volontà attraverso mediazioni ufficiali: Gesù Parola incarnata, il suo esempio di vita; la Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura, specialmente quella proclamata nella Liturgia; la Chiesa stessa nella sua tradizione viva, nelle sue leggi e nel suo magistero sempre attivo ( Cfr DV 7-10 ). Ma anche attraverso segni da interpretare nella fede: gli eventi della storia, i segni dei tempi, gli appelli urgenti dei fratelli che sono nel bisogno, il grido dei poveri ) …

E’ possibile anche il contrasto tra la volontà di Dio e l’Autorità religiosa costituita. Gesù è stato condannato a morte dall’autorità religiosa. Gli apostoli perseguitati dicono ai capi: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini ( At 5,29 ). Per i Religiosi ci sono delle mediazioni supplementari più precise: l’Istituto religioso con il suo carisma specifico. Tutte le mediazioni umane sono imperfette e fallibili, perciò devono essere sottoposte a verifica. A livello personale sarà la coscienza, a livello comunitario sarà la comunità religiosa nel suo insieme a determinare le scelte importanti da fare per l’attuazione concreta e attuale del carisma dell’Ordine.

Per fare la volontà dì Dio nell’obbedienza religiosa, non basta obbedire agli ordini dei Superiori, ma occorre fare sempre questo riferimento a Dio.

PARTE SECONDA

VII

L’AMORE DEL PROSSIMO

( Padre nostro )

Gesù chiede anzitutto un radicale e integrale orientamento della vita umana verso Dio. La “metànoia”( Mc 1,15 ), cioè la conversione ( non la penitenza ), consiste in una decisiva trasformazione della volontà, un nuovo atteggiamento di fondo, una opzione fondamentale a favore di Dio. Non si richiede la confessione dei propri peccati, ma il rifiuto della propria vita peccaminosa, della propria vita precedente e un orientamento verso il futuro migliore che Dio promette e dona con l’avvento del suo Regno. A questo futuro l’uomo si deve dedicare totalmente, senza voltarsi indietro dopo aver posto mano all’aratro ( Lc 9,62 ).

L’uomo deve consacrare il suo cuore a Dio e a niente altro: non al denaro e ai beni materiali ( Mt 6,19-21.24-34; Mc 10,17-27 ); non al diritto e all’onore ( Mt 5,38-42; Mc 10,42-44 ); neppure ai genitori e alla famiglia ( Lc 14,26; Mt 10,39 ). Chi vuole essere discepolo di Gesù deve “odiare” ( = mettere in secondo piano ) padre, madre, fratelli, sorelle, moglie, figli e perfino se stesso. Già, perchè l’esperienza insegna che il nemico più forte della nostra conversione è proprio il nostro io. La realtà invece è questa: chi ama la propria vita la perderà, chi invece la perde per Cristo e per il Vangelo, la ritroverà ( Lc 17,33; Mt 10,39 ).

Il discepolo di Gesù, per sè, non è che debba compiere degli atti di eroismo, ma deve vivere continuamente nella gioiosa gratitudine di chi ha trovato il tesoro nascosto nel campo o di chi è riuscito ad acquistare la perla preziosa. Il modello di questo atteggiamento è il bambino, non per la sua presunta innocenza, ma perchè ha totale fiducia nei suoi genitori, si lascia aiutare da loro naturalmente ed accetta spontaneamente e con riconoscenza i loro doni. L’invito di Gesù alla conversione del cuore è un invito alla gioia. E devono gioire anche gli altri ( il fratello del figlio prodigo ), come gioisce il Padre celeste per un peccatore pentito. Nei confronti di Dio noi ci dobbiamo sentire come figlioli nella casa del proprio Padre e non come schiavi sotto il Padrone. I rapporti tra noi e Dio non sono regolati da leggi scritte o da statuti giuridici, ma dall’amore gratuitamente offerto da Dio e fiduciosamente accolto dall’uomo.

La volontà di Dio è il bene dell’uomo

Da quanto è stato detto finora dovrebbe apparire chiaro che Dio non vuole niente per sè. La volontà di Dio è il bene dell’uomo, la vera grandezza dell’uomo, la sua dignità suprema.

In tutta la Bibbia viene detto diffusamente che la volontà di Dio è una volontà di salvezza sia del singolo uomo che di tutti gli uomini. Più precisamente all’inizio si tratta della salvezza del popolo ebreo e dei singoli nell’ambito della salvezza del popolo; ma poi si fa strada l’idea che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini.

Questa volontà di salvezza si traduce in aiuto e liberazione, difesa e protezione, risanamento e risollevazione. Dio vuole la vita del suo popolo, la sua gioia, la sua libertà, la sua pace, la sua salvezza, la sua felicità completa e duratura.

L’annuncio, che fa Gesù, dell’avvento del Regno di Dio, significa per l’uomo un annuncio di salvezza completa offerta gratuitamente da Dio, un annuncio di redenzione, di pacificazione, di felicità. In Gesù si ha proprio una radicale identificazione della volontà di Dio con il bene dell’uomo. Dio non viene visto senza l’uomo, l’uomo non viene visto senza Dio.

Le conseguenze di questo insegnamento sono logiche e immediate:

- Non si può essere per Dio e contro l’uomo.

- Non si può essere persone pie e comportarsi in modo disumano.

Tutto ciò sembrerebbe una cosa ovvia, ma invece non lo è, nè oggi nè al tempo di Gesù. Questa invece è la novità assoluta portata da Gesù: il vino nuovo che gli otri vecchi non possono contenere; il tessuto nuovo che non si può usare per rappezzare quello vecchio.

Poichè è in gioco l’uomo:

  •  
    • Gesù, che solitamente è rispettoso della Legge, non esita ad andare
    • mangiare e nel bere.
    • Gesù rigetta l’osservanza rigida del riposo del Sabato perchè disumana e dichiara esplicitamente che il Sabato è fatto per l’uomo.

 

La Legge non è un assoluto

Gesù ha relativizzato la Legge. La causa di Dio non è la Legge, ma l’uomo. Questo vuol dire: umanità al posto di legalismo, istituzionalismo, giuridismo, dogmatismo. Non si tratta di abolire norme ed istituzioni, ma di valutarle in funzione dell’uomo, di umanizzarle. Non si vuole, certo, sostituire la volontà dell’uomo a quella di Dio, si vuole significare che la Legge non è un assoluto, ma ha la funzione di favorire il bene dell’uomo. I comandamenti esistono per l’uomo, non l’uomo per i comandamenti ( Mc 2,27 ) .

Il Tempio non è un assoluto

Gesù relativizza il Tempio. Non si tratta qui solo dell’edificio sacro, ma dell’intero ordine del culto a Dio, il servizio divino. “Prima riconciliati con tuo fratello, poi vieni a presentare la tua offerta” ( Mt 5,23 ). Alla riconciliazione fraterna e al servizio quotidiano fatto al prossimo va accordata la priorità rispetto al servizio divino e all’osservanza del giorno riservato al culto divino.

Gesù non abolisce la Liturgia, anche se predica la fine del Tempio, ma la vuole vedere al servizio delle esigenze umane. La Causa di Dio non è il culto, ma l’uomo: umanità invece di formalismo, ritualismo, liturgismo, sacramentalismo.

Certo, il servizio umano non sostituisce il servizio divino; ma il servizio divino è in funzione del servizio umano. Non si può prendere in seria considerazione Dio e la sua volontà, senza prendere contemporaneamente in seria considerazione l’uomo e il suo bene.

Gesù, quando prende le difese dell’uomo, non esita ad assumere atteggiamenti di combattività ed aggressività contro persone ed istituzioni. Gesù non è la figura dolce, mite, arrendevole, quieta, umile, paziente che certo pietismo e devozionismo vorrebbe farci credere.

Amore di Dio e del prossimo

Anche il Giudaismo parla sporadicamente di un amore su due piani: Dio e il prossimo. Gesù fa una originalissima riduzione e concentrazione di tutti i comandamenti a questi due dell ’amore di Dio e del prossimo, annodandoli strettamente tra di loro in una indissolubile unità. Dopo di Lui, non è più possibile dividere la religiosità dal comportamento. L’ unico amore si deve esprimere in atti di culto verso Dio e in gesti d’amore verso il prossimo.

Sia ben chiaro che per Gesù Dio e l’uomo non sono la stessa cosa. Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. Dio detiene il primato assoluto e va amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze ( Mt 22,37 ). Ma amare Dio non vuol dire fuggire dal mondo, cercare l’unione mistica con Dio nella solitudine. L’amore di Dio senza l’amore dell’uomo è vuoto e illusorio. L’amore del prossimo, però, è distinto dall’amore di Dio e non può diventare strumento dell’amore di Dio. Cioè, io devo amare il prossimo per se stesso, perchè Dio vuole che io ami tutti i figli suoi. Quando aiuto il prossimo che è nel bisogno non devo fare discorsi pii. Il samaritano presta soccorso al ferito che incontra sulla via senza addurre motivazioni religiose. E’ il suo gesto di carità che è per se stesso gradito a Dio. I benedetti del giudizio finale si meravigliano che le opere di misericordia fatte al prossimo, Dio le consideri come fatte a sè. Amore del prossimo non vuol dire amore dell’umanità in genere. L’umanitarismo non costa nulla, è facile a praticarsi. Ma la prestazione concreta fatta al singolo malato, affamato, oppresso, impegna seriamente e profondamente.

E’ al vicino che dobbiamo guardare: in famiglia, in parrocchia, nella scuola, nel campo professionale, ecc. E’ più facile solidarizzare con poveri dell’India e dell’Africa, che con i marocchini, che vengono qui da noi. Quanto più lontano è il prossimo, tanto più agevole risulta una professione verbale d’amore.

Gesù invece vuole l’amore pratico e concreto. Per Gesù l’amore non è solo amore dell’uomo, ma essenzialmente amore del prossimo. E nell’amore del prossimo trova la sua realizzazione pratica l’amore di Dio. Dall’intensità del mio amore per il prossimo, ho la misura dell’intensità del mio amore per Dio.

“Come te stesso”

Il prossimo va amato “come te stesso”( Lv 19,18; Mt 22,39 ). Noi amiamo istintivamente noi stessi e sappiamo bene quello che vogliamo gli altri facciano a noi. Quello che istintivamente vogliamo per noi, uscendo dal nostro egoismo, lo dobbiamo volere e fare anche al nostro prossimo. Non è che dobbiamo estinguere il nostro io, come voleva una certa ascetica del passato, ma aprirci agli altri: essere vigili, attenti, disponibili a venire in aiuto agli altri. Denominatore comune dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo è quindi il ripudio dell’egoismo, la volontà di dedizione. Dio non mi chiama dalle nuvole e nemmeno dal fondo della mia coscienza, ma soprattutto attraverso il prossimo: un appello che non si spegne mai, che ogni giorno torna a raggiungermi in mezzo alla mia vita quotidiana nel mondo.

Chi è il mio prossimo

Per gli Ebrei ( Lv 19,18 ) si tratta dei membri del proprio popolo; gli altri sono nemici. Gesù non dà una definizione del prossimo, ma con la parabola del buon samaritano indica che il prossimo non sono soltanto quelli della propria famiglia, della cerchia deg1i amici; quelli del mio partito, del mio popolo, ma anche gli estranei. Il prossimo è imprevedibile. E’ chiunque ha bisogno di me. Inoltre l’inversione della risposta (” Chi ti sembra sia stato il prossimo a colui”…) rispetto alla domanda (“Chi è il mio prossimo? ) indica che il centro della parabola è l’urgenza di praticare l’amore concreto verso chi ha bisogno.

Anche i nemici

Gesù non parla solo di amore verso il prossimo, ma anche di amore verso i nemici. Questa è la sua caratteristica esclusiva.­ La “regola aurea”: ” Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” ( Mt.7,l2 ), almeno nella forma negativa, era nota anche nell’Antico Testamento ( Tb 4,l5 ). Gli Ebrei forse l’avevano mutuata dalla filosofia greco-romana. Il Rabbi Hillel ( 20 a.C. ), nella forma negativa, la definisce la “summa”‘ della Legge.

Il programma “amate i vostri nemici” appartiene a Gesù, che, in questa maniera toglie ogni confine all’amore del prossimo. Mentre Qumran diceva di odiare i nemici, Gesù dice: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano ( Mt 5,43 s ), fate del bene a quelli che vi odiano ( Lc 6,27 ). Nella parabola del buon samaritano la persona da imitare non è nè il sacerdote, nè il levita ( = fallimento morale ) e nemmeno un Ebreo laico, ma un Samaritano ( per gli Ebrei un nemico, uno scomunicato, un eretico), uno da cui bisognava stare alla larga, al quale non bisognava nè dare nè ricevere il saluto.

Per quale motivo?

Il motivo per cui dobbiamo amare anche i nemici non è il fatto che abbiamo la medesima natura, non è la filantropia, non è la pietà universale, ma la perfetta imitazione di Dio. Dio non divide l’umanità in buoni e cattivi. Il sole e la pioggia vengono concessi a tutti senza alcuna discriminazione. Con l’amore reciproco gli uomini e le donne devono dimostrarsi figli e figlie dello stesso Padre, divenendo, da nemici che erano, fratelli e sorelle ( Mt 5,45 ).

L’amore di Dio per i nemici è quindi esso stesso la ragione dell’amore dell’uomo per i nemici. Per giunta è proprio verso i nemici che si manifestano le caratteristiche dell’amore vero: non cerca il contraccambio, non attende ricompensa.

E’ immune da qualsiasi calcolo ed egoismo latente, ed è interamente aperto all’altro.

La radicalità autentica

Gesù non è un fanatico, come ce n’erano tanti al suo tempo, conservatori, rivoluzionari, moralizzatori. Gesù si pone al di sopra di tutte le correnti. La sua radicalità è la radicalità dell’amore.

L’amore predicato da Gesù non comporta di per sè, il compimento di grandi azioni, di grossi sacrifici. Qualche volta, certo, può esigere la rottura con i parenti, la rinuncia ai propri beni, perfino il martirio. Ma normalmente si realizza nella vita quotidiana: salutare per primo ( Mt 5,47 ), scegliere l’ultimo posto a tavola ( Lc 14,7-11 ), essere in ogni caso sinceri ( Mt 5,37 ).

Per illustrare meglio la radicalità dell’amore cristiano, sia sul piano individuale, sia sul piano comunitario, ne focalizziamo tre aspetti: il perdono, il servizio e la rinuncia.

La riconciliazione con il fratello precede il servizio divino. Senza riconciliazione con il fratello non esiste riconciliazione con Dio ( Padre nostro ). Più esattamente, è la presa di coscienza di essere peccatori che hanno ottenuto da Dio il grande perdono ad aprirci il cuore a concedere al prossimo il piccolo perdono ( Parabola del re magnanimo e dal servo spietato: Mt 18,21-35 ). Il perdono che vuole Gesù è senza limiti, settanta volte sette ( Mt 18,22; Lc 17,4 ).

Il coraggio di servire gli ultimi conduce alla vera grandezza. E’ questo il senso della parabola del convito ( Lc 14,11 ): all’autoesaltazione segue l’onta della degradazione; all’autoumiliazione segue l’esaltazione per opera di Dio. Gesù vuole un servizio fraterno altruistico nella comunità apostolica e non rapporti gerarchici. Ci torna su più volte: nella richiesta dei figli di Zebedeo, nella disputa tra gli apostoli, nell’ultima cena con la lavanda dai piedi. Il più grande è colui che serve a tavola ( Mc 10,43 ss ). In questo devono prendere esempio da Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire a dare la sua vita in riscatto per molti. Tra i discepoli di Gesù non ci deve essere nessuna carica fondata sul diritto e sul potere (come il potere statale) e neppure sulla dignità e sulla dottrina ( come le cariche degli scribi ). Nel popolo di Dio i Superiori devono servire più degli altri il gruppo al quale sono preposti.

Gesù esige la rinuncia alle realtà negative ( brame, peccati ): se il tuo occhio ti è di scandalo, cavalo, ecc.( Mc 9,43 ); non solo, ma diffida dallo sfruttare i più deboli ( Mc 12,40 ): divorano le case delle vedove ) e vuole anche la rinuncia a realtà positive come il diritto e il potere. Questo è il significato di fare due miglia con chi te ne chiede uno; dare anche il mantello a chi ti ha tolto la tunica; porgere l’altra guancia a chi ti ha percosso su una ( Mt 5,39-41).

Proprio questi esempi, nella loro espressione paradossale, fanno capire che non si tratta di norme giuridiche, ma di uno spirito nuovo di rinuncia a combattere la violenza con la violenza. Questa rinuncia non è espressione di debolezza; non è neppure rinuncia alla protesta contro i soprusi ( Gesù in tribunale ha protestato contro uno schiaffo ingiusto ).

Gesù fa degli appelli per un radicale compimento della volontà di Dio, la quale è sempre, in tutte le circostanze, favorevole al prossimo. Ogni rinuncia è espressione quindi di una grande forza d’animo, perchè è solo il lato negativo di una nuova prassi positiva.

In questa prospettiva vanno rivisti anche i dieci comandamenti. Essi acquistano significato nel contesto della “giustizia migliore” del discorso della montagna.

1 ) Non solo non avere altri dèi all’ infuori di Lui, ma amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, amare il prossimo e addirittura il nemico come se stessi.

2 ) Non solo non pronunciare invano il nome di Dio, ma neppure giurare su Dio.

3 ) Non solo santificare il sabato con il riposo, ma in quel giorno fare attivamente il bene.

4 ) Non so1o onorare il padre e la madre per vivere a lungo sulla terra, ma, se necessario per una vita autentica, rispettarli anche nella forma della separazione.

5 ) Non solo non uccidere, ma evitare pensieri e discorsi dettati dall’ira.

6 ) Non solo non commettere adulterio, ma rifuggire da intenzioni adultere.

7 ) Non solo non rubare, ma rinunciare al diritto di restituire un torto subito.

8 ) Non solo non rendere falsa testimonianza, ma fare in modo che il sì sia con assoluta sincerità un sì e il nò un nò.

9 ) Non solo non attentare alla casa e alla roba del prossimo, ma sopportare ogni sopruso.

10 ) Non solo non attentare alla donna del prossimo, ma astenersi dal divorzio legale.

L’amore trascende ogni Legge, ogni precetto, ogni comandamento. Chi ama ha già adempiuto la Legge, dice bene S. Paolo ( Rm 13,8-10 ). E S. Agostino ribadisce: “Ama e fa quello che vuoi”. Se ami davvero Dio e il prossimo, non hai bisogno di Leggi che ti indichino il comportamento da tenere perchè il tuo cuore ti suggerirà in ogni circostanza cosa devi fare.

 

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