COME ABBIAMO ASCOLTATO GIOVANNI – Don Enrico Ghezzi
Colgo l’occasione per far conoscere ai naviganti alcune tue riflessione ed il recente ponderoso volume di 1343 pagine:
“COME ABBIAMO ASCOLTATO GIOVANNI”
Ed. DIGIGRAF – Studio Esegetico-Pastorale sul quarto Vangelo”
Autore: Don Enrico Ghezzi
Qui di seguito, uno stralcio della presentazione al libro di p. Ugo Vanni, Prof. Emerito di esegesi del N.T. della Pontificia Università Gregoriana e membro della Pontificia Commissione Biblica.
Il vangelo di Giovanni alla catechesi degli adulti
E’ stato detto giustamente che il Vangelo di Giovanni, il “vangelo spirituale” come lo chiamava Cirillo di Alessandria, è come un cielo con sempre più stelle.
In effetti, come mostra la storia della sua esegesi e della risonanza suscitata nella chiesa, il Vangelo di Giovanni – sia a livello di ricerca che a livello applicativo – ha prodotto una serie quasi innumerevole di commentari scientifici e di espressioni scritte della esperienza spirituale che suscita.
In Giovanni c’è sempre qualcosa di nuovo da comprendere e qualcosa di nuovo da applicare in chiave spirituale alla vita. Viene da chiedersi: è possibile unire insieme le due linee, quella dello studio e quella dell’esperienza spirituale?
Una risposta affermativa a questa domanda ci viene offerta dalla patristica. Basti citare due esempi tra i tanti possibili: i commenti di S. Giovanni Crisostomo e di S. Agostino costituiscono ancora oggi due pietre miliari per la comprensione di S. Giovanni, ma, nello stesso tempo, entrano nel vivo dell’esperienza spirituale del lettore e la mettono in moto. Provocano una conoscenza che passa attraverso la vita e ne esce arricchita e più profonda.
Dobbiamo riconoscere a don Enrico Ghezzi il merito e il coraggio di essersi messo, con questo commentario che ci offre, sulla linea della interpretazione patristica. Il testo del vangelo commentato che raggiunge il lettore, espresso in uno stile chiaro e scorrevole, ha a monte lunghi anni di studio rigoroso, condotto in dialogo coi commentatori moderni più noti. Sotto il profilo esegetico appare un testo solido e maturo.
GIOVANNI, IL VANGELO SPIRITUALE
Incontro con don Enrico Ghezzi, parroco a Roma, presso il Centro Culturale L’Areopago
Riportiamo la trascrizione dell’incontro sul Vangelo di Giovanni che don Enrico Ghezzi, 68 anni, parroco di San Vigilio a Roma, ha tenuto presso il Centro Culturale L’Areopago lo scorso 31 ottobre 2006. Malgrado un pò di editing che ci e’ stato autorizzato dal relatore sul testo finale, volutamente abbiamo mantenuto il carattere colloquiale dell’intervento, perché - avendo condiviso con don Enrico meta’ della nostra vita e quasi tutto il nostro cammino cristiano - siamo convinti che anche questo suo modo diretto, incisivo, semplice e passionale di annunciare il Vangelo e di educare alla fede e ai valori sia il cuore del suo ministero sacerdotale e della sua testimonianza cristiana, insieme ai contenuti e allo spirito di ricerca che con rara autorevolezza e dolcezza talvolta mista a rigore ha instancabilmente trasmesso alla sua comunita’ e a quanti - anche lontani - ha incontrato sul proprio cammino.
Don Enrico ha servito instancabilmente il popolo di Dio a lui affidato con amore, liberta’, fedelta’ al Vangelo, senza clamori e spesso in solitudine, prima come parroco nella periferia dura del Labaro - dove sono ancora rimasti i segni che ha lasciato in tante persone che ancora lo amano e lo ricordano – , e ora a San Vigilio, dove siamo stati testimoni della sua totale dedizione alla parrocchia, la cui vita s’incentra sulla figura di Cristo,l’ascolto della Parola, la partecipazione ai sacramenti e la carita’. In questi 15 anni lo ricordiamo sempre intento a scrivere, leggere, studiare per preparare le catechesi per adulti, giovani, ragazzi, chino nel suo ufficio dalla mattina presto alla sera tardi, con la porta sempre aperta a chiunque lo interpelli, intervallando e radicando il lavoro con i momenti di preghiera e contemplazione in chiesa, e naturalmente della messa quotidiana. Non raramente ci siamo ritrovati davanti l’immagine di don Enrico che - ammalato, spesso sofferente - invece di essere sul suo letto a riposare – come ci saremmo aspettati - se ne stava regolarmente e naturalmente svolgendo il suo servizio, sempre con la Bibbia e il rosario in mano, spesso con qualcuno degli ultimi testi usciti che lo aiutano nella riflessione.
Tra un’attivita’ e l’altra, don Enrico ha anche trovato il tempo per scrivere un commento esegetico-pastorale sul Vangelo di Giovanni che - ci permettiamo di dire, un pò come ha fatto l’autore del quarto vangelo – e’ anche frutto della condivisione e meditazione svolte insieme alle sue comunita’ nel corso degli anni. Il testo si intitola “Come abbiamo ascoltato Giovanni”, Studio esegetico-pastorale sul quarto Vangelo, edizioni Digigraf, 2006, pp. 1343. La prefazione e’ stata curata da p. Ugo Vanni, professore emerito di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Pontificia Universita’ Gregoriana e membro della Pontificia Commissione Biblica.
Monica Romano
Sono Don Enrico, quarant’anni che sono prete e tutti passati in parrocchia, quindici anni nella bella borgata del Labaro, dove ho vissuto la mia esperienza piu’ significativa, e adesso nella Parrocchia di San Vigilio all’Eur comincio il sedicesimo anno, dal ‘91. Don Francesco in occasione di un mio intervento chirurgico per il quale sono stato ricoverato in ospedale mi ha sostituito per un paio di mesi in parrocchia. Ecco siamo qui allora e mi diceva di presentare un po’ questo libro sul Vangelo di Giovanni - “Come abbiamo ascoltato Giovanni” – che io ho avuto la gioia e la passione di scrivere tra una estate sudatissima e l’altra, nei momenti di ritaglio dal mio impegno pastorale. La Parrocchia di San Vigilio credo abbia tanti abitanti quanto la vostra, piu’ o meno.
Perché ho scritto questo libro: ma poi le cose come vanno, ho sempre avuto una grande passione per il Vangelo di Giovanni, perché fin da quanto ero ragazzo, quindici-venti anni, mi aveva sempre colpito questa idea della luce, della vita, della grazia, mi aveva sempre affascinato questo personaggio che e’ Gesu’.
All’inizio del Vangelo Giovanni Battista vede – poi lo diremo – vede Gesu’ e dice “ecco l’Agnello di Dio”.
Ci si potrebbe chiedere come ha fatto Giovanni Battista a chiamare Gesu’ Agnello di Dio, perché Gesu’ diventa Agnello di Dio alla fine della vita. Ma come mai Giovanni Battista lo dice proprio all’inizio?
Fatto sta che il giorno dopo - il Vangelo ci racconta – i due discepoli di Giovanni Battista abbandonano Giovanni e seguono Gesu’, e Gesu’ dice: “Chi cercate, che cercate?”. Detta questa frase, il Vangelo ancora ci dice che “lo seguirono, videro dove abitava e stettero con lui”.
Come mai abbandonano Giovanni Battista? Queste parole – “chi cercate” - sono bellissime e moltio ricorrenti:
- anche la Maddalena – Maria di Magdala – quando Gesu’ risorge e’ in quest’orto bellissimo e Gesu’ risorto dice “chi cerchi?”;
- poi anche quando Gesu’ viene preso per essere portato al processo, dice: “Chi cercate?”.
Questa parola “cercare” e’ una parola bellissima del Vangelo di Giovanni; i ragazzi liceali e universitari del gruppo che seguo il martedì sera durante un incontro settimanale che ho voluto per così dire “intitolare” “incontrare Gesu’” – mi hanno risposto una cosa bellissima quando ho chiesto loro: “Secondo voi perché i discepoli ‘stettero con lui’”?
I ragazzi mi hanno risposto:
- “Perché si sono sentiti emozionati davanti a Gesu’”.
- Un altro ha risposto: “Hanno sentito la gioia”.
Probabilmente di fronte a Gesu’ io credo che i discepoli abbiano sentito un grande stupore: che occhi avra’ avuto Gesu’, che volto, Gesu’ che e’ il volto del Padre, e questi pescatori, questi uomini semplici – sui quali poi noi in qualche modo “fondiamo la fede” nel senso che loro hanno reso possibile la trasmissione della buona notizia – lo videro, lo seguirono dove abitava e stettero con lui. Questo lo trovate nel I capitolo, versetto 32-34. E Giovanni, parlando di questo incontro specifica anche l’ora – “Erano circa le quattro del pomeriggio”…Perché questo “appunto”? Giovanni vuole puntualizzare che quando incontra Gesu’ e’ un momento così reale, così fondamentale della sua vita, che mette anche l’ora; sempre, nei momenti piu’ importanti, c’e’ anche l’ora nel Vangelo di Giovanni.
Allora prima di iniziare a parlare del Vangelo di Giovanni – sapete e’ uscito questo libro, “Inchiesta su Gesu’” – di Corrado Augias, che mi hanno prestato e ne stanno parlando molto; Augias che sapete e’ ebreo e fa delle domande a questo Mauro Pesce - biblista e docente di Storia del Cristianesimo all’Universita’ di Bologna. All’affermazione-domanda che il Vangelo di Giovanni e’ il piu’ tardo fra i quattro ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa – Matteo, Marco, Luca e appunto Giovanni -, la risposta e’: “La produzione dei Vangeli non e’ certo finita con la fine del primo e l’inizio del secondo secolo”; piu’ avanti il libro si soffermera’ su tutti questi famosi vangeli apocrifi, l’ultimo lo sto leggendo adesso, quello di Giuda, quest’ultimo manoscritto trovato vent’anni fa sempre in Egitto e che adesso sono riusciti a mettere insieme e pubblicarlo dopo vent’anni di studi.
Tutti i vangeli apocrifi - e lo stesso vangelo di Giuda – sono vangeli “gnostici” – da “gnosis“, che significa “conoscenza”. Sono vangeli dove si tende regolarmente a negare l’incarnazione, a rendere Gesu’ un essere che ha soltanto apparenza di uomo, a raccontare che la sua carne e’ soltanto un’apparenza. Da qui nascono le grandi eresie; Ario, che negava che Gesu’ fosse Dio, Nestorio che affermava che fosse soltanto un uomo. In quel momento, probabilmente un discepolo di Nestorio diventa discepolo di Maometto; fu probabilmente questa grande divisione nella comunita’ cristiana che c’era in Egitto e anche il fatto che questi popoli dovessero pagare le tasse a Bisanzio a far sì che Maometto arrivi e in un batter d’occhio cancelli una grande tradizione cristiana che c’era intorno al Mar Mediterraneo, Egitto, Siria, Palestina. Maometto arriva e l’Islam prende piede proprio per le divisioni che c’erano fin dall’inizio su questa duplice realta’: veramente uomo o soltanto uomo, veramente Dio o soltanto Dio, perché sembrava impossibile che Dio potesse soffrire sulla croce, sembrava impossibile che Dio potesse essere anche veramente uomo.
Ecco vedete i vangeli gnostici – il vangelo di Tommaso, il vangelo di Pietro, il vangelo di Giuda - arrivano tutti dopo i tre sinottici – Matteo, Marco e Luca -; anche il Vangelo di Giovanni e’ posteriore ad essi, e’ vero, risalendo a verso il ‘90 e ‘100, tanto che alcuni si spingono arditamente addirittura a dire che possa in qualche modo avere uno sfondo gnostico, in quanto le parole “luce”, “verita’”, “gloria”, “vita eterna”, “redentore”, “salvezza” - che sono ricorrenti nel quarto Vangelo – erano grandi temi che il mondo gnostico sentiva molto forte. Diciamo poi che lo gnosticismo – dicono gli studiosi – era un movimento esistenzialista; qualcuno ritiene somigli un pò alla New Age di oggi, un movimento in cerca di una filosofia che desse risposta ai grandi problemi dell’esistenza – la vita, la morte, la salvezza. Quindi, possiamo dire che nello gnosticismo c’era una grande anima religiosa, ma si sottendeva un’interpretazione che spesso si allontanava dalla grande tradizione ebraico-cristiana.
Dunque vedete che sul Vangelo di Giovanni, piu’ che sui vangeli sinottici, si dicono ancora tante cose: secondo questi autori moderni, Giovanni ci avrebbe trasmesso una figura di Gesu’ piu’ con un linguaggio che assomiglia ad un linguaggio un po’ mistico, quasi disincarnato. E invece nel Vangelo di Giovanni – che probabilmente comincia a combattere questa idea di una figura soltanto divina del Logos - ci dice: “E il Verbo si e’ fatto carne”, esprimendo in modo unico e sublime il mistero dell’Incarnazione.
Un primo aspetto notevole del Vangelo di Giovanni e’ il Prologo, in cui si dice che Gesu’ in realta’ e’ un essere che preesisteva alla sua nascita fisica ed era la Parola con cui Dio ha creato il mondo: quando il Verbo, la Parola, il Logos si fece carne, la parola stessa di Dio assume figura umana. Il Vangelo di Giovanni racchiude circa due anni e mezzo della vita di Gesu’, e tre pasque; mentre nei sinottici – Matteo, Marco e Luca – Gesu’ dalla Galilea si dirige poco a poco verso Gerusalemme in tre anni, la’ dove poi sara’ preso e crocifisso, nel Vangelo di Giovanni invece Gesu’ vive a Gerusalemme le tre pasque del 28, 29 e 30.
Quasi assolutamente certo e’ che nell’anno 30, il 7 aprile, Gesu’ muore, secondo i calendari ebraici, e quindi Giovanni sceglie Gerusalemme come il luogo, il grande teatro del dramma della morte e della risurrezione di Gesu’, il nuovo tempio. La sua struttura narrativa racchiude circa due anni in dodici capitoli ma dedica cinque interi capitoli a quell’ultima sera che Gesu’ passa con i suoi discepoli piu’ stretti. Dal Capitolo 12 al capitolo 17 c’e’ tutta la grande storia della passione; poi nel 18, 19 la morte; il 20 e’ il capitolo della risurrezione e il 21simo non e’ scritto da Giovanni, ma probabilmente dalla comunita’ giovannea perché tratta della figura di Pietro e della figura di Giovanni.
Allora adesso io cercherò di illustrare, come io sono stato capace di analizzare e commentare, facendo il parroco, questo Vangelo. Bisogna indubbiamente partire un po’ da questo fatto: il papiro piu’ antico che parla di Giovanni e’ il papiro 52, scritto certamente in Siria, che e’ il papiro del 130-135. L’autore del Vangelo di Giovanni certamente va sotto il nome di Giovanni, fratello di Giacomo, figlio di Zebedeo. Questo e’ stato creduto fin dall’inizio; i padri piu’ antichi, i padri apostolici e post apostolici con qualche differenza, parlano di un certo Giovanni il presbitero; Papia, un autore del 130-140 d.C, parla di un certo Giovanni presbitero. Interessante, poi, questa definizione – “il discepolo che Gesu’ amava”. Ecco si può dire subito: come mai Giovanni che scrive il vangelo si definisce il discepolo che Gesu’ amava? Non era forse un po’ troppo presuntuoso dirsi il discepolo che Gesu’ amava? Probabilmente questo Vangelo di Giovanni, e’ stato un po’ rielaborato, forse da un segretario di Giovanni o comunque dai discepoli di Giovanni, così mentre Giovanni si menzionava col suo nome – “Giovanni figlio di Zebedeo fratello di Giacomo” – e non si riferiva a se stesso direttamente con questa descrizione, altri, probabilmente i suoi discepoli, lo hanno indicato come “il discepolo che Gesu’ amava”.
State bene attenti che forse questo non l’ho detto all’inizio, che c’e’ una questione sinottica e una questione giovannea: chi sono i veri autori dei vangeli? La questione sinottica: per esempio e’ certo che ci sia stato un vangelo aramaico di Matteo scomparso e che sia confluito tutto nel Vangelo di Matteo greco di oggi: i vangeli sono scritti in greco – che era la lingua allora piu’ diffusa – però sapete che ci sono degli studi iniziati nel secolo scorso, protestanti, cui si sono aggiunti molti autori cattolici, dove si arriva a capire chi sono per esempio Matteo, Marco e Luca, che non sono i nomi di quelli che hanno scritto i vangeli, ma sono nomi che sono stati dati dopo.
Quindi c’e’ tutta una grande questione. Sapete poi quali sono i primi scritti dopo Gesu’, quali sono stati? Sono stati gli scritti di San Paolo; le Lettere di Paolo vengono prima dei vangeli, e’ interessantissimo, però a quel tempo giravano gia’ le pericopi, le pagine tramandate oralmente, perché allora non c’era lo scrivano: ecco, le tradizioni orali venivano via via tramandate e questi evangelisti, questi uomini le hanno messe per iscritto, “adattandosi” al “pubblico” al quale erano indirizzate e sottolineando degli aspetti particolari della vita e della testimonianza di Gesu’, sempre - ovviamente - in conformita’ a quanto avevano visto o sentito, alla luce della sua risurrezione e sotto l’illuminazione dello Spirito Santo.
Il Vangelo di Matteo - ad esempio – e’ indirizzato in particolare agli ebrei e difatti c’era un originale in aramaico che purtroppo e’ andato perduto; a Matteo non interessava la predicazione fuori dalla Palestina, e infatti e’ l’unico che inizia con la genealogia di Gesu’, risalendo fino al re Davide e addirittura ad Abramo, per indicare come Gesu’ sia in continuita’ con la grande tradizione ebraica.
Probabilmente, invece, il Vangelo di Luca e’ un vangelo per gli ellenisti convertiti al cristianesimo, per i quali sin dall’inizio si pone il problema se dovessero essere anche loro - come gli ebrei – sottoposti alla circoncisione. Coloro che si sottoponevano alla circoncisione erano chiamati “i timorati di Dio”; non so se lo avete fatto, io nella mia parrocchia ho spesso affrontato questo aspetto leggendo in particolare la Lettera ai Galati, dove c’e’ tutta una grande discussione sulla circoncisione, grandissima: inizialmente si pensava, poi si discuteva, che un cristiano dovesse necessariamente essere sottoposto alla circoncisione – sia se ebreo sia se pagano -, e c’e’ una grande diatriba fra Pietro e Paolo su questo, che quasi dividera’ la comunita’ cristiana.
Perché era così importante la circoncisione?
Perché questo era il segno che tu eri parte del popolo eletto, era l’identificazione con il popolo eletto, era il segno, il patto tra Dio, i patriarchi e Mose’ e che anche tu eri parte del popolo eletto. I primi cristiani dicevano: sì, noi abbiamo Gesu’, però veniamo da una grande tradizione, quindi sarebbe necessario che tutti i cristiani si sottopongano alla circoncisione. Paolo, sapete, dibatte questo e dice no, chi e’ in Cristo e’ nuova creatura. Perché Paolo - capite – l’apostolo delle genti, predicava non piu’ solo agli ebrei, ma a tutti i pagani; Paolo va in Grecia, va ad Atene, Paolo pensate parla ai Filippesi; Filippi e’ una citta’ che sta su nella Macedonia. Io quasi posso dire che neanche mi ricordavo che la Macedonia faceva parte della Jugoslavia, Paolo arriva fin su la’ in alto in Macedonia e quindi parla a delle persone che non avevano niente a che fare con le tradizioni giudaiche; quindi non ritiene necessario il discorso della circoncisione, mentre Pietro ad un certo momento lo nega e poi lo afferma.
Questo per dire come l’ambiente in cui si sviluppavano i vangeli era estremamente variegato ed essi furono scritti secondo le necessita’ di chi annunciava la buona notizia della risurrezione di Cristo. Il Vangelo di Luca e’ l’unico che ci fornisce qualche - scarno - dettaglio sull’infanzia di Gesu’, ci racconta l’annunciazione – che nessun altro evangelista ci racconta, mentre Marco non ha né la genealogia di Gesu’ né i racconti sull’infanzia. Perché? Perche’ voi sapete che Marco fu probabilmente allievo di Pietro a Roma e ai romani non interessava né la genealogia di questo “aliquis Crestus” – come lo definisce Tacito – “un certo Cristo”, né il racconto di questa nascita “miracolosa”.
Ma tornando al Vangelo di Giovanni, com’e’ stato scritto questo testo, come poté un pescatore come Giovanni scrivere cose così alte sul mistero del Verbo incarnato? Probabilmente - dice tra gli altri studiosi Brown - Giovanni, questo figlio di Zebedeo che Gesu’ amava, ha scritto alcuni appunti, ha raccolto le tradizioni orali e le ha poi messe insieme; Brown suppone che vi sia stato una sorta di segretario e poi alla fine la comunita’ cristiana dietro la redazione finale del testo. Un grande studioso, che ora ha novant’anni ma che vive ancora, un gesuita – Leon Dufour – che ogni tanto viene a Roma, dalle suore Camaldolesi all’Aventino a parlare, un grande studioso, dice che non e’ che Giovanni abbia scritto da solo tutto il quarto Vangelo, ma ha dato tutto quello che era necessario come base della redazione del testo che però poi e’ frutto di una grande contemplazione, di una grande riflessione della comunita’ cristiana. La lingua e’ la lingua greca, perché in quel tempo si parlava la lingua greca.
I primi padri della Chiesa hanno chiamato questo Vangelo, “il Vangelo spirituale”. Perché?
Per il ruolo fondamentale dello Spirito nella comprensione del mistero di Gesu’. Giovanni negli ultimi capitoli tira fuori tutto il grande ruolo dello Spirito Santo; “Egli vi insegnera’ la verita’ tutta intera”, scrive. E’ il Vangelo spirituale perché senza l’aiuto dello Spirito noi non potremmo capire questo grande mistero che e’ la persona di Gesu’.
State bene attenti, perché si chiama “Vangelo”?
Guardate in Isaia 52 c’e’ scritto, guardate qua: “Svegliati, svegliati Gerusalemme, rivestiti della tua magnificenza Sion, indossa le vesti piu’ belle Gerusalemme perché su di te entrera’ l’annuncio del Signore”. E piu’ avanti dice, al versetto 7: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunci, che annuncia la pace, messaggero di bene che annuncia la salvezza”. Questa parola – che “annuncia” il messaggero, che “annuncia” la pace, che “annuncia” la salvezza – questa parola e’ “euangello“, buon annuncio, la parola e’ “vangelo”.
Quindi quando il Vangelo di Giovanni viene definito “Vangelo spirituale”, si pensa ad un annunzio gioioso, ma qual e’ la differenza importantissima fra questi versetti di Isaia e il Vangelo di Giovanni? Che mentre Isaia immagina la Gerusalemme – lo leggevamo anche stasera alla Messa di tutti i Santi – questa Gerusalemme, come citta’ di Dio futura, il Vangelo spirituale di Giovanni e’ una realta’ che si realizza pienamente ora, il compimento e’ in Gesu’, questo euangello, questa buona notizia e’ Gesu’, Gesu’ morto e risorto, la cui comprensione piena sara’ poi soltanto con la venuta dello Spirito Santo. Vangelo di luce e di grazia, perché annunzia la buona notizia che Gesu’ e’ morto e risorto, ma la cui comprensione piena sara’ soltanto alla fine dei tempi.
E ora cerchiamo di capire un discorso un po’ difficile: per esempio, dicevo prima Giovanni dice “ecco l’Agnello di Dio”. Siamo all’inizio del Vangelo, come ha fatto Giovanni Battista a dire “l’Agnello di Dio”, quando Gesu’ ancora non era morto? Gesu’ diventa l’agnello di Dio solo alla fine, quando viene crocifisso e muore, ecco perché Gesu’ muore in Giovanni proprio verso le tre del pomeriggio, quando gli ebrei cominciavano a uccidere gli agnelli per la Pasqua: Gesu’ diventa, secondo le profezie di Isaia, il nuovo agnello.
Ma come faceva Giovanni Battista a dire una cosa così? Allora attenti bene: per capire i vangeli dobbiamo tenere a mente una cosa: da una parte l’autore ha memoria di quello che e’ accaduto attraverso la tradizione orale, l’evangelista ha memoria delle parole che ha detto Gesu’, ma non era lì a scriverle, ha memoria delle parole che sono state dette da Gesu’ o intorno a Gesu’, dall’altra parte l’autore dietro la contemplazione della persona di Gesu’ e sotto l’illuminazione dello Spirito Santo, l’autore applica alla realta’ del Cristo risorto tutto quello che poteva esser stato detto da o intorno a Gesu’: quindi da una parte c’e’ la verita’ storica – perché l’autore non può inventare -, c’e’ una memoria storica, ma questa memoria storica, ai tempi in cui vengono scritti i vangeli, viene interpretata secondo l’illuminazione dello Spirito Santo.
Per esempio, nel Vangelo di Giovanni c’e’ una grandissima diatriba continuamente con i farisei, che Giovanni chiama “oi iudaioi“, i giudei. Ma in realta’ la polemica tra Gesu’, una polemica durissima, - che troviamo nei capitoli V, VII,VIII, bellissimi – contro i giudei, in realta’ però non riguardava soltanto la polemica di Gesu’ ai suoi tempi, ma Giovanni fa rivivere scrivendo il Vangelo la polemica durissima che ci fu in seguito, dopo gli anni 70, quando Tito distrugge Gerusalemme e c’e’ la dispersione di tutti i vari gruppi – i sadducei, gli zeloti – e rimane questo gruppo popolare che sono i farisei.
Allora l’autore interpreta il dibattito che Gesu’ aveva ai suoi tempi con i farisei alla luce però delle sofferenze che i cristiani del suo tempo sopportavano quando, distrutta Gerusalemme, ad esempio, ad un ebreo convertitosi al cristianesimo non permettevano piu’ di entrare in sinagoga; questi cristiani provenienti dall’ebraismo venivano scomunicati e non solo non si permetteva piu’ loro di tornare indietro se lo avessero voluto, ma spesso venivano confiscati i loro beni, cadevano in una situazione veramente drammatica. Giovanni sente profondamente questa realta’ e la descrive usando spesso le parole di Gesu’ applicandole a una situazione del tempo in cui scrive il quarto Vangelo; quindi, tante volte, quando in alcune parti il Vangelo di Giovanni sembra attaccare i farisei che non hanno compreso Gesu’, in realta’ Giovanni vive una situazione storica del suo tempo.
Guardate una delle cose grandi che ci si chiede e’ quali saranno state le fonti del Vangelo di Giovanni. E allora qui ci sono dei grandi autori, ad esempio Bultmann – grandissimo autore protestante, un uomo di una grandissima fede in Cristo – che ha parlato della famosa de-mitizzazione dei Vangeli: per lui, Cristo e’ un fatto esistenziale, la mia esistenza e’ in Cristo. Però, lui dice, il linguaggio che Giovanni spesse volte ha usato – acqua, luce, vita – e’ un linguaggio “gnostico”. Allora tutti gli autori cattolici e non cattolici invece cercano di dimostrare che la vera fonte del Vangelo di Giovanni sono soprattutto l’Antico Testamento – che viene continuamente citato da Giovanni – e soprattutto i Libri Sapienziali.
I Libri Sapienziali sono quelli che parlano della “sapienza che accompagna Dio nella creazione”, la sapienza e’ un’ancella di Dio che accompagna Dio nella creazione. Giovanni attingera’ da questi concetti e questa sapienza, ma mentre nell’Antico Testamento la sapienza possiamo dire sia una sorta di attributo di Dio, qui in Giovanni invece la Sapienza e’ il Logos di Dio, e’ l’immagine stessa di Dio. Gesu’ e’ l’immagine del Padre: “Dio nessuno l’ha mai visto. Solo il Figlio Unigenito, che e’ nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. Il volto di Dio e’ un volto sconosciuto: nessuno può vedere Dio; Mose’ dovette coprirsi gli occhi e vedere Dio solo da dietro, perché nessuno può vedere Dio. E allora – dice Giovanni nel suo prologo – questo Gesu’ che si fa carne sara’ colui che rivela i misteri profondi che sono nel cuore del Padre, che sono nel cuore di Dio.
Io ai miei parrocchiani dico sempre una cosa: guardate, ma secondo voi non era sufficiente credere nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma perché doveva venire Gesu’ Cristo?
- Perché?
- Bastava credere in questo Dio, in fondo e’ lo stesso Dio, ma come mai e’ venuto Gesu’ Cristo a rivelare i segreti che sono nel cuore del Padre?
- Come mai?
- Secondo voi perché?
- Ma come mai e’ stata necessaria la rivelazione in Gesu’ Cristo?
- Ci avete mai pensato?
Guardate, la fine del Vangelo di Giovanni, Cap. 20, dice al versetto 31: “Molti altri segni fece Gesu’ in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro”. Giovanni scrive soltanto sei /sette miracoli, questi sono stati scritti - dice Giovanni – “perché crediate che Gesu’ e’ il Cristo, il Figlio di Dio e perché credendo abbiate la vita nel suo nome”. La finalita’ del Vangelo di Giovanni e’ proprio questa: il Padre ha messo nel Figlio la sua immagine, la sua santita’, la sua potenza, e’ diventato uomo – ecco perché Gesu’ e’ venuto nel mondo - e perché credendo in Gesu’, credendo che Gesu’ e’ il Figlio di Dio abbiate la vita eterna. E’ l’umanita’, questa umanita’, la vera motivazione per cui il Padre ha mandato il Figlio; e’ perché Dio voleva comunicare all’uomo, a ciascuno di noi, la sua identita’, la sua profondita’, il suo cuore, il suo amore. Noi non potremmo mai arrivare alla profondita’ dell’amore di Dio se Gesu’ non ce lo avesse rivelato ed e’ credendo in lui che l’uomo ha la vita eterna e questa e’ la motivazione finale, il motivo per cui Giovanni scrive il suo Vangelo. Per gli ebrei Gesu’ e’ il Messia, l’Unto; quando noi facciamo i battesimi, le cresime, l’ordinazione dei preti, l’unzione dei malati, attraverso l’olio che e’ un simbolo di una cristificazione, noi siamo cristificati.
Quindi il significato del Vangelo di Giovanni e’ proprio questo:
- fede nella persona di Gesu’ Cristo, portatore di salvezza,
- centralita’ di Cristo, che e’ il salvatore
- ed e’ colui che rivela il Padre.
In Giovanni la cristologia proprio indica che Gesu’ e’ quello che ci parla del Padre, che ci parla di Dio.
Segni e parola - che Giovanni ci ha tramandati nel suo Vangelo – sono l’autorivelazione di Gesu’, per il fatto che sono i grandi rivelatori di Dio.
Guardate in Giovanni c’e’ un solo peccato, in Giovanni non ci sono elenchi di peccati; voi sapete che nel Vangelo Gesu’ dice: “Non quello che entra, ma quello che esce dal cuore dell’uomo” - ossia omicidio, fornicazione, ecc. - questi sono i peccati.
- In Paolo c’e’ - per così dire – un elenco di peccati;
- in Giovanni non c’e’ nessun elenco, perché, secondo voi, perché?
- Qual e’ il peccato secondo Giovanni, fondamentale, in ogni riga del suo Vangelo?
- E’ l’incredulita’, il mistero di Gesu’ che viene in nome del Padre e non e’ accolto, ed e’ qui il grande dramma.
- State bene attenti: gli ebrei, i farisei, erano credenti in Dio, Gesu’ non parla ad un popolo miscredente, erano profondamente monoteisti: qual era il dramma di Gesu’, allora?
Che coloro che avevano accolto e creduto in tutti i miracoli e segni che Dio aveva fatto lungo la storia del popolo d’Israele – questa storia che viene completata dal dono di Dio piu’ grande di mandare il Suo Figlio – non accolgono la completa e definitiva rivelazione di Dio.
Guardate, quando io scrivevo questo libro sul Vangelo di Giovanni quello che mi entusiasmava era veramente questo capitolo V, quando Gesu’ esprime completamente la sua coscienza di essere in comunione col Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola, non sono io che opero, e’ il Padre che opera in me, nessuno può venire a me se il Padre non lo attira”. e’ bellissimo, guardate com’e’ la fede; tante volte i nostri figli non hanno la fede, noi possiamo pregare, ma e’ il Padre che attira.
Bellissimo questo testo, il testo del capitolo VI, alla fine, quando tutti se ne sono andati, e Gesu’ dice: “e’ il Padre che attira al Figlio, al Verbo”; questa e’ la grande rivelazione di Giovanni. E dice ancora: “Se credete in me avete la vita eterna, io sono il pane disceso dal cielo, chi mangia di questo pane ha in sé la vita eterna, chi crede in me ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
Naturalmente, come sapete, in Giovanni poi c’e’ anche il grande comandamento dell’amore:
- “Avendo amato i suoi li amò sino alla fine” e “amatevi come io vi ho amato”,
- ma in Giovanni l’amore e’ “figlio della fede”, nasce dalla fede in Gesu’.
Non credere in Gesu’ e’ il grande dramma di Giuda. Adesso questo libretto che e’ uscito, il vangelo di Giuda, e’ molto interessante perché ci spiega il contesto e le difficolta’ in cui vivevano i cristiani dopo la morte e risurrezione di Gesu’, quando meditavano e tentavano di comprendere e spiegare questo grande mistero della rivelazione di Dio. In questo vangelo Giuda dice “io questo lo dovevo fare perché dovevo permettere a Gesu’ di portare a termine la sua missione, e d’altra parte lui non e’ un vero uomo, ma e’ Dio sotto questa immagine di uomo”.
Anche qui c’e’ una visione proprio disincarnata e quindi un po’ gnostica della venuta e del mistero di Gesu’. Qual e’ il contesto nel quale questo vangelo di Giuda nasce? Vedete, gli ebrei chiedevano ai primi cristiani: “Com’e’ possibile che Dio abbia scelto uno che poi lo ha tradito, ma che razza di Figlio di Dio e’?”.
I primi cristiani facevano molta fatica a spiegare questo. La risposta: si dice che probabilmente Giuda appartenesse al gruppo degli zeloti, un gruppo che voleva eliminare il potere dei romani anche con la violenza, con la guerra, anche con le armi. Da lì quest’arma che viene menzionata nei vangeli quando Gesu’ viene preso alla fine della sua vita, nell’orto degli ulivi; Giuda era probabilmente deluso, perché questo Gesu’ che si proclamava il salvatore, il liberatore, parlava di perdono e di misericordia e di morte, e quindi diciamo “tradisce” le aspettative di Giuda e degli zeloti di un riscatto “politico” di Israele dalla dominazione romana.
Questa e’ la contestualizzazione del vangelo di Giuda. In realta’, se riflettiamo piu’ profondamente, e’ il grande mistero del male, del peccato. In fondo, tutti siamo un po’ come Giuda, siamo tutti un po’ portatori del tradimento, tradiamo l’amore di Dio, siamo tutti un po’ Giuda in questo senso. Don Mazzolari, grande sacerdote, diceva sempre “nostro fratello Giuda”, siamo tutti un po’ Giuda, però ecco lì esplode veramente il grande problema del male.
Con Gesu’ irrompe nel mondo la forza dell’amore che domina sull’incredulita’, vincera’ l’incredulita’, quindi vincera’ il male o vincera’ Gesu’?
Tutto questo problema di oggi dei demoni, i posseduti, il diavolo, vedete a volte riflette una non conoscenza del Vangelo e una non profonda esperienza di Gesu’, della sua potenza salvatrice, del suo amore che trasforma, del suo pane che giorno per giorno ci da’ vita: Gesu’ ha gia’ vinto il maligno con la sua risurrezione, ed e’ questo il suo irrompere nel mondo romano, dove - d’altra parte come oggi e come sempre – i romani e anche i pagani temevano moltissimo le forze del male, le potenze dei cieli. Anche il colto romano era preso spesso da terrore, da sofferenza, ecco perché nei vangeli sinottici ci sono molti miracoli, perché era necessario che questo personaggio fosse un personaggio taumaturgico, che sapeva vincere il male, perché il Vangelo di Marco indirizzato ai romani contiene molti miracoli di Gesu’.
Adesso per arrivare un po’ alla fine, parliamo dei sacramenti in Giovanni. Sono due, fondamentalmente: il battesimo e l’eucaristia. Dice Gesu’ a Nicodemo, che era andato a trovarlo di notte per paura dei giudei: “Bisogna rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo”; l’acqua e’ simbolo dello Spirito Santo. L’altro grande tema e’ l’eucaristia: “Chi mangia di questo pane ha la vita eterna”.
Ma vi siete mai chiesti: nell’ultima cena di Giovanni c’e’ l’eucaristia ?
Sì o no? Cosa c’e’?
C’e’ la lavanda dei piedi. Nell’ultima cena di Giovanni non c’e’ il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, c’e’ la lavanda dei piedi. Perché?
Perché tutto il tema dell’eucaristia e’ nel Cap. VI, soprattutto nel versetto 57-58: “Io sono il pane disceso dal cielo, chi mangia di questo pane ha in sé la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Il Vangelo di Giovanni - come abbiamo avuto gia’ modo di dire - e’ l’ultimo dei vangeli essendo stato scritto intorno al 90-100 d.C. Ora, e’ chiaro che la prassi della comunione era gia’ ormai radicata nella comunita’ cristiana, perciò Giovanni non sente l’esigenza di raccontare nuovamente quell’episodio, che tra l’altro era gia’ presente in Paolo e poi nei Vangeli sinottici. Ma Giovanni ribadisce la centralita’ dell’eucaristia - e, strettamente connessa ad essa, della carita’ - attraverso il discorso di Gesu’ sul pane e il racconto della lavanda dei piedi nell’ultima cena.
Un altro momento in cui Giovanni si sofferma sui sacramenti e’ durante la crocifissione di Gesu’, quando il soldato colpì il fianco di Gesu’ con la lancia e - dice Giovanni – “effusit sanguis et aqua”, ne uscì sangue ed acqua.
Anche qui il sangue e’ probabilmente il sacrificio che poi viene trasmesso nell’eucaristia, e l’acqua e’ simbolo del battesimo.
Al capitolo VII del Vangelo di Giovanni, Gesu’ dice: “La mia carne e’ vero cibo, il mio sangue vera bevanda”. Queste parole non ci sono negli altri vangeli; inoltre in Giovanni la parola “carne” assume il significato di debolezza dell’uomo, fragilita’, peccaminosita’, mortalita’.
Giovanni non dice il “Verbo si e’ fatto corpo”, ma dice il “Verbo si e’ fatto carne”, quindi ha partecipato – Paolo lo dira’ varie volte – fino in fondo alla nostra condizione umana.
Soffermiamoci un momento su questa frase: “Chi mangia di questa carne”; ma come fa Gesu’ a darci da mangiare la sua carne?
Attenti bene, siccome celebriamo l’eucaristia tutti i giorni, quando andiamo alla messa, questo pezzo di pane che vediamo, e il sacerdote, e’ un segno sacramentale, non possiamo dire simbolico (come per i protestanti). Padre Leon Dufour dice molto bene: “Chi mangia di questo pane, chi crede totalmente a Gesu’ e vive della sua parola, diventa profondamente in comunione con Cristo”. Questo e’ il pane disceso dal cielo: credere totalmente nella persona di Gesu’ e far entrare la sua parola che in qualche modo diventa carne in ciascuno di noi. Quando vedete il sacerdote, questo e’ Cristo presente in mezzo a noi, io credo. Gesu’ ha voluto rendersi presente attraverso la fede in lui, anche attraverso questo segno “chi mangia della mia carne e beve del mio sangue ha in sé la vita eterna”. Quindi chi crede partecipa pienamente alla vita di Cristo e Gesu’ vive pienamente in me: “Io e il Padre facciamo dimora in voi”; guardate sono testi bellissimi. Il Padre e il Figlio sono in noi con lo Spirito Santo, Dio dimora in noi, questo e’ un grande concetto che c’e’ nel Vangelo di Giovanni, il “dimorare” – che probabilmente risale all’Antico Testamento – quando Dio dimorava nella tenda, dimorava nella legge, poi nel tempio, qui non e’ piu’ un’immagine, non e’ piu’ la legge, qui e’ Gesu’, e’ il Padre stesso che viene ad abitare in me, in noi.
Un’altra cosa che forse si potrebbe dire secondo me e’ questa: spesso Giovanni e’ stato accusato di non avere un’etica: nel Vangelo di Giovanni non si dicono i peccati. Per Giovanni, l’unico grande peccato e’ l’incredulita’. Ma naturalmente abbiamo visto che per Giovanni la fede crea l’amore e quindi la prima lettera di Giovanni, anche se non e’ dello stesso autore, e’ tutta incentrata sull’amore. L’altra accusa che viene mossa a Giovanni e’ questa: di non avere il concetto di Chiesa, di Chiesa di tipo petrino, come quella che andava diffondendosi negli anni 50, 60, 70 dopo Cristo. In realta’ Giovanni vive in questa Chiesa di Efeso, una Chiesa forse molto contemplativa, molto spirituale. In piu’, gli studiosi rispondono che se c’e’ un testo di Giovanni dove appare la Chiesa e’ proprio quello del Buon Pastore, cap. X: “Io sono il buon pastore, questo e’ il mio gregge”, quindi c’e’ il gregge di cui Gesu’ e’ il pastore e, attenti bene, di questo gregge che e’ la Chiesa e’ Gesu’ il buon pastore, non altri, noi siamo tutti al servizio di questo buon pastore che e’ Gesu’, nessuno di noi – né il papa, né i vescovi, né i sacerdoti, nessuno nella Chiesa – deve avere il potere, se non l’autorita’ nella carita’ e il servizio che provengono dal seguire Gesu’ e fare la Sua volonta’.
L’altra grande immagine della Chiesa in Giovanni – che assomiglia molto a quella di Paolo – e’ al Cap. XV, quello della vite e dei tralci: “Chi e’ in me porta molto frutto, altrimenti viene tagliato e viene gettato via”. Il cuore della Chiesa – poi Paolo dira’ - e’ Cristo, che e’ il capo, mentre noi siamo le membra, e tutti facciamo un corpo solo. Giovanni riporta questa poderosa immagine della vite e Gesu’ che dice: “Chi e’ in me porta frutto”. Noi possiamo veramente vivere la nostra fede, la speranza e la carita’ nella Chiesa nella misura in cui siamo in Cristo. E guardate che tutte le grandi crisi che la Chiesa vive nei secoli e’ perché forse viene meno qualche volta questa centralita’ di Cristo: magari un papa può pensare di essere lui il grande, ma e’ Gesu’ il Pastore e questo guardate da’ una grande liberta’, nella misura in cui noi siamo comunita’ in Cristo e da lui abbiamo l’acqua della vita eterna. Alla samaritana dice: “Io ti darò un’acqua, bevendo la quale tu non avrai piu’ sete, ma da te zampilleranno fonti di acqua viva, il dono dello Spirito Santo”. Chi e’ in Cristo ha la vita nuova che e’ la vita stessa di Cristo; se Gesu’ e’ venuto nel mondo e’ proprio per portare a noi la vita che c’e’ nel cuore del Padre. Quando noi testimoniamo il cristianesimo così – io dicevo questa sera ai miei ragazzi – e’ la cosa piu’ bella, non ci sono tutte le storie che continuamente sentiamo, i moralismi, ecc.; la vita morale e’ vissuta bene quando siamo in Cristo, quando attingiamo all’acqua della fonte viva che e’ il cuore di Cristo, e d’altra parte pensate ai santi, Benedetto, gli apostoli, Francesco, Chiara, Teresa di Calcutta: piu’ si e’ uniti in Cristo e piu’ si e’ santi. Domani e’ la festa dei Santi, e’ la nostra festa domani, anche noi siamo santi, santificati dallo Spirito Santo, i nostri genitori, i nostri santi, tante brave persone venute prima di noi, nella poverta’, nella sofferenza, santi, certamente, santi perché sono stati santificati dal corpo di Cristo che e’ l’eucaristia, santificati dallo Spirito – “Io vi manderò lo Spirito che vi insegnera’ la verita’ tutta intera”, dice Gesu’, e nel giorno della Pentecoste il fuoco dell’amore dello Spirito fa nascere la Chiesa. E’ la nostra festa domani, e’ la festa di tutti, io ho fatto questa omelia nella messa prefestiva di stasera e la farò anche domani: noi siamo santificati e - dicevo – questa sera lasciamoci una volta riempire da questa promessa: Gesu’ ci promette la beatitudine, sentiamoci una volta beati, una volta santificati, togliamo gli stress, quelle pressioni, io capisco che la sera venire fino qui con questo stress quotidiano che ha una persona che va a lavorare e’ terribile, ma prendiamoci un momento di contemplazione, sentiamo in noi quest’opera di beatitudine, lasciamoci amare dal Signore. E allora, ecco veramente l’esperienza del Vangelo di Giovanni e’ un’esperienza che ci può davvero far sentire sempre giovani. Dice Nicodemo anziano: “Come faccio io che sono vecchio a tornare nel seno di mia madre e rinascere?”. Gli risponde Gesu’: “Rinasci dall’acqua e dallo Spirito”, cioe’ viviamo immersi nei sacramenti, in comunione con Gesu’, lasciamo che questa santita’ che Gesu’ ci ha donato entri in noi e ci sentiamo una volta santificati, beatificati e allora in qualche modo l’amore di Gesu’ arrivera’ attraverso di noi anche alle nostre famiglie, ai nostri figli, ai nipoti, che credano, che non credano. Oggi ho fatto un funerale a una persona giovane, 55 anni; ieri era venuta una signora che lo conosceva, dicendomi: “Ma Don Enrico sa, questi sono atei, il figlio si proclama ateo, mi raccomando, che predica fara’ lei domani?”. Io ho letto le beatitudini e ho detto: guardate in ogni uomo un po’ di beatitudine ci deve essere stata per forza, e allora anche lui, questo nostro fratello, nel suo cuore avra’ vissuto un momento di bellezza evangelica e oggi il Signore lo accogliera’, anche lui se lo portera’, come il buon pastore, nel seno del Padre. E allora vedete come e’ ricca di vita anche pratica, di vita quotidiana, la parola di Gesu’. So che quest’anno fate il Vangelo di Giovanni, ecco fatelo con molta gioia, con molta profondita’ ed io credo che sentirete davvero zampillare dentro di voi la bellezza della luce, della grazia, la bellezza del dono che Gesu’ ci ha fatto: Gesu’ ci ha portati tutti insieme nel cuore del Padre. Noi possiamo con Gesu’ sentire i palpiti di amore del cuore del Padre. Come faceva Teresa del Bambin Gesu’, che sentiva, come faceva Francesco, sentivano come il Padre…..qui ci sono tanti temi di cui vi volevo parlare.
Abbiamo detto molte cose in questo nostro incontro: Verbo, pane, acqua, sangue, vita, i giudei, la salvezza, l’incredulita’. Una parola sull’ira di Dio: Leon Dufour fa notare che “mai nei Vangeli si parla di ira del Padre, non c’e’ l’ira del Padre”, bellissimo; ma vi rendete conto? Mentre nell’Antico Testamento se ne parla, se voi andate a vedere sul vocabolario biblico la parola “ira” e’ presente; diciamo che anche Gesu’ qualche volta si arrabbia, non e’ indifferente, e allora l’ira di Dio come va intesa? L’ira di Dio e’ questa: la sofferenza di Dio di non poter amare fino in fondo le sue creature, di non poter amare, perché c’e’ uno steccato, una barriera; l’ira di Dio e’ un supplemento di amore, non poter arrivare fino al cuore delle sue creature. Quindi quando leggerete questo Vangelo spirituale, ricordatevi, “Gesu’ mi ha portato a sentire i battiti di amore del cuore del Padre”.
Domanda: Il Vangelo di Giovanni può ritenersi quello che piu’ e’ stato attento a reperire la provenienza storica dei fatti, perché poi risulta essere quello che forse si presenta come il piu’ colto?
Risposta: L’accusa che viene spesso fatta al Vangelo di Giovanni e’ di non essere abbastanza storico. Allora, attenti bene: per esempio in Giovanni c’e’ alla fine la risurrezione di Lazzaro di cui nessun altro evangelista parla e Giovanni lo mette lì proprio prima della cattura e della morte di Gesu’, con una proiezione sulla stessa morte e risurrezione di Gesu’. Allora ci si chiede: ma e’ possibile che gli altri evangelisti non abbiano parlato di questo fatto clamoroso? - ci si chiede spesso. State bene attenti: dicono bene gli studiosi, i padri della chiesa per esempio non erano interessati a sapere quanti miracoli storicamente Gesu’ aveva fatto, né quello era l’interesse degli evangelisti, che non avevano l’interesse a raccontare dei fatti “storici”, perché essi miravano a soffermarsi su questa persona di Gesu’ e sulle sue parole, morte e risurrezione, con cui Egli ci ha rivelato un mondo nuovo e svelato il volto d’amore del Padre. Indubbiamente, vi sono nella tradizione vetero-testamentaria e anche nel Nuovo Testamento episodi di miracoli, di resurrezioni: però l’evangelista Giovanni non ritiene centrale questo episodio in sé e per questo lo inserisce alla fine del suo vangelo, perché il suo scopo era quello di illuminare la persona di Gesu’ e la sua risurrezione, di leggere la risurrezione di Lazzaro come preparazione alla risurrezione di Gesu’. Quindi certi eventi storici a Giovanni non interessavano piu’, perché erano gia’ conosciuti dalle chiese e comunita’ cristiane, lui scrive tardi, a lui interessa descrivere come ha contemplato nello Spirito Santo il mistero di Gesu’.
Che cos’e’ che noi abbiamo di piu’ a cuore, l’uomo cosa desidera di piu’? Di per sé l’uomo desidera una cosa, di non morire, ma pensate che intuizione ha avuto Gesu’. Le foglie che in questa stagione cadono, i tigli che sono lì nella mia parrocchia e in giugno sono profumatissimi, adesso in autunno cadono, come dicevano i poeti latini Orazio, Catullo; insomma oggi c’e’, domani non c’e’ piu’, la visione del nulla, una visione spesso propria della filosofia moderna. Quello che io trovo grande in in Gesu’ e che Giovanni e’ riuscito a trasmetterci e’ che Gesu’ ha dato un senso alla nostra storia personale, portando l’idea della nostra risurrezione. Ma come risorgeremo? Risorgeremo con il nostro corpo, quando sara’ la fine; la mia identita’ personale, quello per cui io sono uomo, risorge, non solo il mio spirito come e’ stato sempre insegnato. Nella mentalita’ ebraica, l’uomo e’ composto di spirito e di carne, la nostra identita’ risorge, mio padre che e’ morto, mia sorella che e’ morta, la sua identita’, quello per cui siamo persona e’ entrato nel regno di Dio. Io non sono persona con il braccio, con la gamba, sono persona con tutta la configurazione della mia esistenza e Gesu’ ha detto chi crede in me io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Un’altra grande cosa da sottolineare sarebbe questa famosa teologia di Giovanni: e’ una teologia realizzata, e’ una escatologia realizzata o e’ un’escatologia futura ? La parola escatologia vuol dire le ultime cose. In Giovanni, l’escatologia e’ un’escatologia realizzata, che non esclude una teologia futura, nella risurrezione finale, ma in Giovanni chi crede oggi ha gia’ la vita eterna. Ora noi non sappiamo com’e’ il paradiso – e a me non interessa sapere com’e’ il paradiso – Giovanni dice però nella prima lettera che io leggo sempre ai funerali: “Dio nessuno l’ha mai visto”, quando moriremo vedremo Dio così come egli e’. Questo e’ il Paradiso, contemplare Dio nella pienezza della luce, dell’amore, della verita’. Di la’ noi vedremo Dio così come Egli e’.
Domanda: Lei quando ha iniziato a parlare ha fatto l’ipotesi del come mai i discepoli erano andati a seguire Gesu’: e’ semplice, Gesu’ ha fatto le nozze di Cana e ha dato da mangiare, con Giovanni Battista loro facevano gli asceti in mezzo al deserto, mangiavano locuste, per forza…..
Don Enrico: Ma Gesu’ non aveva ancora cominciato a fare i segni quando i discepoli lo seguono, siamo ancora all’inizio e loro sono i primi discepoli di Gesu’, e secondo me questo e’ grandissimo, le nozze di Cana vengono dopo. Qual e’ il significato delle nozze di Cana? L’acqua che diventa vino; c’e’ un’interpretazione piu’ bella, piu’ profonda, in questo modo Gesu’ davanti ai suoi primi discepoli manifestò la sua gloria. Innanzitutto vorrei soffermarmi su questa figura molto dolce, molto semplice di Maria, che dice: “Fate quello che egli vi dice”, così discreta. Ma all’evangelista non interessa tanto il cambiamento dell’acqua in vino come fatto in se’, ma come attraverso questi segni Gesu’ incominciò a manifestare la sua gloria, la gloria che lo conduce fino alla gloria della resurrezione. La vita di Gesu’ e’ proprio questa: la discesa, la sua morte e la sua glorificazione; Gesu’ che vive e’ gia’ in qualche modo colui che e’ glorificato e che a poco a poco manifesta la sua gloria, attraverso i segni. Quindi anche a Cana – che e’ un episodio bellissimo, dolce – in realta’ Gesu’ vuole manifestare il suo rapporto di intimita’ col Padre, che incomincia a rivelarsi nei segni. Chi va incontro a Gesu’ nel Vangelo di Giovanni incontra il Padre; questo e’ grandissimo. Gesu’ aveva questo senso enorme di comunione con Dio che chiama Padre. “Come fai tu a chiamare Dio Padre?” – gli chiedono i suoi oppositori; e ancora gli dicono increduli: “Conosciamo tua madre e tuo padre”. Guardate - sembra dire Gesu’ – non sono io, guardate le mie opere, sono le mie opere che testimoniano che io e il Padre siamo una cosa sola. Sapete che per essere creduti presso il mondo antico c’era sempre bisogno di due testimoni e Gesu’ dice: non sono io che testimonio me stesso, il Padre che mi ha mandato testimonia. Ma come fai a dire che e’ il Padre? Va bene, non credete a me, guardate le mie opere. Gesu’ continuamente spingeva a guardare dopo duemila anni dove Dio si e’ rivelato, guardate il momento straordinario dove Dio e’ diventato uomo, per assumere su di sé tutta la debolezza dell’uomo.
Domanda: Leggendo il Vangelo di Giovanni mi sembra di vedere la sobrieta’ del sepolcro, due parole sul sepolcro come e’ descritto da Giovanni. Questa semplicita’.
Don Enrico: Giovanni sceglie per Gesu’ una terra vergine, il giardino che non era mai stato usato; a me personalmente ha richiamato un po’ Adamo, che viene tratto dalla terra e Gesu’ scende in questa terra vergine perché nessuno l’aveva mai usata come sepolcro. E lì avviene la grande sconfitta di Gesu’: il silenzio totale, lui che si era fatto Figlio di Dio scende in questo sepolcro come gli altri uomini. Io qui ho scritto nel mio libro: immagino Maria, Maria di Cleofa e le altre donne, e Giovanni evangelista che hanno vegliato come facciamo noi nei nostri cimiteri, hanno vegliato in quella notte drammatica chiedendosi, ma davvero tutto e’ finito? Questo consumarsi di Gesu’ nella storia dell’uomo fino alla fine: scendere nel sepolcro; ma quando noi scenderemo nei nostri sepolcri, per noi sara’ davvero tutto finito? Questo momento drammatico di scendere. Ma poi ecco qui questo discorso della Pasqua, Gesu’ si e’ consumato, per tre giorni sta giu’ come ciascuno di noi, ma poi c’e’ il grande miracolo pasquale: Gesu’ risorge. E questo e’ stato possibile perché? Perché Gesu’ si e’ totalmente affidato al Padre. Noi nella nostra morte ci affidiamo completamente alla potenza del Padre che si e’ rivelato in Gesu’. Gesu’ scende nel silenzio della tomba come ciascuno di noi in una terra che nessuno ancora aveva toccato, come Adamo fatto dalla terra nasce; poi risorge per la potenza del Padre, e nella gloria di Gesu’ ci sono gia’ in nuce la risurrezione e la gloria dell’uomo.
Mi ricordo da bambino – io sono milanese – in una chiesa vedevo sempre un quadro di fine ‘700-‘800, un Ecce Homo, bellissimo, con Pilato che porta avanti questo Gesu’ con un mantello rosso. “Ecco l’uomo”. Pensate, Pilato poteva indicare Gesu’ in un altro modo, ma invece usa questa parola che si può applicare all’umanita’ intera, anthropos. L’uomo Gesu’ si presenta davanti al sinedrio, davanti alla folla inferocita, come l’uomo che ha perso. Si vede qui l’uomo della sconfitta, come avviene anche nella nostra vita, la desolazione, la delusione, abbiamo sognato tanto nella nostra giovinezza; questo uomo che va incontro alla morte, che accetta di essere denudato e sappiamo come essere resi nudi anche ai nostri giorni e’ una violenza enorme fatta sul corpo e sull’anima. Questa veste che viene tolta, che non viene consumata – in genere chi stava sotto la croce usava prendere tutte le ultime cose che avevano quelli messi a morte sulla croce. E Gesu’ fino in fondo, nudo, come una violenza, una violazione che delle volte vediamo anche ai nostri giorni, Gesu’ accetta fino in fondo questa immagine drammatica, però - sembra rassicurarci Giovanni – uscirono sangue e acqua dal suo costato, segno della nuova vita. Per Agostino questo e’ il momento in cui nasce la Chiesa: sangue e acqua per indicare che inizia una nuova vita. Gesu’ scende nel sepolcro, affidandosi al Padre, e il Padre lo risuscita. Noi che cerchiamo di credere in Dio qualche volta dovremmo farci la domanda: ma perché ci ha messo al mondo, non potevamo stare nel nulla, nel silenzio, non nascere? Ma pensate che dono e’ la vita, la vita eterna, che in primo luogo non vuol dire vita per sempre, ma vita in comunione, attraverso lo Spirito e Gesu’, con il Padre. Altrimenti potevamo essere nel silenzio, non nascere, ma siamo nati, abbiamo tutti una storia che e’ un anticipo di vita, vita eterna. Chi crede in me ha la vita, e in Cristo e nel Padre noi abbiamo l’eternita’ della vita, partecipiamo alla vita trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Siamo coinvolti, in questa grande sinfonia trinitaria, entriamo anche noi in comunione eterna con Dio. Per questo ha grande senso la vita.
Filed under: GHEZZI ENRICO