VANGELO E CULTURA NEL CAMMINO DELL’UOMO – Card. Zenon Grocholewski
Posted on novembre 7th, 2009 by Angelo
CONFERENZA
DELL’ARCIVESCOVO
GROCHOLEWSKI
ALL’INCONTRO DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE D’EUROPA
Il Vangelo e la cultura nel cammino dell’uomo: il Giubileo e il rinnovamento dell’Università
Santiago de Compostela, luglio 2000
ZENON GROCHOLEWSKI
Arcivescovo titolare di Agropoli
Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica
Ringrazio sentitamente per l’invito rivoltomi a partecipare al presente Incontro qui a Santiago di Compostela.
Il tema Il Vangelo e la cultura nel cammino dell’uomo: il Grande Giubileo e il rinnovamento dell’Università è, oltre che estremamente attuale, certamente ampio e complesso, per cui non mi è possibile affrontarlo sotto tutti i punti di vista.
Mi limiterò, quindi, ad alcune considerazioni di ordine generale, le quali possono aiutare a comprendere meglio e a vivere il significato del Giubileo dei docenti universitari.
A. La realtà che c’interpella
1. È noto a tutti che il nostro tempo è caratterizzato da profonde trasformazioni che incidono direttamente o indirettamente anche sulla realtà universitaria e la sua finalità. Tra i diversi aspetti che toccano gli studi accademici si constata sempre più un interesse crescente per le discipline produttive, cioè di ambito tecnologico ed economico, a scapito delle discipline umanistiche, con la conseguente tendenza a ridurre la conoscenza dell’uomo e anche la verità stessa a tutto ciò che è visibile e immanente.
2. La ricerca disinteressata della verità in questo contesto – che si potrebbe definire tecnologico-scientifico – pare riscontrare la mancanza d’attenzione. Infatti, non si può negare che nella realtà odierna sono in crisi sia il concetto della verità che l’interesse per essa, per quanto riguarda le cose sostanziali della vita (1).
Ma senza la passione per la ricerca della verità ogni cultura si sfalda nel relativo e nell’effimero. La verità è il vero fondamento dell’umanesimo.
3. Con queste osservazioni è strettamente connessa quella circa la relazione tra progresso scientifico-tecnico e progresso etico-morale.
Il vero progresso, particolarmente oggi, esige che lo sviluppo scientifico-tecnico si realizzi di pari passo con quello etico-morale. Senza ciò, il solo sviluppo della tecnica e della scienza – come palesemente dimostrano, a livello mondiale, non pochi eventi del secolo appena trascorso – conduce a ingiustizie sempre più evidenti, ad oppressioni sempre più raffinate e addirittura a conflitti sempre più orribili. Dobbiamo, purtroppo, constatare che sono stati proprio i mezzi economici e le moderne conquiste della scienza e della tecnica ad offrire gli strumenti idonei per compiere i crimini più orrendi.
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A riguardo vale la pena menzionare il pensiero di un conoscitore dell’educazione occidentale e della sua crisi, Christopher Dawson, il quale rilevava: “La civiltà moderna nonostante le immense mete raggiunte in campo tecnico è moralmente debole e spiritualmente divisa [...]. La scienza e la tecnica sono soggette ad essere usate da qualsiasi potere de facto che si trova a controllare la società per fini particolari. Possiamo così vedere [...] come le risorse della scienza siano state usate dagli Stati totalitari come strumenti di potere, e come l’ordine tecnologico sia stato applicato nel mondo democratico occidentale al servizio della ricchezza e dell’appagamento dei bisogni materiali, anche se questi bisogni sono stati stimolati artificialmente dagli stessi poteri economici che trovano il proprio guadagno nel loro appagamento” (2).
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Si tratta della preoccupazione espressa da uomini di prestigio che hanno a cuore la finalità dello studio. Si pensi, ad esempio, a quanto scrive Romano Guardini: “In maniera sempre più chiara si fa avanti quel valore che intende sostituire la verità: il potere” (3).
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Lo sviluppo della tecnica, per poter realmente servire gli uomini, esige un proporzionato sviluppo della vita morale (4).
“Il senso essenziale [... del] dominio dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore – ha osservato perspicacemente Giovanni Paolo II – consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato delle persone sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia” (5).
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Altrimenti si corre il rischio che lo sviluppo della tecnica si rivolga contro l’uomo stesso, non renda la vita umana sulla terra in ogni suo aspetto più umana, non la renda più degna dell’uomo; in tal caso, l’uomo, proprio in quanto uomo, non si sviluppa né progredisce, ma piuttosto regredisce e si degrada nella sua umanità (6).
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In questa prospettiva, il Pontefice scorge il pericolo reale “[...] che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell’uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme [...] manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita comunitaria”.
Invece “l’uomo non può rinunciare a se stesso, né al posto che gli spetta nel mondo visibile; non può diventare schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti. Una civiltà dal profilo puramente materialistico condanna l’uomo a tale schiavitù” (7), subordina l’uomo alle sue esigenze parziali, lo soffoca e disgrega la società (8).
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B. La risposta della fede
a livello universitario
4. Questo discorso non significa affatto che le varie scienze debbano perdere la loro autonomia e il loro oggetto specifico; esso intende, invece, sottolineare la necessità di far sì che l’attuale progresso scientifico-tecnologico così vertiginoso sia umanizzato al fine di essere veramente a vantaggio dell’uomo e della società.
La fede ha la capacità di arricchire questo sviluppo scientifico e tecnologico in diversi modi:
- Prima di tutto provocando al suo interno la riflessione sul significato e la finalità ultima della ricerca e della tecnologia.
Infatti, la sola scienza non è in grado di dare la piena risposta al riguardo, e si tratta di una questione vitale nel coltivare le scienze (9).
- La fede inoltre ci permette di cogliere il concetto di umanesimo – che, con lo sforzo di tutti, occorre riportare in seno all’università facendole ritrovare la sua vocazione originaria, luogo segnato da “humanitas” -, come campo della coltivazione di un sapere volto a sviluppare l’uomo nella sua integrità e quindi anche nella sua dimensione spirituale-religiosa. Non per nulla, nelle prime università, noi troviamo presente la Facoltà di Teologia.
In questo senso – con riferimento al Concilio Vaticano II (GS, 43 ss.) – la Cost. Ap. Sapientia christiana (10) all’inizio osserva: “La sapienza cristiana [...] è di continuo incitamento ai fedeli perché si sforzino di raccogliere le vicende e le attività umane in un’unica sintesi vitale insieme con i valori religiosi, sotto la cui direzione tutte le cose sono tra loro coordinate per la gloria di Dio e per l’integrale sviluppo dell’uomo, sviluppo che comprende i beni del corpo e quelli dello spirito”.
- In questa prospettiva la fede necessariamente c’impegna a sollecitare l’università a scrutare più profondamente il mistero dell’uomo e nel medesimo tempo a far sì che l’università formando l’uomo promuova l’autentico bene della società.
In questo contesto mi permetto di ricordare quanto Giovanni Paolo II nota con insistenza: “Non si può [...] comprendere l’uomo fino in fondo senza il Cristo. O piuttosto l’uomo non è capace di comprendere se stesso fino in fondo senza il Cristo. Non può capire né chi è, né quale è la sua vera dignità, né quale sia la sua vocazione, né il destino finale. Non può capire tutto ciò senza il Cristo. E perciò non si può escludere Cristo dalla storia dell’uomo in qualsiasi parte del globo, e su qualsiasi longitudine e latitudine geografica” (11).
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Il Cristo è “la chiave per la comprensione di quella grande e fondamentale realtà che è l’uomo” (12). Citando le parole del Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II sottolinea: “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo [...] Cristo [...] svela [...] pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (13), e la piena verità sulla libertà umana (14), sul suo vero bene (15). Anzi, “attraverso l’Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all’uomo sin dal suo primo inizio, e l’ha dato in maniera definitiva” (16). In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile anche “la fondamentale verità sulla creazione” intera (17). L’uomo quindi “che vuole comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve [...] avvicinarsi a Cristo” (18).
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- Servire l’uomo significa – secondo l’umanesimo cristiano – anzitutto cercare disinteressatamente la verità, la quale ha la sua pienezza in Cristo. Il consacrarsi senza riserve alla causa della verità significa servire “la dignità dell’uomo e la causa della Chiesa, la quale ha “l’intima convinzione che la verità è la sua vera alleata… e che la conoscenza e la ragione sono fedeli ministre della fede” (Card. Newman)” (19). “La nostra epoca [...] ha urgente bisogno di questa forma di servizio disinteressato, che è quello di proclamare il senso della verità, valore fondamentale senza il quale si estinguono la libertà, la giustizia e la dignità dell’uomo” (20).
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C. Dialogo tra fede e cultura
5. In questa prospettiva, la parola della fede appare come interlocutore culturalmente significativo e rilevante nell’ambito universitario. Infatti, “una fede che non diventa cultura [nel senso di modo di esistere e di essere dell'uomo] è una fede non pienamente accolta, non intensamente pensata, non fedelmente vissuta” (21).
Le scienze tecniche, aiutate a superare una riduzione culturale che le mortificherebbe circoscrivendole a sapere meramente funzionale e pragmatico, possono così riprendere la loro fisionomia di ricerca posta a servizio della qualità della vita, mai slegata dalla verità totale sull’uomo e sul mondo.
Le scienze umane, a loro volta, vengono provocate a quasi riscattarsi da una visione del sapere strumentale e calcolatore, che tende a relegarle a ruoli secondari, e a mostrare la loro capacità di scrutare l’uomo nella sua profondità, e quindi di saper cogliere in esso il desiderio vivo di Dio e nel medesimo tempo l’idoneità dell’intelletto umano di saper arrivare, con la sua acutezza, a Dio stesso (22).
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6. In questo orizzonte, si comprende come fede e cultura non siano estranee l’una all’altra; esse sono indissolubilmente connesse in radice: “nella sua base ontologica il fenomeno della cultura possiede una intrinseca dimensione religiosa, giacché in molti modi manifesta quel desiderium naturale videndi Deum che è presente in ogni uomo” (23).
La dimensione religiosa appare, dunque, punto d’incontro naturale e fecondo tra la concezione dell’uomo e il concetto di cultura: “È tempo di comprendere più profondamente che il nucleo generatore d’ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale” (24).
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7. Un eventuale tentativo di infrangere questo connubio porta l’uomo e la cultura stessa a ripiegarsi su di sé, su interessi puramente egoistici e a non aprirsi ad orizzonti più vasti che sono indispensabili perché l’uomo possa veramente essere compreso ed esprimersi nella sua totalità.
In tale dialogo ha una grande rilevanza la riflessione teologica in seno all’università. Essa, infatti, promuove proprio un dialogo costruttivo nella verità, contribuendo ad evitare una concezione dualistica del sapere umano e quindi una separazione tra Vangelo e cultura, tra fede e ragione.
Il carattere di scientificità che la riflessione teologica assume impedisce ogni confusione di piani. Attraverso un uso critico della ragione, essa tende a illustrare la coerenza, la struttura intelligibile, il significato perenne dell’asserto di fede nel confronto con il mutamento delle culture, lasciandosi provocare da esse e al tempo stesso provocandole per un’intelligibilità sempre più profonda della verità. Unendo in sé l’audacia della ricerca e la pazienza della maturazione, l’orizzonte teologico può e deve interessarsi di tutti i problemi che tormentano gli uomini; può e deve valorizzare tutte le risorse della ragione.
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8. Comunque, occorre sottolineare in questo contesto che la questione della Verità e dell’Assoluto – la questione di Dio – non è una investigazione astratta, avulsa dalla realtà del quotidiano; ma la domanda cruciale, da cui dipende radicalmente la scoperta del senso (o del non senso) del mondo e della vita.
9. Quindi, il dialogo tra fede e cultura, l’attenzione costante al significato della ricerca e della tecnologia, la preoccupazione di un sapere che abbracci la visione e la formazione integrale dell’uomo, la ricerca disinteressata della verità: tutto ciò costituisce un servizio all’uomo stesso e al vero progresso.
La sensibilità cristiana è chiamata ad inserirsi in questo dialogo, senza avanzare pretese egemoniche di nessun tipo. Non solo per rispetto delle legittime libertà d’espressione e convinzione, ma per fedeltà alla sua missione specifica.
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Venti anni or sono, Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai professori e agli studenti in Germania, sottolineò: “Una soluzione sicura, capace di rispondere alle urgenti questioni relative al senso dell’esistenza umana, ai principi che guidano l’agire, alle prospettive di una speranza aperta al futuro è possibile soltanto in una rinnovata unione del sapere scientifico con la forza della fede dell’uomo, la quale cerca la verità. La lotta per un umanesimo, sul quale si può fondare lo sviluppo del terzo millennio, porterà al successo soltanto quando in esso la conoscenza scientifica di nuovo si unirà in maniera vitale con la verità che è stata rivelata all’uomo come dono di Dio” (25).
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10. Vorrei aggiungere una parola circa il ruolo dei docenti e degli studenti cattolici in questo dialogo. Anche dove non è possibile parlare esplicitamente di Dio si può operare perché si crei quello spazio spirituale e culturale dove Dio possa parlare. Per creare questo spazio ovviamente occorre:
- una fede viva nella forza del Vangelo. Dobbiamo essere convinti anzitutto che nel Vangelo si dà “una concezione del mondo e dell’uomo che non cessa di sprigionare valenze culturali, umanistiche ed etiche da cui dipende tutta la visione della vita e della storia” (26);
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- una testimonianza di vita cristiana visibile. La potenza del Vangelo, pur essendo efficace in sé e per sé, richiede però quella testimonianza visibile da parte dei cristiani che vivono nell’ambito universitario e che hanno realizzato una sintesi esistenziale tra la loro fede e la loro professione accademico-scientifica. Infatti – come ha notato Paolo VI – “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, [...] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (27).
D. Il Giubileo degli Universitari
11. Il presente Incontro con la sua tematica s’inserisce nel contesto della celebrazione del Giubileo, nel quale ricordiamo il bimillenario dell’Incarnazione del Verbo di Dio. La nostra riflessione non può prescindere da questo avvenimento; anzi, deve inserirsi in esso. Siamo, pertanto, tutti chiamati a guardare a Cristo, Via, Verità e Vita (Gv 14, 6), il quale è venuto nel mondo per portarci la pienezza della verità e la salvezza. Il nostro discorso sull’umanesimo rischierebbe di restare astratto e incompleto senza questo sguardo, il quale è capace di cambiare il cuore dell’uomo e la visione con cui egli è chiamato a vedere la realtà e a risolvere i molteplici problemi che la vita presenta.
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Il Giubileo comporta necessariamente la conversione a Cristo; tale conversione per i docenti e gli studenti universitari cattolici significa anche uno sforzo continuo di armonizzare fede vissuta e insegnamento-ricerca, comporta una testimonianza chiara della loro vita cristiana.
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Senza l’apporto dei docenti cattolici e in un certo grado degli studenti in seno all’Università, volto a coniugare Vangelo e cultura, ogni discorso rischia di rimanere astratto. I docenti, infatti, svolgono una funzione primaria e delicatissima nel contesto della ricerca della verità e nell’aprire i cuori dei giovani e dei loro colleghi alla verità assoluta che è Cristo stesso. Questa loro attività la svolgeranno nella convinzione che la scienza e la cultura non devono avere paura di Cristo; anzi, occorre spalancare le porte a Lui, che sa ciò che è dentro l’uomo, per permettergli di parlare all’uomo stesso e di svelargli la sua identità e missione (28).
Questo sguardo a Cristo deve essere talmente personale e forte da far attirare l’attenzione anche dei docenti e degli studenti non cristiani verso Gesù. La gioia della nostra celebrazione giubilare deve costituire un’occasione perché anche i non credenti siano provocati alla ricerca della verità assoluta che è Cristo stesso. Voglio ricordare quanto il Papa scrive nella Bolla d’Indizione del Grande Giubileo dell’Anno 2000 Incarnationis Mysterium: “In occasione di questa grande festa sono cordialmente invitati a gioire della nostra gioia anche i seguaci di altre religioni, come pure quanti sono lontani dalla fede in Dio. Come fratelli dell’unica famiglia umana, varchiamo insieme la soglia di un nuovo millennio che richiederà l’impegno e la responsabilità di tutti” (29).
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Di tutto cuore mi auguro che il presente Incontro sia un’occasione per tutti di riflessione, di conversione e d’impegno. Il futuro della società si gioca in gran parte in seno alle Università, luoghi dove si preparano coloro che avranno responsabilità di rilievo nei vari settori del sapere, della scienza e della tecnica. Il momento attuale è carico di tensioni e incertezze, ma è anche aperto a grandi speranze. Tocca a noi tutti, particolarmente in questo Giubileo che ricorda la nascita di Gesù, orientare queste speranze verso l’autentico bene dell’uomo e della società.
Note:
(1) Cfr ad es. P. Poupard, La ricerca della verità nella cultura contemporanea in Studi Senesi 106 (1994) I, 108-133; C. M. Martini, Renderò gloria a Chi mi ha concesso la sapienza, Milano 2000, 20-22. Questa crisi è stata, del resto, spesso rilevata anche dal Magistero.
(2) La crisi dell’educazione occidentale, Brescia 1965, 175.
(3) R. Guardini, Tre scritti sull’università, Brescia 1999, 79.
(4) Cfr Enc. Redemptor hominis, 15d, 16a.
(5) Enc. Redemptor hominis, 16a; cfr Sollicitudo rei socialis, 27-34.
(6) Cfr Enc. Redemptor hominis 15b 15d, 15e.
(7) Ivi, 16b.
(8) Ivi, 16g.
(9) Cfr al riguardo Giovanni Paolo II, Allocutio ad professores et alumnos publicarum Universitatum in Coloniensi metropolitano templo habita, 15 novembris 1980, n. 3, in AAS 73 (1981) 52-53.
(10) Del 15 aprile 1979, in AAS 71 (1979) 469-499. Traduzione italiana in Enchiridion Vaticanum, vol. VI, nn. 1330-1454.
(11) Varsavia, 2 giugno 1979, in AAS 71 (1978) 738, n. 3a. Traduzione italiana in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 2 (1979) I, 1388.
(12) Ivi.
(13) Enc. Redemptor hominis, 8b; cfr anche ivi, 13a, dove Giovanni Paolo II parla della “potenza di quella verità sull’uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell’Incamazione e della Redenzione” e della “potenza di quell’amore che da essa irradia”.
(14) Ivi, 21e.
(15) Ivi, 13b.
(16) Ivi, 1b.
(17) Ivi, 8a.
(18) Ivi, 10a.
(19) Cfr Cost. Ap. Ex corde Ecclesiæ, 15 aprile 1990, 4.
(20) Ibidem.
(21) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso nazionale del movimento ecclesiale di impegno culturale, 16 gennaio 1982, 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 5 (1982) I, 131.
(22) In fondo si tratta di quella visione metafisica che potrà aiutare a superare visioni parziali della realtà. Al riguardo mi piace ricordare quanto osserva Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Fides et Ratio: “L’importanza dell’istanza metafisica diventa ancora più evidente se si considera lo sviluppo che oggi hanno le scienze ermeneutiche e le diverse analisi del linguaggio. I risultati a cui questi studi giungono possono essere molto utili per l’intelligenza della fede, in quanto rendono manifesti la struttura del nostro pensare e parlare e il senso racchiuso nel linguaggio. Vi sono cultori di tali scienze, però, che nelle loro indagini tendono ad arrestarsi al come si comprende e come si dice la realtà, prescindendo dal verificare le possibilità della ragione di scoprirne l’essenza. Come non vedere in tale atteggiamento una conferma della crisi di fiducia, che il nostro tempo sta attraversando, circa le capacità della ragione?” (n. 84).
(23) Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Università Lateranense, 7 novembre 1996, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 19 (1996) II, 656.
(24) Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno ecclesiale di Palermo, 23 novembre 1995, n. 4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 18 (1995) II, 1199.
(25) Allocutio ad professores et alumnos publicarum Universitatum in Coloniensi metropolitano templo habita, 15 novembris 1980, n. 5, in AAS 73 (1981) 57.
(26) Giovanni Paolo II, Discorso al Forum dei Rettori delle Università Europee, 19 aprile 1991, n. 7, in AAS 84 (1992) 55.
(27) Esort. Ap. Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 41, in AAS 58 (1976) 5-76.
(28) Cfr Discorso inaugurale del Pontificato di Giovanni Paolo II, 28 ottobre 1978, in AAS 70 (1978) 947.
(29) N. 6.
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