LA LECTIO DIVINA – Card. Carlo Maria Martini
La lectio divina ha conosciuto nel dopo-Concilio una meravigliosa riscoperta grazie a maestri come il Card Martini, E. Bianchi, Masini, I. Gargano, e tanti altri. La svolta storica conciliare del superamento delle antiche remore di fronte al testo sacro ha riaperto ai credenti le sorgenti della spiritualità biblica che già avevano illuminato i primi secoli del cammino della Chiesa.
I religiosi, i presbiteri e i laici, alla scuola dei ss. Padri e Monaci hanno ripreso a nutrirsi personalmente della parola di Dio e a farne il luogo privilegiato dell’ascolto e del dialogo con Dio superando lo sterile e stagnante devozionalismo dei secoli passati.
È tanta la ricchezza e profondità di questo filone spirituale che abbiamo pensato di dedicargli una pagina del nostro sito. «È un vero maestro della “lectio divina”, che aiuta a entrare nel vivo della Sacra Scrittura», ha detto di lui in piazza San Pietro Benedetto XVI.
LA LECTIO DIVINA
Secondo la mia abitudine, ho cercato di trasformare questa dizione in una domana:In quale modo utilizzare il testo biblico per una meditazione che sfoci un preghiera e in atti concreti di vita?
L’orazione infatti tende al cambiamento del cuore, alla conversione. E confesso che è la domanda a cui mi sforzo di rispondere da una vita, una domanda sempre da rinnovare, da rilanciare, da rimettere i cantiere. Richiamerò dunque, brevemente, alcune parole chiave che formulo in latino perché non è facile trovare in italiano un equivalente sufficientemente comprensivo:
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lectio,
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meditatio,
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contemplatio,
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oratio,
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consolatio,
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discretio,
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deliberatio,
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actio.
Sono parole che mi permettono di cogliere come avviene il passaggio da testo biblico allavita, transitando per la preghiera e la contemplazione.
“La lectio divina è un approccio graduale al testo biblico e risale all’antico metodo dei Padri, che a loro volta si richiamavano all’uso rabbinico.”
Chi ha “inventato” questo metodo di lettura-preghiera?
“La suddivisione classica in memoria, intelletto, volontà è molto antica ed è sviluppata in particolare da sant’Agostino per quanto riguarda il tema della memoria. Più tardi questa triade diviene sinonimo di un processo meditativo riferito alla Scrittura o a una verità di fede.
Ricorderò anche, brevemente, il metodo della “contemplazione evangelica”, termine usato ordinariamente per indicare il modo di meditare una pagina del Vangelo: un significativo esempio l’abbiamo nel libretto de Gli Esercizi spirituali di Ignazio di Lojola, che a partire dalla II settimana parla di “contemplazione” perché al lavoro dell’intelletto subentra prevalentemente il coinvolgimento esistenziale e orante con la scena evangelica. Tutto questo ci sarà utile per comprendere meglio quale sia la caratteristica specifica della preghiera cristiana.”
Dunque cosa devo fare?
“Il metodo patristico della lectio divina è semplicissimo e lo raccomando sempre ai giovani per entrare nella preghiera. Fondamentalmente prevede tre grandi gradini o momenti successivi: la lectio, la meditatio, la contemplatio.
La LECTIO consiste nel leggere e rileggere la pagina della Scrittura, mettendo in rilievo gli elementi portanti. Per questo consiglio di leggere con la penna in mano, sottolineando le parole che colpiscono, oppure richiamando con segni grafici i verbi, le azioni, i soggetti, i sentimenti espressi o la parola-chiave. In tal modo la nostra attenzione viene stimolata, l’intelligenza, la fantasia e la sensibilità si muovono facendo sì che un brano, considerato magari arcinoto, appaia nuovo.
A me che da tanti anni leggo il vangelo succede, ad esempio, che riprendendolo in mano scopro ogni volta delle cose nuove proprio attraverso il metodo della lectio.
Questo primo lavoro può occupare parecchio tempo, se siamo aperti allo Spirito: si colloca il racconto letto nel contesto più vasto, sia dei brani vicini, sia dell’insieme di un libro, sia dell’intera Bibbia, per capire che cosa vuol dire.
La MEDITATIO è la riflessione sui valori perenni del testo. Mentre nella lectio assumo le coordinate storiche, geografiche, culturali anche, del brano, qui si pone la domanda:
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Che cosa dice a me?
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Quale messaggio in riferimento all’oggi viene proposto autorevolmente dal brano come parola del Dio vivente?
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Come vengo provocato dai valori permanenti che stanno dietro alle azioni, alle parole, ai soggetti?
La CONTEMPLATIO è difficilmente esprimibile e spiegabile. Si tratta di dimorare con amore nel testo, anzi di passare dal testo e dal messaggio alla contemplazione di colui che parla attraverso ogni pagina della Bibbia: Gesù, Figlio del Padre, effusore dello Spirito.
Contemplatio è adorazione, lode, silenzio davanti a colui che è l’oggetto ultimo della mia preghiera, il Cristo Signore vincitore della morte, rivelatore del Padre, mediatore assoluto della salvezza, donatore della gioia del Vangelo. Nella pratica i tre momenti non sono rigorosamente distinti, però la suddivisione è utile per chi ha bisogno di incominciare o di riprendere questo esercizio.
Il nostro pregare è come un filo rosso che collega un po’ le giornate l’una all’altra e può succedere che sullo stesso testo della Scrittura ci soffermiamo un giorno soprattutto con la meditatio mentre un altro giorno passiamo rapidamente alla contemplatio.”
Quali passi ulteriori fare per proseguire?
“La triplice distinzione, tuttavia, esprime in maniera appena embrionale il dinamismo della lectio divina, che in qualche mio libro ho spiegato in tutta la sua ampiezza. Tale ampiezza, infatti, prevede otto progressivi gradini: lectio, meditatio, oratio, contemplatio, consolatio, discretio, deliberatio, actio. Mi sembra opportuno accennarli brevemente.
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L’ORATIO è la prima preghiera che nasce dalla meditazione: Signore, fammi comprendere i valori permanenti del testo, che mi mancano, donami di capire qual è il tuo messaggio per la mia vita. E a un certo punto, questa preghiera si concentra nell’adorazione e nella contemplazione del mistero di Gesù, del volto di Dio. L’oratio si può esprimere anche in richiesta di perdono e di luce o in offerta.
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La CONSOLATIO è molto importante per il nostro cammino di preghiera e sant’Ignazio di Lojola ne parla più volte nel suo libretto de Gli Esercizi spirituali. Senza questa componente, la preghiera perde di sale, di gusto. La consolatio è la gioia del pregare, è il sentire intimamente il gusto di Dio, delle cose di Cristo. t un dono che ordinariamente si produce nell’ambito della lectio divina, anche se evidentemente lo Spirito santo è libero di effonderlo quando vuole. Solo dalla consolatio nascono le scelte coraggiose di povertà, castità, obbedienza, fedeltà, perdono, perché è il luogo, l’atmosfera propria delle grandi opzioni interiori. Ciò che non viene da questo dono dello Spirito dura poco ed è facilmente frutto di moralismo che imponiamo a noi stessi.
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La DISCRETIO esprime ancora più chiaramente la vitalità della consolatio. Infatti, mediante il gusto del Vangelo, mediante una sorta di fiuto spirituale per le cose di Cristo, diventiamo sensibili a tutto quello che è evangelico e a ciò che non lo è. Si tratta quindi di un discernimento importante perché noi non siamo chiamati solo a osservare i comandamenti all’ingrosso, ma a seguire Cristo Gesù.
E la sequela non ha un’evidenza immediata nelle scelte quotidiane se non siamo per così dire entrati nella mente di Gesù, se non abbiamo gustato la sua povertà, la sua croce, l’umiltà del suo presepio, il suo perdono. Questa capacità di discernere, nelle ordinarie emozioni e nei movimenti del cuore, il marchio evangelico è un dono così grande che san Paolo lo chiedeva per tutti i fedeli: “Vi sia data abbondanza di sensibilità – páse aistései, nel testo greco – perché possiate discernere sempre il meglio, ciò che piace a Dio e ciò che è perfetto” (cf Fil 1, 9-10, Rm 12, 2).
Oggi la Chiesa ha estremamente bisogno della discretio perché le scelte decisive non sono tanto sul bene e sul male (non ammazzare, non rubare), ma su ciò che è meglio per il cammino della Chiesa, per il mondo, per il bene della gente, per i giovani, per i ragazzi.
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La DELIBERATIO è un successivo passo. Dalla esperienza interiore della consolazione o della desolazione, impariamo a discernere e, quindi, a decidere secondo Dio. Se analizziamo attentamente le scelte vocazionali, ci accorgiamo che hanno, magari inconsapevolmente, questo andamento. La vocazione, infatti, è una decisione presa a partire da ciò che Dio ha fatto sentire e dall’esperienza che se ne è fatta secondo i canoni evangelici. Anche la deliberatio, come la discretio, viene coltivata in particolare mediante il dinamismo della leccio divina.
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L’ACTIO, infine, è il frutto maturo di tutto il cammino. La leccio e l’actio, perciò, la lezione biblica e l’agire, non sono affatto due binari paralleli. Non leggiamo la Scrittura per avere la forza di compiere quello che abbiamo deciso! Invece, leggiamo e meditiamo affinché nascano le giuste decisioni e la forza consolatrice dello Spirito ci aiuti a metterle in pratica. Non si tratta, come spesso pensiamo, di pregare di più per agire meglio; ma di pregare di più per capire ciò che devo fare e per poterlo fare a partire dalla scelta interiore.” (da Card. Carlo Maria Martini, “La gioia del Vangelo”, 1988)
Dove porta questa esperienza?
“(…) che un giovane si senta interpellato direttamente da Dio, che impari cioè ad ascoltarlo. Non semplicemente che conosca la Scrittura o ascolti un bravo biblista, ma che si senta personalmente interpellato dalla Parola. Quando questo accade, facciamo un’esperienza indimenticabile; basta farla una volta perché si radica nella vita e continua ad attrarci verso la Scrittura. (…)
Allora non abbiamo più bisogno di altre raccomandazioni, di sussidi esterni perché la Parola ha colpito dentro. Allora la risposta di chi si sente interpellato diventa anche risposta vocazionale: Signore, che cosa vuoi da me?
Dunque, il nostro desiderio è di aiutare tutti i giovani a lasciarsi interpellare da Dio, a imparare ad ascoltarlo anche (non solo) a partire dalle pagine bibliche dove Dio parla oggi all’uomo nello Spirito, così da rispondergli. E allorché un giovane capisce che le Scritture parlano di lui e a lui, si inizia quel dialogo che non si fermerà più, di cui si sentirà sempre nel profondo del cuore una grande nostalgia.
La conoscenza di Gesù e del cristianesimo sarà solida, integrata, non appiccicata, e la persona diverrà essa stessa, in qualche modo, Parola di Dio per gli altri”.
(Carlo Maria Card. Martini, Arcivescovo di Milano)
ALLA SCUOLA DELLA PAROLA
Martini ai giovani: apritela con fiducia, vi porterà oltre voi stessi.
Come prendere in mano la Scrittura?
I consigli del Cardinale, citato recentemente da Benedetto XVI come «maestro» della lectio divina.
Giorgio Bernardelli
(“Avvenire”, 4/5/’06)
Giovani con la Bibbia in mano. Ma non da soli. Perché la Scrittura, per essere davvero «lampada per i propri passi», va letta con l’aiuto di qualche maestro. È il messaggio che Benedetto XVI ha affidato ai giovani il 7 aprile scorso, dialogando con loro in piazza San Pietro alla vigilia della XXI Giornata mondiale della gioventù.
Un messaggio forte, da non lasciare cadere. Ed è per questo che abbiamo chiesto di aiutarci a riprenderlo a colui che il Papa stesso in quell’occasione ha citato davanti ai giovani. Il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, oggi vive a Gerusalemme proprio dedicando le sue giornate allo studio dei testi biblici. «È un vero maestro della “lectio divina”, che aiuta a entrare nel o della Sacra Scrittura», ha detto di lui in piazza San Pietro Benedetto XVI.
Eminenza, come ha accolto queste parole del Papa?
«Mi sono assai stupito della menzione che il Santo Padre ha voluto benevolmente fare del mio nome a proposito della “lectio divina” – risponde – . Me ne sono rallegrato a motivo della grande importanza che essa ha per tutti i cristiani, soprattutto per i più giovani. Ma non pensavo di essere menzionato io stesso, che non sono uno specialista; sono solo un umile discepolo della Parola, mentre molti altri nella Chiesa si sono dati da fare per questo impegno dei cristiani raccomandato dal Vaticano II nel capitolo VI della “Dei Verbum”».
Che cosa ha rappresentato per lei da giovane la scoperta della parola di Dio?
«Per rispondere a questa domanda dovrei raccontare una lunga storia, che inizia dall’età di circa dieci anni, quando ci insegnarono a meditare su una pagina di Vangelo. La riscoperta della forza della parola di Dio era in qualche modo presente fin dall’inizio ma si è resa esplicita progressivamente, e certamente un punto importante è stato il concilio Vaticano II».
Che cosa vi ha trovato in più rispetto a tante altre parole?
«Ho trovato la parola definitiva, quella che dà sicurezza assoluta, quella che fa appoggiare la vita sulla roccia che è Dio, quella che dura per tutta l’eternità. Ho trovato la parola che muove, commuove, coinvolge, stimola, invita, rimprovera, sollecita, incoraggia. Se “in principio era il Verbo” noi, che siamo stati creati in questo Verbo, ci ritroviamo in Lui ogni volta che ci mettiamo con coraggio dentro questa parola».
Ha vissuto delle fatiche nel primo impatto con il metodo della lectio divina?
«Non potrei parlare di primo impatto, nel senso che alla “lectio divina” metodica sono giunto piuttosto gradualmente, componendo quasi da me stesso il metodo, con l’aiuto di tanti scrittori, soprattutto padri della Chiesa antica e del Medio Evo. Non ho dunque vissuto fatiche del primo impatto. Piuttosto le fatiche vengono dopo, quando cioè si conosce molto la parola di Dio e allora bisogna diminuire il tempo dato alla “lectio” propriamente detta per lasciare più tempo alla preghiera e al silenzio adorante davanti a Dio. È questo un passaggio importante, che bisogna fare al tempo giusto».
Quando andava in visita pastorale lei distribuiva ai giovani una penna che recava la scritta, «sottolinea il Vangelo». Perché in un racconto è così importante soffermarsi sulla singola parola, su una singola frase?
«Insegnando a fare la “lectio” ho trovato molto utile che i giovani stessi scoprissero da soli le parole chiave dei testi, gli aggettivi, gli avverbi, i verbi dominanti, i soggetti delle azioni. Quando viene fatta così, la “lectio” fa leggere il testo come nuovo, e anche una pagina molto conosciuta ritorna brillante e luminosa».
Lasciare spazio alla parola di Dio nella vita di un giovane può richiedere anche scelte impegnative. Lei invitava i giovani a eliminare o comunque ridurre fortemente, durante l’anno dedicato al discernimento vocazionale, l’uso della televisione. Perché?
«Potrei raccontare a questo proposito che le regole erano due: rinunciare per un anno alla televisione, per esprimere la propria volontà di raccoglimento e di silenzio, ma anzitutto bandire ogni paura e preoccupazione circa il futuro. Molti giovani mi hanno detto che non era così difficile lasciare la televisione; era invece molto difficile superare le paure del futuro».
I momenti di aridità spirituale: come riuscire ad affrontarli con la parola di Dio in mano?
«Abbiamo l’esempio di San Carlo Borromeo, che portava sempre in tasca un piccolo libro dei Salmi. Quando andava a cavallo o si trovava in viaggio e sentiva qualche momento di depressione si metteva a leggere qualche salmo facile e a ripetere a Dio le parole che più lo colpivano. I salmi sono certamente un aiuto grande per superare i momenti di deserto interiore».
Lei riceveva (e ancora riceve) molte lettere di giovani in cammino verso questo ascolto della parola di Dio. Che cosa la colpisce di questi scritti? Vede qualche differenza tra le lettere di oggi e quelle di qualche anno fa?
«Vedo che il senso dell’importanza della parola di Dio, predicata per tanti anni, è rimasta viva nel cuore di molti giovani e adulti, e rimane forte il desiderio di approfondirla. Molti giovani di qualche anno fa mi raccontano i risultati meravigliosi ottenuti nelle scelte della vita a partire dalla parola di Dio. I giovani di oggi, che non hanno ancora fatto una scelta definitiva di vita, sono spesso preoccupati se la scelta sarà giusta o sbagliata e vorrebbero un metodo quasi matematico per evitare sbagli. Io dico loro che bisogna avere fiducia in Dio, della sua parola, buttarsi, rischiare. Occorre certamente pregare e ragionare, ma poi occorre uscire da sé. È inutile fare esperimenti continui per anni e anni. Bisogna tuffarsi come quando ci si butta in acqua e si deve nuotare per forza».
Se dovesse suggerire oggi a un giovane qualche pagina da cui partire per introdursi alla bellezza di una vita scandita dalla Scrittura, quali sceglierebbe?
«Indicherei qualche salmo, una pagina del Vangelo, o una delle lettere più facili di Paolo, come la lettera ai Filippesi. Ma lo Spirito Santo guiderà ciascuno a trovare la pagina giusta. Basta cominciare».
LECTIO DIVINA E LITURGIA DELLA PAROLA
Per la vostra dedicazione agli esercizi voi siete con ciò stesso esperti sul tema della Lectio divina e della liturgia della Parola e per questo non posso dirvi nulla di nuovo, e neppure qualcosa che io stesso non abbia già trattato in interventi precedenti.
Mi limiterò quindi ad alcuni richiami:
1. Che cosa intendiamo per Lectio divina?
2. Lectio divina e Lectio continua
3. Lectio divina e Liturgia
4. Lectio divina e Esercizi Spirituali
5. Come insegnare a vivere la liturgia della Parola come fondamento della Lectio divina?
1. Che cosa intendiamo per Lectio divina?
Che cosa è la LD? se ne parla tanto e talora il molto parlare oscura la semplicità della cosa. Per questo preferisco rifarmi alla descrizione classica di Guigo il Certosino, che la descrive secondo quattro momenti: lectio, meditatio, oratio, contemplatio: Guigo prende lo spunto dall’invito evangelico: “chiedete e vi sarà dato, cercava e troverete, bussate vi sarà aperto” ( Matteo 7,7 ). E commenta così: ” La lettura indaga, la meditazione trova, l’orazione chiede, la contemplazione assapora. La lettura è un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello Spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. L’orazione è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è come un innalzamento al disopra di sé da parte dell’anima sospesa in Dio, che gusta le gioie della dolcezza terrena. ..”
Lo stesso autore sottolinea come questi atti costituiscano una unità, che va mantenuta nella sua interezza. Si tratta di fasi non separabili: esse si intrecciano e si mescolano. Come afferma Guigo:” La lettura senza la meditazione è arida, la meditazione senza la lettura è soggetta a errore, la preghiera senza la meditazione è tiepida, la meditazione senza la preghiera è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza l’orazione è raro e miracoloso”.
Ci si può domandare da dove venga questa espressione quasi intraducibile di Lectio divina? Sembra che essa risalga a una lettera di Origene scritta verso il 238 al proprio discepolo Gregorio detto il Taumaturgo, che si apprestava a evangelizzare il Ponto: “Dedicati alla lectio delle Scritture divine; applicati a questo con perseveranza… Impegnati nella lectio con l’intenzione di credere e di piacere a Dio…Applicandoti così alla lectio divina (theia anagnosis) cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza” (n.4).
Oggi la lectio divina, a partire dal Vaticano II, è via via sempre più raccomandata a tutti i cristiani dai documenti della Chiesa. Basti citare la Dei Verbum n. 25, la Novo Millennio Ineunte n. 39, il documento dei Vescovi italiani Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2002, n 49, e il documento della Sacra Congregazione per la vita consacrata Ripartire da Cristo n.24.
2. La lectio divina e la lectio continua
La lectio divina è, in quanto possibile, una lectio continua, o almeno va sempre fatta sullo sfondo dell’intera Scrittura.
Giuseppe Dossetti, in una sua famosa conferenza dal titolo “L’esperienza religiosa: testimonianza di un monaco ” ( pag. 124 e segg) descrive come va fatta questa lettura:
” Essa parte con molta chiarezza da due premesse:
- occorre immergere il brano di ogni giorno non solo nell’insieme del libro che si sta leggendo, ma anche nel tutto unitario della Bibbia: cioè occorre poter risalire all’intero arco della storia della salvezza. La Bibbia occorre veramente averla letta tutta e rileggerla e capirla sempre più nel suo insieme e portarla tutta nel cuore in modo che il contatto della singola pericope o della singola frase si carichi del potenziale enorme del tutto e possa – almeno ogni tanto – scattare la scintilla balenante, e tutto l’orizzonte interiore si illumini;
- occorre inoltre che questa globalità e unità della Scrittura appaia sempre più quello che è, cioè un’unità vivente, anzi il Vivente stesso, Cristo crocifisso e glorioso: che in ogni versetto della Scrittura tocchiamo e ascoltiamo, o meglio ci tocca, ci monda (come ha fatto con il lebbroso ), ci trasforma e progressivamente ci assimila a sé e ci conduce al Padre: così tutta la Scrittura diventa un grande sacramento di Cristo ” (citaz. Da G. Dossetti, la Parola di Dio seme di vita e di fede incorruttibile, Bologna 2002, Introduzione, pp. 16-17).
3. Lectio divina e liturgia
Tutto questo fa vedere come la lectio divina ha il suo humus fondamentale nella Liturgia. La liturgia della Parola di ogni giorno e di ogni settimana, sia nella Liturgia eucaristica come nella Liturgia delle Ore, è infatti, almeno nell’intenzione, lettura di tutta la Scrittura, in forma continuativa e sistematica. La liturgia permette così di dare uno sfondo a ogni singola pericopa e toglierla da un suo potenziale isolamento.
Inoltre la liturgia, soprattutto eucaristica, permette quel contatto con il Vivente che giustamente Dossetti pone come fondamentale per una lectio divina. In una sua lettera da Gerico del 6-7 novembre 1979 all’assemblea dei gruppi biblici della Chiesa di Bologna egli sottolineava l’importanza del capitolo XI del libro IV della Imitazione di Cristo, a partire dal titolo: Quod Corpus Christi et Sacra Scriptura maxime sint animae fideli necessaria, e aggiunge: “Per me – e per tutta la comunità di Monteveglio – l’impulso genetico primordiale e la norma direttiva a livello più profondo di oltre venticinque anni di esperienza, son già tutti qui: in questo accostamento, in questa endiadi” ( G.Dossetti, La Parola…p. 127). E aggiungeva: “Non solo e non tanto nel fatto che la Sacra Scrittura venga detta necessaria, anzi massimamente necessaria all’anima del fedele per restare tale e per realizzarsi, ma ancor più nel fatto che questa massima necessità della Scrittura sia accostata a quella del corpo di Cristo: “Di due cose specialmente io sento la necessità assoluta in questa vita, senza le quali diverrebbe impossibile sopportarne le miserie. Chiuso nella prigione di questo corpo, io confesso di avere bisogno di cibo e di luce. Perciò tu hai dato a questo infermo il tuo sacro corpo per nutrimento della mente e del corpo e hai posto sul mio cammino la tua Parola come una lucerna. Non potrei vivere senza codesti due sostegni: poiché la Parola di Dio è la luce dell’anima, il tuo sacramento è il pane per la vita, Sono come due mense poste da una parte e dall’altra del tesoro della Chiesa. L’una è la mensa del santo altare che porta un pane consacrato, cioè il prezioso corpo di Cristo, l’altra è quella della legge di Dio che contiene la dottrina santa, istruisce sulla vera fede ed è guida sicura fin dall’al di là del velario dove sta il Santo dei santi” ( Imitazione di Cristo, IV, cap. XI, n.4).
Potrà sembrare a qualcuno che in questo testo più di una frase sia connotata da quel pessimismo e da quell’evasione storica che, secondo certi odierni maestri, segna l’inclinazione deviante del libro dell’ Imitazione. Ebbene, per me e per noi di Monteveglio, tutta la carica positiva nella costruzione e nella totale sottomissione di ogni nostra giornata e di ogni nostra scelta alla Scrittura, deriva proprio dall’aver assunto alla lettera questa precisa frase: ” Duo namque mihi necessaria permaxime sentio in hac vita, sine quibus mihi importabilis fore ista miserabilis vita”.
Il pessimismo di questa visione esistenziale si è sempre rovesciato per noi in un ottimismo cristiano, esclusivamente cristico, cioè esclusivamente attraverso il Gesù delle Scritture, in vista di quello che il sacro testo stesso chiama la consolazione delle Scritture:”ora tutto ciò che è stato scritto prima di noi è stato scritto per nostro ammaestramento affinché per mezzo della perseveranza e della consolazione delle Scritture possiamo avere la speranza” (Rom 15,4) (Rossetti, o.c. p.127-128)
Si potrebbe qui ancora notare che la Dei Verbum ha fatto sua questa affermazione delll’Imitazione di Cristo ma con una differenza: parla cioè al singolare di “mensa tam Verbi Dei quam Corporis Christi”, da cui assume un pane di vita (al singolare) e lo offre ai fedeli (n.21).
4. Omologia tra lectio divina ed esercizi
Prima di passare a qualche suggerimento pratico, vorrei sottolineare ancora una cosa importante, che io chiamo l’omologia tra la Sacra Scrittura e gli Esercizi spirituali di s. Ignazio.
Vorrei dire cioè che la dinamica degli Esercizi di s. Ignazio, tutti fondati sulla Scrittura e caratterizzati da diverse tappe (le quattro settimane) e da momenti forti per ogni tappa (le cosiddette meditazioni fondamentali) corrisponde alla dinamica generale della rivelazione, espressa in tutta la Scrittura e condensata in alcune pagine chiave, che tutto concentrano su Gesù Cristo, sul suo cammino e in particolare sulla sua umiliazione, nel senso ad es. di Fil 2,5-11.
V’è quindi un’analogia tra la lettura continua della Scrittura e la dinamica degli Esercizi, che spinge alcuni direttori di Esercizi a far leggere molte pagine dell’Antico Testamento tra la prima e la seconda settimana, quando gli Esercizi completi sono fatti a tappe nello spazio di più anni.
La dimenticanza pratica di questa omologia conduce talora a confondere la semplice lectio divina con gli Esercizi veri e propri, cioè ad accontentarsi di sostituire gli Esercizi con una semplice lectio divina, il che non è senza utilità, ma non può essere proposto come se fossero Esercizi, e non è quindi senza qualche inconveniente e danno spirituale.
5. Come insegnare a vivere la liturgia della Parola come fondamento della Lectio divina? (una breve spiegazione su ognuno di questi suggerimenti)
1. Praticarla personalmente
2. Una breve omelia in ogni santa Messa
3. Settimane di esercizi spirituali nelle parrocchie
4. Lectio dvina per i giovani, finché giungano a specchiarsi e a sentirsi interpellati dal testo biblico
5. Esercizi su libri e personaggi biblici, ma inserendoli nella dinamica degli esercizi!
Conclusione
Vorrei in conclusione citare alcune parole degli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000 “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia “.
” La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne…. solo il continuo rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo…
Solo seguendo l’itinerario della missione dell’inviato – dal seno del padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per l’abbassamento all’umiliazione del Messia – , sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario conforme a quello del servo, di cui essa è serva ( n.10).
E ancora: ” Assolutamente centrale sarà approfondire il senso della festa e della liturgia, della celebrazione comunitaria attorno alla mensa della parola e dell’eucaristia, nel cammino di fede costituito dall’anno liturgico.
… Potrà aiutarci in questo la valorizzazione – sia nella vita personale dei credenti sia in quella delle comunità cristiane – della pratica della Lectio divina, intesa come continua e intima celebrazione dell’alleanza con il Signore mediante un ascolto orante delle sacre Scritture, capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognuno di noi all’arte della preghiera e della comunione. Va coltivato l’assiduo contratto, personale e comunitario, con la Bibbia, diffondendone il testo, promuovendone la conoscenza, anche con incontri e gruppi biblici, sostenendone una lettura sapienziale, aiutando a pregare con la Bibbia soprattutto nelle famiglie. La qualità sia della presidenza eucaristica, sia dell’omelia, sia della preghiera dei fedeli ne risulterà rafforzata, resa più aderente alla parola di Dio e agli eventi della storia letti alla luce della fede. E’ nostro modello la Vergine Maria, che accoglie fatti e parole ” meditandole nel suo cuore ” ( Luca 2,19 ) e rilegge la sua esistenza mediante immagini e testi della Scrittura ( confronta Luca 1,46-55 ).
LA PREGHIERA PERSONALE DEL PRSBITERO
(Ritiro ai sacerdoti di Milano ad Avila)
Specifico il tema della nostra meditazione con una domanda:
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c’è un cammino di preghiera personale?
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C’è un cammino per il tipo di preghiera che si fa nella lectio divina?
La risposta è assai importante per noi presbiteri.
Vi propongo in proposito due riferimenti del 470 Sinodo diocesano.
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Il n. 475 inizia così: Il presbitero è anzitutto discepolo ». Discepolo è colui che impara, che compie un cammino di apprendimento che non finisce mai, perché tutta la vita è discepolato.
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Il n. 499 menziona la lectio divina come modo tipico della preghiera del prete: coltivi la lettura della Bibbia e si eserciti, in particolare, nella lectio divina .
Tenendo presenti i due riferimenti sinodali, entriamo nel vivo della nostra riflessione.
Mi è venuta in mente la mia prima conversazione ai preti della Diocesi, che ho tenuto nella Quaresima 1980, quando, avendo iniziato da poco il servizio episcopale, sentivo il bisogno di incontrare i presbiteri delle sette zone pastorali. Nella meditazione, poi trascritta col titolo Dalla coscienza battesimale alla coscienza presbiterale, descrivevo il cammino del prete come discepolo che cresce nella sua coscienza, passando dalla coscienza di catecumeno a quella di battezzato, quindi a quella di evangelizzatore e infine di responsabile di comunità. Delineavo questo quadruplice cammino di crescita in rapporto ai quattro Vangeli: Marco, il Vangelo del catecumeno; Matteo, il Vangelo del Catechista; Luca, il Vangelo dell’evangelizzatore; Giovann, il Vangelo del presbitero. Sottolineando le caratteristiche di ogni Vangelo, mostravo come a esse corrispondono diverse tappe della nostra coscienza di cristiano discepolo che matura verso il presbiterato, la pienezza della maturità; segnalavo pure le tappe o stati di preghiera che accompagnano i momenti della crescita secondo il ritmo dei quattro Vangeli, nell’ordine indicato.
Vi confesso che, a quindici anni di distanza, il cammino suggerito da quella conversazione mi appare ancora pertinente e suscettibile di approfondimento.
Non intendo tuttavia riprendere quanto avevo detto, ma cercare di cogliere come la gradualità avviene nel cammino della lectio divina. La lectio divina ha infatti un cammino nella vita del presbitero ed è importante valutare la tappa nella quale ciascuno si trova, per non sbagliare nell’impostazione.
La lectio divina
La Lettera della Pontificia commissione biblica L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15 aprile 1993, ci offre una definizione autorevole della lectio divina:
“è una lettura, individuale o comunitaria, di un passo più o meno lungo della Scrittura accolta come parola di Dio e che si sviluppa sotto lo stimolo dello Spirito in meditazione, preghiera e contemplazione” .
Di fronte a tale citazione, molto bella e densa, mi chiedo: la lectio divina comporta delle tappe nel cammino spirituale, specialmente nel cammino di maturazione dalla coscienza battesimale alla coscienza presbiterale pienamente integrata?
Credo di sì; ne esprimo tre. Nella prima prevale la lectio, nella seconda la meditatio, nella terza la contemplatio. Prevalenza significa che nella lectio divina non manca mai nessuno dei tre elementi, però gradualmente l’uno prevale sull’altro e quasi lo ingloba.
* La prima tappa, che non si può saltare, vede necessariamente una certa priorità della “lectio “, perché si conosce poco la Scrittura e occorre
perciò leggerla e rileggerla, situando la pagina o il brano nel contesto (biblico, storico, geografico), con l’aiuto di buoni commenti. In questa tappa siamo spesso molto indietro sia come popoio cristiano sia forse come presbiteri. La Sacra Scrittura è orecchiata ma non veramente conosciuta anche da laici colti e da preti. Sorge spontanea la domanda: santa Teresa di Gesù praticava la lectio divina? Nel tempo in cui viveva si respirava la reazione antiprotestante, che durerà parecchi secoli. Concretamente i laici non avevano nessun accesso alla Scrittura; soltanto le persone colte che studiavano il latino potevano leggere la Bibbia nella traduzione della Volgata. Infatti san Giovanni della Croce, che era prete ed era colto, cita molto la Scrittura, a differenza di Teresa. Tale condizionamento storico va tenuto presente.
Oggi è diverso e sono certo che anche Teresa si dedicherebbe con molto impegno alla lectio divina, così come amava praticarla la sua discepola Teresa di Gesù Bambino, che approfittava di ogni parola o frase biblica, benché neppure lei, nel suo secolo, potesse avere tra le mani tutta la Scrittura.
La nostra è una situazione storica privilegiata, perché ci è dato di attingere direttamente alle ricchezze dei testi sacri, secondo quel programma che Gesù tracciava ai discepoli di Emmaus: da Mosè ai Profeti ai Salmi.
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Dunque la prima tappa è indispensabile e non si può tralasciarla pena il fabbricarsi un Cristo a propria immagine e somiglianza, secondo la propria fantasia e i propri sentimenti, non il Cristo rivelatosi nella storia e manifestatosi nella carne. Toccare la carne di Cristo avviene congiuntamente nella Scrittura e nell’Eucaristia e le due realtà non sono separabili; se si cerca di separarle si corrono gravi rischi nel cammino spirituale. È la tappa a cui ci invita la Chiesa, mediante il ciclo delle letture della messa e del breviario. Ricordo che sta per uscire il secondo ciclo delle letture bibliche del breviario ambrosiano; avremo così modo di leggere interamente la Scrittura anche nell’Ufficio divino.
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La lectio è sempre accompagnata dalla meditatio-oratio, dalla meditazione in preghiera. È la seconda tappa.
Quando l’esercizio della lectio è stato compiuto con serietà e per qualche tempo, la Scrittura ci diventa familiare e a poco a poco ci accorgiamo che la meditatio prevale. Il testo, cioè, comincia a essere noto e più facilmente e immediatamente offre comunicazione di messaggi. Ci si ferma più a lungo per gustano e assaporarlo nel suo messaggio fondamentale, che è Cristo crocifisso e risorto, continuamente espresso nelle molteplici esperienze raccontate dalla Bibbia. Comprendo cosa dice il testo a me e parlo con Gesù che mi parla.
Il secondo grado della lectio divina è nutrito dall’apporto di alcune teologie bibliche, da forme di riflessione esegetica più ampia.
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Nel terzo momento, se si è stati fedeli alle prime due tappe, prevale la contemplazione. È proprio di questo specifico momento che parla santa Teresa, quando lo scopre, dopo diciotto anni di fedeltà — faticosa, sofferta, non sempre uguale — a un’attenzione al messaggio.
Viene dunque il giorno in cui il testo sembra diventare trasparente, illanguidendosi in qualche modo o nascondendosi. È questo un passaggio assai faticoso e cruciale, perché si può avere l’impressione di non essere più capaci della lectio divina e che la Scrittura non dica più nulla. Di tale passaggio hanno scritto sapientemente Teresa di Gesù e, sistematicamente, Giovanni della Croce, con la dottrina delle notti del senso e dello spirito.
Ascoltiamo Giovanni nel cap. 13 del libro II della Salita del monte Carmelo, il cui contenuto è sintetizzato in questi termini:
‘Si parla dei segni che l’anima deve scorgere in sé per sapere qual è il momento in cui sia necessario che ella abbandoni la meditazione e il discorso per passare allo stato di contemplazione’.
Non viene considerata inutile la tappa della meditazione o del discorso (lectio-meditatio), però si afferma che può giungere il tempo del passaggio. È assolutamente necessario che il maestro di preghiera sappia discernerlo.
«Perché la dottrina esposta non rimanga oscura è necessario far intendere allo spirituale qual è il tempo eil momento in cui egli debba lasciare l’atto della meditazione discorsiva usando di immagini, forme e figure [la Bibbia è piena di immagini, forme, figure, simboli] perché non l’abbandoni né prima né dopo che lo richieda lo Spirito».
L’abbandonarlo prima è certamente fonte di grave smarrimento, l’abbandonarlo dopo può portare a inutili fatiche.
«Infatti come per andare a Dio è necessario rinunziare tempestivamente a quelle immagini, forme e figure, perché non siano d’impedimento, così non è conveniente lasciare prima del tempo la meditazione per via di immagini, affinché non si torni indietro»
Poi il Santo indica i segni dai quali ci si accorge che è arrivato il momento del passaggio, passaggio oscuro, una vera notte, che può continuare per molto tempo, un passaggio in cui ci auguriamo di incontrare maestri di preghiera in grado di guidarci.
La lectio divina del prete
Questa dottrina vale, con le dovute proporzioni, per la lectio divina. È possibile che ci sia una situazione dello spirito in cui la lectio divina come esercizio personale del presbitero diventa contemplatio (san Giovanni della Croce parla di quiete, silenzio, assenza di immagini, adesione silenziosa al Signore, mentre come esercizio da insegnare è ancora fruttuosa usando immagini, simboli e messaggi.
Il cammino di ciascuno non è il cammino di tutti, e chi è più avanti facilmente sa guidare altri a iniziarlo.
A me pare che Giovanni della Croce voglia oggi esortarci: ricevete con gioia quel tesoro della Chiesa che è la lectio divina e insieme praticatela con tale impegno da giungere in qualche modo a superarne le prime tappe ed entrare nella notte del mistero di Dio. È la notte di cui cogliamo le vestigia e i raggi straordinari di santità in questo luogo.
In proposito vorrei leggere di nuovo un passo di Giovanni della Croce:
‘Errano molto le persone spirituali che, dopo essersi esercitate ad avvicinarsi a Dio per mezzo di immagini, di forme e meditazioni, come si conviene ai principianti, quando Egli vuole invitarle a beni più spirituali, interiori e invisibili, togliendo loro il gusto e il sapore della meditazione discorsiva, restano perplesse e non osano, né sanno distaccarsi da questi modi palpabili, a cui sono abituate. [...] In questo tentativo esse si affaticano molto e ne ricavano poco o nessun vantaggio’ .
Ci doni il Signore di percorrere un itinerario vero di orazione che ci porti a gustare qualcosa della verità del messaggio del Santo.
Conclusione
a. La lectio divina non è un metodo statico da imparare e basta, ma è un cammino, un itinerario che può condurre molto lontano e molto in alto. Nel silenzio ci domandiamo: sto davvero camminando? Sono discepolo in quanto prete? Continuo, cioè, a imparare la strada della lectio divina?
b. Il cammino della lectio divina è parallelo a quello della crescita di fede, speranza e carità, della crescita della vita secondo lo Spirito. E un’espressione privilegiata della vita cristiana, con la quale tuttavia si confonde, costituisce un tutt’uno.
Interrogarci sul nostro cammino di lectio divina equivale a interrogarci sul nostro cammino di fede, speranza, carità. Domanda ardua, che semplifico così: di che cosa godo e di che cosa mi rattristo? Perché nella risposta sta certamente una valutazione del nostro cammino secondo lo Spirito.
c. È importante esaminarsi e farsi guidare da maestri di preghiera per non errare nel valutare il momento del nostro cammino, in modo da comprendere se la ripugnanza o la fatica che stiamo vivendo nella lectio divina deriva da pigrizia o da grazia, da negligenza o da dono di Dio. Lo stesso stato psicologico può essere determinato infatti da due ragioni diverse e occorre che qualcuno ci aiuti a discernere il cammino, onde non rischiare di fermarci o di tornare indietro.
Noi siamo qui proprio per prendere coscienza della missione che ci è data dal Signore, per intercessione di Giovanni della Croce: essere noi per primi discepoli nel cammino della preghiera, molto carente oggi nella Chiesa e sommamente necessario e godere qualcosa della meta ditale cammino, che è la comunione profonda col Signore.
LECTIO DIVINA su Lc 18,1-8 a cura deo PP. CARMELITANI ( dal sito www. lachiesa)
Una vera preghiera: l’esempio della vedova
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione.
Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Chiave di lettura:
La liturgia di questa domenica ci pone dinanzi un testo del Vangelo di Luca che parla di preghiera, un tema assai caro a Luca. E’ la seconda volta che questo evangelista riporta parole di Gesù per insegnarci a pregare. La prima volta (Lc 11,1-13), introduce il testo del Padre Nostro e mediante paragoni e parabole, ci insegna che dobbiamo pregare sempre, senza mai stancarci. Ora, questa seconda volta (Lc 18,1-4), Luca ricorre di nuovo a parabole estratte dalla vita di ogni giorno per dare istruzioni sulla preghiera: la parabola della vedova e del giudice (18,1-8), del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). Luca presenta le parabole in modo assai didattico. Per ognuna di esse, fornisce una breve introduzione che serve da chiave di lettura. Poi viene la parabola ed, infine, Gesù stesso applica la parabola alla vita. Il testo di questa domenica si limita alla prima parabola della vedova e del giudice (Lc 18,1-8). Nel corso della lettura è bene prestare attenzione a quanto segue: “Quali sono gli atteggiamenti delle persone che appaiono in questa parabola?”
b) Una divisione del testo per aiutare a leggerlo:
Luca 18,1: Una chiave che Gesù offre per capire la parabola
Luca 18,2-3: Il contrasto tra il Giudice e la Vedova
Luca 18,4-5: Il mutamento del giudice ed il perché di tale mutamento
Luca 18, 6-8a: Gesù applica la parabola
Luca 18, 8b: Una frase finale per provocare
c) Il testo:
1 Raccontò loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre, senza stancarsi mai. 2 «In una città viveva un giudice che non temeva Dio e non si curava di nessuno. 3 Nella stessa città viveva una vedova, che andava da lui e gli chiedeva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4 Per un po’ di tempo il giudice non volle, ma alla fine disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non mi prendo cura degli uomini, 5 tuttavia le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi”». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto di questo testo ti è piaciuto di più?
b) Quali sono gli atteggiamenti della vedova? O cosa colpisce di più in quello che lei fa e dice?
c) Cosa colpisce nell’atteggiamento e nel parlare del Giudice? Perché?
d) Quale applicazione Gesù fa della parabola?
e) Cosa ci insegna la parabola sul modo di vedere la vita e le persone?
5. Una chiave di lettura
per approfondire maggiormente il tema.
a) Il contesto storico:
Nell’analisi del contesto storico del Vangelo di Luca, dobbiamo tener conto sempre di questa duplice dimensione: l’epoca di Gesù degli anni 30, e l’epoca dei destinatari del Vangelo degli anni 80. Queste due epoche influiscono, ciascuna a modo suo, nella redazione del testo e devono essere presenti nello sforzo che compiamo per scoprire il senso che le parole di Gesù hanno oggi per noi.
b) Il contesto letterario:
Il contesto letterario immediato ci presenta due parabole sulla preghiera: pregare con insistenza e perseveranza (la vedova ed il giudice) (Lc 18,1-8); pregare con umiltà e realismo (il fariseo ed il pubblicano) (Lc 18,9-14). Malgrado la loro differenza, queste due parabole hanno qualcosa in comune. Ci indicano che Gesù aveva un altro modo di vedere le cose della vita. Gesù scorgeva una rivelazione di Dio lì dove tutti scorgevano qualcosa di negativo. Per esempio, vedeva qualcosa di positivo nel pubblicano, di cui tutti dicevano: “Non sa pregare!” E nella vedova povera, di cui si diceva: “E’ cosi insistente che importuna perfino il giudice!” Gesù viveva così unito al Padre che tutto si trasformava per lui in fonte di preghiera. Sono molti i modi in cui una persona può esprimersi nella preghiera. Ci sono persone che dicono: “Non so pregare”, ma conversano con Dio tutto il giorno. Voi conoscete persone così?
c) Commento del testo:
Luca 18,1: La chiave per capire la parabola
Luca introduce una parabola con la frase seguente: “Raccontò loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre, senza stancarsi mai”. La raccomandazione di “pregare senza stancarsi” appare molte volte nel Nuovo Testamento (1 Tes 5,17; Rom 12,12; Ef 6,18; ecc). Era una caratteristica della spiritualità delle prime comunità cristiane. Ed anche uno dei punti in cui Luca insiste maggiormente, sia nel Vangelo come negli Atti. Se vi interessa scoprire questa dimensione negli scritti di Luca, fate un esercizio: leggete il Vangelo e gli Atti ed annotate tutti i versi in cui Gesù o altre persone stanno pregando. Vi sorprenderete!
Luca 18,2-3: Il contrasto tra la vedova ed il giudice
Gesù ci mostra due personaggi della vita reale: un giudice senza considerazione verso Dio e verso il prossimo, ed una vedova che non desiste dal lottare per i suoi diritti presso il giudice. Il semplice fatto che Gesù ci mostra questi due personaggi rivela che conosce la società del suo tempo. La parabola non solo presenta la povera gente che lotta nel tribunale per vedere riconosciuti i suoi diritti, ma lascia anche intravedere il contrasto violento tra i gruppi sociali. Da un lato, un giudice insensibile, senza religione. Da un altro, la vedova che sa a quale porta bussare per ottenere ciò che le è dovuto.
Luca 18,4-5: Il cambiamento che avviene nel giudice ed il perché del cambiamento
Per molto tempo, chiedendo la stessa cosa ogni giorno, la vedova non ottiene nulla dal giudice insensibile. Infine il giudice malgrado “non temesse Dio e non si curasse di nessuno” decide di prestare attenzione alla vedova e farle giustizia. Il motivo è: liberarsi da questa continua seccatura. Motivo ben interessato! Pero’ la vedova ottiene ciò che vuole! E’ questo un fatto della vita di ogni giorno, di cui Gesù si serve per insegnare a pregare.
Luca 18,6-8: Un’applicazione della parabola
Gesù applica la parabola: “Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte, anche se li fa aspettare?” Ed aggiunge che Dio farà giustizia tra breve. Se non fosse Gesù a parlarci, non avremmo il coraggio di paragonare Dio con un giudice nel loro atteggiamento morale. Ciò che importa nel paragone è l’atteggiamento della vedova che grazie alla sua insistenza, ottiene ciò che vuole.
Luca 18,8b: Parole sulla fede
Alla fine Gesù esprime un dubbio: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Avremo il coraggio di aspettare, di avere pazienza, anche se Dio tarda a risponderci? E’ necessario avere molta fede per continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di non vedere il risultato. Chi aspetta risultati immediati, si lascerà prendere dallo sgomento. In diversi altri punti dei salmi si parla di questa stessa resistenza dura e difficile dinanzi a Dio, fino a che Lui risponde (Sl 71,14; 37,7; 69,4; Lm 3,26). Nel citare il Salmo 80, San Pietro dice che per Dio un giorno è come mille anni (2Pd 3,8; Sl 90,4).
d) Approfondimento: La preghiera negli scritti di Luca
I. Gesù che prega nel Vangelo
I vangeli ci presentano un’immagine di Gesù che prega, che vive in contatto permanente con il Padre. L’aspirazione di vita di Gesù è fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Luca è l’evangelista che ci dice più cose sulla vita di preghiera di Gesù. Ci presenta Gesù in costante preghiera. Gesù pregava molto ed insisteva, in modo che anche la gente ed i suoi discepoli facessero lo stesso. Ed è nel confronto con Dio dove appare la verità e la persona si incontra con se stessa in tutta la sua realtà ed umiltà. Ecco alcuni momenti nel Vangelo di Luca in cui Gesù appare pregando:
Lc 2,46-50: Quando ha dodici anni, va al Tempio, nella Casa del Padre
Lc 3,21: Quando è battezzato ed assume la missione, prega
Lc 4,1-2: Quando inizia la missione, passa quaranta giorni nel deserto
Lc 4,3-12: Nell’ora della tentazione, affronta il diavolo con i testi della Scrittura
Lc 4,16: Gesù è solito partecipare alle celebrazioni, nelle sinagoghe, il sabato
Lc 5,16; 9,18: Cerca la solitudine del deserto, per pregare
Lc 6,12: La sera prima di scegliere gli Apostoli, trascorre la notte pregando
Lc 9,16; 24,30: Prega prima dei pasti
Lc 9,18: Prima di parlare della realtà e della sua passione, prega
Lc 9,28: Durante la crisi, sul Monte per pregare, è trasfigurato quando prega
Lc 10,21: Quando il Vangelo viene rivelato ai piccoli, dice: “Ti ringrazio, Padre…”
Lc 11,1: Pregando, sveglia negli apostoli la volontà di pregare
Lc 22.32: Prega per Pietro, per aumentare la sua fede
Lc 22,7-14: Celebra la Cena Pasquale con i suoi discepoli
Lc 22,41-42: Nell’Orto degli Ulivi, prega, sudando sangue
Lc 22,40.46: Nell’angoscia dell’agonia chiede ai suoi amici di pregare con lui
Lc 23,34: Nel momento di essere inchiodato alla croce, chiede perdono per i suoi carnefici
Lc 23,46; Sl 31,6: Nell’ora della morte, dice: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”
Lc 23,46: Gesù muore con sulle labbra il grido del povero
Questo elenco di citazioni indica che per Gesù, la preghiera era intimamente unita alla vita, ai fatti concreti, alle decisioni che doveva prendere. Per essere fedele al progetto del Padre, cercava di rimanere da solo con lui. Di ascoltarlo. Nei momenti difficili e decisivi della sua vita, Gesù pregava i Salmi. Come qualsiasi altro giudeo pio, li conosceva a memoria. La recita dei Salmi non spense in lui lo spirito creativo. Anzi, Gesù inventò lui stesso un salmo: E’ il Padre Nostro. La sua vita è stata una preghiera perenne: “In ogni momento faccio ciò che il Padre mi chiede di fare!” (Gv 5,19.30). A lui si applica ciò che dice il Salmo: “… mentre io sono in preghiera!” (Sl 109,4)
II. Le Comunità oranti negli Atti degli Apostoli
Come avviene nel Vangelo, anche negli Atti, Luca parla molto spesso di preghiera. I primi cristiani sono coloro che continuano la preghiera di Gesù. A continuazione, un elenco di testi che in un modo o nell’altro, parlano di preghiera. Se osservate con molta attenzione, ne scoprirete anche altri:
At 1,14: La comunità persevera in preghiera con Maria, la madre di Gesù
At 1,24: La comunità prega per sapere come scegliere il sostituto di Giuda
At 2,25-35: Pietro cita i salmi durante la predicazione
At 2,42: I primi cristiani sono assidui nella preghiera
At 2,46-47: Frequentano il tempio per lodare Dio
At 3,1: Pietro e Giovanni vanno al tempio per la preghiera dell’ora nona
At 3,8: Lo storpio curato loda Dio
At 4,23-31: La comunità prega nella persecuzione
At 5,12: I primi cristiani rimangono nel portico di Salomone (tempio)
At 6,4: Gli apostoli si dedicano alla preghiera ed alla parola
At 6,6: Pregano prima di imporre le mani sui diaconi
At 7,59: Nell’ora della morte, Stefano prega: “Signore, ricevi il mio spirito”
At 7,60: E prima Stefano prega: “Signore, non imputar loro questo peccato”
At 8,15: Pietro e Giovanni pregano affinché i convertiti ricevano lo Spirito Santo
At 8,22: Al peccatore viene detto: Pentiti e prega, così otterrai il perdono
At 8,24: Simone dice: “Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto”
At 9,11: Paolo sta pregando
At 9,40: Pietro prega per la guarigione di “Gazzella”
At 10,2: Cornelio pregava Dio costantemente
At 10,4: Le preghiere di Cornelio salgono al cielo e sono ascoltate
At 10,9: Nell’ora sesta, Pietro prega sulla terrazza della casa
At 10,30-31: Cornelio prega nell’ora nona, e la sua preghiera è ascoltata
At 11,5: Pietro informa la gente di Gerusalemme: “Lui stava in preghiera”!
At 12,5: La comunità prega quando Pietro è in carcere
At 12,12: In casa di Maria, ci sono molte persone raccolte in preghiera
At 13,2-3: La comunità prega e digiuna prima di inviare Paolo e Barnaba
At 13,48: I pagani si rallegrano e glorificano la Parola di Dio
At 14,23: I missionari pregano per designare i coordinatori delle comunità
At 16,13: A Filippo, accanto al fiume, c’è un luogo di preghiera
At 16,16: Paolo e Sila andavano alla preghiera
At 16,25: Di notte, Paolo e Sila cantano e pregano in prigione
At 18,9: Paolo ha una visione del Signore durante la notte
At 19,18: Molti confessano i loro peccati
At 20,7: Erano riuniti per la frazione del pane (Eucaristia)
At 20,32: Paolo raccomanda a Dio i coordinatori delle comunità
At 20,36: Paolo prega in ginocchio con i coordinatori delle comunità
At 21,5: Si inginocchiano sulla spiaggia per pregare
At 21,14: Dinanzi all’inevitabile, la gente dice: Sia fatta la volontà di Dio!
At 21,20: Glorificano Dio per quanto fatto da Paolo
At 21,26: Paolo va al tempio a compiere una promessa
At 22,17-21: Paolo prega nel tempio, ha una visione e parla con Dio
At 23,11: In carcere a Gerusalemme: Paolo ha una visione di Gesù
At 27,23ss: Paolo ha una visione di Gesù durante la tormenta sul mare
At 27,35: Paolo prende il pane e rende grazie a Dio prima di arrivare a Malta
At 28,8: Paolo prega sul padre di Publio colpito dalla febbre
At 28,15: Paolo rende grazie a Dio vedendo i fratelli a Pozzuoli
Questo elenco ci indica due cose molto significative. Da una parte che i primi cristiani conservano la liturgia tradizionale del popolo. Come Gesù, pregano in casa in famiglia, nella comunità e nella sinagoga ed insieme alla gente nel tempio. D’altro canto, oltre alla liturgia tradizionale, sorge tra di loro un nuovo modo di pregare in comunità con un nuovo contenuto. La radice di questa nuova preghiera nasce dalla nuova esperienza di Dio in Gesù e dalla coscienza chiara e profonda della presenza di Dio in mezzo alla comunità: “In lui viviamo, ci moviamo e siamo!” (At 17,28)
6. Preghiera: Salmo 63 (62)
Il desiderio di Dio che si esprime nella preghiera
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
saranno dati in potere alla spada,
diverranno preda di sciacalli.
Il re gioirà in Dio,
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.
7. Orazione finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
UN METODO MAI TRAMONTATO
Il culto è di due specie: esteriore e interiore. Il culto esterno però è ordinato da quello interiore: infatti i sacramenti della Chiesa, le lodi esteriori e tutto l’apparato delle cerimonie sono ordinati a edificare le disposizioni interiori dell’anima. Perciò il compito principale della vita religiosa di tutti i cristiani deve tendere a venerare Dio con gli atti interiori; sebbene non si debbano trascurare neppure gli atti esterni, soprattutto quelli ai quali si è obbligati. Ebbene, gli atti interni sono questi: leggere, pregare, meditare e contemplare, i quali appartengono all’intelletto; e mediante questi nascono la speranza, la carità, la devozione e tutti gli altri atti che appartengono alle facoltà affettive, in modo che l’uomo divenga perfetto nella conoscenza e nell’amore di Dio. (…leggi tutto)
OLTRE LA LECTIO, VERSO L’ACTIO E LA COLLACTIO
Oggi, grazie a Dio, viene ripresa nella Chiesa l’antica pratica della lectio divina. Essa è ormai nota a tutti. La sua metodologia è molto varia, ma sostanzialmente si articola in varie tappe: la lectio, ossia l’ascolto e lo studio della Parola di Dio; la meditatio, la sua accoglienza e il confronto con la propria vita; l’oratio, la preghiera che sgorga dall’ascolto; la contemplatio, la comunione con Dio. È un dono immenso dello Spirito, di cui siamo grati.
Tuttavia nella lectio spesso ci si ferma allo studio, alla meditatio, forse si giunge alla oratio, difficilmente alla contemplatio. Occorre andare oltre e spingersi fino all’actio o l’operatio, la vita e la testimonianza suscitate dalla Parola. Non basta ascoltare, leggere, studiare le Scritture. Non basta neppure meditarle o pregarle. La Parola accolta domanda la piena adesione, il totale abbandono a quanto Dio in essa manifesta. Essa richiede di essere tradotta in vita, coerentemente con l’insegnamento evangelico: il buon ascoltatore della Parola è colui che la mette in pratica (cf. Mt 7, 24). Solo a queste condizioni la Parola può esprimere tutta la sua forza trasformante. La lettera di Giacomo ammonisce: «Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1, 21-22).
E infine la collatio. La Parola ascoltata e vissuta domanda di comunicare i frutti da essa prodotti nella vita, delle esperienze che essa suscita. Anche in questo i fondatori e le fondatrici sono un modello. Essi non si sono inoltrati solitari sulle vie della Parola, ma sono stati capaci di guidare altri sulle medesime strade, di renderli partecipi della medesima esperienza e di orientarli, assieme a loro, verso il Vangelo, per fare di tutti un’unica Parola vivente.
Anche oggi, come all’origine del nostro Istituto, la comunità religiosa sarà il frutto della costante comunione tra persone fecondate dalla Parola carismatica, tra “parole di Dio vive”.
VIVERE IL VANGELO PER VIVERE IL CARISMA
Praticare così la lectio divina ci porta anche al rinnovamento del nostro carisma, in continuità con l’esperienza dei nostri fondatori e fondatrici. Seguire le loro orme significa lasciarci condurre dallo Spirito, con la loro stessa docilità, là dove loro si sono lascianti condurre e dove ha avuto inizio il loro cammino carismatico: al Vangelo.
Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nell’intero Vangelo e nella completezza del mistero di Cristo.
A volte, guardando al giardino della Chiesa, si può avere l’impressione che tanti “fiori” siano appassiti. Per ridare vita al proprio “fiore”, al proprio carisma, è inutile soffiare sui petali, per rimanere nell’immagine, o puntellarli in modo che la corolla stia voltata in alto. È un’operazione effimera e inutile. Perché il fiore riabbia vita bisogna intervenire alla radice, non sulla corolla. Bisogna dare acqua alle radici. Fuori metafora. Si tenta in tutti i modi di salvare l’identità della propria spiritualità e lo specifico del proprio istituto studiando il proprio particolare, enfatizzandolo, cercando di proteggerlo da pretese ingerenze esterne… È un lavoro valido ma insufficiente. Occorre il coraggio di andare più in profondità. Occorre ritrovare la pienezza di vita evangelica che alimenta quella determinata spiritualità. L’acqua e l’humus fecondo sono comuni a tutti i fiori, quale che sia la loro varietà. Occorre quindi che tutti i carismi per essere loro stessi rimangano in costante contatto con la fonte da cui tutti sono sgorgati.
Se i fondatori e le fondatrici appaiono parole dell’unica Parola, aspetti particolari della totalità del Vangelo, ogni istituto deve tornare ad essere parola nell’unica Parola. Si tratta di immergere nuovamente la “parola” evangelica su cui è nata ogni famiglia religiosa e che la alimenta, nell’intero Vangelo. Vivendo il Vangelo in pienezza si avrà poi luce per cogliere la particolare dimensione evangelica su cui si è innestato il proprio istituto.
È un cammino da percorrere in comunione con le altre vocazioni, con la Chiesa intera. Se ogni istituto è nato nella Chiesa e per la Chiesa, per vivere e crescere ha intrinsecamente bisogno di una comunione vitale con tutte le diverse realtà carismatiche all’interno della Chiesa-comunione. Solo nell’unità dell’insieme si può cogliere pienamente il valore di ciascun particolare. Di qui il bisogno di attuare una unità sempre più profonda e concreta tra i membri dei differenti istituti di vita consacrata e con le diverse vocazioni ecclesiali: laici, presbiteri, vescovi, gruppi, movimenti, associazioni, e insieme con loro ritrovare la radice evangelica del vivere cristiano.
Nell’unità tra di loro ricompongono l’unico Vangelo, la Parola, il Verbo. Significative le parole rivolte da Giovanni Paolo II ai religiosi: «La Chiesa (…) accoglie e nutre nel proprio seno Ordini e Istituti di stile tanto diverso, perché tutti insieme contribuiscano a rivelare la variegata natura e il polivalente dinamismo del Verbo di Dio incarnato e della stessa Comunità dei credenti in Lui» .
p. FABIO CIARDI OMI
STUDIARE SILLABE PREZIOSE
Intervista a
FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS S.J. *
Mi si domanda qualche illustrazione degli studi biblici compiuti da Carlo Maria Martini, delle sue ricerche, del suo approccio ai testi delle Scritture. Di queste cose posso parlare, come so, solamente a posteriori, dal momento che non sono mai stato un compagno di studi teologici e biblici di Carlo Maria. Pur essendo quasi coetanei (io sono più vecchio di quattro mesi), e pur essendo entrati nel noviziato della Compagnia nello stesso anno 1944, padre Carlo Maria Martini apparteneva alla Provincia Torinese, mentre io appartenevo alla Provincia Romana.
So che egli ha studiato teologia nella Compagnia di Gesù a Chieri, e che era stato destinato a diventare professore di quella facoltà, tanto che gli fu risparmiato persino il periodo di “magistero”, che noi normalmente inframezziamo tra gli studi filosofici e quelli teologici. Di conseguenza, venne ordinato sacerdote il 13 luglio 1952; dunque dopo soli otto anni di vita religiosa, mentre io, per esempio, sono stato ordinato il 6 luglio 1957.
In vista della sua destinazione all’insegnamento, Carlo Maria fu mandato a Roma per ottenere un dottorato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Il risultato di questa sua prima missione di studio è consegnato nel volume: Il problema storico della risurrezione negli studi recenti (Analecta Gregoriana, 104), Libreria Editrice dell’Università Gregoriana, Roma 1959.
Ho sentito dire che, poiché il suo insegnamento a Chieri sembrava ad alcuni “troppo avanzato”, il giovane professore venne indirizzato a più specializzati studi biblici, presso il Pontificio Istituto Biblico.
Di nuovo studente a Roma, vi conseguiva il dottorato in Sacra Scrittura con una tesi di critica testuale, pubblicata poi con il titolo: Insight. A Study of Human Understanding, di Bernard J. F. Lonergan. Nel pensiero e nel discorso di Lonergan egli respirava a pieni polmoni l’aria pulita di un’intelligenza obbediente al vero e alla realtà, che si conosce solamente nei giudizi veri. Mi sembra di intravedere in questa consuetudine con il pensiero di Lonergan un segreto della fecondità della vita e del ministero del cardinale arcivescovo Martini.
Professore di critica testuale al Pontificio Istituto Biblico dal 1962, padre Martini curava, nel 1964, una nuova edizione del Novum Testamentum graece et latine di A. Merk, e diveniva membro del comitato che pubblica il Novum Testamentum Graece di E. Nestle – K. Aland (27a edizione, 1995), identico alla quarta edizione (1993) di The Greek New Testament.
Fino al 29 dicembre 1979, quando venne nominato arcivescovo di Milano da Giovanni Paolo II, padre Martini ha tenuto la cattedra di critica testuale presso l’Istituto Biblico di Roma, di cui è stato anche Rettore per diversi anni, prima di essere nominato Rettore anche della Pontificia Università Gregoriana.
L’interesse di padre Martini per la Bibbia, nello spazio di diciassette anni, tuttavia, oltre a essere focalizzato sul testo del Nuovo Testamento, si è esteso specialmente alla testimonianza della comunità cristiana primitiva, studiata nel libro degli Atti degli Apostoli, di cui pubblicava alcuni commentari, specialmente uno molto apprezzato per la collana della nuovissima versione della Bibbia dai testi originali, delle Edizioni Paoline (1970).
Egli rivedeva pure ampiamente la terza edizione dell’introduzione generale alla Bibbia dell’Editrice Elle Di Ci (Il Messaggio della salvezza, vol. I, Leumann, Torino 1968). Un’altra ottima introduzione alla Sacra Scrittura è quella che egli ha diretto con Luciano Pacomio (I Libri di Dio, Marietti, Torino 1975).
Alcuni dei suoi più importanti articoli esegetici di questo periodo sono stati ripubblicati, all’indomani della sua nomina ad arcivescovo, dal Pontificio Istituto Biblico, nel volume 93 degli Analecta Biblica (La parola di Dio alle origini della Chiesa, Roma 1980). Tra di essi non manca di riapparire l’interesse originario del giovane teologo per la risurrezione di Gesù.
Improvvisamente e inaspettatamente, da ventidue anni a oggi, la diaconia della Parola di Dio prestata da questo studioso del testo neotestamentario si è aperta, da un terreno molto limitato, riservato agli iniziati, a tutto il popolo di Dio. Essa partiva ormai da un osservatorio ben diverso da quello della piccola stanza di un istituto romano, e si trasferiva nella sede arcivescovile di una delle più grandi diocesi cattoliche del mondo.
A partire dalle prime due lettere pastorali dirette al clero e ai fedeli dell’arcidiocesi ambrosiana per gli anni pastorali 1980- 81 (La dimensione contemplativa della vita) e 1981-82 (In principio la Parola), l’esegesi di Carlo Maria Martini, senza cessare di passare per lo scrutinio della scienza, si è offerta a tutte le istanze del ministero pastorale di un grande vescovo; un ministero che fa pensare a quello dei pastori della Chiesa, dei padri e dei dottori. La missione episcopale nella Chiesa di Dio pellegrina a Milano ha fatto sbocciare e ha rivelato nello studioso del testo del Nuovo Testamento la statura pienamente adulta dell’uomo di Chiesa.
Gli scritti, le omelie, gli articoli, gli interventi, le iniziative a sfondo biblico del cardinale Martini, di questi ultimi due decenni, trasmessi in tante lingue e in molti Paesi, sono diventati punti di riferimento e luoghi di consolazione per una grande moltitudine di uomini e di donne, tormentati dalla nostalgia di una vita evangelica in questo mondo travagliato tra la fine del secondo millennio e gli albori del terzo. Sono testi noti a tutti, e io non debbo parlarne qui.
Qui vorrei ricordare solamente che Carlo Maria ci confessò una volta che, durante un certo periodo di tempo, egli soleva leggere ogni giorno qualche pagina del volume, non poco impegnativo, di un comune nostro maestro gesuita: Insight. A Study of Human Understanding, di Bernard J. F. Lonergan. Nel pensiero e nel discorso di Lonergan egli respirava a pieni polmoni l’aria pulita di un’intelligenza obbediente al vero e alla realtà, che si conosce solamente nei giudizi veri. Mi sembra di intravedere in questa consuetudine con il pensiero di Lonergan un segreto della fecondità della vita e del ministero del cardinale arcivescovo Martini.
Come Lonergan insegna, la vera intelligenza comincia scrutando senza posa, fino ai minimi dettagli, i dati dell’esperienza. Nella sua tesi sul Papiro Bodmer XIV (pp. XIV.VI), Martini si rifaceva a un testo che Erasmo da Rotterdam premetteva alla sua quarta edizione del Nuovo Testamento, del 1527. Egli ricordava quanta difficoltà e quanto sudore costasse la diligenza nell’occuparsi di tali minuzie. Se però una smile attenzione a sillabe e vocaboli è disprezzata da alcuni, i quali la ritengono troppo umile e puerile, Erasmo non se ne faceva impressionare. Consapevole come era della grande importanza del campo della teologia e di quanta riverenza sia dovuta ai libri sacri, egli aveva deciso di dedicarsi a ciò che in un tale compito era più piccolo.
Da vescovo, Carlo Maria ha continuato a tener conto dei più piccoli dettagli della storia, della società, della politica e delle coscienze umane; dei credenti e dei non credenti (anche di quel “non credente” che è in lui); delle città e dell’internazionalità; dei carcerati e del mondo laico; eccetera.
La vigilante e analitica attenzione al “particolare” in vista della “totalità” lo ha reso attento non soltanto a Gerusalemme e a Israele, ma lo ha preservato da ogni giudizio ‘con-clusivamente es-clusivo’, e dalle ideologie intolleranti, che sono proprie di ogni concettualismo conservatore. Egli è rimasto sempre irrevocabilmente aperto al dialogo con ogni pensiero e ogni mondo; amante della verità dei giudizi, molto più che delle loro “certezze”; una verità non raggiungibile mai da misteriose “intuizioni” immediate, ma da ricercare storicamente e da raggiungere laboriosamente e prudentemente, “provando e riprovando”, e progressivamente verificando “intelligenze e comprensioni”, senza impantanarsi nelle sabbie mobili di un mondo di concetti immutabili, immediatamente e automaticamente astratti.
Solamente con questo tipo di intelligenza anche un Vescovo si può permettere di sognare. Basterà ricordare il discorso da lui tenuto nella cattedrale di Roma agli inizi dell’anno giubilare 2000, su invito del cardinale Camillo Ruini, sul significato di Gesù Cristo per la sua vita (cf. Rivista Diocesana di Roma 4, 1997, pagg. 302-311). In quell’occasione, egli ci ha raccontato il suo cammino di credente e di discepolo di Gesù attraverso l’oscura notte della ricerca critica, e ha reso una testimonianza commovente del proprio impegno e della devozione personale al Signore, ripercorrendo le tappe scientifiche ed esistenziali per le quali è passato, attraverso la sfida e la prova del dubbio fino a una fede in lui, adulta e pienamente consapevole.
La sua testimonianza di uomo intelligente di Dio e della Chiesa nella storia degli uomini e delle donne di oggi mi suggerisce di non definirlo semplicemente un “biblista”, chiuso in una biblioteca di ricerca. Carlo Maria Martini è stato e rimane “un Vescovo-diacono della Parola di Dio per la Chiesa del nostro tempo”, di quella Parola che è Gesù il Natzoreo, il Risorto Messia d’Israele e delle nazioni, di cui hanno parlato per secoli Mosè, i Profeti e gli Scritti (la TaNa”Kh) d’Israele.
Del Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme
«Senza paure davanti alla Bibbia»
LA PRATICA DEL TESTO BIBLICO
La lectio divina ha conosciuto nel dopo-Concilio una meravigliosa riscoperta grazie a maestri come il Card Martini, E. Bianchi, Masini, I. Gargano, e tanti altri. La svolta storica conciliare del superamento delle antiche remore di fronte al testo sacro ha riaperto ai credenti le sorgenti della spiritualità biblica che già avevano illuminato i primi secoli del cammino della Chiesa.
I religiosi, i presbiteri e i laici, alla scuola dei ss. Padri e Monaci hanno ripreso a nutrirsi personalmente della parola di Dio e a farne il luogo privilegiato dell’ascolto e del dialogo con Dio superando lo sterile e stagnante devozionalismo dei secoli passati.
È tanta la ricchezza e profondità di questo filone spirituale che abbiamo pensato di dedicargli una pagina del nostro sito.
«È un vero maestro della “lectio divina”, che aiuta a entrare nel vivo della Sacra Scrittura», ha detto di lui in piazza San Pietro Benedetto XVI.
LA LECTIO DIVINA
Secondo la mia abitudine, ho cercato di trasformare questa dizione in una domana:
In quale modo utilizzare il testo biblico per una meditazione che sfoci un preghiera e in atti concreti di vita?
L’orazione infatti tende al cambiamento del cuore, alla conversione. E confesso che è la domanda a cui mi sforzo di rispondere da una vita, una domanda sempre da rinnovare, da rilanciare, da rimettere i cantiere.
Richiamerò dunque, brevemente, alcune parole chiave che formulo in latino perché non è facile trovare in italiano un equivalente sufficientemente comprensivo:
- lectio,
- meditatio,
- contemplatio,
- oratio,
- consolatio,
- discretio,
- deliberatio,
- actio.
Sono parole che mi permettono di cogliere come avviene il passaggio da testo biblico allavita, transitando per la preghiera e la contemplazione.
“La lectio divina è un approccio graduale al testo biblico e risale all’antico metodo dei Padri, che a loro volta si richiamavano all’uso rabbinico.”
Chi ha “inventato” questo metodo di lettura-preghiera?
“La suddivisione classica in memoria, intelletto, volontà è molto antica ed è sviluppata in particolare da sant’Agostino per quanto riguarda il tema della memoria. Più tardi questa triade diviene sinonimo di un processo meditativo riferito alla Scrittura o a una verità di fede.
Ricorderò anche, brevemente, il metodo della “contemplazione evangelica”, termine usato ordinariamente per indicare il modo di meditare una pagina del Vangelo: un significativo esempio l’abbiamo nel libretto de Gli Esercizi spirituali di Ignazio di Lojola, che a partire dalla II settimana parla di “contemplazione” perché al lavoro dell’intelletto subentra prevalentemente il coinvolgimento esistenziale e orante con la scena evangelica. Tutto questo ci sarà utile per comprendere meglio quale sia la caratteristica specifica della preghiera cristiana.”
Dunque cosa devo fare?
“Il metodo patristico della lectio divina è semplicissimo e lo raccomando sempre ai giovani per entrare nella preghiera. Fondamentalmente prevede tre grandi gradini o momenti successivi: la lectio, la meditatio, la contemplatio.
La LECTIO consiste nel leggere e rileggere la pagina della Scrittura, mettendo in rilievo gli elementi portanti. Per questo consiglio di leggere con la penna in mano, sottolineando le parole che colpiscono, oppure richiamando con segni grafici i verbi, le azioni, i soggetti, i sentimenti espressi o la parola-chiave. In tal modo la nostra attenzione viene stimolata, l’intelligenza, la fantasia e la sensibilità si muovono facendo sì che un brano, considerato magari arcinoto, appaia nuovo.
A me che da tanti anni leggo il vangelo succede, ad esempio, che riprendendolo in mano scopro ogni volta delle cose nuove proprio attraverso il metodo della lectio.
Questo primo lavoro può occupare parecchio tempo, se siamo aperti allo Spirito: si colloca il racconto letto nel contesto più vasto, sia dei brani vicini, sia dell’insieme di un libro, sia dell’intera Bibbia, per capire che cosa vuol dire.
La MEDITATIO è la riflessione sui valori perenni del testo. Mentre nella lectio assumo le coordinate storiche, geografiche, culturali anche, del brano, qui si pone la domanda:
- Che cosa dice a me?
- Quale messaggio in riferimento all’oggi viene proposto autorevolmente dal brano come parola del Dio vivente?
- Come vengo provocato dai valori permanenti che stanno dietro alle azioni, alle parole, ai soggetti?
La CONTEMPLATIO è difficilmente esprimibile e spiegabile. Si tratta di dimorare con amore nel testo, anzi di passare dal testo e dal messaggio alla contemplazione di colui che parla attraverso ogni pagina della Bibbia: Gesù, Figlio del Padre, effusore dello Spirito.
Contemplatio è adorazione, lode, silenzio davanti a colui che è l’oggetto ultimo della mia preghiera, il Cristo Signore vincitore della morte, rivelatore del Padre, mediatore assoluto della salvezza, donatore della gioia del Vangelo. Nella pratica i tre momenti non sono rigorosamente distinti, però la suddivisione è utile per chi ha bisogno di incominciare o di riprendere questo esercizio.
Il nostro pregare è come un filo rosso che collega un po’ le giornate l’una all’altra e può succedere che sullo stesso testo della Scrittura ci soffermiamo un giorno soprattutto con la meditatio mentre un altro giorno passiamo rapidamente alla contemplatio.”
Quali passi ulteriori fare per proseguire?
“La triplice distinzione, tuttavia, esprime in maniera appena embrionale il dinamismo della lectio divina, che in qualche mio libro ho spiegato in tutta la sua ampiezza. Tale ampiezza, infatti, prevede otto progressivi gradini: lectio, meditatio, oratio, contemplatio, consolatio, discretio, deliberatio, actio.
Mi sembra opportuno accennarli brevemente.
- L’ORATIO è la prima preghiera che nasce dalla meditazione: Signore, fammi comprendere i valori permanenti del testo, che mi mancano, donami di capire qual è il tuo messaggio per la mia vita. E a un certo punto, questa preghiera si concentra nell’adorazione e nella contemplazione del mistero di Gesù, del volto di Dio. L’oratio si può esprimere anche in richiesta di perdono e di luce o in offerta.
- La CONSOLATIO è molto importante per il nostro cammino di preghiera e sant’Ignazio di Lojola ne parla più volte nel suo libretto de Gli Esercizi spirituali. Senza questa componente, la preghiera perde di sale, di gusto. La consolatio è la gioia del pregare, è il sentire intimamente il gusto di Dio, delle cose di Cristo. t un dono che ordinariamente si produce nell’ambito della lectio divina, anche se evidentemente lo Spirito santo è libero di effonderlo quando vuole. Solo dalla consolatio nascono le scelte coraggiose di povertà, castità, obbedienza, fedeltà, perdono, perché è il luogo, l’atmosfera propria delle grandi opzioni interiori. Ciò che non viene da questo dono dello Spirito dura poco ed è facilmente frutto di moralismo che imponiamo a noi stessi.
- La DISCRETIO esprime ancora più chiaramente la vitalità della consolatio. Infatti, mediante il gusto del Vangelo, mediante una sorta di fiuto spirituale per le cose di Cristo, diventiamo sensibili a tutto quello che è evangelico e a ciò che non lo è. Si tratta quindi di un discernimento importante perché noi non siamo chiamati solo a osservare i comandamenti all’ingrosso, ma a seguire Cristo Gesù.
E la sequela non ha un’evidenza immediata nelle scelte quotidiane se non siamo per così dire entrati nella mente di Gesù, se non abbiamo gustato la sua povertà, la sua croce, l’umiltà del suo presepio, il suo perdono. Questa capacità di discernere, nelle ordinarie emozioni e nei movimenti del cuore, il marchio evangelico è un dono così grande che san Paolo lo chiedeva per tutti i fedeli: “Vi sia data abbondanza di sensibilità – páse aistései, nel testo greco – perché possiate discernere sempre il meglio, ciò che piace a Dio e ciò che è perfetto” (cf Fil 1, 9-10, Rm 12, 2).
Oggi la Chiesa ha estremamente bisogno della discretio perché le scelte decisive non sono tanto sul bene e sul male (non ammazzare, non rubare), ma su ciò che è meglio per il cammino della Chiesa, per il mondo, per il bene della gente, per i giovani, per i ragazzi.
- La DELIBERATIO è un successivo passo. Dalla esperienza interiore della consolazione o della desolazione, impariamo a discernere e, quindi, a decidere secondo Dio. Se analizziamo attentamente le scelte vocazionali, ci accorgiamo che hanno, magari inconsapevolmente, questo andamento. La vocazione, infatti, è una decisione presa a partire da ciò che Dio ha fatto sentire e dall’esperienza che se ne è fatta secondo i canoni evangelici. Anche la deliberatio, come la discretio, viene coltivata in particolare mediante il dinamismo della leccio divina.
- L’ACTIO, infine, è il frutto maturo di tutto il cammino. La leccio e l’actio, perciò, la lezione biblica e l’agire, non sono affatto due binari paralleli. Non leggiamo la Scrittura per avere la forza di compiere quello che abbiamo deciso! Invece, leggiamo e meditiamo affinché nascano le giuste decisioni e la forza consolatrice dello Spirito ci aiuti a metterle in pratica. Non si tratta, come spesso pensiamo, di pregare di più per agire meglio; ma di pregare di più per capire ciò che devo fare e per poterlo fare a partire dalla scelta interiore.” (da Card. Carlo Maria Martini, “La gioia del Vangelo”, 1988)
Dove porta questa esperienza?
“(…) che un giovane si senta interpellato direttamente da Dio, che impari cioè ad ascoltarlo. Non semplicemente che conosca la Scrittura o ascolti un bravo biblista, ma che si senta personalmente interpellato dalla Parola. Quando questo accade, facciamo un’esperienza indimenticabile; basta farla una volta perché si radica nella vita e continua ad attrarci verso la Scrittura. (…)
Allora non abbiamo più bisogno di altre raccomandazioni, di sussidi esterni perché la Parola ha colpito dentro. Allora la risposta di chi si sente interpellato diventa anche risposta vocazionale: Signore, che cosa vuoi da me?
Dunque, il nostro desiderio è di aiutare tutti i giovani a lasciarsi interpellare da Dio, a imparare ad ascoltarlo anche (non solo) a partire dalle pagine bibliche dove Dio parla oggi all’uomo nello Spirito, così da rispondergli. E allorché un giovane capisce che le Scritture parlano di lui e a lui, si inizia quel dialogo che non si fermerà più, di cui si sentirà sempre nel profondo del cuore una grande nostalgia.
La conoscenza di Gesù e del cristianesimo sarà solida, integrata, non appiccicata, e la persona diverrà essa stessa, in qualche modo, Parola di Dio per gli altri”.
(Carlo Maria Card. Martini, Arcivescovo di Milano)
ALLA SCUOLA DELLA PAROLA
Martini ai giovani: apritela con fiducia, vi porterà oltre voi stessi.
Come prendere in mano la Scrittura?
I consigli del Cardinale, citato recentemente da Benedetto XVI come «maestro» della lectio divina.
Giorgio Bernardelli
(“Avvenire”, 4/5/’06)
Giovani con la Bibbia in mano. Ma non da soli. Perché la Scrittura, per essere davvero «lampada per i propri passi», va letta con l’aiuto di qualche maestro. È il messaggio che Benedetto XVI ha affidato ai giovani il 7 aprile scorso, dialogando con loro in piazza San Pietro alla vigilia della XXI Giornata mondiale della gioventù.
Un messaggio forte, da non lasciare cadere. Ed è per questo che abbiamo chiesto di aiutarci a riprenderlo a colui che il Papa stesso in quell’occasione ha citato davanti ai giovani. Il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, oggi vive a Gerusalemme proprio dedicando le sue giornate allo studio dei testi biblici. «È un vero maestro della “lectio divina”, che aiuta a entrare nel vivo della Sacra Scrittura», ha detto di lui in piazza San Pietro Benedetto XVI.
- Eminenza, come ha accolto queste parole del Papa?
«Mi sono assai stupito della menzione che il Santo Padre ha voluto benevolmente fare del mio nome a proposito della “lectio divina” – risponde – . Me ne sono rallegrato a motivo della grande importanza che essa ha per tutti i cristiani, soprattutto per i più giovani. Ma non pensavo di essere menzionato io stesso, che non sono uno specialista; sono solo un umile discepolo della Parola, mentre molti altri nella Chiesa si sono dati da fare per questo impegno dei cristiani raccomandato dal Vaticano II nel capitolo VI della “Dei Verbum”».
- Che cosa ha rappresentato per lei da giovane la scoperta della parola di Dio?
«Per rispondere a questa domanda dovrei raccontare una lunga storia, che inizia dall’età di circa dieci anni, quando ci insegnarono a meditare su una pagina di Vangelo. La riscoperta della forza della parola di Dio era in qualche modo presente fin dall’inizio ma si è resa esplicita progressivamente, e certamente un punto importante è stato il concilio Vaticano II».
- Che cosa vi ha trovato in più rispetto a tante altre parole?
«Ho trovato la parola definitiva, quella che dà sicurezza assoluta, quella che fa appoggiare la vita sulla roccia che è Dio, quella che dura per tutta l’eternità. Ho trovato la parola che muove, commuove, coinvolge, stimola, invita, rimprovera, sollecita, incoraggia. Se “in principio era il Verbo” noi, che siamo stati creati in questo Verbo, ci ritroviamo in Lui ogni volta che ci mettiamo con coraggio dentro questa parola».
- Ha vissuto delle fatiche nel primo impatto con il metodo della lectio divina?
«Non potrei parlare di primo impatto, nel senso che alla “lectio divina” metodica sono giunto piuttosto gradualmente, componendo quasi da me stesso il metodo, con l’aiuto di tanti scrittori, soprattutto padri della Chiesa antica e del Medio Evo. Non ho dunque vissuto fatiche del primo impatto. Piuttosto le fatiche vengono dopo, quando cioè si conosce molto la parola di Dio e allora bisogna diminuire il tempo dato alla “lectio” propriamente detta per lasciare più tempo alla preghiera e al silenzio adorante davanti a Dio. È questo un passaggio importante, che bisogna fare al tempo giusto».
- Quando andava in visita pastorale lei distribuiva ai giovani una penna che recava la scritta, «sottolinea il Vangelo». Perché in un racconto è così importante soffermarsi sulla singola parola, su una singola frase?
«Insegnando a fare la “lectio” ho trovato molto utile che i giovani stessi scoprissero da soli le parole chiave dei testi, gli aggettivi, gli avverbi, i verbi dominanti, i soggetti delle azioni. Quando viene fatta così, la “lectio” fa leggere il testo come nuovo, e anche una pagina molto conosciuta ritorna brillante e luminosa».
Lasciare spazio alla parola di Dio nella vita di un giovane può richiedere anche scelte impegnative. Lei invitava i giovani a eliminare o comunque ridurre fortemente, durante l’anno dedicato al discernimento vocazionale, l’uso della televisione. Perché?
«Potrei raccontare a questo proposito che le regole erano due: rinunciare per un anno alla televisione, per esprimere la propria volontà di raccoglimento e di silenzio, ma anzitutto bandire ogni paura e preoccupazione circa il futuro. Molti giovani mi hanno detto che non era così difficile lasciare la televisione; era invece molto difficile superare le paure del futuro».
- I momenti di aridità spirituale: come riuscire ad affrontarli con la parola di Dio in mano?
«Abbiamo l’esempio di San Carlo Borromeo, che portava sempre in tasca un piccolo libro dei Salmi. Quando andava a cavallo o si trovava in viaggio e sentiva qualche momento di depressione si metteva a leggere qualche salmo facile e a ripetere a Dio le parole che più lo colpivano. I salmi sono certamente un aiuto grande per superare i momenti di deserto interiore».
- Lei riceveva (e ancora riceve) molte lettere di giovani in cammino verso questo ascolto della parola di Dio. Che cosa la colpisce di questi scritti? Vede qualche differenza tra le lettere di oggi e quelle di qualche anno fa?
«Vedo che il senso dell’importanza della parola di Dio, predicata per tanti anni, è rimasta viva nel cuore di molti giovani e adulti, e rimane forte il desiderio di approfondirla. Molti giovani di qualche anno fa mi raccontano i risultati meravigliosi ottenuti nelle scelte della vita a partire dalla parola di Dio. I giovani di oggi, che non hanno ancora fatto una scelta definitiva di vita, sono spesso preoccupati se la scelta sarà giusta o sbagliata e vorrebbero un metodo quasi matematico per evitare sbagli. Io dico loro che bisogna avere fiducia in Dio, della sua parola, buttarsi, rischiare. Occorre certamente pregare e ragionare, ma poi occorre uscire da sé. È inutile fare esperimenti continui per anni e anni. Bisogna tuffarsi come quando ci si butta in acqua e si deve nuotare per forza».
- Se dovesse suggerire oggi a un giovane qualche pagina da cui partire per introdursi alla bellezza di una vita scandita dalla Scrittura, quali sceglierebbe?
«Indicherei qualche salmo, una pagina del Vangelo, o una delle lettere più facili di Paolo, come la lettera ai Filippesi. Ma lo Spirito Santo guiderà ciascuno a trovare la pagina giusta. Basta cominciare».
LECTIO DIVINA E LITURGIA DELLA PAROLA
Per la vostra dedicazione agli esercizi voi siete con ciò stesso esperti sul tema della Lectio divina e della liturgia della Parola e per questo non posso dirvi nulla di nuovo, e neppure qualcosa che io stesso non abbia già trattato in interventi precedenti.
Mi limiterò quindi ad alcuni richiami:
1. Che cosa intendiamo per Lectio divina?
2. Lectio divina e Lectio continua
3. Lectio divina e Liturgia
4. Lectio divina e Esercizi Spirituali
5. Come insegnare a vivere la liturgia della Parola come fondamento della Lectio divina?
1. Che cosa intendiamo per Lectio divina?
Che cosa è la LD? se ne parla tanto e talora il molto parlare oscura la semplicità della cosa. Per questo preferisco rifarmi alla descrizione classica di Guigo il Certosino, che la descrive secondo quattro momenti: lectio, meditatio, oratio, contemplatio: Guigo prende lo spunto dall’invito evangelico: “chiedete e vi sarà dato, cercava e troverete, bussate vi sarà aperto” ( Matteo 7,7 ). E commenta così: ” La lettura indaga, la meditazione trova, l’orazione chiede, la contemplazione assapora. La lettura è un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello Spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. L’orazione è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è come un innalzamento al disopra di sé da parte dell’anima sospesa in Dio, che gusta le gioie della dolcezza terrena. ..”
Lo stesso autore sottolinea come questi atti costituiscano una unità, che va mantenuta nella sua interezza. Si tratta di fasi non separabili: esse si intrecciano e si mescolano. Come afferma Guigo:” La lettura senza la meditazione è arida, la meditazione senza la lettura è soggetta a errore, la preghiera senza la meditazione è tiepida, la meditazione senza la preghiera è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza l’orazione è raro e miracoloso”.
Ci si può domandare da dove venga questa espressione quasi intraducibile di Lectio divina? Sembra che essa risalga a una lettera di Origene scritta verso il 238 al proprio discepolo Gregorio detto il Taumaturgo, che si apprestava a evangelizzare il Ponto: “Dedicati alla lectio delle Scritture divine; applicati a questo con perseveranza… Impegnati nella lectio con l’intenzione di credere e di piacere a Dio…Applicandoti così alla lectio divina (theia anagnosis) cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza” (n.4).
Oggi la lectio divina, a partire dal Vaticano II, è via via sempre più raccomandata a tutti i cristiani dai documenti della Chiesa. Basti citare la Dei Verbum n. 25, la Novo Millennio Ineunte n. 39, il documento dei Vescovi italiani Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2002, n 49, e il documento della Sacra Congregazione per la vita consacrata Ripartire da Cristo n.24.
2. La lectio divina e la lectio continua
La lectio divina è, in quanto possibile, una lectio continua, o almeno va sempre fatta sullo sfondo dell’intera Scrittura.
Giuseppe Dossetti, in una sua famosa conferenza dal titolo “L’esperienza religiosa: testimonianza di un monaco ” ( pag. 124 e segg) descrive come va fatta questa lettura:
” Essa parte con molta chiarezza da due premesse:
- occorre immergere il brano di ogni giorno non solo nell’insieme del libro che si sta leggendo, ma anche nel tutto unitario della Bibbia: cioè occorre poter risalire all’intero arco della storia della salvezza. La Bibbia occorre veramente averla letta tutta e rileggerla e capirla sempre più nel suo insieme e portarla tutta nel cuore in modo che il contatto della singola pericope o della singola frase si carichi del potenziale enorme del tutto e possa – almeno ogni tanto – scattare la scintilla balenante, e tutto l’orizzonte interiore si illumini;
- occorre inoltre che questa globalità e unità della Scrittura appaia sempre più quello che è, cioè un’unità vivente, anzi il Vivente stesso, Cristo crocifisso e glorioso: che in ogni versetto della Scrittura tocchiamo e ascoltiamo, o meglio ci tocca, ci monda (come ha fatto con il lebbroso ), ci trasforma e progressivamente ci assimila a sé e ci conduce al Padre: così tutta la Scrittura diventa un grande sacramento di Cristo ” (citaz. Da G. Dossetti, la Parola di Dio seme di vita e di fede incorruttibile, Bologna 2002, Introduzione, pp. 16-17).
3. Lectio divina e liturgia
Tutto questo fa vedere come la lectio divina ha il suo humus fondamentale nella Liturgia. La liturgia della Parola di ogni giorno e di ogni settimana, sia nella Liturgia eucaristica come nella Liturgia delle Ore, è infatti, almeno nell’intenzione, lettura di tutta la Scrittura, in forma continuativa e sistematica. La liturgia permette così di dare uno sfondo a ogni singola pericopa e toglierla da un suo potenziale isolamento.
Inoltre la liturgia, soprattutto eucaristica, permette quel contatto con il Vivente che giustamente Dossetti pone come fondamentale per una lectio divina. In una sua lettera da Gerico del 6-7 novembre 1979 all’assemblea dei gruppi biblici della Chiesa di Bologna egli sottolineava l’importanza del capitolo XI del libro IV della Imitazione di Cristo, a partire dal titolo: Quod Corpus Christi et Sacra Scriptura maxime sint animae fideli necessaria, e aggiunge: “Per me – e per tutta la comunità di Monteveglio – l’impulso genetico primordiale e la norma direttiva a livello più profondo di oltre venticinque anni di esperienza, son già tutti qui: in questo accostamento, in questa endiadi” ( G.Dossetti, La Parola…p. 127). E aggiungeva: “Non solo e non tanto nel fatto che la Sacra Scrittura venga detta necessaria, anzi massimamente necessaria all’anima del fedele per restare tale e per realizzarsi, ma ancor più nel fatto che questa massima necessità della Scrittura sia accostata a quella del corpo di Cristo: “Di due cose specialmente io sento la necessità assoluta in questa vita, senza le quali diverrebbe impossibile sopportarne le miserie. Chiuso nella prigione di questo corpo, io confesso di avere bisogno di cibo e di luce. Perciò tu hai dato a questo infermo il tuo sacro corpo per nutrimento della mente e del corpo e hai posto sul mio cammino la tua Parola come una lucerna. Non potrei vivere senza codesti due sostegni: poiché la Parola di Dio è la luce dell’anima, il tuo sacramento è il pane per la vita, Sono come due mense poste da una parte e dall’altra del tesoro della Chiesa. L’una è la mensa del santo altare che porta un pane consacrato, cioè il prezioso corpo di Cristo, l’altra è quella della legge di Dio che contiene la dottrina santa, istruisce sulla vera fede ed è guida sicura fin dall’al di là del velario dove sta il Santo dei santi” ( Imitazione di Cristo, IV, cap. XI, n.4).
Potrà sembrare a qualcuno che in questo testo più di una frase sia connotata da quel pessimismo e da quell’evasione storica che, secondo certi odierni maestri, segna l’inclinazione deviante del libro dell’ Imitazione. Ebbene, per me e per noi di Monteveglio, tutta la carica positiva nella costruzione e nella totale sottomissione di ogni nostra giornata e di ogni nostra scelta alla Scrittura, deriva proprio dall’aver assunto alla lettera questa precisa frase: ” Duo namque mihi necessaria permaxime sentio in hac vita, sine quibus mihi importabilis fore ista miserabilis vita”.
Il pessimismo di questa visione esistenziale si è sempre rovesciato per noi in un ottimismo cristiano, esclusivamente cristico, cioè esclusivamente attraverso il Gesù delle Scritture, in vista di quello che il sacro testo stesso chiama la consolazione delle Scritture:”ora tutto ciò che è stato scritto prima di noi è stato scritto per nostro ammaestramento affinché per mezzo della perseveranza e della consolazione delle Scritture possiamo avere la speranza” (Rom 15,4) (Rossetti, o.c. p.127-128)
Si potrebbe qui ancora notare che la Dei Verbum ha fatto sua questa affermazione delll’Imitazione di Cristo ma con una differenza: parla cioè al singolare di “mensa tam Verbi Dei quam Corporis Christi”, da cui assume un pane di vita (al singolare) e lo offre ai fedeli (n.21).
4. Omologia tra lectio divina ed esercizi
Prima di passare a qualche suggerimento pratico, vorrei sottolineare ancora una cosa importante, che io chiamo l’omologia tra la Sacra Scrittura e gli Esercizi spirituali di s. Ignazio.
Vorrei dire cioè che la dinamica degli Esercizi di s. Ignazio, tutti fondati sulla Scrittura e caratterizzati da diverse tappe (le quattro settimane) e da momenti forti per ogni tappa (le cosiddette meditazioni fondamentali) corrisponde alla dinamica generale della rivelazione, espressa in tutta la Scrittura e condensata in alcune pagine chiave, che tutto concentrano su Gesù Cristo, sul suo cammino e in particolare sulla sua umiliazione, nel senso ad es. di Fil 2,5-11.
V’è quindi un’analogia tra la lettura continua della Scrittura e la dinamica degli Esercizi, che spinge alcuni direttori di Esercizi a far leggere molte pagine dell’Antico Testamento tra la prima e la seconda settimana, quando gli Esercizi completi sono fatti a tappe nello spazio di più anni.
La dimenticanza pratica di questa omologia conduce talora a confondere la semplice lectio divina con gli Esercizi veri e propri, cioè ad accontentarsi di sostituire gli Esercizi con una semplice lectio divina, il che non è senza utilità, ma non può essere proposto come se fossero Esercizi, e non è quindi senza qualche inconveniente e danno spirituale.
5. Come insegnare a vivere la liturgia della Parola come fondamento della Lectio divina? (una breve spiegazione su ognuno di questi suggerimenti)
1. Praticarla personalmente
2. Una breve omelia in ogni santa Messa
3. Settimane di esercizi spirituali nelle parrocchie
4. Lectio dvina per i giovani, finché giungano a specchiarsi e a sentirsi interpellati dal testo biblico
5. Esercizi su libri e personaggi biblici, ma inserendoli nella dinamica degli esercizi!
Conclusione
Vorrei in conclusione citare alcune parole degli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000 “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia “.
” La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne…. solo il continuo rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo…
Solo seguendo l’itinerario della missione dell’inviato – dal seno del padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per l’abbassamento all’umiliazione del Messia – , sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario conforme a quello del servo, di cui essa è serva ( n.10).
E ancora: ” Assolutamente centrale sarà approfondire il senso della festa e della liturgia, della celebrazione comunitaria attorno alla mensa della parola e dell’eucaristia, nel cammino di fede costituito dall’anno liturgico.
… Potrà aiutarci in questo la valorizzazione – sia nella vita personale dei credenti sia in quella delle comunità cristiane – della pratica della Lectio divina, intesa come continua e intima celebrazione dell’alleanza con il Signore mediante un ascolto orante delle sacre Scritture, capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognuno di noi all’arte della preghiera e della comunione. Va coltivato l’assiduo contratto, personale e comunitario, con la Bibbia, diffondendone il testo, promuovendone la conoscenza, anche con incontri e gruppi biblici, sostenendone una lettura sapienziale, aiutando a pregare con la Bibbia soprattutto nelle famiglie. La qualità sia della presidenza eucaristica, sia dell’omelia, sia della preghiera dei fedeli ne risulterà rafforzata, resa più aderente alla parola di Dio e agli eventi della storia letti alla luce della fede. E’ nostro modello la Vergine Maria, che accoglie fatti e parole ” meditandole nel suo cuore ” ( Luca 2,19 ) e rilegge la sua esistenza mediante immagini e testi della Scrittura ( confronta Luca 1,46-55 ).
LA PREGHIERA PERSONALE DEL PRSBITERO
(Ritiro ai sacerdoti di Milano ad Avila)
Specifico il tema della nostra meditazione con una domanda:
- c’è un cammino di preghiera personale?
- C’è un cammino per il tipo di preghiera che si fa nella lectio divina?
La risposta è assai importante per noi presbiteri.
Vi propongo in proposito due riferimenti del 470 Sinodo diocesano.
- Il n. 475 inizia così: Il presbitero è anzitutto discepolo ». Discepolo è colui che impara, che compie un cammino di apprendimento che non finisce mai, perché tutta la vita è discepolato.
- Il n. 499 menziona la lectio divina come modo tipico della preghiera del prete: coltivi la lettura della Bibbia e si eserciti, in particolare, nella lectio divina .
Tenendo presenti i due riferimenti sinodali, entriamo nel vivo della nostra riflessione.
Mi è venuta in mente la mia prima conversazione ai preti della Diocesi, che ho tenuto nella Quaresima 1980, quando, avendo iniziato da poco il servizio episcopale, sentivo il bisogno di incontrare i presbiteri delle sette zone pastorali. Nella meditazione, poi trascritta col titolo Dalla coscienza battesimale alla coscienza presbiterale, descrivevo il cammino del prete come discepolo che cresce nella sua coscienza, passando dalla coscienza di catecumeno a quella di battezzato, quindi a quella di evangelizzatore e infine di responsabile di comunità. Delineavo questo quadruplice cammino di crescita in rapporto ai quattro Vangeli: Marco, il Vangelo del catecumeno; Matteo, il Vangelo del Catechista; Luca, il Vangelo dell’evangelizzatore; Giovann, il Vangelo del presbitero. Sottolineando le caratteristiche di ogni Vangelo, mostravo come a esse corrispondono diverse tappe della nostra coscienza di cristiano discepolo che matura verso il presbiterato, la pienezza della maturità; segnalavo pure le tappe o stati di preghiera che accompagnano i momenti della crescita secondo il ritmo dei quattro Vangeli, nell’ordine indicato.
Vi confesso che, a quindici anni di distanza, il cammino suggerito da quella conversazione mi appare ancora pertinente e suscettibile di approfondimento.
Non intendo tuttavia riprendere quanto avevo detto, ma cercare di cogliere come la gradualità avviene nel cammino della lectio divina. La lectio divina ha infatti un cammino nella vita del presbitero ed è importante valutare la tappa nella quale ciascuno si trova, per non sbagliare nell’impostazione.
La lectio divina
La Lettera della Pontificia commissione biblica L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15 aprile 1993, ci offre una definizione autorevole della lectio divina:
“è una lettura, individuale o comunitaria, di un passo più o meno lungo della Scrittura accolta come parola di Dio e che si sviluppa sotto lo stimolo dello Spirito in meditazione, preghiera e contemplazione” .
Di fronte a tale citazione, molto bella e densa, mi chiedo: la lectio divina comporta delle tappe nel cammino spirituale, specialmente nel cammino di maturazione dalla coscienza battesimale alla coscienza presbiterale pienamente integrata?
Credo di sì; ne esprimo tre. Nella prima prevale la lectio, nella seconda la meditatio, nella terza la contemplatio. Prevalenza significa che nella lectio divina non manca mai nessuno dei tre elementi, però gradualmente l’uno prevale sull’altro e quasi lo ingloba.
* La prima tappa, che non si può saltare, vede necessariamente una certa priorità della “lectio “, perché si conosce poco la Scrittura e occorre
perciò leggerla e rileggerla, situando la pagina o il brano nel contesto (biblico, storico, geografico), con l’aiuto di buoni commenti. In questa tappa siamo spesso molto indietro sia come popoio cristiano sia forse come presbiteri. La Sacra Scrittura è orecchiata ma non veramente conosciuta anche da laici colti e da preti. Sorge spontanea la domanda: santa Teresa di Gesù praticava la lectio divina? Nel tempo in cui viveva si respirava la reazione antiprotestante, che durerà parecchi secoli. Concretamente i laici non avevano nessun accesso alla Scrittura; soltanto le persone colte che studiavano il latino potevano leggere la Bibbia nella traduzione della Volgata. Infatti san Giovanni della Croce, che era prete ed era colto, cita molto la Scrittura, a differenza di Teresa. Tale condizionamento storico va tenuto presente.
Oggi è diverso e sono certo che anche Teresa si dedicherebbe con molto impegno alla lectio divina, così come amava praticarla la sua discepola Teresa di Gesù Bambino, che approfittava di ogni parola o frase biblica, benché neppure lei, nel suo secolo, potesse avere tra le mani tutta la Scrittura.
La nostra è una situazione storica privilegiata, perché ci è dato di attingere direttamente alle ricchezze dei testi sacri, secondo quel programma che Gesù tracciava ai discepoli di Emmaus: da Mosè ai Profeti ai Salmi.
- Dunque la prima tappa è indispensabile e non si può tralasciarla pena il fabbricarsi un Cristo a propria immagine e somiglianza, secondo la propria fantasia e i propri sentimenti, non il Cristo rivelatosi nella storia e manifestatosi nella carne. Toccare la carne di Cristo avviene congiuntamente nella Scrittura e nell’Eucaristia e le due realtà non sono separabili; se si cerca di separarle si corrono gravi rischi nel cammino spirituale. È la tappa a cui ci invita la Chiesa, mediante il ciclo delle letture della messa e del breviario. Ricordo che sta per uscire il secondo ciclo delle letture bibliche del breviario ambrosiano; avremo così modo di leggere interamente la Scrittura anche nell’Ufficio divino.
- La lectio è sempre accompagnata dalla meditatio-oratio, dalla meditazione in preghiera. È la seconda tappa.
Quando l’esercizio della lectio è stato compiuto con serietà e per qualche tempo, la Scrittura ci diventa familiare e a poco a poco ci accorgiamo che la meditatio prevale. Il testo, cioè, comincia a essere noto e più facilmente e immediatamente offre comunicazione di messaggi. Ci si ferma più a lungo per gustano e assaporarlo nel suo messaggio fondamentale, che è Cristo crocifisso e risorto, continuamente espresso nelle molteplici esperienze raccontate dalla Bibbia. Comprendo cosa dice il testo a me e parlo con Gesù che mi parla.
Il secondo grado della lectio divina è nutrito dall’apporto di alcune teologie bibliche, da forme di riflessione esegetica più ampia.
- Nel terzo momento, se si è stati fedeli alle prime due tappe, prevale la contemplazione. È proprio di questo specifico momento che parla santa Teresa, quando lo scopre, dopo diciotto anni di fedeltà — faticosa, sofferta, non sempre uguale — a un’attenzione al messaggio.
Viene dunque il giorno in cui il testo sembra diventare trasparente, illanguidendosi in qualche modo o nascondendosi. È questo un passaggio assai faticoso e cruciale, perché si può avere l’impressione di non essere più capaci della lectio divina e che la Scrittura non dica più nulla. Di tale passaggio hanno scritto sapientemente Teresa di Gesù e, sistematicamente, Giovanni della Croce, con la dottrina delle notti del senso e dello spirito.
Ascoltiamo Giovanni nel cap. 13 del libro II della Salita del monte Carmelo, il cui contenuto è sintetizzato in questi termini:
‘Si parla dei segni che l’anima deve scorgere in sé per sapere qual è il momento in cui sia necessario che ella abbandoni la meditazione e il discorso per passare allo stato di contemplazione’.
Non viene considerata inutile la tappa della meditazione o del discorso (lectio-meditatio), però si afferma che può giungere il tempo del passaggio. È assolutamente necessario che il maestro di preghiera sappia discernerlo.
«Perché la dottrina esposta non rimanga oscura è necessario far intendere allo spirituale qual è il tempo eil momento in cui egli debba lasciare l’atto della meditazione discorsiva usando di immagini, forme e figure [la Bibbia è piena di immagini, forme, figure, simboli] perché non l’abbandoni né prima né dopo che lo richieda lo Spirito».
L’abbandonarlo prima è certamente fonte di grave smarrimento, l’abbandonarlo dopo può portare a inutili fatiche.
«Infatti come per andare a Dio è necessario rinunziare tempestivamente a quelle immagini, forme e figure, perché non siano d’impedimento, così non è conveniente lasciare prima del tempo la meditazione per via di immagini, affinché non si torni indietro»
Poi il Santo indica i segni dai quali ci si accorge che è arrivato il momento del passaggio, passaggio oscuro, una vera notte, che può continuare per molto tempo, un passaggio in cui ci auguriamo di incontrare maestri di preghiera in grado di guidarci.
La lectio divina del prete
Questa dottrina vale, con le dovute proporzioni, per la lectio divina. È possibile che ci sia una situazione dello spirito in cui la lectio divina come esercizio personale del presbitero diventa contemplatio (san Giovanni della Croce parla di quiete, silenzio, assenza di immagini, adesione silenziosa al Signore, mentre come esercizio da insegnare è ancora fruttuosa usando immagini, simboli e messaggi.
Il cammino di ciascuno non è il cammino di tutti, e chi è più avanti facilmente sa guidare altri a iniziarlo.
A me pare che Giovanni della Croce voglia oggi esortarci: ricevete con gioia quel tesoro della Chiesa che è la lectio divina e insieme praticatela con tale impegno da giungere in qualche modo a superarne le prime tappe ed entrare nella notte del mistero di Dio. È la notte di cui cogliamo le vestigia e i raggi straordinari di santità in questo luogo.
In proposito vorrei leggere di nuovo un passo di Giovanni della Croce:
‘Errano molto le persone spirituali che, dopo essersi esercitate ad avvicinarsi a Dio per mezzo di immagini, di forme e meditazioni, come si conviene ai principianti, quando Egli vuole invitarle a beni più spirituali, interiori e invisibili, togliendo loro il gusto e il sapore della meditazione discorsiva, restano perplesse e non osano, né sanno distaccarsi da questi modi palpabili, a cui sono abituate. [...] In questo tentativo esse si affaticano molto e ne ricavano poco o nessun vantaggio’ .
Ci doni il Signore di percorrere un itinerario vero di orazione che ci porti a gustare qualcosa della verità del messaggio del Santo.
Conclusione
a. La lectio divina non è un metodo statico da imparare e basta, ma è un cammino, un itinerario che può condurre molto lontano e molto in alto. Nel silenzio ci domandiamo: sto davvero camminando? Sono discepolo in quanto prete? Continuo, cioè, a imparare la strada della lectio divina?
b. Il cammino della lectio divina è parallelo a quello della crescita di fede, speranza e carità, della crescita della vita secondo lo Spirito. E un’espressione privilegiata della vita cristiana, con la quale tuttavia si confonde, costituisce un tutt’uno.
Interrogarci sul nostro cammino di lectio divina equivale a interrogarci sul nostro cammino di fede, speranza, carità. Domanda ardua, che semplifico così: di che cosa godo e di che cosa mi rattristo? Perché nella risposta sta certamente una valutazione del nostro cammino secondo lo Spirito.
c. È importante esaminarsi e farsi guidare da maestri di preghiera per non errare nel valutare il momento del nostro cammino, in modo da comprendere se la ripugnanza o la fatica che stiamo vivendo nella lectio divina deriva da pigrizia o da grazia, da negligenza o da dono di Dio. Lo stesso stato psicologico può essere determinato infatti da due ragioni diverse e occorre che qualcuno ci aiuti a discernere il cammino, onde non rischiare di fermarci o di tornare indietro.
Noi siamo qui proprio per prendere coscienza della missione che ci è data dal Signore, per intercessione di Giovanni della Croce: essere noi per primi discepoli nel cammino della preghiera, molto carente oggi nella Chiesa e sommamente necessario e godere qualcosa della meta ditale cammino, che è la comunione profonda col Signore.
LECTIO DIVINA su Lc 18,1-8 a cura deo PP. CARMELITANI ( dal sito www. lachiesa)
Una vera preghiera: l’esempio della vedova
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione.
Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Chiave di lettura:
La liturgia di questa domenica ci pone dinanzi un testo del Vangelo di Luca che parla di preghiera, un tema assai caro a Luca. E’ la seconda volta che questo evangelista riporta parole di Gesù per insegnarci a pregare. La prima volta (Lc 11,1-13), introduce il testo del Padre Nostro e mediante paragoni e parabole, ci insegna che dobbiamo pregare sempre, senza mai stancarci. Ora, questa seconda volta (Lc 18,1-4), Luca ricorre di nuovo a parabole estratte dalla vita di ogni giorno per dare istruzioni sulla preghiera: la parabola della vedova e del giudice (18,1-8), del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). Luca presenta le parabole in modo assai didattico. Per ognuna di esse, fornisce una breve introduzione che serve da chiave di lettura. Poi viene la parabola ed, infine, Gesù stesso applica la parabola alla vita. Il testo di questa domenica si limita alla prima parabola della vedova e del giudice (Lc 18,1-8). Nel corso della lettura è bene prestare attenzione a quanto segue: “Quali sono gli atteggiamenti delle persone che appaiono in questa parabola?”
b) Una divisione del testo per aiutare a leggerlo:
Luca 18,1: Una chiave che Gesù offre per capire la parabola
Luca 18,2-3: Il contrasto tra il Giudice e la Vedova
Luca 18,4-5: Il mutamento del giudice ed il perché di tale mutamento
Luca 18, 6-8a: Gesù applica la parabola
Luca 18, 8b: Una frase finale per provocare
c) Il testo:
1 Raccontò loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre, senza stancarsi mai. 2 «In una città viveva un giudice che non temeva Dio e non si curava di nessuno. 3 Nella stessa città viveva una vedova, che andava da lui e gli chiedeva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4 Per un po’ di tempo il giudice non volle, ma alla fine disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non mi prendo cura degli uomini, 5 tuttavia le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi”». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto di questo testo ti è piaciuto di più?
b) Quali sono gli atteggiamenti della vedova? O cosa colpisce di più in quello che lei fa e dice?
c) Cosa colpisce nell’atteggiamento e nel parlare del Giudice? Perché?
d) Quale applicazione Gesù fa della parabola?
e) Cosa ci insegna la parabola sul modo di vedere la vita e le persone?
5. Una chiave di lettura
per approfondire maggiormente il tema.
a) Il contesto storico:
Nell’analisi del contesto storico del Vangelo di Luca, dobbiamo tener conto sempre di questa duplice dimensione: l’epoca di Gesù degli anni 30, e l’epoca dei destinatari del Vangelo degli anni 80. Queste due epoche influiscono, ciascuna a modo suo, nella redazione del testo e devono essere presenti nello sforzo che compiamo per scoprire il senso che le parole di Gesù hanno oggi per noi.
b) Il contesto letterario:
Il contesto letterario immediato ci presenta due parabole sulla preghiera: pregare con insistenza e perseveranza (la vedova ed il giudice) (Lc 18,1-8); pregare con umiltà e realismo (il fariseo ed il pubblicano) (Lc 18,9-14). Malgrado la loro differenza, queste due parabole hanno qualcosa in comune. Ci indicano che Gesù aveva un altro modo di vedere le cose della vita. Gesù scorgeva una rivelazione di Dio lì dove tutti scorgevano qualcosa di negativo. Per esempio, vedeva qualcosa di positivo nel pubblicano, di cui tutti dicevano: “Non sa pregare!” E nella vedova povera, di cui si diceva: “E’ cosi insistente che importuna perfino il giudice!” Gesù viveva così unito al Padre che tutto si trasformava per lui in fonte di preghiera. Sono molti i modi in cui una persona può esprimersi nella preghiera. Ci sono persone che dicono: “Non so pregare”, ma conversano con Dio tutto il giorno. Voi conoscete persone così?
c) Commento del testo:
Luca 18,1: La chiave per capire la parabola
Luca introduce una parabola con la frase seguente: “Raccontò loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre, senza stancarsi mai”. La raccomandazione di “pregare senza stancarsi” appare molte volte nel Nuovo Testamento (1 Tes 5,17; Rom 12,12; Ef 6,18; ecc). Era una caratteristica della spiritualità delle prime comunità cristiane. Ed anche uno dei punti in cui Luca insiste maggiormente, sia nel Vangelo come negli Atti. Se vi interessa scoprire questa dimensione negli scritti di Luca, fate un esercizio: leggete il Vangelo e gli Atti ed annotate tutti i versi in cui Gesù o altre persone stanno pregando. Vi sorprenderete!
Luca 18,2-3: Il contrasto tra la vedova ed il giudice
Gesù ci mostra due personaggi della vita reale: un giudice senza considerazione verso Dio e verso il prossimo, ed una vedova che non desiste dal lottare per i suoi diritti presso il giudice. Il semplice fatto che Gesù ci mostra questi due personaggi rivela che conosce la società del suo tempo. La parabola non solo presenta la povera gente che lotta nel tribunale per vedere riconosciuti i suoi diritti, ma lascia anche intravedere il contrasto violento tra i gruppi sociali. Da un lato, un giudice insensibile, senza religione. Da un altro, la vedova che sa a quale porta bussare per ottenere ciò che le è dovuto.
Luca 18,4-5: Il cambiamento che avviene nel giudice ed il perché del cambiamento
Per molto tempo, chiedendo la stessa cosa ogni giorno, la vedova non ottiene nulla dal giudice insensibile. Infine il giudice malgrado “non temesse Dio e non si curasse di nessuno” decide di prestare attenzione alla vedova e farle giustizia. Il motivo è: liberarsi da questa continua seccatura. Motivo ben interessato! Pero’ la vedova ottiene ciò che vuole! E’ questo un fatto della vita di ogni giorno, di cui Gesù si serve per insegnare a pregare.
Luca 18,6-8: Un’applicazione della parabola
Gesù applica la parabola: “Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte, anche se li fa aspettare?” Ed aggiunge che Dio farà giustizia tra breve. Se non fosse Gesù a parlarci, non avremmo il coraggio di paragonare Dio con un giudice nel loro atteggiamento morale. Ciò che importa nel paragone è l’atteggiamento della vedova che grazie alla sua insistenza, ottiene ciò che vuole.
Luca 18,8b: Parole sulla fede
Alla fine Gesù esprime un dubbio: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Avremo il coraggio di aspettare, di avere pazienza, anche se Dio tarda a risponderci? E’ necessario avere molta fede per continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di non vedere il risultato. Chi aspetta risultati immediati, si lascerà prendere dallo sgomento. In diversi altri punti dei salmi si parla di questa stessa resistenza dura e difficile dinanzi a Dio, fino a che Lui risponde (Sl 71,14; 37,7; 69,4; Lm 3,26). Nel citare il Salmo 80, San Pietro dice che per Dio un giorno è come mille anni (2Pd 3,8; Sl 90,4).
d) Approfondimento: La preghiera negli scritti di Luca
I. Gesù che prega nel Vangelo
I vangeli ci presentano un’immagine di Gesù che prega, che vive in contatto permanente con il Padre. L’aspirazione di vita di Gesù è fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Luca è l’evangelista che ci dice più cose sulla vita di preghiera di Gesù. Ci presenta Gesù in costante preghiera. Gesù pregava molto ed insisteva, in modo che anche la gente ed i suoi discepoli facessero lo stesso. Ed è nel confronto con Dio dove appare la verità e la persona si incontra con se stessa in tutta la sua realtà ed umiltà. Ecco alcuni momenti nel Vangelo di Luca in cui Gesù appare pregando:
Lc 2,46-50: Quando ha dodici anni, va al Tempio, nella Casa del Padre
Lc 3,21: Quando è battezzato ed assume la missione, prega
Lc 4,1-2: Quando inizia la missione, passa quaranta giorni nel deserto
Lc 4,3-12: Nell’ora della tentazione, affronta il diavolo con i testi della Scrittura
Lc 4,16: Gesù è solito partecipare alle celebrazioni, nelle sinagoghe, il sabato
Lc 5,16; 9,18: Cerca la solitudine del deserto, per pregare
Lc 6,12: La sera prima di scegliere gli Apostoli, trascorre la notte pregando
Lc 9,16; 24,30: Prega prima dei pasti
Lc 9,18: Prima di parlare della realtà e della sua passione, prega
Lc 9,28: Durante la crisi, sul Monte per pregare, è trasfigurato quando prega
Lc 10,21: Quando il Vangelo viene rivelato ai piccoli, dice: “Ti ringrazio, Padre…”
Lc 11,1: Pregando, sveglia negli apostoli la volontà di pregare
Lc 22.32: Prega per Pietro, per aumentare la sua fede
Lc 22,7-14: Celebra la Cena Pasquale con i suoi discepoli
Lc 22,41-42: Nell’Orto degli Ulivi, prega, sudando sangue
Lc 22,40.46: Nell’angoscia dell’agonia chiede ai suoi amici di pregare con lui
Lc 23,34: Nel momento di essere inchiodato alla croce, chiede perdono per i suoi carnefici
Lc 23,46; Sl 31,6: Nell’ora della morte, dice: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”
Lc 23,46: Gesù muore con sulle labbra il grido del povero
Questo elenco di citazioni indica che per Gesù, la preghiera era intimamente unita alla vita, ai fatti concreti, alle decisioni che doveva prendere. Per essere fedele al progetto del Padre, cercava di rimanere da solo con lui. Di ascoltarlo. Nei momenti difficili e decisivi della sua vita, Gesù pregava i Salmi. Come qualsiasi altro giudeo pio, li conosceva a memoria. La recita dei Salmi non spense in lui lo spirito creativo. Anzi, Gesù inventò lui stesso un salmo: E’ il Padre Nostro. La sua vita è stata una preghiera perenne: “In ogni momento faccio ciò che il Padre mi chiede di fare!” (Gv 5,19.30). A lui si applica ciò che dice il Salmo: “… mentre io sono in preghiera!” (Sl 109,4)
II. Le Comunità oranti negli Atti degli Apostoli
Come avviene nel Vangelo, anche negli Atti, Luca parla molto spesso di preghiera. I primi cristiani sono coloro che continuano la preghiera di Gesù. A continuazione, un elenco di testi che in un modo o nell’altro, parlano di preghiera. Se osservate con molta attenzione, ne scoprirete anche altri:
At 1,14: La comunità persevera in preghiera con Maria, la madre di Gesù
At 1,24: La comunità prega per sapere come scegliere il sostituto di Giuda
At 2,25-35: Pietro cita i salmi durante la predicazione
At 2,42: I primi cristiani sono assidui nella preghiera
At 2,46-47: Frequentano il tempio per lodare Dio
At 3,1: Pietro e Giovanni vanno al tempio per la preghiera dell’ora nona
At 3,8: Lo storpio curato loda Dio
At 4,23-31: La comunità prega nella persecuzione
At 5,12: I primi cristiani rimangono nel portico di Salomone (tempio)
At 6,4: Gli apostoli si dedicano alla preghiera ed alla parola
At 6,6: Pregano prima di imporre le mani sui diaconi
At 7,59: Nell’ora della morte, Stefano prega: “Signore, ricevi il mio spirito”
At 7,60: E prima Stefano prega: “Signore, non imputar loro questo peccato”
At 8,15: Pietro e Giovanni pregano affinché i convertiti ricevano lo Spirito Santo
At 8,22: Al peccatore viene detto: Pentiti e prega, così otterrai il perdono
At 8,24: Simone dice: “Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto”
At 9,11: Paolo sta pregando
At 9,40: Pietro prega per la guarigione di “Gazzella”
At 10,2: Cornelio pregava Dio costantemente
At 10,4: Le preghiere di Cornelio salgono al cielo e sono ascoltate
At 10,9: Nell’ora sesta, Pietro prega sulla terrazza della casa
At 10,30-31: Cornelio prega nell’ora nona, e la sua preghiera è ascoltata
At 11,5: Pietro informa la gente di Gerusalemme: “Lui stava in preghiera”!
At 12,5: La comunità prega quando Pietro è in carcere
At 12,12: In casa di Maria, ci sono molte persone raccolte in preghiera
At 13,2-3: La comunità prega e digiuna prima di inviare Paolo e Barnaba
At 13,48: I pagani si rallegrano e glorificano la Parola di Dio
At 14,23: I missionari pregano per designare i coordinatori delle comunità
At 16,13: A Filippo, accanto al fiume, c’è un luogo di preghiera
At 16,16: Paolo e Sila andavano alla preghiera
At 16,25: Di notte, Paolo e Sila cantano e pregano in prigione
At 18,9: Paolo ha una visione del Signore durante la notte
At 19,18: Molti confessano i loro peccati
At 20,7: Erano riuniti per la frazione del pane (Eucaristia)
At 20,32: Paolo raccomanda a Dio i coordinatori delle comunità
At 20,36: Paolo prega in ginocchio con i coordinatori delle comunità
At 21,5: Si inginocchiano sulla spiaggia per pregare
At 21,14: Dinanzi all’inevitabile, la gente dice: Sia fatta la volontà di Dio!
At 21,20: Glorificano Dio per quanto fatto da Paolo
At 21,26: Paolo va al tempio a compiere una promessa
At 22,17-21: Paolo prega nel tempio, ha una visione e parla con Dio
At 23,11: In carcere a Gerusalemme: Paolo ha una visione di Gesù
At 27,23ss: Paolo ha una visione di Gesù durante la tormenta sul mare
At 27,35: Paolo prende il pane e rende grazie a Dio prima di arrivare a Malta
At 28,8: Paolo prega sul padre di Publio colpito dalla febbre
At 28,15: Paolo rende grazie a Dio vedendo i fratelli a Pozzuoli
Questo elenco ci indica due cose molto significative. Da una parte che i primi cristiani conservano la liturgia tradizionale del popolo. Come Gesù, pregano in casa in famiglia, nella comunità e nella sinagoga ed insieme alla gente nel tempio. D’altro canto, oltre alla liturgia tradizionale, sorge tra di loro un nuovo modo di pregare in comunità con un nuovo contenuto. La radice di questa nuova preghiera nasce dalla nuova esperienza di Dio in Gesù e dalla coscienza chiara e profonda della presenza di Dio in mezzo alla comunità: “In lui viviamo, ci moviamo e siamo!” (At 17,28)
6. Preghiera: Salmo 63 (62)
Il desiderio di Dio che si esprime nella preghiera
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
saranno dati in potere alla spada,
diverranno preda di sciacalli.
Il re gioirà in Dio,
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.
7. Orazione finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
UN METODO MAI TRAMONTATO
Il culto è di due specie: esteriore e interiore. Il culto esterno però è ordinato da quello interiore: infatti i sacramenti della Chiesa, le lodi esteriori e tutto l’apparato delle cerimonie sono ordinati a edificare le disposizioni interiori dell’anima. Perciò il compito principale della vita religiosa di tutti i cristiani deve tendere a venerare Dio con gli atti interiori; sebbene non si debbano trascurare neppure gli atti esterni, soprattutto quelli ai quali si è obbligati. Ebbene, gli atti interni sono questi: leggere, pregare, meditare e contemplare, i quali appartengono all’intelletto; e mediante questi nascono la speranza, la carità, la devozione e tutti gli altri atti che appartengono alle facoltà affettive, in modo che l’uomo divenga perfetto nella conoscenza e nell’amore di Dio. (…leggi tutto)
OLTRE LA LECTIO, VERSO L’ACTIO E LA COLLACTIO
Oggi, grazie a Dio, viene ripresa nella Chiesa l’antica pratica della lectio divina. Essa è ormai nota a tutti. La sua metodologia è molto varia, ma sostanzialmente si articola in varie tappe: la lectio, ossia l’ascolto e lo studio della Parola di Dio; la meditatio, la sua accoglienza e il confronto con la propria vita; l’oratio, la preghiera che sgorga dall’ascolto; la contemplatio, la comunione con Dio. È un dono immenso dello Spirito, di cui siamo grati.
Tuttavia nella lectio spesso ci si ferma allo studio, alla meditatio, forse si giunge alla oratio, difficilmente alla contemplatio. Occorre andare oltre e spingersi fino all’actio o l’operatio, la vita e la testimonianza suscitate dalla Parola. Non basta ascoltare, leggere, studiare le Scritture. Non basta neppure meditarle o pregarle. La Parola accolta domanda la piena adesione, il totale abbandono a quanto Dio in essa manifesta. Essa richiede di essere tradotta in vita, coerentemente con l’insegnamento evangelico: il buon ascoltatore della Parola è colui che la mette in pratica (cf. Mt 7, 24). Solo a queste condizioni la Parola può esprimere tutta la sua forza trasformante. La lettera di Giacomo ammonisce: «Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1, 21-22).
E infine la collatio. La Parola ascoltata e vissuta domanda di comunicare i frutti da essa prodotti nella vita, delle esperienze che essa suscita. Anche in questo i fondatori e le fondatrici sono un modello. Essi non si sono inoltrati solitari sulle vie della Parola, ma sono stati capaci di guidare altri sulle medesime strade, di renderli partecipi della medesima esperienza e di orientarli, assieme a loro, verso il Vangelo, per fare di tutti un’unica Parola vivente.
Anche oggi, come all’origine del nostro Istituto, la comunità religiosa sarà il frutto della costante comunione tra persone fecondate dalla Parola carismatica, tra “parole di Dio vive”.
VIVERE IL VANGELO PER VIVERE IL CARISMA
Praticare così la lectio divina ci porta anche al rinnovamento del nostro carisma, in continuità con l’esperienza dei nostri fondatori e fondatrici. Seguire le loro orme significa lasciarci condurre dallo Spirito, con la loro stessa docilità, là dove loro si sono lascianti condurre e dove ha avuto inizio il loro cammino carismatico: al Vangelo.
Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nell’intero Vangelo e nella completezza del mistero di Cristo.
A volte, guardando al giardino della Chiesa, si può avere l’impressione che tanti “fiori” siano appassiti. Per ridare vita al proprio “fiore”, al proprio carisma, è inutile soffiare sui petali, per rimanere nell’immagine, o puntellarli in modo che la corolla stia voltata in alto. È un’operazione effimera e inutile. Perché il fiore riabbia vita bisogna intervenire alla radice, non sulla corolla. Bisogna dare acqua alle radici. Fuori metafora. Si tenta in tutti i modi di salvare l’identità della propria spiritualità e lo specifico del proprio istituto studiando il proprio particolare, enfatizzandolo, cercando di proteggerlo da pretese ingerenze esterne… È un lavoro valido ma insufficiente. Occorre il coraggio di andare più in profondità. Occorre ritrovare la pienezza di vita evangelica che alimenta quella determinata spiritualità. L’acqua e l’humus fecondo sono comuni a tutti i fiori, quale che sia la loro varietà. Occorre quindi che tutti i carismi per essere loro stessi rimangano in costante contatto con la fonte da cui tutti sono sgorgati.
Se i fondatori e le fondatrici appaiono parole dell’unica Parola, aspetti particolari della totalità del Vangelo, ogni istituto deve tornare ad essere parola nell’unica Parola. Si tratta di immergere nuovamente la “parola” evangelica su cui è nata ogni famiglia religiosa e che la alimenta, nell’intero Vangelo. Vivendo il Vangelo in pienezza si avrà poi luce per cogliere la particolare dimensione evangelica su cui si è innestato il proprio istituto.
È un cammino da percorrere in comunione con le altre vocazioni, con la Chiesa intera. Se ogni istituto è nato nella Chiesa e per la Chiesa, per vivere e crescere ha intrinsecamente bisogno di una comunione vitale con tutte le diverse realtà carismatiche all’interno della Chiesa-comunione. Solo nell’unità dell’insieme si può cogliere pienamente il valore di ciascun particolare. Di qui il bisogno di attuare una unità sempre più profonda e concreta tra i membri dei differenti istituti di vita consacrata e con le diverse vocazioni ecclesiali: laici, presbiteri, vescovi, gruppi, movimenti, associazioni, e insieme con loro ritrovare la radice evangelica del vivere cristiano.
Nell’unità tra di loro ricompongono l’unico Vangelo, la Parola, il Verbo. Significative le parole rivolte da Giovanni Paolo II ai religiosi: «La Chiesa (…) accoglie e nutre nel proprio seno Ordini e Istituti di stile tanto diverso, perché tutti insieme contribuiscano a rivelare la variegata natura e il polivalente dinamismo del Verbo di Dio incarnato e della stessa Comunità dei credenti in Lui» .
p. FABIO CIARDI OMI
STUDIARE SILLABE PREZIOSE
Intervista a
FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS S.J. *
Mi si domanda qualche illustrazione degli studi biblici compiuti da Carlo Maria Martini, delle sue ricerche, del suo approccio ai testi delle Scritture. Di queste cose posso parlare, come so, solamente a posteriori, dal momento che non sono mai stato un compagno di studi teologici e biblici di Carlo Maria. Pur essendo quasi coetanei (io sono più vecchio di quattro mesi), e pur essendo entrati nel noviziato della Compagnia nello stesso anno 1944, padre Carlo Maria Martini apparteneva alla Provincia Torinese, mentre io appartenevo alla Provincia Romana.
So che egli ha studiato teologia nella Compagnia di Gesù a Chieri, e che era stato destinato a diventare professore di quella facoltà, tanto che gli fu risparmiato persino il periodo di “magistero”, che noi normalmente inframezziamo tra gli studi filosofici e quelli teologici. Di conseguenza, venne ordinato sacerdote il 13 luglio 1952; dunque dopo soli otto anni di vita religiosa, mentre io, per esempio, sono stato ordinato il 6 luglio 1957.
In vista della sua destinazione all’insegnamento, Carlo Maria fu mandato a Roma per ottenere un dottorato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Il risultato di questa sua prima missione di studio è consegnato nel volume: Il problema storico della risurrezione negli studi recenti (Analecta Gregoriana, 104), Libreria Editrice dell’Università Gregoriana, Roma 1959.
Ho sentito dire che, poiché il suo insegnamento a Chieri sembrava ad alcuni “troppo avanzato”, il giovane professore venne indirizzato a più specializzati studi biblici, presso il Pontificio Istituto Biblico.
Di nuovo studente a Roma, vi conseguiva il dottorato in Sacra Scrittura con una tesi di critica testuale, pubblicata poi con il titolo: Insight. A Study of Human Understanding, di Bernard J. F. Lonergan. Nel pensiero e nel discorso di Lonergan egli respirava a pieni polmoni l’aria pulita di un’intelligenza obbediente al vero e alla realtà, che si conosce solamente nei giudizi veri. Mi sembra di intravedere in questa consuetudine con il pensiero di Lonergan un segreto della fecondità della vita e del ministero del cardinale arcivescovo Martini.
Professore di critica testuale al Pontificio Istituto Biblico dal 1962, padre Martini curava, nel 1964, una nuova edizione del Novum Testamentum graece et latine di A. Merk, e diveniva membro del comitato che pubblica il Novum Testamentum Graece di E. Nestle – K. Aland (27a edizione, 1995), identico alla quarta edizione (1993) di The Greek New Testament.
Fino al 29 dicembre 1979, quando venne nominato arcivescovo di Milano da Giovanni Paolo II, padre Martini ha tenuto la cattedra di critica testuale presso l’Istituto Biblico di Roma, di cui è stato anche Rettore per diversi anni, prima di essere nominato Rettore anche della Pontificia Università Gregoriana.
L’interesse di padre Martini per la Bibbia, nello spazio di diciassette anni, tuttavia, oltre a essere focalizzato sul testo del Nuovo Testamento, si è esteso specialmente alla testimonianza della comunità cristiana primitiva, studiata nel libro degli Atti degli Apostoli, di cui pubblicava alcuni commentari, specialmente uno molto apprezzato per la collana della nuovissima versione della Bibbia dai testi originali, delle Edizioni Paoline (1970).
Egli rivedeva pure ampiamente la terza edizione dell’introduzione generale alla Bibbia dell’Editrice Elle Di Ci (Il Messaggio della salvezza, vol. I, Leumann, Torino 1968). Un’altra ottima introduzione alla Sacra Scrittura è quella che egli ha diretto con Luciano Pacomio (I Libri di Dio, Marietti, Torino 1975).
Alcuni dei suoi più importanti articoli esegetici di questo periodo sono stati ripubblicati, all’indomani della sua nomina ad arcivescovo, dal Pontificio Istituto Biblico, nel volume 93 degli Analecta Biblica (La parola di Dio alle origini della Chiesa, Roma 1980). Tra di essi non manca di riapparire l’interesse originario del giovane teologo per la risurrezione di Gesù.
Improvvisamente e inaspettatamente, da ventidue anni a oggi, la diaconia della Parola di Dio prestata da questo studioso del testo neotestamentario si è aperta, da un terreno molto limitato, riservato agli iniziati, a tutto il popolo di Dio. Essa partiva ormai da un osservatorio ben diverso da quello della piccola stanza di un istituto romano, e si trasferiva nella sede arcivescovile di una delle più grandi diocesi cattoliche del mondo.
A partire dalle prime due lettere pastorali dirette al clero e ai fedeli dell’arcidiocesi ambrosiana per gli anni pastorali 1980- 81 (La dimensione contemplativa della vita) e 1981-82 (In principio la Parola), l’esegesi di Carlo Maria Martini, senza cessare di passare per lo scrutinio della scienza, si è offerta a tutte le istanze del ministero pastorale di un grande vescovo; un ministero che fa pensare a quello dei pastori della Chiesa, dei padri e dei dottori. La missione episcopale nella Chiesa di Dio pellegrina a Milano ha fatto sbocciare e ha rivelato nello studioso del testo del Nuovo Testamento la statura pienamente adulta dell’uomo di Chiesa.
Gli scritti, le omelie, gli articoli, gli interventi, le iniziative a sfondo biblico del cardinale Martini, di questi ultimi due decenni, trasmessi in tante lingue e in molti Paesi, sono diventati punti di riferimento e luoghi di consolazione per una grande moltitudine di uomini e di donne, tormentati dalla nostalgia di una vita evangelica in questo mondo travagliato tra la fine del secondo millennio e gli albori del terzo. Sono testi noti a tutti, e io non debbo parlarne qui.
Qui vorrei ricordare solamente che Carlo Maria ci confessò una volta che, durante un certo periodo di tempo, egli soleva leggere ogni giorno qualche pagina del volume, non poco impegnativo, di un comune nostro maestro gesuita: Insight. A Study of Human Understanding, di Bernard J. F. Lonergan. Nel pensiero e nel discorso di Lonergan egli respirava a pieni polmoni l’aria pulita di un’intelligenza obbediente al vero e alla realtà, che si conosce solamente nei giudizi veri. Mi sembra di intravedere in questa consuetudine con il pensiero di Lonergan un segreto della fecondità della vita e del ministero del cardinale arcivescovo Martini.
Come Lonergan insegna, la vera intelligenza comincia scrutando senza posa, fino ai minimi dettagli, i dati dell’esperienza. Nella sua tesi sul Papiro Bodmer XIV (pp. XIV.VI), Martini si rifaceva a un testo che Erasmo da Rotterdam premetteva alla sua quarta edizione del Nuovo Testamento, del 1527. Egli ricordava quanta difficoltà e quanto sudore costasse la diligenza nell’occuparsi di tali minuzie. Se però una smile attenzione a sillabe e vocaboli è disprezzata da alcuni, i quali la ritengono troppo umile e puerile, Erasmo non se ne faceva impressionare. Consapevole come era della grande importanza del campo della teologia e di quanta riverenza sia dovuta ai libri sacri, egli aveva deciso di dedicarsi a ciò che in un tale compito era più piccolo.
Da vescovo, Carlo Maria ha continuato a tener conto dei più piccoli dettagli della storia, della società, della politica e delle coscienze umane; dei credenti e dei non credenti (anche di quel “non credente” che è in lui); delle città e dell’internazionalità; dei carcerati e del mondo laico; eccetera.
La vigilante e analitica attenzione al “particolare” in vista della “totalità” lo ha reso attento non soltanto a Gerusalemme e a Israele, ma lo ha preservato da ogni giudizio ‘con-clusivamente es-clusivo’, e dalle ideologie intolleranti, che sono proprie di ogni concettualismo conservatore. Egli è rimasto sempre irrevocabilmente aperto al dialogo con ogni pensiero e ogni mondo; amante della verità dei giudizi, molto più che delle loro “certezze”; una verità non raggiungibile mai da misteriose “intuizioni” immediate, ma da ricercare storicamente e da raggiungere laboriosamente e prudentemente, “provando e riprovando”, e progressivamente verificando “intelligenze e comprensioni”, senza impantanarsi nelle sabbie mobili di un mondo di concetti immutabili, immediatamente e automaticamente astratti.
Solamente con questo tipo di intelligenza anche un Vescovo si può permettere di sognare. Basterà ricordare il discorso da lui tenuto nella cattedrale di Roma agli inizi dell’anno giubilare 2000, su invito del cardinale Camillo Ruini, sul significato di Gesù Cristo per la sua vita (cf. Rivista Diocesana di Roma 4, 1997, pagg. 302-311). In quell’occasione, egli ci ha raccontato il suo cammino di credente e di discepolo di Gesù attraverso l’oscura notte della ricerca critica, e ha reso una testimonianza commovente del proprio impegno e della devozione personale al Signore, ripercorrendo le tappe scientifiche ed esistenziali per le quali è passato, attraverso la sfida e la prova del dubbio fino a una fede in lui, adulta e pienamente consapevole.
La sua testimonianza di uomo intelligente di Dio e della Chiesa nella storia degli uomini e delle donne di oggi mi suggerisce di non definirlo semplicemente un “biblista”, chiuso in una biblioteca di ricerca. Carlo Maria Martini è stato e rimane “un Vescovo-diacono della Parola di Dio per la Chiesa del nostro tempo”, di quella Parola che è Gesù il Natzoreo, il Risorto Messia d’Israele e delle nazioni, di cui hanno parlato per secoli Mosè, i Profeti e gli Scritti (la TaNa”Kh) d’Israele.
Del Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme
«Senza paure davanti alla Bibbia»
Filed under: CARLO MARIA MARTINI Arcivescovo di Milano