INTRODUZIONE
Questo aggiornamento degli Statuti Generali ha preso forma “nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e di nostra Signora la Vergine Maria sempre intatta. Dio prima di tutto e sopra tutte le cose del mondo. Amen Gesù” (Lett. S.Giovanni di Dio)
Ti chiediamo, Padre, per la morte del tuo Figlio sulla croce, di donarci il tuo Santo Spirito perché apra il nostro cuore alla conoscenza della tua Parola.
Donaci di non subire questa nuova esperienza che siamo chiamati a sperimentare nell’Ordine ma di viverla con la pazienza, minuto per minuto, e la certezza che tu ci conduci anche attraverso i momenti di silenzio, di aridità, di fatica, di deserto, perché tu sei più grande di noi e il nostro cuore trova soltanto in te il suo riposo. AMEN
La tentazione ricorrente nella vita consacrata postconciliare è quella di chiederci che cosa dobbiamo fare e di mettere insieme una lista di impegni, di propositi o elencare dei campi in cui metterci ad operare, dimenticando che la domanda vera cui tentare una risposta è un’altra: a quali condizioni c’è per la vita consacrata un futuro carico d’eternità.
“…voi avete il compito di invitare nuovamente gli uomini e le donne del nostro tempo a guardare in alto, a non farsi travolgere dalle cose di ogni giorno, ma a lasciarsi affascinare da Dio e dal Vangelo del suo Figlio. Non dimenticate che voi, in modo particolarissimo, potete e dovete dire non solo che siete di Cristo, ma che «siete divenuti Cristo»!
A queste sollecitazioni della Chiesa, segue un incoraggiamento da raccogliere:
“Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi.” (Vita consacrata.110)
L’impegno post conciliare dev’essere coronato e rafforzato da un nuovo impeto (13). Ma se la rivitalizzazione passa attraverso l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei Fondatori (37), l’audacia e la creatività scaturiscono dalla familiarità con la pagina evangelica, molto pragmatica:
“Gesù disse loro anche questa parabola: “Nessuno strappa un pezzo di stoffa da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio, altrimenti si trova con il vestito nuovo rovinato, mentre il pezzo preso dal vestito nuovo non si adatta al vestito vecchio.
E nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino li fa scoppiare: così il vino esce fuori e gli otri vanno perduti. Invece, per vino nuovo ci vogliono otri nuovi. Chi beve vino vecchio non vuole vino nuovo. Dice infatti: quello vecchio è migliore“. (Lc 5, 36-39)
Se il Concilio Vaticano II è nuova Pentecoste venuta a ravvivare lo spirito, la nostra presa di coscienza è di sentirci coinvolti ora nel ricreare generosamente strutture, metodi e prospettiva affinché il punto di convergenza sia lo Spirito. Se le strutture in cui operiamo non sono carismatiche, evangelizzatrici, fraterne, semplici, comunicative, chiare, trasparenti…vuol dire che, al di là delle buone intenzioni e della generosità personale, esiste qualcosa che non va.
San Giovanni di Dio a parte, nel passato abbiamo avuto singolari figure di innovatori. Due per tutte:
- il Padre Alfieri, per lunghi anni Priore Generale dell’Ordine,
- San Benedetto Menni, restauratore e fondatore.
Dai loro scritti e dalla loro esperienza dobbiamo attingere l’ardore “paolino” che li ha animati: “Guai a me se non evangelizzo” (1 Cor 9,16).
La rivitalizzazione di un orto passa attraverso due fasi principali:
- la bonifica del terreno
- la semina
Se è vero che le strutture si rinnovano attraverso architetti ed ingegneri, a noi vengono chiesti sapienza,vigilanza e discernimento:
“Se uno di voi decide di costruire una casa, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare la spesa per vedere se ha soldi abbastanza per portare a termine i lavori. Altrimenti, se getta le fondamenta e non è in grado di portare a termine i lavori, la gente vedrà e comincerà a ridere di lui e dirà: “Quest’uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di portare a termine i lavori”.
“Facciamo un altro caso: se un re va in guerra contro un altro re, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare il nemico che avanza con ventimila, non vi pare?2Se vede che non è possibile, allora manda dei messaggeri incontro al nemico; e mentre il nemico si trova ancora lontano gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace. (Lc 14, 28-32)
A rinnovare le persone è la semina:
- la riscoperta personale della Bibbia (quotidiana lectio divina),
- la vicinanza diretta, fisica, ai poveri ed ai malati,
- il ritorno costante alle fonti dell’Ordine,
- l’apertura mentale che avviene con la fatica dello studio ed il contatto con le scuole del sapere umano e teologico,
- il contatto con la Chiesa locale, i suoi giovani, i suoi malati (il frate che porta l’eucaristia a domicilio),
- la presenza nell’Università
- la promozione del Centro di ascolto e di condivisione (caritas)
LE PAGINE DIMENTICATE
Lc 14,12-14 La scelta degli invitati
In quel tempo Gesù disse: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Gesù si rivolge al fariseo che l’aveva accolto in casa e lo esorta ad invitare, le prossime volte, coloro che non possono dargli una ricompensa. Ancora una volta rovescia completamente le regole abituali di questo mondo.
Alla cura meticolosa con cui si scelgono gli invitati di riguardo, Gesù contrappone la larghezza e la generosità nell’invitare coloro che non possono ricambiare, ed elenca poveri, ciechi, storpi e zoppi. Tutti costoro erano esclusi, ma Gesù li rende partecipi del banchetto che si deve preparare.
È una concezione nuova dei rapporti tra gli uomini che Gesù stesso vive per primo: le nostre relazioni vanno fondate non sulla reciprocità ma sulla totale gratuità, sull’amore unilaterale, appunto com’è l’amore di Dio che abbraccia tutti e particolarmente i poveri.
E la felicità, contrariamente a quanto si pensa ordinariamente, sta proprio nell’allargare il banchetto della vita a tutti gli esclusi senza pretendere una ricompensa. La ricompensa vera, infatti, è poter lavorare per questo.
Peraltro, solo in questa prospettiva si costruisce un mondo su basi solide e pacifiche. L’allargarsi della distanza tra chi sta alla tavola della vita e chi ne è escluso, mina alle radici la pace tra i popoli. Il messaggio del Vangelo è esattamente il contrario. Ma è un’altruità che salva il mondo dal cadere nel baratro della violenza.
Lc 14,25-33 Seguire Cristo comporta delle rinunce
Siccome molta gente andava con Gesù, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Gesù, dopo una lunga sosta nella casa di uno dei capi dei farisei, riprende il cammino verso Gerusalemme. Molta folla lo segue, nota l’evangelista. L’entusiasmo di quelli che lo seguono è davvero sorprendente. Ed è comprensibile: come restare affascinati da un uomo così buono che cercava in ogni modo di consolare e di confortare tutti e particolarmente chi aveva problemi e bisogno di guarigione?
Gesù, di fronte a questa folla che gli andava dietro, sente però l’esigenza di chiarire cosa significa seguirlo, cosa significa essere suo discepolo.
Ne ha già parlato precedentemente quando ha detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso” (9,23). Tornarci sopra sta a dire l’importanza che egli attribuisce alla scelta della sequela. Gesù chiede un legame esclusivo con lui, più forte di quello che si ha con la propria famiglia.
L’evangelista Luca fa un lungo elenco di persone che non debbono essere amate più di lui. Può suonare strano l’elenco. Ma è assolutamente chiaro che la scelta di seguire Gesù viene prima di ogni affetto e di ogni affare. E’ la scelta più alta che l’uomo è chiamato a compiere.
Ed è in tale contesto che va compresa la parola “odiare”, ossia non preferire nessun altro.
La scelta di seguire Gesù in maniera così radicale comporta evidentemente tagli e divisioni da fare, a partire dall’interno del cuore di ciascuno. L’amore esclusivo per Gesù è il fondamento della vita del discepolo.
Se non c’è questo amore, che si esprime appunto nel seguirlo, nell’ascoltarlo, nel mettere in pratica il Vangelo, è come costruire una torre (la vita) senza fondamenta o come andare in battaglia senza un esercito adeguato. L’amore per Gesù è la sostanza del Vangelo ed è anche ciò che i discepoli debbono testimoniare al mondo. Questo amore è il sale della vita.
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DOVE SONO, SIGNORE?
Per un certo verso, Giacobbe e Giovanni di Dio si assomigliano. Entrambi sono dei viandanti sbandati, hanno vissuto una situazione di smarrimento e di inquietudine, senza più riferimenti certi sui quali fondare il proprio cammino nella vita. Entrambi sono un po’ il simbolo dell’uomo fuggiasco, che non sa dove va e si smarrisce nell’oscurità della notte. Ma che Dio alla fine sottrae all’abbandono ed accompagna verso il destino che ha loro preparato.
Racconta il Libro della Genesi che “10Giacobbe partì da Bersabea e si avviò verso Carran. Capitò in un posto dove passò la notte perché il sole era già tramontato. Li prese una pietra, se la pose sotto il capo come guanciale e si coricò. Fece un sogno: una scala poggiava a terra e la sua cima raggiungeva il cielo; su di essa salivano e scendevano angeli di Dio. Il Signore gli stava dinanzi e gli diceva:
“Io sono il Signore,
il Dio di Abramo e di Isacco.
La terra sulla quale sei coricato,
la darò a te e ai tuoi discendenti:
14essi saranno innumerevoli,
come i granelli di polvere della terra.
Si estenderanno ovunque:
a oriente e a occidente,
a settentrione e a mezzogiorno;
e per mezzo tuo e dei tuoi discendenti
io benedirò tutti i popoli della terra.
15Io sono con te,
ti proteggerò dovunque andrai,
poi ti ricondurrò in questa terra.
Non ti abbandonerò:
compirò tutto quel che ti ho promesso”.
16Giacobbe si svegliò e disse: “Veramente in questo luogo c’è il Signore, e io non lo sapevo!”. 17Fu preso da spavento e disse: “Quant’è terribile questo luogo! Questa è certamente fa casa di Dio! Questa è la porta del cielo!”.
E’ da questa consapevolezza della presenza di Dio – non astratta ma concreta e personale – che deve iniziare anche il cammino dell’uomo che cerca Dio, sia esso consacrato o fedele laico, e che da Dio è già cercato.
Dio cerca per chiamare a sé, e questa chiamata è per tutti, indipendentemente da quello che uno è, da quello che uno fa, da dove uno viene.
Spesso, tuttavia, non ci si rende conto per che cosa si è chiamati, e – come i discepoli sulla barca che pescano tutta la notte “senza prendere nulla” (Gv 21,3) – si sperimenta l’amarezza della delusione e del fallimento, che tuttavia non è vana perché serve come salutare purificazione per capire, proprio attraverso l’insuccesso, che si è chiamati a qualcosa di più grande.
Come Giovanni di Dio, anche Giacobbe
- non ha la protezione della madre,
- ha dovuto abbandonare il padre senza poterlo nemmeno salutare,
- è stato costretto a sottrarsi a tutte le sue coordinate visibili,
- la sua situazione morale non è a posto,
- il peccato gli rimorde la coscienza.
- Finanziariamente ha perso tutto e cerca scampo senza poter contare sul denaro.
Persi i tre riferimenti che per la Bibbia sono costitutivi dell’uomo:
- Dio,
- la famiglia,
- le amicizie, la terra e il lavoro,
quasi un maledetto da Dio, si ritrova con la domanda bruciante nel cuore: dove sono? Quale sarà il mio avvenire?
- l simboli: > il sogno di Giacobbe; > “Granada sarà la tua croce” –
- la promessa: la discendenza, le nazioni…
- il risveglio: “Giacobbe si svegliò e disse: “Veramente in questo luogo c’è il Signore, e io non lo sapevo!”. (Gen 28,16). > Giovani di Dio: “Lo farò io un ospedale come lo voglio io!”
C’è la presa di coscienza, che per Giovanni all’Eremo dei Martiri, poi la scoperta straordinaria di chi si vede al centro delle coordinate di Dio e reinterpreta tutta la sua vita – l’essere solo in viaggio, ramingo e povero – ed in fine la luce che mette chiarezza nei pensieri e coraggio nell’azione.
Entrambi, Giacobbe e Giovanni di Dio, assumono una nuova umanità , una missione, un impegno di cammino che affronteranno fiduciosamente. Due testimoni che ci fanno scuola
LA STRADA
L’inizio del cammino.
Prima di mettersi in viaggio è fondamentale conoscere due cose:
Gli Statuti Generali intendono rispondere a questa esigenza. Dovendo talora attraversare zone desertiche, è sconsigliabile procedere senza mappa, la guida, la bussola. Siamo eredi di una storia che inizia con il Libro della Genesi e termina con le parole dell’Apocalisse: Maràn Athà
Dove c’è l’assunzione piena e completa di una “passione per Dio e di una passione per l’uomo” del nostro tempo lì c’è “vita consacrata”.
Se l’espressione è comunemente intesa come una scelta nel seguire il Signore attraverso una “vocazione di particolare consacrazione a Lui”, essa non può essere più limitata alla vita religiosa strettamente intesa, ma pensando anche a tutte quelle forme di vita che vivono in maniera totale e radicale il discepolato del Signore nei vari ambiti ecclesiali. Dunque, “vita consacrata” si ha nel presbiterato come nella vita religiosa; nella vita monastica come in quella missionaria; o in tutte quelle particolari forme di consacrazione laicale, nelle quali il Sì al Signore è totale, pur esplicandosi in ambiti di vita anche diversificati, rispetto alle più conosciute e classiche forme della vita religiosa.
Il Signore apre tante “strade” all’uomo. Il cantore di questa topografia divina è il secondo Isaia che, proponendo un messaggio in un momento storicamente travagliato agli uomini del suo tempo, finisce per indicare anche a noi la strada: “Fra poco farò qualcosa di nuovo, anzi ho già cominciato, non ve ne accorgete? Costruisco una strada nel deserto, faccio scorrere fiumi nella steppa“. (Is 43,19) “Non soffriranno più la fame o la sete, né il sole, né il vento caldo del deserto li colpirà. Li condurrò con amore, li guiderò a fresche sorgenti” (Is 49, 10-11).
Il Profeta mette in guardia anche dalla troppo facile confusione tra le scelte e i cammini umani e i sentieri di Dio: “Cercate il Signore, ora che si fa trovare. Chiamatelo, adesso che è vicino. Chi è senza fede e senza legge cambi mentalità; chi è perverso rinunci alla sua malvagità! Tornate tutti al Signore ed egli avrà pietà di voi! Tornate al nostro Dio che perdona con larghezza! Dice il Signore: “I miei pensieri non sono come i vostri e le mie azioni sono diverse dalle vostre” (Is 55, 6-8).
Chiamati a sperimentare la profezia, se il nostro padre Abramo è per eccellenza l’uomo di fede che percorre le strade che Dio gli indica (Gn 12, 1-5), in San Giovanni di Dio, nostro fondatore, scorgiamo il discepolo del Signore che ci ha preceduti nella testimonianza della sequela. La sua esistenza così movimentata ed apparentemente inconcludente, evidenzia come tutti gli itinerari umani possono essere strade del Signore se percorsi con Gesù che è la “via” (Gv 14,6) e esperienze mortificanti, come ad Emmaus, quando il Signore è recepito come un passante qualsiasi col quale sfogare le proprie frustrazioni e delusioni.
Già negli Atti degli Apostoli il cristianesimo stesso è qualificato come la “via” (At 9,2; 18,25; 24,25). Ciò significa allora che noi, consacrati o donne e uomini Christifideles laici, nella misura in cui siamo discepoli autentici del missionario di Granada perché attratti dal suo esempio e desiderosi di continuare l’opera da lui iniziata, siamo in realtà discepoli del Maestro Divino, Via che porta alla Verità, generatrice di Vita Eterna.
Il Padre dei poveri ha sperimentato la missione attraverso la via dell’ospitalità, la stessa percorsa da Abramo, da numerosi servi del Signore e, in modo mirabile dalla Vergine Maria, la “sempre intatta”.
Ed è nel suo incontro con Elisabetta, proprio perché si sente accolta dalla sua parente e avverte di essere capita nel suo intimo segreto, cioè nella sua maternità per opera dello Spirito Santo, che prorompe nel canto di gioia. Un inno che, se esalta l’opera di Dio nella storia della salvezza, è anche profezia. Stranamente la Madre di Dio, usa una serie di verbi al passato: “Grandi cose ha fatto l’Onnipotente, ha spiegato la potenza del suo braccio, ha rovesciato i potenti, ha disperso i superbi, ha innalzato gli umili, ha soccorso Israele”. Come può la Benedetta pronunciare queste parole quando ha appena cominciato a sperimentare la grandezza di Dio in lei? Se ancora molti superbi non sono stati dispersi, né potenti sono stati rovesciati dai troni, né affamati sono stati ricolmati di beni e Gesù stesso non ha ancora proclamato beati i poveri, su che cosa si fonda questa incrollabile certezza?
Maria non esita a proclamare eventi che in parte si devono ancora verificare perché mettendosi dalla parte di Dio, nella certezza della sua fede, vede già il compimento delle promesse messianiche. Infatti l’Apostolo Paolo scriverà alla comunità degli ebrei che la fede è un possedere già le cose che si sperano (Eb 11),
La piena di Grazia Maria pone anche noi, chiamati a realizzare la profezia, sulle orme di un “già e non ancora” che ci coinvolge nella dimensione del Regno.
Paolo, apostolo non per chiamata diretta ma per vocazione come noi, quando scrive ai fratelli Ebrei, è memore del comando del Signore:
“Andate…annunciate…guarite…”(Mt. 10, 1-ss).
Nel vangelo di Matteo si legge che “1Gesù chiamò i suoi dodici discepoli e diede loro il potere di scacciare gli spiriti maligni, di guarire tutte le malattie e tutte le sofferenze.”
Fra le istruzioni che il Signore ha dato a coloro che considera “sale e luce del mondo“, c’è questa:
“7Lungo il cammino, annunziate che il regno di Dio è vicino. 8Guarite i malati, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, scacciate i demòni. Come avete ricevuto gratuitamente, così date gratuitamente.
9Non procuratevi monete d’oro o d’argento o di rame da portare con voi. 10Non prendete borse per il viaggio, né un vestito di ricambio, né sandali, né bastone. Perché l’operaio ha diritto di ricevere quel che gli è necessario.”
Le raccomandazioni che Paolo rivolge ai fratelli cristiani di origine ebraica che si lasciavano prendere dalla nostalgia per il culto fastoso del tempio di Gerusalemme ed erano tentati di disertare le assemblee cristiane per ritornare all’ebraismo, rivolge un caldo invito alla perseveranza nella fede e nella vita cristiana. Esse rappresentano la traccia anche per le Fraternità di accoglienza che siamo chiamati a costruire nel mondo:
”Continuate a volervi bene, come fratelli. Non dimenticate di ospitare volentieri chi viene da voi. Ci furono alcuni che, facendo così, senza saperlo ospitarono degl’angeli. Ricordatevi di quelli che sono in prigione, come se foste anche voi prigionieri con loro. Ricordate quelli che sono maltrattati, perché anche voi siete esseri umani”. (Eb 13,1,3).
L’Apostolo, nella medesima lettera, che dovrebbe essere parte integrante di questi Statuti, eco dello spirito di cui era animato San Giovanni di Dio, ai viandanti di oggi, servitori del Vangelo, aggiunge ancora alcune raccomandazioni importanti. Se a coloro che sono coniugati, pur essi mandati per la missione, egli rivolge un particolare monito: “Il matrimonio sia rispettato da tutti, e gli sposi siano fedeli (Eb 13, 4-8), a tutti, indistintamente, richiama la fedeltà di Dio:
“La vostra vita non sia dominata dal desiderio dei soldi. Contentatevi di quel che avete, perché Dio stesso ha detto nella Bibbia:
Non ti lascerò,
no“5n ti abbandonerò mai.
6E così anche noi possiamo dire con piena fiducia: Il Signore viene in mio aiuto,
non avrò paura.
Che cosa mi possono fare gli uomini?
7Ricordatevi di quelli che vi hanno guidati e vi hanno annunziato la parola di Dio. Pensate come sono vissuti e come sono morti, e imitate la loro fede. 8Gesù Cristo è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre. 9Non lasciatevi ingannare da dottrine diverse e strane. È bene che il nostro cuore sia fortificato dalla grazia di Dio e non da regole a proposito dei vari cibi: chi ubbidisce a quelle parole non ne ha mai avuto un vantaggio”.
Paolo suggerisce a tutti di vivere in stato di provvisorietà e lo motiva così: “14Perché noi non abbiamo quaggiù una città nella quale resteremo per sempre; noi cerchiamo la città che deve ancora venire. 15Per mezzo di Gesù, offriamo continuamente a Dio – come sacrificio – le nostre preghiere di lode, il frutto delle nostre labbra che cantano il suo nome.
16Non dimenticate di fare il bene e di mettere in comune ciò che avete. Perché sono questi i sacrifici che piacciono al Signore.
17Ubbidite a quelli che dirigono la comunità e siate sottomessi. Perché essi vegliano su di voi, come persone che dovranno rendere conto a Dio. Fate in modo che compiano il loro dovere con gioia; altrimenti lo faranno malvolentieri e non sarebbe un vantaggio nemmeno per voi.“
IL TEMPO
Questo è il Kairòs di Dio, il tempo opportuno, favorevole, che ci è stato accordato. Non siamo chiamati ad esprimere un giudizio severo e distaccato sul mondo della salute ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi la luce della Parola di Dio, il calore della carità e la testimonianza della sua misericordia: “Il signore è vicino a chi ha il cuore ferito” (Sal 34,19).
Questo è anche il tempo dell’attenzione di Maria, come a Cana: “non hanno più vino” (Gv 2,1-5).
Siamo chiamati a imitarla nel suo atteggiamento davanti al messaggero celeste, portavoce dello Spirito: ascolta, si scuote, interroga, si domanda.
A noi oggi è chiesto un atteggiamento dialogico, semplice, istintivo e insieme delicato, attento, perfettamente proporzionato alla situazione di un mondo nuovo, imprevisto, inedito.
Negativo sarebbe il passare dalla paura alla rigidità, alla pretesa di prove dall’alto, quasi non bastassero il numero di santi che ci sono stati inviati negli ultimi tempi.
Ma a farci del male potrebbe contribuire anche un eccessivo e sconsiderato ottimismo che banalizza i problemi e minimizza le priorità da intraprendere.
Il distacco di Maria, attento e discreto, le permette di vedere ciò che nessuno di fatto vede e cioè che il vino è terminato.
Maria è modello di attenzione al momento umano dell’esistenza, è attenta alle situazioni, alle persone e alle cose. Sono gli atteggiamenti che deve tenere chi è chiamato a portare il Vangelo in un mondo che cambia.
IL VOLTO NEI VOLTI
Come cristiani ed a maggior ragione, come consacrati, siamo chiamati a rivivere la Passione di Cristo, nella nostra carne e nella nostra sofferenza personale, alla quale rimanda anche San Giovanni di Dio in una sua lettera alla Duchessa di Sessa:
“Quando vi trovate angustiata, ricorrete alla Passione di Gesù Cristo nostro Signore e alle sue preziose Piaghe, e sentirete grande consolazione; considerate tutta la sua vita: che cosa è stata se non fatiche, per darci l’esempio?…”(I lett. 10)
Se nel mistero e nel simbolo eucaristico la Chiesa rivive la Passione di Cristo, nel mistero pasquale entra nel dolore infinito del Crocifisso Risorto per l’uomo peccatore, in quella solidarietà che Gesù ha pagato a caro prezzo.
- E’ la sola capace di offrire parole credibili di conversione e di riconciliazione;
- la sola capace di calarsi nelle situazioni più aberranti dell’esistenza.
- E’ solidarietà che non dice semplicemente parole formali o esteriori bensì testimonia la comunione obbediente, pur se sofferta, con Dio e una profonda solidarietà con le più terribili sofferenze umane.
- La più atroce delle sofferenze è quella del peccato, cioè della solitudine dell’uomo che si sente abbandonato da Dio perché ha tolto gli occhi da lui.
La contemplazione del Volto dolente del Signore del Venerdì Santo, ci mette in atteggiamento di Chiesa che non è atterrita e sommersa dalle miserie del genere umano perché sa che la croce di Cristo, posta al centro della liturgia e della vita, è capace di prendere su di sé tutto il dramma, il dolore, il peccato dei volti sfigurati dell’uomo.
E’ nella croce di Gesù che Dio stesso ci assicura che neppure la morte può fermare il suo amore e che non c’è situazione umana, per quanto drammatica e opaca, che possa rimanere estranea all’immenso abbraccio della croce. Del resto, questa è la stessa promessa di Gesù: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)
Oggi la Passione di Cristo passa per le case di una moltitudine che soffre:
- del disoccupato, di chi pensa all’avvenire con crescente timore,
- del sequestrato atteso con ansia e afflizione,
- della vittima di una violenza assurda e spietata.
- Ma passa anche per le case degli anziani, spremuti delle loro energie e messi da parte, in solitudine, che sono in troppi a lamentare.
- Passa per le case di coloro che attendono giustizia senza riuscire ad ottenerla,
- di quanti, per un qualunque motivo, hanno dovuto, abbandonare una patria senza riuscire a trovarne una nuova o a sentirsi accolti, persone che forse non hanno neppure una casa e stanno magari vicino a noi.
Il mistero della croce si rinnova in tutti coloro che si sentono esclusi e che la società fa sentire tali. A cominciare dai sofferenti psichici.
Accanto all’irrefrenabile ondata del marcato disagio psichico giovanile ed accanto agli handicappati, esistono coloro a cui vengono indicate vie d’uscita che sono soluzioni di morte: drogati, disadattati, carcerati che, anche nei luoghi che dovrebbero essere di espiazione ma pure di redenzione, rimangono vittime di un clima di violenza che in passato hanno o possono aver contribuito a creare.
Questa Passione e questa sofferenza passa, infine, per il cuore dei molti che pensano inutile la loro fedeltà ed incompreso e vano il sacrificio al dovere quotidiano e che di questo dovere cadono vittime.
Le Fraternità dei discepoli di Giovanni di Dio, sparse in ogni latitudine, potrebbero estendere l’elenco dei disagi che affliggono donne e uomini del nostro tempo.
Se la passione del Signore insegna ad accorgersi di chi soffre ed a soccorrerlo, sprona a credere che possiamo anche essere annunciatori dell’alba del giorno di Pasqua. Il sapere che Cristo non vuole avere oggi altre mani che le nostre per farsi carico dei fratelli, fa di noi non solo dei samaritani ma anche dei profeti anonimi, come Isaia, donne e uomini che possiedono uno spirito nuovo e sono chiamati a dire parole nuove perché
“4Dio, il Signore mi ha insegnato
le parole adatte
per sostenere i deboli.
Ogni mattina mi prepara
ad ascoltarlo,
come discepolo diligente.
5Dio, il Signore, mi insegna
ad ascoltarlo,
e io non gli resisto
né mi tiro indietro.
6 Ho offerto la schiena
a chi mi batteva,
la faccia a chi mi strappava la barba.
Non ho sottratto il mio volto
agli sputi e agli insulti.
7Ma essi non riusciranno a piegarmi,
perché Dio, il Signore, mi viene in aiuto,
rendo il mio viso duro come la pietra.
So che non resterò deluso. (Is 9, 4-7).
La sofferenza del messaggero è quella che salva il popolo. La Buona Notizia che siamo chiamati a diffondere, ossia che “per le sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53-5), non ci fa esitare perché ci riporta alla profezia del Magnificat: pur nell’apparente smentita della storia, mettendoci dalla parte di Dio, nella certezza della fede, come a Maria, ci è dato vedere già il compimento.
IL CUORE
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“Adamo, dove sei?”, dove sei finito?, si domanda sbalordito Dio di fronte alla condizione di morte in cui l’uomo è caduto col peccato.
E’ necessario partire da qui per capire l’iniziativa di salvezza che Dio attua per l’umanità; iniziando proprio da Maria, quale alba e primizia di un ricupero a quella dignità e destino che Lui stesso, Dio, si era proposto nel creare ogni uomo.
Maria diviene allora la pagina biblica – scritta in una vita non a parole – nella quale leggere con speranza la nostra stessa vicenda di uomini redenti; cioè rileggere la proposta di Dio e la nostra risposta.
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) KECARITOMÈNE, PIENA DI GRAZIA
Quando l’angelo Gabriele giunge a Nazaret in casa di Maria, non la chiama per nome, ma “kecaritomène“, cioè “piena di grazia”, CARA A DIO, oggetto d’un amore personale, termine di un dono speciale.
Il nome proprio di Maria davanti a Dio è:
- “tutto mio dono – kecaritoméne”.
- Ma anche tu allora, o uomo, chiunque tu sia, sei “kecaritomene”, sei CARO A DIO,
- sei uscito dal suo cuore prima che dal ventre di tua madre,
- sei amato da Lui “come se fossi l’unico” (sant’Agostino).
“Benedetto sia Dio – esclama san Paolo – Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo“.
Una benedizione che si concretizza in un progetto preciso: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo“. Anzi, “in lui siamo stati fatti anche eredi, perché fossimo a lode della sua gloria“.
Perché proprio questa è la soddisfazione più grande di Dio: averci partecipi di casa sua.
L’uomo stranamente schifa questo dono col dire di no a Dio:
- “Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”; hai forse pensato di fare a meno di Me?
- “Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto“.
Quando si perde un padre, si trova un padrone: la padrona del mondo che è la morte, regalo del principe di questo mondo che è satana. -”Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe“; una drammatica lotta tra satana e l’umanità sconvolgerà tutta la storia dell’uomo: “tu le insidierai il calcagno”.
Anche se le prospettive alla fine sono positive: “essa ti schiaccerà la testa“, l’umanità ne uscirà vittoriosa!
Nel più autentico frutto della stirpe umana, in Cristo, questa battaglia si farà vittoriosa; l’uomo sarà liberato dal peccato, dal male e dalla morte; sarà reso capace di resistere a satana per riconciliarsi con Dio; riavrà fiducia in Dio e ancora la partecipazione alla natura divina. Per la prima volta proprio in Maria l’uomo si sente – gratuitamente, per pura misericordia – chiamato ancora “kecaritoméne”, mio amato figlio, mio perdonato figlio, mia pecora smarrita che sono venuto a cercare, mio figlio prodigo che sono pronto a riaccogliere in casa con più festa di prima!
Anche di Maria oggi è detto, come verità di fede, che è piena di grazia perché “preservata dal peccato “ante previsa merita”, cioè in previsione della croce di Cristo“. Immacolata non per merito suo, ma perché per prima – e per esprimere in modo vistoso la gratuità offerta poi a tutti – è stata preservata fin dal primo istante della sua vita, cioè dal concepimento, dall’onda del male (concepita immacolata, immacolata concezione).
In Maria leggiamo l’assoluta generosità e ospitalità di Dio che gioca sempre d’anticipo, prima cioè d’ogni nostro merito, d’ogni nostra stessa domanda. Dio ama sempre a credito.
2) IO SONO LA SERVA DEL SIGNORE
Prima di partire da lei, l’angelo Gabriele raccoglie un SI’ che è condizione decisiva per l’opera restauratrice di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Alla gratuità del dono di Dio, Maria risponde con il SI’ della FEDE.
Da “kecaritoméne” Maria diviene “credente”: “Beata te che hai creduto” (Lc 1,45), la chiamerà subito dopo la cugina Elisabetta.
L’altra grandezza di Maria sta proprio nella sua risposta totale a Dio; dirà di lei sant’Agostino che “Maria è più grande per essere stata discepola di Gesù che non per essere sua madre“. Del resto un giorno Gesù disse così: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27).
Ogni dono di Dio richiede una riconquista. “Il Signore che ha fatto te senza di te, non salverà te senza di te” (sant’Agostino). Dio stima troppo la nostra libertà, perché ci possa dare una salvezza senza la nostra collaborazione. Maria ha percorso il suo cammino di fede fino ai piedi della croce. A dire che anche la nostra fede si deve tradurre in opere quotidiane, in scelte coerenti, e in obbedienza d’amore a Dio, fatta anche di prove.
E’ un SI’ faticoso da esprimere a Dio, dopo il no che diciamo nel peccato. E’ quello che noi chiamiamo: santificazione. Maria è immacolata anche perché non ha mai detto di no a Dio.
Divenendo così il nostro modello e la nostra garanzia.
Una creatura, corrispondendo pienamente al dono di Dio, ha realizzato in pieno il superamento del male e della morte. Questa è la formula vincente, questa è la partenza per ogni riforma della nostra storia di uomini inficiata di egoismo e divisione. “Dio ci ha scelti – dice Paolo – prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità“: immacolati perché diciamo di sì al Signore vivendo come Lui l’amore.
I Fratelli Ospedalieri ed i Laici Christifideles con l’intera comunità sanante, hanno parole in comune per rivolgersi alla “Mater intemerata”:
- “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28), “per farti santa e immacolata al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4).
-
- Tu sei Immacolata fin dall’inizio, o Maria, preservata da ogni ombra di peccato, per testimoniare la gratuità del Dono di Dio verso ogni sua creatura.
-
- “Tutte le genti ti diranno beata”; “beata perché hai creduto nell’adempimento della parola del Signore” (Lc 1,45).
- Tu sei stata capace di dire di SI’ per una vita intera, diventando così la regina di tutti i Santi.
-
- O Vergine Immacolata, fa’ che anche noi ci rendiamo “santi e immacolati”, se non per innocenza almeno per penitenza, per divenire come te eredi di quel regno che Dio dona solo “ai puri di cuore” (Mt 5,8). Amen.
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
- “Di’ soltanto una parola…”
- Gesù, parola vivente del Padre
- Da Gesù alla Bibbia
- Parola e Chiesa
- Parola ed Eucaristia
- Parola e vita
L’ANCORA DELLA PREGHIERA
- La domanda al “Padre nostro”
- La Preghiera continua
- La fiducia nella preghiera
APRIRE LE PORTE A CRISTO
- Chi è Cristo per me
- Lasciar entrare Cristo nella vita
- Diventare segni di Cristo amore
LO SPIRITO DI VERITA’
La nostra missione nel mondo non reggerebbe se non avesse il sostegno che viene dall’alto. Questo è lo Spirito Santo. Giovanni in 14-16 , inseriti fra altri discorsi, sottolinea i titoli dello Spirito che dobbiamo conoscere, dal momento che tutto regge grazie a Lui:
- “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi….
- .Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto…..
- Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza….”
“Se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.”
- “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.” (Gv 14,16-17,26; 15,26; 16,7-15).
E’ importante che noi prendiamo coscienza di questa rivelazione riguardante lo Spirito Santo. L’attenzione va concentrata sui due titoli dello Spirito Santo più cari a Giovanni:
- Spirito di Verità e
- Paraclito, o Consolatore.
Spirito di verità. Il senso della parola “verità” in Giovanni significa sia la realtà divina che la conoscenza della realtà divina. L’interpretazione tradizionale, specialmente quella cattolica, ha inteso la “verità” soprattutto nel secondo senso, nel senso dogmatico. Lo Spirito guida la chiesa attraverso i concili, il Magistero, la tradizione.
Questo è un aspetto importante dell’azione dello Spirito di Verità – il più importante se vogliamo – ma non l’unico.
C’è un aspetto più personale che dobbiamo tenere presente: lo Spirito Santo ci introduce alla vera vita di Cristo.
- S. Ireneo definisce lo Spirito Santo la nostra “comunione con Dio“, e
- S. Basilio dice che “grazie allo Spirito diventiamo amici intimi di Dio“.
- Non conosciamo più Dio per sentito dire, ma “in persona”.
L’azione dello Spirito non è limitata solo ad alcuni momenti solenni della vita della chiesa. C’è anche un’azione interiore, quotidiana e continua, nel cuore di ogni credente. “Egli dimora presso di voi e sarà con voi” (Gv 14,17). Questa è l’unzione “che viene dal Santo” che dona sapienza, che rimane in noi, che ci insegna ogni cosa e ci rende saldi (1Gv 2,10-27)
Tale ammaestramento che lo Spirito impartisce nella profondità del cuore di ogni credente deve essere sottoposto al discernimento e al giudizio della comunità e specialmente dei suoi pastori cosicché lo “Spirito di verità” sia distinto dallo “spirito di errore” (1Gv 4,1-6).
Ma il fatto che questa guida interiore e personale dello Spirito possa essere soggetta ad abusi ed inganni non giustifica il sospetto e la sua soppressione. Se i santi sono diventati tali, è stato soprattutto grazie alla sottomissione a questa guida segreta che passo dopo passo ha suggerito loro quello che era più gradito a Dio e maggiormente conforme allo Spirito di Cristo.
Il Consolatore. L’altro titolo dello Spirito usato da Giovanni è Paraclito, o Consolatore. “Un altro” Consolatore, lo definisce Gesù. Durante la sua vita terrena Gesù stesso era il Consolatore: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò” (My 11,28). Quando promette il Consolatore è quasi come se dicesse: “Andate a lui, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed egli vi ristorerà!”. Lo Spirito Santo svolge in noi un ruolo esattamente opposto a quello dello spirito del male. Lo Spirito santo difende i fedeli e “intercede” incessantemente per loro davanti a Dio con “gemiti inesprimibili” (Rm 8,26-28). Lo spirito del male accusa i credenti davanti a Dio “giorno e notte” (Ap 12,10). Ma il difensore è infinitamente più forte e vittorioso dell’accusatore! Con lui possiamo vincere ogni tentazione e trasformare la tentazione stessa in vittoria.
Come fa a consolarci questo “Consolatore perfetto”? Egli è in sé stesso la consolazione. Egli consola facendo risuonare nei nostri cuori le parole che Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Egli consola testimoniando al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm 8,16).
Sete o paura? “Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò: chi ha sete venga a me e beva” (Gv 7,37). La prima condizione per ricevere lo Spirito Santo non sono i meriti e le virtù, ma il desiderio, il bisogno, la sete. Il problema pratico con lo Spirito Santo risiede proprio qui. Abbiamo sete dello Spirito Santo o abbiamo un’inconsapevole timore di esso? Noi avvertiamo che se lo Spirito Santo viene, non può lasciare le cose come le trova. Potrebbe anche farci fare cose “strane” che non siamo pronti ad accettare. Tutto quello che lo Spirito Santo tocca, lo Spirito Santo cambia!
La nostra preghiera per ricevere lo Spirito Santo a volte assomiglia alla preghiera di Agostino prima della sua conversione.: “Donami la castità e il dominio di me, ma non subito”. Siamo tentati di dire, “Vieni Spirito Santo….ma non ora, e soprattutto niente stranezze!” Non è forse Dio ordine, decoro, compostezza e equilibrio? Se gli apostoli avessero potuto scegliere per sé stessi il modo in cui lo Spirito avrebbe dovuto manifestarsi, non avrebbero mai scelto di parlare in lingue sconosciute, di esporsi al ridicolo di fronte alla gente che diceva “Hanno bevuto troppo vino nuovo” (Atti 2,13). Quindi, domandiamo allo Spirito Santo di toglierci la paura di lui. Diciamo “Vieni, Spirito Santo!” Vieni ora, come tu desideri.”
Ricevete lo Spirito Santo! La sera di Pasqua Gesù alitò sui suoi discepoli e disse: “Ricevete lo Spirito Santo,” quasi pregandoli di accettare il suo dono. In questo gesto si compie la grande profezia di Ezechiele riguardo le ossa aride: “Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano” (Ez 37,9).
Il figlio dell’uomo adesso non è più Ezechiele, un profeta, ma colui che è anche il Figlio di Dio. Egli grida allo Spirito, lo invoca e lo alita. Egli non lo chiama dal di fuori di sé, “dai quattro venti”, ma dal suo intimo. Anche oggi egli sta davanti ai discepoli e alla chiesa e ripete il suo pressante invito: “Ricevete lo Spirito Santo!”
I membri delle Fraternità e dei Centri di assistenza devono costantemente rivolgere i loro volti e le loro anime a questo soffio di vita e lasciarsi ravvivare e rinnovare. Anche oggi, se tutta la Chiesa ricevesse questo potente soffio, se lo Spirito penetrasse tutte le sue realtà, essa “si alzerebbe e camminerebbe” e sarebbe nuovamente “un grande esercito senza fine.”
LAICI CHRISTIFIDELES
…
I laici e consacrati, entrambi nel ruolo di “collaboratori della verità” (1 Gv 3 ss), sono corresponsabili di quella Messianica Missione che è di guarigione-salvezza, iniziata con parole e gesti da Gesù di Nazaret che “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza” (v.5). Di tale sacerdozio siamo tutti chiamati a prenderne sempre nuova coscienza. L’apostolo Pietro ci ricorda l’investitura: “Voi siete la stirpe eletta, voi siete il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le meraviglie di Lui” (1 Pt 2,9). Nel sacerdozio non ministeriale ma vero, non segregato ma di solidarietà con i fratelli, come quello di Gesù, per “offrire sacrifici spirituali graditi a Dio (1 Pt 2,5), vi sono tutte le implicazioni del soffrire e dell’amare.
La teologia ci dice che Cristo ha abolito il sacerdozio antico, segregato e separato il più possibile dalla comunità, perché “offrì se stesso” (Ebr10,14). In Lui, non più distinzione tra sacerdote offerente e la vittima offerta, ma contemporaneamente, Lui, sacerdote e vittima, solidale con noi, divenuti così popolo sacerdotale, profetico e regale, chiamati a identica missione.
Nell’Amen eucaristico, consacrati e fedeli laici devono essere consapevoli di dare non solo l’adesione al Corpo di Cristo sacramentale, ma anche al Corpo di Cristo ecclesiale, di cui egli è il Capo: principio di solidarietà fra le Sue membra e in Lui comunione con il Padre.
Sono i fondamenti della spiritualità laicale che ci accomunano nell’unica Famiglia Ospedaliera, liberandoci dai fraintendimenti dell’invocata collaborazione e corresponsabilità che non devono trovare appoggio prevalentemente sull’umano, sull’effimero o sul “carisma immaginario”, ma sul concetto Biblico della memoria viva di Gesù che ci ha preceduti, promettendoci lo Spirito santo.
Noi siamo soliti enfatizzare la genialità del Santo che, dal Lombroso in avanti, viene accettato come inventore dell’ospedale moderno. Se corrisponde al vero, non è cosa da poco. Ma il punto focale sul quale convergere dovrebbe essere un altro: quel chiodo fisso che quel pazzo di portoghese, trapiantatosi a Granada, s’è ficcato in testa: “Dio sopra tutte le cose del mondo. Amen Gesù”. (Dalle lettere).
Perché questo motto rivoluzionario è prodigioso e ne suscita uno conseguente, perfino contagioso: “Fate del bene a voi stessi, fratelli, per amore di Dio”. Il resto è relativo, contingente.
- Perché rivoluzionaria è l’audacia dei deboli che fa andare in confusione i potenti (1 Cor 1,27-28),
- la fortitudo dello Spirito che li abita: Deus, in te sperántium fortitúdo, Dio, sostegno e forza di chi spera in Te…
- Qui sta la grandezza dell’uomo abitato dall’Amore Trinitario, del medico cristificato.
- ”vivo autem, iam non ego: vivit vero in me Christus! (Gal 2, 20).
Parafrasando, si potrebbe tradurre così:
- Se ho la consapevolezza di essere stato crocifisso con Cristo, sono liberato dalla legge, «e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me…».
- La convinzione che va radicata e stimolata oggi è una consapevolezza: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”(Gal 2, 20).
Il tema dei Laici è fra le priorità che il Governo Generale dell’Ordine si è dato per il sessennio 2006-2012 (Vedi programma).
Con un po’ più di lungimiranza e determinazione, i Padri Capitolari avrebbero dovuto sancire quanto già dieci anni fa i Padri Gesuiti hanno espresso nel decreto 13 della Congregazione Generale 34°. L’affermazione perentoria dei figli di Sant’Ignazio è questa:
“Una lettura dei segni dei tempi dopo il Vaticano II indica in maniera inequivocabile che la Chiesa del terzo millennio sarà la “Chiesa del laicato”.
Ma la parte ancor più carica di conseguenze, è al n.1:
“La Compagnia di Gesù riconosce come una grazia per i nostri giorni e come una speranza per il futuro che i laici prendano parte viva, responsabile e consapevole alla missione della Chiesa in quest’ora magnifica e drammatica della storia”. Noi cerchiamo di rispondere a questa grazia ponendoci al servizio della piena realizzazione della missione del laicato, e ci impegniamo a questo scopo cooperando con i laici alla missione”.
Come si vede, qui il concetto è capovolto: sono i religiosi, con i loro carismi, a farsi collaboratori dei laici, chiamati sulla scena da PROTAGONISTI.
Responsabilmente, operazioni del genere non si portano a termine in ventiquattro ore ma con un lento e paziente cammino di RI-CONVERSIONE che non umilia i religiosi ma li esalta e li considera guide spirituali ed animatori instancabili del dialogo perché hanno tanto da “SVELARE” ai laici, abbandonati per secoli al loro destino di emarginati per mille motivi storici che è inutile recriminare ma che vanno superati con determinazione. E’ un atto di Ospitalità che oggi può avere anche il sapore del martirio. Ma per una causa giusta. E’ Dio che chiede ad Abramo di sacrificare il figlio. E quella obbedienza lo farà padre di una moltitudine. San Giovanni di Dio, su invito del Vescovo e di Giovanni d’Avila, non avrebbe esitato un’ora.
Sulla cooperazione professionale non c’è molto da dire, giacché al di là di tutto, essa è sancita dai contratti di lavoro che vincolano entrambe le parti contraenti ed è tutelata dalle norme del Diritto.
Altra cosa è la cooperazione apostolica tra Fatebenefratelli e Fedeli laici. Se essa non viene considerata una mossa strategica suggerita dal bisogno di far fronte alla diminuzione delle vocazioni, ma una scelta profetica richiesta dallo Spirito Santo a tutta la Chiesa e fondata sulla nuova dottrina del Magistero, bisogna che lo si dica a chiarissime lettere, accettandone poi le conseguenze logiche. E va promossa con ogni mezzo, definendo ruoli e funzioni. Fare discorsi generici è come promuovere il cambiamento con matrice gattopardiana: cambiare tutto, affinché resti tutto come prima.
FBF – IL FUTURO E’ DONNA: “sorelle del nostro habito”
L’affermazione può apparire come una ingiustificata forzatura ma, forse non lo è. Si tratta piuttosto di una dimenticanza del passato ed una nuova “provocazione”, leggibile anch’essa nei segni dei tempi.
Una constatazione: la diffusa non propensione maschile verso le attività socio-sanitarie assistenziali, non è solo per motivi economici ma anche fatto culturale. Logica vuole che il ruolo tradizionale del religioso ospedaliero sarà sempre più assunto dal mondo femminile. Non è il caso di stracciarsi le vesti: il discorso sulle “sorelle del nostro habito”, è già presenti alla prima ora e perciò non andrebbe scartato a priori, acriticamente. Se è difficile immaginare subito in quale forma, – ma se è nei disegni di Dio avverrà nei modi che ancora non sospettiamo - è tempo di prenderne atto, di invocare lo Spirito e di chiedere lumi alla Chiesa.
Ciò non significa che tocca ora ai “fratelli dello stesso habito” sparire dalla circolazione. Ma che essi, pur mantenendo i ruoli tradizionali, per essere davvero animatori del laicato, dovranno potenziare il numero di addetti al sacerdozio, al diaconato, agli studi universitari nelle diverse discipline socio-sanitarie. Osservando la società, viene da sé che vanno privilegiate le scelte verso le scuole di psicologia e di psichiatria, il solo modo per essere utili anche alla Chiesa locale, attualmente scoperta su questi fronti, con una società sempre più in preda al disagio psichico. Basti pensare che solo gli schizofrenici nel mondo sono circa 260 milioni, in balia di terapie oggi molto discusse!
LE SORELLE di san Giovanni di Dio nella PAGINA DIMENTICATA DAI FRATELLI
“Le Costituzioni dell’Ordine, anno 1585 per “L’OSPEDALE DI GIOVANNI DI DIO” in Granada, prescritte da Mons. Giovanni Mendez Salvatierra, Arcivescovo di Granata, furono la base delle prime Costituzioni dell’Ordine e delle altre edizioni successive. Se ne conserva copia stampata – mancante però di più pagine – nell’Archivio Generale dei Fatebenefratelli in Roma. Il titolo intero è: Regla y Costituciones, para el Hospital de Juan de Dios desta ciudad de Granada, Por el Illustrissimo Reverendissimo Senor don Joan Mendez de Salvatierra, Arcobispo della…, del consejo de su Majestad, etc. (Granada , 1 gennaio 1585, pp. 17-18)
TITOLO XV delle COSTITUZIONI 1585
DEL MEDICO, DEL CHIRURGO E DEL BARBIERE
Prima Costituzione, che tratta delle ore in cui debbono trovarsi nel detto Ospedale, a chi spetta la loro nomina e da chi debbono dipendere dentro l’Ospedale.
- Il medico e d il chirurgo…
- Come debbono essere multati…
- Dell’ordine, che devono osservare nella visita ai malati…
- Quando il medico deve ispezionare la farmacia…
- Della carità e diligenza, con cui debbono visitare i detti infermi…
- Dell’ora, in cui il barbiere deve essere presente alla visita insieme col medico… “
Nel volume di P. Gabriele Russotto o.h. “L’ORDINE OSPEDALIERO DI S.GIOVANNI DI DIO”, 1950, A PAG.179 è riportato il testo integrale degli articoli citati o di riferimento per la parte non riprodotta”.
(1587)
Queste Costituzioni – delle quali è giunto fino a noi solo il Capitolo XV – furono approvate dal primo Capitolo Generale, celebrato in Roma nei giorni 20-29 giugno 1587, e sono la documentazione scritta del metodo assistenziale introdotto nel 1537 da san Giovanni di Dio nel suo Ospedale in Granada e poi continuato fedelmente dai suoi Figli nella Spagna e nelle altre nazioni.
Il Capitolo XV è riportato nella prima biografia del Santo – più volte citata – del P. Francesco de Castro: Vita et opere sante di Giovanni di Dio…, tradotta dallo spagnolo dal P. Francesco Bordini (Firenze, 1589) p. 196.
- Dell’ordine che tengono li Fratelli di Giovanni di Dio in governare li poveri infermi nelli loro spedali, estratto brevemente, et sommariamente dal Capitolo XV delle loro Costitutioni. Conviene grandemente…
- Dell’ordine che si tiene nel ponere li poveri infermi nel letto. S’ha da procurare…
- Del modo che si tiene nel visitare gli poveri infermi con il medico, et chirurgico. Nelle due visite…
- Ordine che si tiene nel dar da mangiare a’ poveri infermi. Venuta l’hora…
- Della guardia che s’ha da tenere, così nel giorno, come nella notte dell’infermeria; et la maniera che s’ha da tenere in licentiare i poveri, di poi che sono risanati. Et acciò…
- Della gran cura che s’ha da tenere degll’infermi, che stanno nell’agonia della morte. Et perché importa…
- Come si sepeliranno l’infermi, che sono morti nel nostro spedale, e delle messe de’ defunti ogni lunedì. Quando per voluntà di…
- Degli esercitij spirituali, che si fanno nelle i infermarie. Nelle infermarie si dirà Messa ogni mattina,…
Mentre i succitati articoli sono stati ripetutamente richiamati lungo i secoli, ad ispirare nelle successive generazioni lo spirito dei pionieri, quelli che seguono sono stati dimenticati ed archiviati.
Delle sorelle del nostro habito, che hanno da medicare le povere inferme.
”In alcuni delli nostri spedali si ha usato, et usa ricevere donne inferme, et medicarle in luogo distinto, et separato, et lontano dalle infermarie degli huomini, servendo le sorelle del nostro habito con la carità possibile, et questo perché le donne siano rimediate come gli huomini: ha parso al capitolo che si faccia il medesimo da qui innanzi ne’ luoghi commodi, et ritirati dove si possa fare, procurando sempre di andare innanzi di perfettione, et s’intenda che non ha da essere con ogni picciola commodità; ma dove possino stare molto appartate, et raccolte, et che non possa entrare in esse niuna sotre d’huomini; eccetto che i medici, et che siano in istanze molto commode, e per questo effetto si terrà particolar cura in questo esercitio”.
Della infermiera maggiore, facendosi spedale di donne.
“Sarà una infermiera maggiore d’età di anni 40 poco più, o meno, la quale sarà religiosa del nostro habito, diligente et sufficiente per questo ministerio, dove sarà obedita da tutte le altre sorelle, et farà l’infermiera maggiore, che nel spedale delle donne si osserva quell’ordine, che s’è detto nello spedale degli huomini, nella visita de’ medici, et in tutti gli altri esercitii, così spirituali, come corporali, et così anco tenirà particolar cura nello spedale si viva con ogni modestia, et non lasci uscire niuna fuora se non sarà sana, er licentiata dal medico, et farà che tutte le cose le siano provedute, et convenienti atte: di maniera che non si manchi niente di quello che dal medico fu ordinato, et per quest’effetto sarà una ruota per dove le si diano tutte le cose necessarie, et per la porta non entrerà se non l’inferme, et li medici quando anderanno a visitare, et il fratello maggiore si troverà sempre presente alla visita, et se sarà bisogno il barbiero, et lo spetiale, et l’infermiera maggiore farà che si faccia la visita con ogni modestia et honestà, et che alle inferme non le manchi cosa niuna, come sìè detto nella infermità degli uomini, et nella porta della infermeria delle donne saranno due chiavi differenti una dall’altra, et una la tenirà il fratello maggiore, et l’altra la sorella infermiera maggiore; di maniera che non possa aaprire l’uno senza l’altra”.
DA: “L’ORDINE OSPEDALIERO DI S. GIOVANNI DI DIO” – ROMA – ISOLA TIBERINA . Anno Giubilare 1950 – P. GABRIELE RUSSOTTO O.H.
Fin dalle origini è evidente che vi è già una fondazione religiosa al femminile, analoga a quella dei frati, sorretta dalle medesime norme:
“In alcuni delli nostri spedali si ha usato, et usa ricevere donne inferme, et medicarle in luogo distinto, et separato, et lontano dalle infermarie degli huomini, servendo le sorelle del nostro habito con la carità possibile, et questo perché le donne siano rimediate come gli huomini:..”
- “Sarà una infermiera maggiore d’età di anni 40 poco più, o meno, la quale sarà religiosa del nostro habito, diligente et sufficiente per questo ministerio, dove sarà obedita da tutte le altre sorelle, et farà l’infermiera maggiore, che nel spedale delle donne si osserva quell’ordine, che s’è detto nello spedale degli huomini…”
L’argomento meriterebbe di essere approfondito. E, se vi sono dei ritardi storici, andrebbero recuperati.
Siamo tentati di credere che certe crisi celino l’accorato desiderio di Dio: far emergere e riconoscere nel nostro tempo quella diaconia delle donne che da sempre esse hanno esercitato, con quella riservatezza tipica di Maria.
Poiché non vi è nulla di nuovo sotto il sole, possiamo provare a chiederci:
“e se un giorno fossero le donne a prendere in mano la situazione di alcune postazioni dell’Ordine? Fino a prova contraria, Fatebenefratelli vuol dire anche Fatebenesorelle. O no ?”
La carità di Giovanni di Dio è stata sostenuta sia dalla ricchezza delle nobildonne che dagli spiccioli, dalle pagnotte, e dalla scontata fatica delle donne del popolo. E tra esse, alcune di quelle sottratte dal Santo alla schiavitù della prostituzione. Tutto fa pensare che San Giovanni di Dio, sul ruolo della donna, pur nei condizionamenti legati alla mentalità del tempo ed ascoltando gli ammonimenti di San Giovanni d’Avila, in questo campo abbia precorso i tempi e visto più lontano di noi che ci consideriamo più emancipati rispetto a lui.
Sulle forme e modi in cui si realizza la collaborazione
“Agli amici e collaboratori dei Fatebenefratelli (nei Centri e non) va detto che è ormai parte integrante del nostro agire di religiosi, in opere proprie o non ed alle quali abbiamo dato vita insieme, la corresponsabilità e la cooperazione apostolica che è il vero motivo di esistere”. (Così in “Insieme per servire-Brescia 1988”.
Una condivisa analisi dei problemi, il progettare insieme, il mettere in campo le nostre diverse e complementari vocazioni e sensibilità, sono il modo migliore per affrontare le difficoltà e le fatiche di un simile percorso che richiede conoscenza reciproca, pazienza, disponibilità al cambiamento, capacità di porsi in un’ottica differente dal passato, attraverso una vera e propria rivoluzione culturale per i religiosi e per i laici.
Le esperienze già in atto nell’Ordine, ci confortano e ci indicano che questa è una strada possibile e fruttuosa ma che richiede anche premesse di fondo fondamentali, come
- la condivisione di una vita di fede,
- una adeguata preparazione,
- una prassi di riflessione comune.
Di tutto questo si è provato a parlare in un Convegno di vent’anni fa, dal tema: “RELIGIOSI E LAICI INSIEME PER SERVIRE – BRESCIA 1988”.
Da allora sono successe tante cose ed ora i tempi impongono di non tergiversare ma di affrontare realisticamente il momento storico in cui viviamo, in considerazione sia delle sollecitazioni che vengono dal Governo Generale dell’Ordine che dal Convegno Ecclesiale di Verona.
CONCLUSIONE
GLI STASTUTI dovrebbero partire da ben identificati presupposti che possano generare una fase sperimentale di iniziative locali da presentare al Capitolo Generale che le valuterà.
Se qui le proposte, per mancanza di tempo sono state solo abbozzate e necessiterebbero di ulteriore riflessione e sviluppo, c’è quanto basta per suggerire una diversa impostazione degli Statuti.
Premeva, come già detto, di evidenziare che vanno posti dei punti fissi introduttivi:
- Religiosi e Laici camminano insieme per servire, entrambi “collaboratori della Verità” (3 Gv 8).
- Ognuno è portatore di carismi, ma è nella comunione di beni spirituali, intellettuali e materiali che si manifesta l’unità nella molteplicità.
I laici non devono diventare dei semi-religiosi ed i frati non devono mutarsi in semi-laici. Oggi, pur continuando a parlarne, si vive in un permanente equivoco d’identità.
Restare a lungo in un tacito compromesso, ritenuto funzionale, non giova a nessuno e, col tempo, nuocerà a tutti. |