IL CHIRURGO FRA FIORENZO PRIULI O.H.
Posted on novembre 22nd, 2009 by Angelo
Il frate chirurgo che nel Benin è venerato come un dio
di Marcello Foa
Migliaia di persone accorrono nel Benin da tutta l’Africa occidentale per farsi curare da fratel Fiorenzo, chiamato “l’uomo dalle mani d’oro”
Dal nostro inviato a Tanguieta (Benin)
Fra Fiorenzo in visita dei degenti
C’è un italiano di cui il nostro Paese dovrebbe essere orgoglioso e che invece non conosce. Si chiama Fiorenzo, fratel Fiorenzo, e vive a Tanguieta, nel nord del Benin, a 650 chilometri dalla costa.
Africa profonda, Africa poverissima: un posto dove un occidentale mai si sognerebbe di andare a vivere. Le costruzioni in cemento sono pochissime e i 70mila abitanti di questa regione vivono in capanne o in casette costruite con mattoni di fango indurito.
Nei mesi estivi la temperatura supera i 45 gradi e il caldo è così secco da spaccare le labbra. Eppure proprio qui Fiorenzo ha trovato il suo equilibrio, rinunciando a tutto, convinto che la felicità sia dare, sia aiutare, senza condizioni, senza pensare se il sofferente che ha davanti è un cristiano, un musulmano o un animista.
Di cognome fa Priuli e non è un prete, sebbene 40 anni fa abbia pronunciato i voti di povertà, castità, obbedienza e ospitalità diventando un seguace di S. Giovanni di Dio, il fondatore dell’ordine Fatebenefratelli. Ma è un gigante del Bene e dell’Altruismo, degno di Madre Teresa di Calcutta.
La Francia lo apprezza da tempo e nel 2002 Chirac gli ha attribuito la Legione d’Onore; nel Benin è venerato come una divinità, da Cotonou, la città principale, al più remoto villaggio agricolo. E oltre confine: vengono a farsi curare da lui pazienti dal Burkina Faso, dal Niger, dal Togo. Lo chiamano l’«uomo dalle mani d’oro».
Bresciano della Val Camonica, è un chirurgo, ma col tempo è diventato anche un epatologo, un internista, un manager. Per l’ospedale di Tanguieta farebbe (e fa) di tutto. Perché questa è la sua creatura, il suo miracolo. Trentotto anni fa, quando fu inaugurato dai Fatebenefratelli, era composto da poche stanze; oggi è una struttura con 220 posti letto, un reparto di chirurgia, uno di medicina interna, un pronto soccorso, la pediatria, la maternità, un centro nutrizionale.
Come faccia a funzionare è un autentico mistero della Provvidenza, dice Fiorenzo, che può contare su altri due chirurghi e su 7-8 preti, medici, più qualche suora e la mitica Rosanna, un’italiana laica che da vent’anni vive nel Benin ed è la grande organizzatrice.
In qualunque altro Paese del mondo l’ospedale sarebbe chiuso da tempo; qui no. Anzi: continua a svilupparsi; grazie anche ai molti volontari che vengono a trascorrere qualche settimana all’anno. E che volontari: una squadra di oftalmologi spagnoli, un famoso primario francese, un grande urologo svizzero, diversi specialisti italiani e persino simpatizzanti che, pur non essendo medici, vengono a dare una mano a dipingere, riparare, tirar su muri. Farebbero di tutto pur di vivere l’atmosfera di Tanguieta.Perché Fiorenzo è un trascinatore che, con il suo dinamismo, diffonde armonia. Trascorre in sala operatoria almeno 12 ore al giorno, compiendo 20-25 operazioni. E non è mai stanco: ha sempre la luce negli occhi.
Quando visita i reparti viene salutato come un Messia: i ragazzi con le gambe deformate dalla poliomielite, e che un giorno riusciranno a camminare grazie ai suoi interventi, si sbracciano felici non appena lo vedono; le madri sdraiate sulle stuoie con i neonati lo ringraziano con un sorriso da qui a lì. Lui scherza con tutti, sempre positivo.
La sua generosità è innata. E contagiosa.
In teoria i pazienti dovrebbero pagare per le cure ricevute, una manciata di euro al giorno, ma la maggior parte è così povera da non poter offrire altro che una gallina o un cesto di frutta.
Fiorenzo accoglie tutti e riesce a far quadrare i conti grazie alle donazioni che riceve da più parti, in Italia tramite le Onlus U.T.A. (Uniti per Tanguieta e Afagnan) e l’Associazione Amici di Tanguieta di Meda fondata da Carlo Giorgetti.
Oggi Fiorenzo ha 62 anni, ha avuto la tubercolosi, l’epatite che dall’81 cura con una pianta miracolosa, il Combretum Micranthum, un ginocchio fuori uso, una placca nel femore, ma continua ad avere l’energia di un ragazzo.
Non ho ancora capito quante ore dorma per notte. Quando sei con lui il telefono squilla in continuazione: in linea, dall’Italia, il suo grande amico e collaboratore fra Luca Beato, una coppia di malati di Aids che lo chiama solo per salutarlo, una paziente del Burkina Faso a cui deve fissare l’operazione. Il pranzo lo salta quasi sempre e spesso, non appena si siede nel refettorio a cena, viene richiamato in sala operatoria per un’emergenza. Lui si alza e va, senza mai lamentarsi.
Riesci a parlargli per pochi minuti e ogni volta si schiude un mondo: racconta di come molti compagni di noviziato che nel ’68 abbandonarono la toga oggi lo invidiano e si rammaricano di non aver tenuto duro; narra la straordinaria amicizia epistolare con il Califfo musulmano del Niger; confessa la sua lotta per non cedere alle debolezze, a cominciare dalla più insidiosa, quella affettiva; ti spiega la sua concezione del cristianesimo, semplice e radiosa.
Alle 23 si attacca al computer e segue i pazienti italiani a cui dà, gratis, la pianta che tiene a bada l’epatite C; risponde all’Organizzazione mondiale della Sanità di cui è uno degli esperti per le malattie tropicali; controlla i conti dell’ospedale.
In piena notte studia nuove cure e interventi per malattie a noi sconosciute, come le fistole vescico-vaginali. Alle 6 del mattino è già in piedi.
Nel 1968 a Tanguieta il 50% dei bambini non arrivava ai 12 anni e gli adulti non superavano i quarant’anni. Oggi il tasso di mortalità è crollato e la vita media si è allungata di molto. Nonostante le epidemie e l’Aids e la malnutrizione. «Se dovessi rinascere non riuscirei a chiedere al Signore il 50% delle gioie che ho ricevuto finora», perché donare è la sua missione. «Ogni volta che riesco a salvare una vita sento una luce nel cuore». È Dio che gli parla; è Dio che, attraverso lui, ci parla.
Da IL GIORNALE – n. 51 del 22 Dicembre 2008, pagina 15
Marcello Foa
Mi ero dimenticato di dare spazio a questo post di Marcello, molto bello e interessante.
Ritengo possa essere interessante anche per chi non è credente, quando si parla di qualcuno che si impegna per glia altri penso che tutti si sia d’accordo
Il Blog di Marcello Foa » Blog Archive » L’esempio di Fiorenzo e un grazie a tutti voi.
http://blog.ilgiornale.it/foa/
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· post scritto da Paola ·
Marcello è un inviato che si occupa di politica internazionale per un quotidiano nazionale, viaggia in tutto il mondo, intervista gli uomini più interessanti del pianeta, ha un blog seguitissimo, una bella moglie e tre bambini. E’ quello che si può definire un uomo di successo, ma ciò nonostante sa mettersi in gioco, senza alcun tornaconto personale, per seguire un sogno. E così la settimana scorsa ha invitato i suoi amici a incontrare Fiorenzo Priuli.
Se lo cercate con Google trovate quasi 4mila risultati, nonostante viva da quasi quarant’anni a Tanguieta, un villaggio a nord del Benin che dista 600 chilometri dalla capitale Cotonou, in una delle zone più povere dell’area sud-sahariana dove l’estrema povertà è aggravata dalla presenza di epidemie e morbi endemici, un luogo in cui la speranza di vita media è di soli 56 anni
Ma nonostante ciò Fiorenzo, che è un chirurgo originario della Val Camonica e un missionario dell’Ordine ospedaliero di Fatebenefratelli non si è perso d’animo e, grazie anche all’aiuto di molti medici volontari e del sostegno economico di numerosi benefattori, in quarant’anni ha creato un ospedale con oltre 200 posti letto, un reparto di chirurgia, uno di medicina interna, un pronto soccorso, la pediatria, la maternità e un centro nutrizionale.
L’altra sera ci ha raccontato di una realtà che si fatica a immaginare, nonostante la globalizzazione dell’informazione, nonostante la televisione; perché tutti noi sappiamo delle condizioni di estrema povertà dell’Africa, ma non riusciamo a immaginarci i dettagli, la quotidianità, le conseguenze pratiche di tutto ciò.
E così fra Fiorenzo ci ha parlato di spose-bambine che sopportano travagli di giorni e giorni senza assistenza medica, travagli che si concludono con la morte del piccolo e con delle lacerazioni che rendono le ragazze incontinenti sia dal punto di vista urinario che fecale.
In un Paese dove la temperatura media supera i 40° e dove le condizioni igieniche lasciano molto a desiderare ciò significa essere ripudiate dal marito, isolate dalla comunità e colpevolizzate per la propria condizione. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, rimangono sole con le mosche e ciò, in questa parte di Africa, significa essere condannate a morte.
Ci ha raccontato di come molti africani – affascinati dal consumismo occidentale – rinuncino alle loro tradizioni culturali e magari vendano il campo che gli dà da vivere per acquistare un’auto che in realtà non è che un ammasso di latta.
Ciò nonostante, mentre lo ascoltavo parlare, mi sono sorpresa a pensare che era un uomo fortunato perché – nonostante quello che diceva – si percepiva chiaramente la sua serenità, la determinazione e l’entusiasmo che forse nasce anche dal fatto di essere riuscito a dare un senso profondo alla propria vita.
Voglio raccontarvi un’ultima piccola cosa, che mi pare sia una bella metafora di come a volte abbia più senso cercare le soluzioni dei problemi dentro di sé, della propria tradizione e cultura, senza rinnegare quello che si è, magari nell’illusione di trovare scorciatoie
Negli ultimi anni, l’Aids è piombato come una maledizione anche in queste zone e per questo fra Fiorenzo, con la collaborazione di medici infettivologi italiani e francesi, ha iniziato una sperimentazione, facendo tesoro delle conoscenze dei guaritori tradizionali che hanno grande esperienza dell’uso curativo delle erbe. Grazie alla fitoterapia, oggi riesce ad usare almeno una ventina di piante in alternativa a medicine costosissime. Tutte sono state testate in Italia, ed hanno un certificato di non tossicità.
«In particolare – ha spiegato fra Fiorenzo – usiamo l’estratto di una pianta che qui chiamano kinkeliba, il Combretum Micranthum, che cresce in maniera spontanea e abbondante, e ha dato ottimi risultati. Sino al ‘91 si usava solo per l’epatite. Da qualche anno ho iniziato ad usarla anche per l’Aids. C’è un paziente in cura dal ‘91 e sta bene, nonostante abbia avuto per due volte il cancro».
16/02/2007
Benin /
La scommessa di fra’ Fiorenzo Priuli
Kinkeliba contro l’Aids
di Anna Pozzi
In un ospedale nella savana un missionario dei Fatebenefratelli sperimenta una cura rivoluzionaria. Sfruttando le proprietà di un’erba nota alla medicina tradizionale.
Una speranza per tanti malati di Aids, piaga che attanaglia l’Africa subsahariana più di qualsiasi altro posto al mondo, verrà forse dalla pazienza e dalla tenacia di un missionario che da giovane pensava di diventare meccanico o carrozziere.
«I miei erano poveri e nessuno pensava che avrei studiato. L’Africa e la possibilità di diventare frate – butta lì scherzando – erano lontani mille miglia».
Oggi fra’ Fiorenzo Priuli dirige un ospedale di quasi 300 posti letto, il Saint Jean de Dieu, assediato dai malati che fanno decine, a volte centinaia di chilometri per venire a farsi curare. Un ospedale di frontiera, in tutti i sensi, perso nella savana nel nord del Benin, a Tanguieta, al confine con Togo, Burkina e Niger, dove non mancano mai i problemi e le sfide. Prima fra tutte, quella contro l’Aids. Una sfida che fra’ Fiorenzo si trova ad affrontare, in un contesto in cui né la cultura tradizionale, né le autorità statali, né le grandi associazioni internazionali permettono di affrontarla con gli strumenti adeguati.
Negli ultimi anni, l’Aids è piombato come una maledizione anche in queste zone apparentemente remote, sconvolgendo la vita di popolazioni molto povere e semplici, che si sono trovate di fronte a qualcosa di troppo grande per loro. E non solo dal punto di vista sanitario. L’Aids si è insinuato nella vita di queste comunità, sconvolgendone le basi, mettendo in discussione le modalità relazionali, le attitudini psicologiche, i costumi e le tradizioni…
Per questo, con la collaborazione di medici infettivologi italiani e francesi, fra’ Fiorenzo ha iniziato una sperimentazione, facendo tesoro delle conoscenze dei guaritori tradizionali che hanno grande esperienza dell’uso curativo delle erbe. Grazie alla fitoterapia, oggi riesce ad usare almeno una ventina di piante in alternativa a medicine costosissime. Tutte sono state testate in Italia, ed hanno un certificato di non tossicità.
«In particolare – spiega fra’ Fiorenzo – usiamo l’estratto di una pianta che qui chiamano kinkèliba, il Combretum Micranthum, che cresce in maniera spontanea e abbondante, e ha dato ottimi risultati. Sino al ’91 si usava solo per l’epatite. Da qualche anno ho iniziato ad usarla anche per l’Aids. C’è un paziente in cura dal ’91 e sta bene, nonostante abbia avuto per due volte il cancro».
Lo scorso gennaio, l’ospedale ha ricevuto la visita di una delegazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha raccomandato alla sede africana dell’organizzazione di fare del Saint Jean de Dieu un ospedale-scuola per Togo, Benin, Niger e Burkina. Ha promesso borse per l’équipe sanitaria e una collaborazione anche per la fitoterapia.
«Sono rimasti molto impressionati dagli studi fatti sull’Aids – dice soddisfatto fra’ Fiorenzo -. Ora dovremmo mettere a punto un protocollo di studio per associare 3 o 4 ospedali e compiere una ricerca più ampia, in modo da avere riscontri più scientifici».
Si comincia subito: un anno di studi su cento casi trattati con kinkeliba e forse un partenariato con una ong francese (Solthis), che già collabora con il governo locale nell’ambito di un programma contro l’Aids. Intanto, in Italia, continua la collaborazione con il Gruppo solidarietà Africa di Seregno, diretto dall’infettivologo Paolo Viganò, e si stanno compiendo ulteriori studi sulla pianta.
Sul posto, invece, la gente comincia a cambiare atteggiamento. Sono mutamenti lenti, talvolta impercettibili, come sempre succede quando si tratta di cambiare mentalità, comportamenti, tradizioni. Non è impresa facile. Molti non accettano di sentirsi condannati a morte. C’è chi si deprime o si uccide, ma anche chi cerca di vendicare la rabbia e la frustrazione sugli altri. Fra’ Fiorenzo ricorda di un alto ufficiale dell’esercito, che ha contagiato decine di donne e ragazzine prima di morire, diffondendo in maniera spaventosa il virus.
«Cerchiamo di far capire alla gente che è importante vivere bene anche i pochi mesi che restano, diamo loro un decalogo di comportamento, li sproniamo ad essere responsabili, modificando anche gli atteggiamenti sessuali, e soprattutto offriamo il nostro sostegno a tutti i livelli, facendo capire che siamo lì, pronti ad aiutarli, e che possono contare su di noi».
La cosa sta funzionando se è vero che il tam tam personale ha raggiunto distanze inimmaginabili, e la gente viene da lontanissimo in cerca di una speranza. Eppure, dal punto di vista medico anche fra’ Fiorenzo riesce a fare quello che può. Anche perché può contare solo sui propri mezzi e sulla collaborazione di amici e sostenitori.
Il governo del Benin ha iniziato solo negli scorsi mesi a distribuire farmaci anti-retrovirali a 600 pazienti. Un’inezia in confronto al problema… Per un ospedale privato e missionario come il Saint Jean de Dieu la triterapia costa ancora troppo ed è estremamente tossica, soprattutto per persone debilitate e spesso malnutrite.
«E poi c’è la gente, che è povera e poco istruita – dice fra’ Fiorenzo -. Molti non credono neppure all’esistenza dell’Aids. C’est la maladie des blancs!, dicono, è la malattia dei bianchi, senza parlare delle leggende che circolano sui possibili metodi di guarigione…
Ma anche quelli che ne sono consapevoli, spesso ne sono sconvolti, traumatizzati, alcuni addirittura arrivano a suicidarsi. Le famiglie faticano ad accettare la malattia e a reagire. La vivono come una maledizione e una vergogna e tendono ad emarginare i malati, a lasciarli morire.
Ma oggi, grazie a una grande opera di sensibilizzazione, c’è anche chi comincia a parlarne e si sono formati gruppi dove si discute di questo problema e si cerca di lottare insieme. Chi ha speranza è il nostro miglior testimone. Ci aiuta a far capire che l’Aids può essere combattuto e che si può ancora vivere una vita quasi normale».
A sentirlo raccontare, sembrerebbe tutto semplice. Forse perché fra’ Fiorenzo non perde mai il sorriso e il senso dell’umorismo. Anche quando racconta delle infinite sollecitazioni, sanitarie ma anche umane, e delle difficoltà finanziarie che spariscono quando si trova davanti a un paziente. Fra’ Fiorenzo ha un’attenzione per tutti, un sorriso, una carezza. Poi indossa camice, guanti e mascherina e sparisce in sala operatoria. Otto, dieci, anche quindici operazioni in un giorno…
Qui, al Saint Jean de Dieu, gli straordinari fanno parte dell’ordinario. Anche perché l’ospedale è uno dei rari punti di riferimento per la gente di una regione molto estesa. Da quando c’è, anche questo grosso villaggio che è Tanguieta è cresciuto molto. I malati arrivano da molto lontano per farsi curare, anche dai Paesi limitrofi. La fama del Saint Jean de Dieu si è diffusa in un raggio molto vasto, valicando le frontiere formali di questi Stati, dove la gente è la stessa e ha gli stessi problemi.
«Ma all’inizio non era così – rammenta fra’ Fiorenzo -. I malati non venivano all’ospedale, alcuni non sapevano nemmeno cosa fosse, altri erano diffidenti. Preferivano andare dal guaritore o dallo stregone. Molti, in verità, lo fanno ancora oggi, e vengono da noi solo quando non hanno più speranza e spesso è troppo tardi. Ma grazie alla presenza di personale locale preparato, siamo riusciti a superare la reticenza della gente, che si sente accolta da persone che hanno con loro una maggiore affinità culturale».
Quello di Tanguieta è l’unico presidio sanitario della zona che accetta di curare tutti, a prescindere dalle condizioni economiche. La regione è poverissima e spesso la gente, prima di arrivare in ospedale, ha speso quel poco che aveva dal guaritore.
«Noi cerchiamo di far pagare qualcosa soprattutto per responsabilizzare le persone; tre euro agli adulti e un euro e mezzo al giorno ai bambini. Si tratta innanzitutto di uno sforzo educativo, ma alcuni non riescono neppure a pagare queste cifre irrisorie cosicché per far funzionare l’ospedale le difficoltà economiche sono enormi». Anche perché si tratta di curare di tutto, facendo fronte anche a emergenze gravissime. Come l’epidemia di tifo o di morbillo, che è arrivata a uccidere fino a dieci bambini ogni notte. O quella di meningite. E sempre più la piaga dell’Aids.
«Speriamo di poter avanzare significativamente nella sperimentazione e nella ricerca scientifica – dice fra’ Fiorenzo -.
Sarebbe davvero una manna per questa gente che muore di Aids e non ha alcuna possibilità di curarsi con le medicina occidentali. Purtroppo attorno all’Aids ci sono oggi troppi business e speculazioni. E moltissimi progetti vivono di Aids mentre la gente continua a morire…».
La storia
E pensare che si immaginava meccanico
Nell’istituto dei Fatebenefratelli, fra’ Fiorenzo Priuli c’è finito a 12 anni, perché la famiglia, di povere origini, non poteva permettersi di farlo studiare. «All’epoca – ricorda – pensavo al massimo di diventare meccanico o carrozziere». È in quegli stessi anni che l’Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio, conosciuto come Fatebenefratelli, iniziava a interessarsi all’Africa e ad aprire le prime missioni.
Il giovane Fiorenzo ne è incuriosito e nel ’69 – cinque anni dopo aver preso i voti – si ritrova lui stesso in Africa. Nel frattempo aveva studiato missiologia a Roma.
«In Africa – racconta – di fronte alle difficoltà e ai grandi patimenti della gente avrei voluto fare qualcosa. Ho pensato che come medico avrei potuto alleviare molte sofferenze e così ho convinto i miei superiori a farmi studiare medicina».
Rientrato in Italia nel ’72, comincia l’università. Poi, dopo un anno e mezzo, torna in Togo, da dove prosegue gli studi, tornando a Brescia solo per sostenere gli esami. L’Africa lo aspetta, lo trattiene, ed è qui, prima in Togo e poi in Benin, che può finalmente mettere la sua professionalità al servizio della gente.
I Fatebenefratelli hanno quattro comunità nei due Paesi, due ospedali, uno ad Afagnan in Togo e un altro a Tanguieta in Benin, un centro sanitario a Porga, sempre in Benin al confine col Burkina, una casa per studenti a Cotonou e un noviziato a Lomé.
Fra’ Fiorenzo si lancia con passione nelle attività sanitarie, prima in Togo e dal ’92 a Tanguieta, cercando di offrire ai pazienti servizi di qualità, ma anche un’attenzione umana più vicina possibile alla loro sensibilità e cultura.
«Quando sono arrivato a Tanguieta – ricorda – l’ospedale aveva sessanta posti letto. Oggi siamo a 290, ma i malati sono quasi sempre più di 300. E in un anno arriviamo a quasi diecimila. Un impegno non indifferente da tutti i punti di vista: finanziario, ma anche di personale. Non sono molte le persone qualificate che accettano di lavorare e vivere qui, in questo posto sperduto, lontano da tutto». (a.p.)
Mondo e Missione, ottobre 2004
L’altra sera ci ha raccontato di una realtà che si fatica a immaginare, nonostante la globalizzazione dell’informazione, nonostante la televisione; perché tutti noi sappiamo delle condizioni di estrema povertà dell’Africa, ma non riusciamo a immaginarci i dettagli, la quotidianità, le conseguenze pratiche di tutto ciò.
E così fra Fiorenzo ci ha parlato di spose-bambine che sopportano travagli di giorni e giorni senza assistenza medica, travagli che si concludono con la morte del piccolo e con delle lacerazioni che rendono le ragazze incontinenti sia dal punto di vista urinario che fecale.
In un Paese dove la temperatura media supera i 40° e dove le condizioni igieniche lasciano molto a desiderare ciò significa essere ripudiate dal marito, isolate dalla comunità e colpevolizzate per la propria condizione. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, rimangono sole con le mosche e ciò, in questa parte di Africa, significa essere condannate a morte.
Ci ha raccontato di come molti africani – affascinati dal consumismo occidentale – rinuncino alle loro tradizioni culturali e magari vendano il campo che gli dà da vivere per acquistare un’auto che in realtà non è che un ammasso di latta.
Ciò nonostante, mentre lo ascoltavo parlare, mi sono sorpresa a pensare che era un uomo fortunato perché – nonostante quello che diceva – si percepiva chiaramente la sua serenità, la determinazione e l’entusiasmo che forse nasce anche dal fatto di essere riuscito a dare un senso profondo alla propria vita.
Voglio raccontarvi un’ultima piccola cosa, che mi pare sia una bella metafora di come a volte abbia più senso cercare le soluzioni dei problemi dentro di sé, della propria tradizione e cultura, senza rinnegare quello che si è, magari nell’illusione di trovare scorciatoie
Negli ultimi anni, l’Aids è piombato come una maledizione anche in queste zone e per questo fra Fiorenzo, con la collaborazione di medici infettivologi italiani e francesi, ha iniziato una sperimentazione, facendo tesoro delle conoscenze dei guaritori tradizionali che hanno grande esperienza dell’uso curativo delle erbe. Grazie alla fitoterapia, oggi riesce ad usare almeno una ventina di piante in alternativa a medicine costosissime. Tutte sono state testate in Italia, ed hanno un certificato di non tossicità.
«In particolare – ha spiegato fra Fiorenzo – usiamo l’estratto di una pianta che qui chiamano kinkeliba, il Combretum Micranthum, che cresce in maniera spontanea e abbondante, e ha dato ottimi risultati. Sino al ‘91 si usava solo per l’epatite. Da qualche anno ho iniziato ad usarla anche per l’Aids. C’è un paziente in cura dal ‘91 e sta bene, nonostante abbia avuto per due volte il cancro».
L’esempio di Fiorenzo e un grazie a tutti voi
In uno dei miei post dal Benin avevo annunciato un articolo su Fiorenzo, il frate chirurgo che fa miracoli in una delle zone più povere dell’Africa. L’articolo è uscito ieri sul Giornale: Fiorenzo Priuli mi ha molto colpito per il suo entusiasmo, per la sua grazia innata, per il suo ottimismo. Ha creato da zero un ospedale efficientissimo ed è venerato da tutti: autorità civili, musulmani, animisti, oltre ovviamente dai cristiani. Sapere che nel mondo esistono italiani di questa caratura fa bene all’anima e alla reputazione del nostro Paese.
Con l’avvicinarsi delle Festività. colgo l’occasione per ringraziarvi per i mesi trascorsi insieme su questo blog, che è sempre più letto. “Il Cuore del mondo” si sta trasformando in una piccola comunità dove è possibile confrontarsi liberamente, con civiltà, arguzia, senza barriere politiche. Al blog partecipano lettori di destra, di sinistra, di centro, dall’Italia e dall’estero: che splendida esperienza!
Dimenticavo: alcuni di voi mi hanno chiesto di segnalare qualche Onlus meritevole di attenzione. Chi volesse aiutare Fiorenzo può farlo tramite l’U.T.A (Uniti per Tanguieta e Afagnan) o gli amici di Tanguieta .
Altre Onlus attive in Africa sono il GSA (Gruppo Solidarietà Africa), il LTM (gruppo Laici Terzo Mondo), il BND (Bambini nel deserto). Ce ne sono ovviamente tante altre meritevoli di stima e riconoscenza, ma di quelle che ho citato ho potuto verificare l’attendibilità. Ribadisco il mio suggerimento: se volete far del bene o beneficenza preferite Onlus o Ong che conoscete o dove operano amici o parenti: il piccolo gruppo, se le sue motivazioni sono autentiche, difficilmente sprecherà finanziamenti (vedi il post sull’Unicef) e certo non userà la fondazione per altri scopi (vedi i sospetti su quella di Clinton).
Infine, ecco una foto di Fiorenzo nel suo ospedale a Tanguieta. L’ha scattata Emilio Zuccoli, l’amico che mi ha permesso di scoprire Fiorenzo e la sua magnifica realtà.
Buon Natale a tutti voi!
http://www.aeronautica.difesa.it/SitoAM/Default.asp?idarg=149&idente=1398&idsez=5
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