INSIEME PER SERVIRE – Mons. Silvio Perini

San Giovanni di Dio trasporta sulle spalle un malato  

CONVEGNO – Messa in onore di San Giovanni di Dio

  

OMELIA D MONS. SILVIO PERINI

  

  

All’inizio di questo vostro Convegno che, visto dall’esterno, sembra proprio ben preparato, i sussidi molto ben curati, tutta quella serie di cartelloni che sono nell’atrio di questa casa, la cura con cui è stata preparata la celebrazione di questa liturgia, all’inizio di questo Convegno è doveroso chiamare in causa S. Giovanni di Dio. La Messa che stiamo celebrando è in suo onore. E attorno alla figura di questo ‘padre dei poveri” cerche remo di far ruotare il pensiero di riflessione e di meditazione.

Le letture bibliche e le pagine della Sacra Scrittura scelte per questa Messa ci danno già una chiave per riuscire a penetrare il segreto della vita di questo grande Santo, S. Giovanni di Dio. Ci danno la cifra per comprendere come mai da un uomo semplice, dalla vita avventurosa, ad un certo momento sia sbocciato, sia fiorito un Santo di tale forza. Cos’è che spiega questa santità. Che cos’è, ad esempio, che spiega la sua con versione, se non repentina, senz’altro radicale? Forse la famosa predica del maestro d’Avila, che dal 1970 possiamo chiamare Santo: infatti è stato canonizzato dal Papa Paolo VI . Certo, anche quella predica ha contato molto nella conversione di Giovanni di Dio, ma non penso che basti una predica per convertirsi. Altrimenti dovreste uscire tutti santi da questa chiesa questa mattina. Certo qualche cosa di più, qualche cosa d’altro ha provocato questa radicale conversione di  S. Giovanni.

E ancora, cos’è che mi spiega la scelta preferenziale fatta da Giovanni di Dio per i poveri, per gli ammalati in specie? Forse la sua drammatica esperienza negli ospedali della prima metà del ‘500? Anche quella. Giovanni di Dio fu pienamente sconvolto da quella esperienza. Ma non credo che basti quella per spie gare il perché di una scelta preferenziale per i poveri, gli ammalati.

E ancora, questo forse è l’aspetto più problematico: come spiegare il perseverare di S.Giovanni di Dio sulla linea che si era aperto? Perché di propositi ciascuno di noi ne ha fatti un sacco, di buoni propositi è pieno il mondo. Ed anche noi attraversiamo momenti di fervore, di un fervore particolarmente intenso. Ma sono un po’ come i primi innamoramenti: ti innamori e dopo due giorni è già passato. Una cottarella ed è già passato. Quella di Giovanni di Dio non è stata una cottarella. Pensate a questo uomo che, tutte le sere, conoscete la sua biografia! dopo aver assistito i suoi poveri ed ammalati raccolti qua e là, girava con due pentole legate ai polsi, con una sporta, con una sacca, un cesto sulle spalle, gridando ‘Fate bene fratelli per amor di Dio, fate bene fratelli per amore di Dio”.

Una volta o due si, si può avere il coraggio di farlo, ma perseverare sino alla fine cosi, in semplicità, in umiltà, in povertà.  Ecco cos’è che spiega tutto questo. Non soltanto le circostanze storiche, che hanno pure il loro peso e concorrono magari a costruire la struttura di un uomo, e concorrono, nel caso specifico nostro, a tratteggiare la drammatica avventura spirituale di Giovanni di Dio. Ma non è soltanto questo. C’è una forza diversa: senz’altro è quella stessa forza che ha folgorato  Paolo sulla via di Damasco, “Saulo per ché mi perseguiti ?” C’è una identificazione di Gesù con i cristiani perseguitati. E quella stessa forza, quella che ha fatto diventare santo  S. Giovanni di Dio, che aveva favorito quella splendida fioritura di Santi dell’epoca di S. Giovanni di Dio. Sia la Spagna che la Francia han no definito il secolo XVI il secolo d’oro, lo credo che sia il secolo d’oro non soltanto per il rifiorire delle arti, detl’architettura, della cultura in genere, ma it secolo per il fiorire dei grandi santi. Pensate che, contemporanei a S. Giovanni di Dio, sono Ignazio di Loyola, Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Filippo Neri, per fa re il nome soltanto dì qualcuno. E possiamo ben dire che quello é il secolo d’oro anche della santità.

E allora quel è la forza che ha fatto di Giovanni di Dio un Santo di uno spessore cosi rimarchevole? Non occorre arrampicarsi sui vetri per scoprire quale è questa forza, però io ho cercato di definirla con molta semplicità, semplicità quasi catechistica dicendo che que sta forza è la Fede, che definiamo subito Fede evangelica.

Vedete, la Fede evangelica ha alcune caratteristi che.

La prima caratteristica è questa, che è impastata di fiducia.  Non ho trovato termine più bello per dire che la fede non può esigere di spiegare tutto, di definire tutto, di veder chiaro tutto. Noi siamo tutti un po’ razionalisti, cioè ci fidiamo tanto della nostra ragione e non siamo molto disposti ad accettare ciò che non capiamo. D’altronde se apriamo la pagina sacra, se leggiamo la Scrittura, troviamo, per esempio, in Giovanni, nella sua prima lettera che sta scritto: “Dio nessuno l’ha mai visto”. Però, dopo, portiamoci all’Antico Testamento, al Vecchio Testamento. Vi troviamo Mosè un giorno sul monte in contemplazione di Dio. E Mosè che prega accoratamente il Signore (sembra la preghiera che tante volte esce dal nostro cuore): “O Signore mostrami il tuo volto”. E la risposta di Dio è: “Nessuno può vedere Dio e continuare a vivere”. Colui che vede Dio muore. “Però — dice Dio — voglio esaudire almeno in parte la tua richiesta. Ti collocherò dentro un incavo della roccia, ti nasconderò dentro la roccia. Ed io passerò, terrò la mia mano sul tuo volto e mi potrai vedere soltanto quando sarò passato”. E cosi avviene. Mosè é come un capo, quasi la roccia si ritrae come se fosse spugna e Mosè si nasconde in questo nido della roccia. Dio gli mette la mano sul volto, passa oltre e Mosè rìesce a vedere di spalle Dio. Probabilmente questa è una parabola di cui la Bibbia si serve per dire che nessuno deve avere la pretesa di scrutare il volto di Dio.

Ieri abbiamo celebrato la festa della Santissima Trinità: come si fa a comprendere questo mistero profondissimo di Dio?

Ci sono qui alcuni vostri confratelli che ieri sera erano presenti al Centro Paolo VI, quando ho amministrato le Cresime ai Cresimandi adulti ed ho parlato della Trinità tentando di spiegarla con un sorriso. Questo perché dobbiamo usare tuffi i mezzi per cercare di penetrare il mistero di Dio. Ma Dio rimane sempre qualche cosa che è al di sopra. Non per nulla teologi, filosofi parlano della trascendenza di Dio. La Fede evangelica è tana di fiducia e ci invita ad abbandonarci a questo Dio che; pur non potendo essere contemplato faccia a faccia, lo contempleremo, a Lui piacendo, in paradiso. (Almeno io desidero andare in Paradiso e penso che anche voialtri desideriate raggiungere la beatitudine e contemplare il volto di Dio, il volto beatificato). Abbandonarci a Lui con estrema fiducia, anche se non riusciamo ad interpretare la profondità dei suoi di segni e dei suoi progetti sulla nostra esistenza.

La fede evangelica, oltre ad essere piena di fiducia, è una tede coinvolgente. Quando noi parliamo di Dio non enunciamo delle formule matematiche o dei teoremi di geometria. Se io dico che 3 x 3 fa 9, rimango quello di prima. Ma se io dico che Dio è Padre, o cambio atteggiamento o sono un buffone come gli altri. Ecco in che senso la Fede deve coinvolgerci radicalmente e cambiare la nostra vita.

Credo che, in fondo, a Giovanni di Dio sia capitato questo: quando ha ascoltato quella predica che gli storici dicono abbia segnato l’inizio un po’ della sua radicale conversione anche se era un uomo già aperto ed estremamente generoso. Capì che non poteva continuare a tentare di conciliare nella sua vita i fervori per il Signore e la mediocrità del vivere quotidiano. Se Dio è veramente Padre, noi siamo veramente fratelli. Dice l’Abbé Pierre (l’ho visto scritto una volta su un poster), ‘quando preghi e dici: Padre nostro, cerca di sentire subito l’eco della voce di Dio che ti dice, che ti chiede ‘E i tuoi fratelli?”. Perché se veramente tu o Dio ci sei Padre, noi siamo fratelli. In questo senso dico che la Fede deve essere coinvolgente. Quando uno sbatte la propria faccia contro questo Dio, deve cambiare.

Terzo elemento di questa Fede evangelica è che deve essere matura. Cosa intendo dire parlando di Fede matura? Per me la Fede, e credo che possiamo essere tranquillamente d’accordo, raggiunge la sua maturità quando si sposa con la carità. In fondo è già quello che ci diceva il profeta lsaia nella prima lettura. Ma nel Vangelo, nel Nuovo Testamento troviamo tanti altri passi che ci dicono questo. Per esempio, Giacomo nella sua lettera ci dice che “Se uno crede di avere la Fede ma non compie delle opere conseguenti a questa fede è come uno che si specchia: per un momento vede il suo volto, ma quando distoglie lo sguardo non ricorda più come è fallo. Gesù nel famoso capito lo 25° di Matteo, il Giudizio Universale lo imposta tutto sul nostro atteggiamento verso i fratelli e i fratelli più poveri.

Addirittura, sapete che c’è una frase che sconvolge in fondo anche gli esegeti ed i teologi, coloro che meditano su questa pagina: “Ma quando Signore noi ti abbiamo visto ammalato, assetato, affamato, ignudo” e la risposta: “Ogni volta che avete fallo queste cose ai più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatte a me”. Per cui qui Gesù sostiene che davvero quando io assumo gli atteggiamenti di carità, di solidarietà, di servizio nei confronti dei miei fratelli, quasi mettendo tra parentesi che lo faccio per il Signore, non mi ricordo nemmeno, ma soltanto per quel legame di umanità e fraternità, Gesù lo accoglie, lo ritiene fallo a se stesso e questo è molto consolante.

Ecco quindi come deve essere la nostra Fede. Una fede falla di fiducia, di abbandono nelle mani del Signore, anche se non riusciamo a leggere fino in fon do il suo mistero, una Fede coinvolgente, che coinvolge la nostra vita, una fede matura sposata alla carità, sposata anche alle opere. Qui mi permetterei di insistere perché è facile che diciamo “Ah, ma io credo nel Signore”. Va bene, credi nel Signore, ma qual è il tuo stile, qual è il modo con cui ti comporti, ti rapporti, ti stabilisci con i tuoi fratelli? C’è S. Tommaso d’Acquino che dice: “Imperfectae cognoscimus et diligimus Dominum”, “noi il Signore lo conosciamo e lo amiamo in modo imperfetto”.

E dobbiamo batterci il petto e dire davvero quanto poco conosciamo il Signore e quanto poco lo amiamo. E magari far trasformare, cambiare, far diventare una preghiera: “Signore ti amiamo cosi poco, ti cono sciamo cos male, fa che noi abbiamo a conoscerti, e soprattutto amarti con generosità. Amare il Signore, attraverso i fratelli. Ancora S. Giovanni dice: “Se qualcuno crede di amare Dio e poi non cura i fratelli, inganna se stesso” (1 Gv, 4, 20), è un bugiardo chi inganna se stesso. Chiediamo perciò al Signore, durante la celebrazione di questa Eucarestia, la grazia di conoscerlo meglio e di amarlo.

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