LA VITA NON E’ UNA MERCE- Enzo Tiezzi
Posted on novembre 7th, 2009 by Angelo
La vita non è una merce
Lo scienziato Enzo Tiezzi, ordinario di Fisica chimica all’Università di Siena, ecologista e ambientalista, nonché fotografo e scrittore, continua a sorprendere per il suo infinito canto di vita e di meraviglia per il mondo e il creato.
di Enzo Tiezzi
Quando gli Spagnoli iniziarono la conquista del Messico e del Guatemala, arrivarono in quella che oggi si chiama la penisola dello Yucatan, e furono molto colpiti dalla meravigliosa fortezza Maya di Tulùn, sul mare; cominciarono a pensare di trovarsi di fronte a una grande civiltà, quale poi in realtà si scoprì essere la civiltà Maya.
I primi soldati spagnoli si rivolsero ai gentilissimi indios che avvicinarono e chiesero loro: come si chiama questa città? E la risposta fu: Yucatan. E il vostro re come si chiama? Yucatan. Quindi presero nota nei loro diari di viaggio che erano arrivati nella terra del re Yucatan, che aveva costruito una bellissima città sul mare, che si chiamava Yucatan.
Poi, nei giorni seguenti, chiesero ancora come si chiamasse la terra in cui avevano messo piede, e la risposta fu di nuovo: Yucatan. E infatti ancora oggi, nelle carte geografiche, quella penisola in cui si trova una gran parte del Messico, il Chiapas, il Guatemala, il Belize, si chiama Yucatan.
In realtà in lingua Maya Yucatan significa “non capisco”. A tutte le domande degli spagnoli gli indios rispondevano nella loro lingua “non capisco “, ma c’era già la presunzione, tipica oggi della lingua inglese, del colonialismo americano, di pensare che lo spagnolo fosse la lingua che si doveva saper parlare, perché non ce n’erano altre, perché era la lingua del potere.
Vi ho raccontato questa storiella perché credo sia una buona metafora per parlare di linguaggi e di scambi, tra persone così diverse, come siete voi, di questo bellissimo movimento che mi ha chiesto di stare con voi oggi. Credo che questo sia un problema della scienza, sia un problema della politica, sia un problema della cultura: il problema di ascoltare l’altro, il problema dei linguaggi, il problema del parlare insieme.
E credo anche, come scienziato, che lo scopo corretto della scienza non sia di conquistare la natura, ma di vivere in armonia con la natura stessa, quell’armonia così ben descritta da questo meraviglioso disegno che ci è stato ora illustrato da Maria Cristina.
Una scienza, quindi, che vuole vivere in armonia con la natura, con tutta la natura, una specie di solidarietà estesa alle piante, agli animali, ma in modo particolare alle generazioni future. Vi parlerò in particolare di solidarietà generazionale, di quel concetto che va sotto il nome di sviluppo sostenibile, che però è approdato in Italia in maniera molto distorta, addirittura, in qualche caso, al contrario.
Si parla di “crescita sostenibile”, che è semplicemente un non senso, perché la crescita è ciò che distrugge, ciò che è soltanto merce, ciò che è soltanto profitto e denaro, è la crescita economica; lo sviluppo sostenibile invece dovrebbe essere uno sviluppo in armonia con la natura stessa. Io sono stato uno dei venticinque, insieme a Hermann Daly, Robert Costanza e altri, che, circa quindici anni fa, in una serie di riunioni che ci furono prima a Barcellona poi in Banca Mondiale e poi all’Aspen Institute, mise a punto questo concetto di “sviluppo sostenibile”, che sarà uno degli argomenti che tratterò oggi, ovviamente non pretendendo di essere esaustivo; per gli approfondimenti dovete ricorrere ai libri che ho scritto sull’argomento, in particolare all’ultimo che ho scritto con mia moglie, Nadia Marchettini, dal titolo: “Che cos’è lo sviluppo sostenibile”.
Il libro ripercorre la nascita di questo concetto, che si basa sulla solidarietà generazionale, cioè che guarda non soltanto a questa generazione, ma ai nostri futuri figli e nipoti, perché abbiano delle possibilità, la possibilità di avere uno sviluppo che sia quello di un popolo felice, per tutti i popoli felici della terra.
Ovviamente la mia relazione sarà centrata in modo particolare su alcuni aspetti del mio mestiere, cioè i problemi ambientali e i problemi legati al rapporto con i vincoli biofisici della natura. Sarà divisa in tre parti:
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la prima parte sarà la più breve e sarà, purtroppo, un “cahier de doleance” su quali sono i grandi problemi drammatici del pianeta, che in questo inizio del millennio dovremo affrontare e che le future generazioni dovranno tentare di risolvere;
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la seconda parte, la più lunga, sarà dedicata proprio al concetto di sviluppo sostenibile;
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la terza parte parlerà di una cosa molto pericolosa che stanno facendo alle nostre spalle non tanto degli scienziati, quanto degli apprendisti stregoni: mi riferisco alle biotecnologie, all’ingegneria genetica, alla clonazione, ai cibi transgenici.
Tre parti, quindi, che sono tuttavia spezzoni di discorsi abbastanza globali e complessivi che io porto avanti ormai da tempo nei miei libri e con il mio gruppo di ricerca all’Università di Siena.
Questa prima trasparenza la adopero sempre, ormai dal 1980, e fa vedere che si sta passando da un’economia a “mondo vuoto”, in cui le risorse erano sì mal distribuite, ma in ogni modo, come quantità, sufficienti per la popolazione, a un’economia da “mondo pieno” in cui le risorse, il polmone verde, l’energia, non saranno più sufficienti per la popolazione in crescita. Non affronto, perché non è mio argomento, il problema demografico –
sapete che oggi abbiamo superato i 6 miliardi di individui – lo ricordo soltanto per ricordare un caro amico scomparso, Padre Ernesto Balducci, assieme al quale ho fatto molte cose.
Abbiamo anche scritto un libro, in occasione del centenario della scoperta dell’America, con il titolo rovesciato, 2941 invece che 1492, un anniversario da rovesciare, un anniversario letto alla rovescia. Una volta abbiamo fatto insieme un dibattito alla Cittadella di Assisi, e di fronte a questa mia prima trasparenza dei giovani mi dissero: “Nei sacri testi c’è scritto crescete e moltiplicativi, e quindi forse è giusto fare più figli possibile.” Risposi che non facevo nessuna critica alla mia nonna che aveva avuto dieci figli, ma che ora eravamo in questa nuova situazione. E Padre Balducci disse a questi ragazzi: “Non avete letto attentamente i sacri testi. Nei sacri testi c’è scritto: crescete, moltiplicatevi e riempite la terra. La terra è stata riempita alla fine di questo secolo, e quindi in futuro bisognerà porsi questo problema”.
Siamo passati da 3 a 6 miliardi: ai tempi di Gesù Cristo eravamo 300 milioni, ai tempi di Dante Alighieri 400 milioni, un miliardo all’inizio di questo secolo e tre miliardi 15 anni fa, 6 miliardi oggi, tra quindici anni saremo 12 miliardi, poi 24, il pianeta terra è molto piccolo, c’è il problema dell’ossigeno, il problema del ciclo del carbonio, dell’effetto serra, dell’energia, delle foreste, dell’agricoltura.
Se io volessi dar da mangiare a tutti dovrei disboscare, ma se disbosco distruggo il polmone verde del pianeta; se produco più cibo per ettaro ho l’eutrofizzazione dei mari, la salinificazione, l’erosione, la desertificazione, l’inquinamento delle falde e poi lo sconvolgimento del clima, un fenomeno sotto gli occhi di tutti.
Ad ogni modo dovremmo porci, di fronte a questo problema, il concetto di procreazione responsabile, cioè sapere che quello che poteva essere bello per mia nonna, avere dieci figli, non necessariamente in futuro sarà altrettanto bello. Il problema di fondo – e questo l’ho trattato in un libro che ho scritto e che ormai ha vent’anni, “Tempi storici e tempi biologici” – è che questo pianeta è molto piccolo e la nostra storia di uomini su questo pianeta è minima rispetto alla storia del pianeta stesso.
In questa trasparenza si vede la storia del pianeta Terra, che parte 4.600 milioni di anni fa, paragonata a un anno di tempo, come se fosse passato un anno dalla nascita della terra; quindi la Terra nasce il primo gennaio, l’atmosfera con l’anidride carbonica, il famoso gas serra, ma quello giusto per fare le stagioni, il primo aprile, l’ossigeno che permette alle piante, agli animali e all’uomo di apparire sulla terra, l’otto di novembre; il 26 dicembre appaiono i dinosauri, scompaiono quattro giorni dopo, se la storia del pianeta si rapporta ad un anno; l’uomo appare sostanzialmente a mezzogiorno del 31 dicembre, cioè se la storia del pianeta è la storia di un anno, l’uomo appare sul pianeta a mezzogiorno del 31 dicembre.
La rivoluzione industriale, quella che ha sconvolto i cicli del pianeta, che ha toccato per la prima volta, nella storia di questo pianeta, i gangli vitali della biologia, dell’evoluzione biologica, è iniziata il 31 dicembre alle ore 23, le 11 di notte, 59 minuti, 59 secondi e 59 centesimi. Quindi praticamente la rivoluzione industriale è sul pianeta Terra da un tempo infinitesimo rispetto alla storia meravigliosa, armonica, di biodiversità, di questo meraviglioso pianeta.
Nel frattempo noi stiamo distruggendo i cicli vitali. La pioggia che cadeva su questo pianeta con una certa acidità quando ero ragazzo, con ph di 5,6, cade oggi con un’acidità 20 volte superiore alla pioggia che cadeva al tempo del mio nonno; gli ettari distrutti da questa pioggia si contano in centinaia di milioni all’anno; nel frattempo stiamo sconvolgendo il clima del pianeta.
I satelliti al guinzaglio, quelli che vanno a livello di stratopausa e di termosfera, ci dicono che è in atto un abbassamento della temperatura negli alti strati della stratopausa della termosfera; questo significa che il calore viene trattenuto dentro la terra dal cosiddetto “effetto serra“, cioè dall’anidride carbonica che proviene dai combustibili fossili, che sono quindi per loro natura combustibili non sostenibili, e responsabili dei più grandi danni ambientali del pianeta.
È infatti già in atto un riscaldamento di mezzo grado/un grado; forse qui da noi, in Italia, potremmo essere anche contenti, perché si potranno avere delle stagioni un po’ più calde, ma attenzione, perché questo significa desertificazione nelle zone a rischio di desertificazione: 300 milioni di ettari in più all’anno di desertificazione si aggiungono ogni anno alla lista dei danni che l’effetto serra sta facendo nel mondo.
Qui da noi, non è poi così vero che necessariamente si andrà verso un simpatico caldo, andremo verso lunghi periodi di siccità, ma siccome siamo l’emisfero nord, il caldo, l’atmosfera più calda, farà evaporare enormi masse d’acqua, e quindi se per esempio provengono delle perturbazioni da nord, dall’Artico, dalla Siberia, potrebbero portare anche neve d’estate, sicuramente porteranno molta più acqua nei nostri emisferi e toglieranno l’acqua alla parte tropicale e subtropicale; quindi di nuovo il sud del mondo sarà penalizzato da una gigantesca pompa che prenderà acqua da là facendola evaporare e la riverserà da noi, magari portando uragani e devastazioni.
È stato fatto uno studio dal Global Dynamic Insitute che ha messo in correlazione l’emissione di gas serra, cioè l’anidride carbonica proveniente dal petrolio e dal carbone, con la frequenza del numero dei cicloni che sono paurosamente aumentati negli ultimi venti-trent’anni. Purtroppo la correlazione è drammatica, il coefficiente di correlazione è 0,9917, quindi praticamente c’è una corrispondenza esatta, matematica, tra aumento dell’effetto serra e aumento del numero dei cicloni; ma potrei citare l’aumento della frequenza del fenomeno dell’acqua alta a Venezia, potrei citare le sciagure di questi ultimi anni del Mozambico, recentemente, del Costarica, dell’America Latina, tre o quattro devastanti uragani e cicloni, il numero dei cicloni nei Carabi sempre più alto: chi è che paga questi danni? In teoria li dovrebbero pagare i petrolieri.
Questo è quindi, sostanzialmente, il mio elenco della prima parte, potrebbe essere veramente lunghissimo, e comprendere ad esempio la rottura della fascia dell’ozono che ci ripara dai raggi ultravioletti e l’eutrofizzazione del mare Adriatico. Voglio aggiungere soltanto che non è che si voglia fare del catastrofismo, non serve a nessuno; si devono sapere le cose come stanno, sapere che se l’anidride carbonica continua ad aumentare nell’atmosfera, ad un certo punto non ci sarà più possibilità di vita sul pianeta, perché, come vi ho fatto vedere prima, la vita sul pianeta è apparsa quando l’anidride carbonica è andata via.
L’atmosfera del nostro pianeta fratello, Venere, è ricca di anidride carbonica e la temperatura è più 420 gradi, ed ogni anno cresce: perché su Venere non c’è possibilità di vita? La risposta la si può insegnare ad un ragazzino delle elementari: tutti sanno che l’acqua bolle a 100 gradi, le piante, gli animali, gli uomini sono all’80- 90% fatti di acqua.
A più 420 gradi nessuna forma vivente, animale o vegetale, potrebbe avere alcuna possibilità. di vita. Quindi l’effetto serra potrebbe cancellare la vita dal pianeta terra; è ovvio che questo stesso discorso riguarda tutto: la terra coltivabile non sarà ad un certo punto più sufficiente per sfamare in nessun modo la popolazione in crescita, non sarà possibile convertire le giungle e le foreste in terra coltivabile senza guastare irreparabilmente il polmone verde che assicura la vita sulla terra.
Quindi noi siamo di fronte, per la prima volta nella storia dell’umanità, ai vincoli biofisici globali del pianeta e con questi dobbiamo fare i conti. Questo non significa mettere da parte il discorso basilare, che per me è da sempre motivo di battaglia e di impegno, della equa distribuzione delle ricchezze: non può esistere uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo che tenga conto dei vincoli biofisici del pianeta, senza l’equa distribuzione delle risorse.
Ma l’equa distribuzione delle risorse, la solidarietà globale deve andare anche d’accordo con questi nuovi dati acquisiti dalla scienza dei grandi cambiamenti globali.
Si arriva così a introdurre, e qui passo alla seconda parte della mia relazione, il concetto di sviluppo sostenibile, cioè l’usare le nostre risorse in maniera armonica, corretta dal punto di vista termodinamico, dal punto di vista fisico; in particolare, Georgescu-Roegen, grande economista americano scomparso da una diecina d’anni, sottolineava che la disponibilità di ogni generazione è influenzata dal consumo delle generazioni precedenti. Una quantità di legno, di vegetale che cresce sarà a disposizione per le generazioni future, mentre ogni Cadillac o strumento di guerra significa meno aratri per qualche generazione futura e implicitamente anche meno esseri umani.
Il numero di anni di durata prevedibile delle risorse accertate è 36 per il rame, 100 per l’alluminio, 240 per il ferro, 26 per il piombo, 13 per il mercurio, 17 per lo stagno, 23 per lo zinco. Numeri piccoli nella scala dei tempi biologici; fa notare Georgescu-Roegen che la maggior parte di questi materiali non è riciclabile. Nonostante questo, a maggior ragione, il riciclaggio dei rifiuti è un discorso ovviamente basilare. È quindi all’interno di questi vincoli biofisici che si deve muovere la programmazione economica, al contrario di quanto afferma il pensiero unico di cui vi avrebbe sicuramente parlato in maniera magistrale Marco Revelli, il pensiero unico dell’economia nazionale, quella che ieri è stata fortemente bacchettata dal Papa, dicendo che non possono essere poche multinazionali e pochi paesi a decidere il destino e l’economia del mondo.
La programmazione economica, invece di seguire il diktat di queste poche multinazionali, dovrebbe essere fatta in sintonia con i ritmi della natura e con le dinamiche dei cicli biogeochimici globali. Ritengo, da questo punto di vista, che il bellissimo disegno del vostro Convegno potrebbe essere proprio un simbolo di questa armonia, che parte dalla biodiversità della terra, dalla biodiversità dei prodotti e dalle biodiversità culturali, religiose, filosofiche, che sono il grande patrimonio genetico culturale e storico di questa meravigliosa evoluzione biologica, di questo meraviglioso pianeta.
I vincoli servono a definire la carrying capacitydel pianeta, cioè la capacità del pianeta di portare, di sostenere la popolazione e tutte le altre forme viventi, vegetali e animali, di cui l’uomo e la natura hanno bisogno per sopravvivere. Questa è la base della sostenibilità. Se il pianeta fosse adibito soltanto a fare grano per dare da mangiare agli uomini, e si abbandonassero tutte le grandi diversità delle specie animali e vegetali si rischierebbe moltissimo, perché basterebbe un virus per far sparire quella monocoltura. E qui di nuovo viene un grande insegnamento, da un grande, grandissimo personaggio della storia italiana, San Francesco d’Assisi: quando diceva ai suoi frati di fare l’orto, diceva sempre di lasciarne una parte a selvatico. “Preparate l’orto per mangiare”, poi andavano anche a pesca nel torrente, ” ma lasciate una parte a selvatico”.
Perché? Perché in qualche modo, evidentemente, sapeva che quel selvatico serviva per impollinare le piante, per far vivere una serie di microrganismi, di farfalle, di insetti, che sono tutti essenziali per la vita del pianeta, perché la vita non è proprietà di un singolo individuo o di una singola specie. La vita è una proprietà globale, è un’interazione tra energia, materia, forme, molecole, cicli biologici, ecosistemi, piante, animali, tutti facenti parte di un unico globale. E ovviamente la vita, come scriveva Lucrezio nel De rerum natura, non è qualche cosa che appartiene solo a noi, ma passa da cosa a cosa e deve essere trasmessa alle generazioni future. E qui si viene a questo importantissimo concetto di sostenibilità, che è legato al concetto di capitale naturale.
Il capitale naturale è l’insieme della biodiversità delle specie viventi. In questo insieme c’è un qualche cosa che la scienza ha sempre trascurato: la qualità e la bellezza. La nostra scienza occidentale è basata su un folle assunto antiestetico, proprio di Newton, e anche di Einstein, proprio di Cartesio e di Bacone, che dice che in scienza contano solo i numeri e la quantità, come se le bellezze, le forme non contassero nulla; pensate all’importanza scientifica del suono degli uccelli, dei colori nella natura, il corteggiamento degli uccelli passa attraverso messaggi cromatici, la danza meravigliosa degli uccelli del paradiso, tutta questa bellezza, l’estetica, i colori, le forme, sono parte integrante dell’evoluzione biologica, e se sono parte integrante dell’evoluzione biologica devono essere anche dentro il libro della scienza. Una scienza che esclude la qualità, la bellezza, la diversità, le forme e l’estetica è secondo me una scienza rozza, una scienza meccanicista.
Il Premio Nobel Prigogine, che vive a Bruxelles, in una prefazione a un mio recente libro ha scritto che molti dei mali del mondo vengono dallo statuto promulgato in Inghilterra dalla Royal Society nel 1650. In questo Statuto, ancora vigente, c’è scritto che “scopo della scienza è occuparsi delle tecnologie, delle industrie, delle manifatture, delle produzioni delle merci, senza pasticciare con filosofia, etica, religione, morale, estetica”.
Senza pasticciare: cioè uno scienziato, se si occupa di etica, di filosofia, pasticcia. Credo al contrario che oggi uno scienziato globale dovrebbe mettere tutte queste meravigliose cose nelle sue ricerche scientifiche, altrimenti si vive in maniera schizofrenica, da una parte la quantità e la razionalità, dall’altra il nostro istinto, i nostri affetti, la qualità, la bellezza, la forma. Io ritengo che queste cose vadano integrate in una visione scientifica moderna, globale, diversa, che ci dovrebbe insegnare qualche cosa di nuovo.
Un qualcosa di nuovo è legato alla fondazione di questa nuova disciplina, che ormai ha dieci anni di vita, che si chiama Ecological Economics, la disciplina dello sviluppo sostenibile, che è un tentativo, scrive il suo Presidente, il professor Robert Costanza dell’Università del Maryland, di superare le frontiere delle discipline tradizionali, per sviluppare una conoscenza integrata dei legami tra sistemi ecologici ed economici. Un obiettivo chiave in questa ricerca è quello di sviluppare modelli sostenibili di sviluppo economico, distinti dalla crescita economica che non è sostenibile su un pianeta finito. Un aspetto chiave nello sviluppare modelli sostenibili è il ruolo dei vincoli: vincoli termodinamici, biofisici, limiti di risorse naturali, limiti all’assorbimento dell’inquinamento, limiti demografici, vincoli imposti dalla carrying capacity del pianeta e soprattutto limiti della nostra conoscenza rispetto a ciò che questi limiti sono e a come influenzano il sistema biofisico globale.
Si arriva così alla definizione di sviluppo sostenibile, che è stata fatta propria nel 1987 dalle Nazioni Unite: lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che viene incontro ai bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni. Quindi è una vera e propria solidarietà generazionale, uno sviluppo esteso alle generazioni future. Questa sostenibilità si basa su una serie di regole e principi, sui due principi base dello sviluppo sostenibile, dovuti a un grande economista americano, che ha lavorato per anni con sua moglie, una sociologa brasiliana, in modo particolare nei paesi dell’America Latina, Hermann Daly.
Daly è un cattolico americano, professore di economia ecologica e ha posto le basi della teoria della sostenibilità. Questi due principi dovrebbero in qualche modo sostituire i principi dell’economia classica, le regole auree della crescita, e sono secondo me basilari e fondamentali. Il primo principio di Daly si chiama principio del rendimento sostenibile, e dice che la velocità del prelievo delle risorse deve essere uguale alla velocità di rigenerazione.
Cioè, si può tagliare tanti alberi quanti facciamo in tempo a farne ricrescere, si può pescare tanti pesci quanti facciamo in tempo a fare in modo che vengano riprodotti. Il secondo principio è che la velocità di produzione dei rifiuti deve essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono immessi, altrimenti distruggiamo, ovviamente, il serbatoio in cui viviamo. Questo pianeta, questa terra, l’unica che abbiamo, rischiamo di distruggerla.
Le due capacità, la capacità di rigenerazione o di rendimento sostenibile e quella di assorbimento, devono essere trattate come capitale naturale, sono un’eredità che ci viene da 4.600 milioni di anni. Per fare un esempio: quando la flotta peschereccia italiana di Mazara del Vallo ha cominciato a pescare con le reti a strascico ha distrutto in vent’anni il bentos del Canale di Sicilia. Il bentos è un capitale naturale che ha alle spalle una storia di 600 milioni di anni. In venti anni abbiamo distrutto 600 milioni di anni, e poi siamo andati a rubare ai tunisini, poi la flottiglia ha sconfinato nei mari della Tunisia.
Il fallimento – questa è una regola economica base – nel mantenere un capitale deve essere considerato una cosa negativa, quindi il fallimento nel mantenere queste capacità, le due capacità, i due principi, deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile.
C’è quindi da riscrivere una nuova pagina di economia che non verrà accettata dagli economisti tanto facilmente, perché mina alla base i loro principi, i loro dogmi, le loro convinzioni di crescita. Recentemente è apparso un articolo che ha fatto scalpore. Il primo firmatario è Robert Costanza, proprio il Presidente della società mondiale di Ecological Economics.
Per due o tre anni migliaia di scienziati in tutto il mondo, in Europa, in America Latina, in Asia, in Africa, hanno accumulato milioni di dati per valutare, per la prima volta, qual è la ricchezza che il pianeta terra ci dà. Il lavoro è apparso sulla più importante rivista scientifica mondiale, su Nature, la rivista in cui scrivono i premi Nobel.
Qual è stato il risultato di questa ricerca?
Non voglio leggervi tutto il contenuto dell’articolo, soltanto due numeri: hanno fatto una stima di qual è la ricchezza che ogni hanno la natura produce per noi, in termini di pesce, di legname, di biomassa, di energie naturali. Questa ricchezza, al valore di mercato di oggi, è equivalente a 33 trilioni di dollari USA all’anno.
Questo numero va paragonato con il Global National Product totale, cioè con la somma di tutti i PIL di tutti i paesi del mondo, cioè con la somma di tutti i Prodotti Interni Lordi – quelli che se aumentano il telegiornale ci dice che va tutto bene – cioè il prodotto mondiale lordo, il prodotto di tutte le attività industriali, artigianali, agricole del mondo, che è di 18 trilioni di dollari Usa all’anno.
La cifra di 33 trilioni di dollari, a causa dell’incertezza dei punti di riferimento, deve essere considerata una stima minima; quindi la natura produce ogni anno una ricchezza che è doppia di tutta la produzione di tutte le multinazionali, le industrie, le attività umane del mondo.
Ma la cosa incredibile è che se oggi comprate il Sole 24ore, c’è scritto che va tutto bene se c’è un aumento del 3% del PIL, si va alla grande, poi non si capisce perché la disoccupazione dilaga, perché il gap tra paesi industrializzati e paesi del Terzo Mondo sta aumentando, perché la povertà aumenta anche all’interno dei paesi industrializzati : penso a molte realtà che conosco negli Stati Uniti dove ho lavorato per due anni e dove le sacche di povertà sono presenti, un paese che tira, che si dice che tira, la cui economia è in crescita.
Se c’è un aumento del 3% il Sole 24ore ci dice che va tutto bene, che siamo a posto, la nostra economia tira – l’Italia poi non ci arriva mai, arriva a malapena al 2% – comunque, vuol dire che questo 18, facendo un conto molto veloce, diventerebbe 18,6: l’aumento del 3% vuol dire qualcosa meno dello 0,6%. Quindi se da 18 si arriva a 18,6 siamo tutti più contenti. Il 33 era 54, è sceso da 54 a 33 in vent’anni. Ogni anno abbiamo perso non 0,6, ma due o tre unità, cioè quasi dieci volte tanto.
E questa è la ragione per cui siamo tutti più poveri, perché il gap tra paesi industrializzati e paesi del Terzo Mondo sta aumentando, perché la disoccupazione giovanile anche in Italia, nonostante la crescita, dilaga. Ma gli economisti della crescita, gli economisti classici non se ne accorgono, o fanno la politica dello struzzo, non lo so, non ho capito ancora molto bene questa cosa. Quello che è certo è che se la terra produce sempre meno per noi, se investiamo sempre meno nel capitale naturale, cioè nel ripiantare alberi, nel far nascere pesci, nel far nascere animali e magari prelevare la selvaggina, nel fare agricoltura, nel fare pesca, se investiamo sempre meno in questo che è il settore primario e produciamo soltanto beni artificiali, magari predicando l’usa e getta, la rottamazione delle macchine, se viviamo sempre più in maniera più energivora, è ovvio che non si va da nessuna parte, perché da una parte ci arrabattiamo per far crescere il 18 a 18,6, cioè più 0,6, e dall’altra parte perdiamo 2, 3 o addirittura 6 nell’arco dello stesso anno.
Quindi distruggere il capitale naturale è la più grande follia che l’uomo abbia mai pensato con la sua ambizione da tecnocrate. Nello stesso tempo, e questi sono i grandi insegnamenti di Daly, di questo grande economista americano, non possiamo confondere il capitale naturale con il capitale prodotto dall’uomo.
La pesca è limitata dalla popolazione dei pesci, non dal numero dei pescherecci. È inutile fabbricare altri pescherecci, si va a distruggere altro bentos, e non si pesca più prima o poi; bisogna avere più pesci, non più pescherecci; è inutile fare più fabbriche di motoseghe, come è successo con i soldi della Comunità Europea in Salvador, quando ormai l’ultimo ettaro della foresta era stato tagliato.Ci vogliono più alberi, non ci vogliono più motoseghe. E così via.
Quindi il problema di fondo, oggi, è che il fattore limitante non è più il capitale prodotto dall’uomo, ma il capitale naturale. Non si tratta di investire per fare più merci e più fabbriche, ma di far in modo che la natura continui a dare quello che per centinaia di milioni di anni ha dato all’uomo e cioè il suo capitale naturale, le sue ricchezze naturali. Consci come siamo che nel mondo stiamo passando da un’era in cui il fattore limitante era il capitale prodotto dall’uomo – prima per dare lavoro bisognava fare fabbriche – a un’era in cui il fattore limitante è quel che rimane del capitale naturale.
Quindi non si deve investire nel fare ulteriori fabbriche che modifichino la natura, ma nel far crescere il capitale naturale, la natura stessa. Senza seguire l’ideologia dell’economia della crescita. Il fondamento che ha spinto l’ideologia della crescita non è la logica dell’economia classica.
Se ci sono degli economisti, sapranno che nelle teorie dell’economia classica, penso ad esempio ad Adam Smith, era molto chiaro che la crescita doveva fermarsi ad un livello ottimale, altrimenti diventava crescita non economica. Noi l’abbiamo superata: come abbiamo superato il limite demografico del pianeta, così abbiamo superato il limite di crescita economica.
E questo discorso vale a maggior ragione per i paesi in via di sviluppo. Perché se noi distruggiamo il capitale naturale, quelli che ci rimettono di più sono loro, il gap di povertà aumenterà sempre di più; non è il nostro modello di crescita quello da esportare per far decollare un minimo di dignità e di prodotti essenziali nei paesi in via di sviluppo, ma al contrario un’economia basata sul capitale naturale, altrimenti rischia di essere una crescita non economica.
Ora dirò una cosa che io non ho mai detto in pubblico, ne ho scritto, riportando le citazioni dell’autore, questo economista americano, Hermann Daly, ma non l’ho mai detta in pubblico perché è una cosa un po’ forte. Credo però che questa sia la platea giusta per dirla, vediamo quali saranno le vostre reazioni.
Daly dice che storicamente la spinta alla crescita è venuta da risposte pratiche fatte dagli economisti ai tre principali problemi, ciascuno associato con il nome di un grande economista della crescita:
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Malthus per la sovrappopolazione,
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Marx per l’ingiusta distribuzione delle ricchezze,
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Keynes per la disoccupazione involontaria. La crescita è la risposta comune ai tre problemi sollevati dai tre moderni economisti.
Daly critica duramente tutti e tre. Malthus, il reazionario, il conservatore inglese del secolo scorso, Marx e l’economista americano moderno Keynes, per questi tre problemi, perché loro pensano, tutti e tre, che i tre problemi, della sovrappopolazione, della distribuzione delle ricchezze, della disoccupazione, si risolvano con la crescita economica, quindi distruggendo in ultima analisi il pianeta. Ora, scrive Daly, si pensa che si sia posto rimedio alla sovrappopolazione con la transizione demografica.
Quando il PIL, prodotto interno lordo pro capite, raggiunge un certo livello, scrivono gli economisti della crescita, i bambini diventano troppo costosi in termini di rinuncia ad altri beni, e la velocità di crescita automaticamente decresce. È quello che successe in Svezia trent’anni fa e quello che è successo in Italia negli ultimi anni. La crescita economica è il miglior contraccettivo, come dice lo slogan. Ci si arriva automaticamente, da sé, come è successo in Svezia e in Italia.
Ora la totale idiozia di questa affermazione è sottolineata dal fatto che come conseguenza si dovrebbe dire, scrive sempre Daly, che il consumo indiano pro capite può aumentare fino al livello svedese, perché la fertilità indiana decresca a livello svedese. Ma se succedesse questo, che cosa accadrebbe all’ecosistema indiano, come risultato di quel livello di consumo totale?
Pensateci un momento, a quello che potrebbe succedere all’India o alla Cina se consumassero come gli svedesi, se bruciassero energia come gli svedesi: dopo dieci anni nessuno più sopravvivrebbe su questo pianeta, e nel frattempo è davanti agli occhi di tutti che non sta succedendo così, sta succedendo esattamente il contrario, gli indiani sono sempre più poveri; quindi non sarà mai l’economia della crescita che porterà a questo.
Daly ancora sottolinea: l’ingiusta distribuzione di ricchezza tra le classi, ci viene detto dagli economisti della crescita, è resa tollerabile dalla crescita. L’alta marea che fa salire tutte le barche, per richiamare un altro slogan, è uno slogan di Marx. Invece la crescita ha aumentato la disuguaglianza sia all’interno che tra le nazioni, questo è davanti agli occhi di tutti. Per rendere le cose peggiori, scrive Daly, anche la metafora dell’alta marea è sbagliata, perché l’alta marea in una parte del mondo implica una bassa marea da qualche altra parte, si salta totalmente il concetto di equilibrio, il concetto di vincoli termodinamici e vincoli biofisici del pianeta e si pensa che con la crescita economica si abbatteranno le disuguaglianze, mentre si arriverà solo ad una maggiore distruzione del capitale naturale, a una maggiore distruzione degli ecosistemi, si renderanno più povere le generazioni future, i figli che devono ancora nascere, mantenendo o addirittura aumentando il gap tra paesi industrializzati e paesi del Terzo Mondo.
Su questa cosa ha dato un contributo bellissimo una meravigliosa donna italiana che purtroppo ci ha lasciato e che forse molti di voi conosceranno, con Ettore Masina l’abbiamo conosciuta nei banchi del Parlamento italiano, Laura Conti. Laura Conti, quando noi eravamo nella sinistra indipendente, era deputata del PCI e aveva fatto una critica fortissima proprio alla visione della crescita di Marx.
Ora guardiamo invece la risposta che dà Daly, bellissima, stupenda. C’è bisogno di soluzioni dirette e radicali ai problemi di Malthus, Marx e Keynes: il controllo della popolazione per trattare la sovrappopolazione, la procreazione responsabile, come diceva Padre Balducci; la ridistribuzione della ricchezza per trattare l’eccessiva disuguaglianza, e per la disoccupazione, un impiego nel settore pubblico come ultima risorsa e la riforma della tassa ecologica per aumentare i prezzi della risorsa in relazione al lavoro; quindi l’introduzione di lavoro, di investimenti nel capitale naturale, piantare alberi, allevare pesci, fare in modo che la natura continui a rendere come rendeva prima, non distruggendola da tutte le parti.
Investire meno nella produzione di merci industriali e investire molto di più nel conservare, difendere e far servire l’ambiente, ottenendo il duplice obbiettivo di attivare un enorme numero di posti di lavoro e di aumentare il benessere materiale della società, proprio in termini di ricchezza prodotta. Questa non è la frase di un ecologista, di un ambientalista, questa è la frase di un grande economista, di uno dei più grandi economisti viventi, dell’Università del Maryland, Stati Uniti, e mi sembra che sia un frase molto importante e molto bella, anche per rilanciare l’occupazione in Italia, e ovviamente non prendere il PIL, prodotto interno lordo, come dio feticcio, perché il PIL aumenta anche se succede un incidente sull’autostrada, il PIL aumenta anche se c’è un incendio nella foresta e dobbiamo correre ai ripari, il PIL è un indicatore completamente rozzo e stupido, per quanto riguarda l’economia reale, rozzo e stupido, non ha niente di scientifico, non ha niente di serio, è solo un dogma di coloro che ragionano solo in termini di borse, di finanze, di cambi, come purtroppo ci sono, in tutto il panorama politico italiano, all’opposizione e al governo, tra moltissimi di quelli che oggi hanno responsabilità importanti all’interino di questo paese.
Questa crescita del “mondo pieno” spinge ogni paese a sfruttare ulteriormente i beni globali rimasti, cioè si va a distruggere le ultime cose che ci sono, si va a mercificare qualsiasi cosa, ed a cercare di crescere nello spazio ecologico e nei mercati di altri paesi.
Si sgomita da tutte le parti, distruggendo, non guardando alla qualità del cibo, si introducono i grassi cancerogeni nella cioccolata e la Comunità Europea approva ed allora non avremo più la cioccolata vera; si sgomita per crescere in quel poco spazio ecologico rimasto, ed i giapponesi tagliano ormai migliaia di ettari al giorno di foresta amazzonica. Questa follia collettiva la chiamiamo globalizzazione.
I bassi salari impediscono anche alla maggioranza della classe lavoratrice di importare e quindi di dissipare il surplus del commercio. La maniera per tenere i salari bassi è di avere un surplus di lavoro. Un surplus che si può ottenere da una immigrazione facile e da tassi di natalità elevati per la classe lavoratrice.
La globalizzazione economica richiede perciò, per la prosperità di una nazione, che la maggioranza della classe lavoratrice dei suoi cittadini debba essere povera, crescere di numero e vivere in un ambiente che si deteriora continuamente.
Questa è la base della globalizzazione a livello mondiale. La globalizzazione, attraverso la crescita finalizzata all’export, è la nuova pietra filosofale degli alchimisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni economiche internazionali. Le nazioni possono tutte a turno trasformare il loro piombo in oro attraverso il libero commercio.
In verità, la globalizzazione sta accelerando la transizione verso un’era di crescita non economica, un tempo nel quale, per citare ancora una volta quell’economista ecologico della prima era che è John Ruskin, ciò che sembra essere ricchezza è diventato l’indizio dorato di una rovina di vasta portata.
A questo punto vorrei dedicare la terza e ultima parte del mio intervento al problema delle biotecnologie, dell’ingegneria genetica, come esempio eclatante di quello che sta succedendo sulle nostre teste, alle nostre spalle, nel campo scientifico e industriale, come esempio eclatante di tutto quello che ho detto finora, cioè di una visione distorta del fare merci, del creare ricchezza.
Il ragionamento che viene fatto è il seguente: la gente deve mangiare, perciò produciamo cibo a più basso prezzo: una logica di mercato. A questo punto, si mettono in lizza miliardi di dollari di ricerca, ovviamente come sempre le multinazionali americane sono in prima fila, questa volta accompagnate da quelle olandesi, da quelle giapponesi e da quelle inglesi, e queste multinazionali da anni studiano come manipolare geneticamente le piante, gli animali e l’uomo.
Ovviamente i mass media danno grande risalto all’argomento; quasi tutti i quotidiani di oggi portano come prima notizia la scoperta della chiave della vita, per l’ennesima volta si è vista la sequenza di questo DNA. Però attenzione, perché sui cibi transgenici la Comunità Europea ha posto uno stop. Nonostante le multinazionali americane e inglesi – ovviamente l’Inghilterra ha votato a favore – la Comunità Europea, l’agricoltura francese, quella spagnola e con molte incertezze quella italiana, hanno messo uno stop ai cibi transgenici.
Allora viene fatto un tentativo: si adopera addirittura la platea del festival di San Remo e si manda il premio Nobel Dulbecco, uno degli apprendisti stregoni che è a capo dell’ingegneria genetica, una persona che non considero uno scienziato, anche se ha vinto il premio Nobel, ma solo un manipolatore di informazioni e di geni. Addirittura i giornali scrivono: il professor Dulbecco, premio Nobel, ha avuto un gettone inferiore a quello della valletta. Lui non è andato lì per i 100 milioni del gettone, lui è andato lì perché sta difendendo interessi di decine di migliaia di miliardi di dollari, vale a dire le multinazionali dell’ingegneria genetica.
Allora, si fa il cibo a basso prezzo, perché la gente muore di fame e gli diamo il cibo transgenico. Poi non sappiamo, però, se tra due o tre generazioni questo porterà malformazioni genetiche, morti, mutanti, mutazioni. Non lo sa nessuno: per cui si adopera il mondo per fare da enorme cavia, tanto chi ha i soldi non avrà bisogno di comprare il cibo con la soia transgenica, andrà a comprare il cibo ad alto prezzo di qualità, la nicchia di mercato.
Quindi si fa un esperimento, per la prima volta, sulla pelle di tutta l’umanità. Verranno immessi nei supermercati dei cibi transgenici; io spero di no, ci sono in Italia dei buoni segnali. Nella mia regione, la Toscana, io sono di Siena, hanno fatto scrivere a me e a mia moglie un editoriale, senza nemmeno mettere un briciolo di censura o di modifica. Noi abbiamo sparato a zero, come sto parlando con voi oggi, sull’Informacoop che va a 400.000 persone, tutti i soci Coop della Toscana, e si sono impegnati a non far entrare cibi transgenici nei magazzini Coop in Toscana.
Bisognerà stare molto attenti, comunque, perché poi faranno il trucco come con la cioccolata, non ci sarà scritto sull’etichetta, e allora non sarà così facile sapere quale soia è transgenica, quale riso è transgenico, quale grano, quale frutta. Si fa così un esperimento in cui la cavia è l’umanità intera, in cui ci saranno milioni di persone, prese per fame, che compreranno questi cibi e poi, tra un paio di generazioni, vedremo se queste cose danno mutazioni genetiche oppure no.
Due precisazioni: ci sono quattro parole che hanno lo stesso significato:
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ingegneria genetica,
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clonazione,
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biologia molecolare,
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cibi transgenici;
sono la stessa cosa, gli stessi apprendisti stregoni che manipolano queste cose.
Attenzione, non sono totalmente contro all’uso della ricerca in questo campo quando si fabbrica per esempio l’insulina per i diabetici, questo si fa in laboratorio. L’insulina non è di per sé cibo ingegnerizzato, si ingegnerizza solo il batterio che la produce, quindi nell’insulina non c’è niente di male, va più che bene, non voglio demonizzare totalmente tutte le ricerche in questo campo, ma quelle nella direzione del cibo, degli animali e dell’uomo sicuramente sì.
Addirittura si compie la più grande beffa scientifica, la più grande disonestà scientifica del mondo. Dicono: se riesco a ingegnerizzare una pianta, per esempio di frumento, o che so, una pianta di vite, questa lo faccio non solo perché sia più bella da vedere, che poi è un discorso molto relativo: tutto uguale, tutto rotondo, tutto dello stesso colore, io diffiderei di questa che non è diversità.
A me piace la mela col baco, perché se piace al baco vuol dire che è sana. Facciamo queste piante che rendono di più, tutte belle uguali, le immettiamo nel mercato e facciamo anche una meravigliosa operazione ecologica: ecco qui la truffa.
Perché questa pianta riesce da sola a uccidere i virus, i parassiti, gli insetti, addirittura tutti e tre: virus, parassiti e insetti, per cui non abbiamo più bisogno di usare i pesticidi, quindi è una pianta ecologica. Ora pensate:
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una pianta che viene posta nel terreno e che è un killer capace di uccidere virus parassiti e insetti, che cosa farà ai diecimila microrganismi del terreno?
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Cosa farà a tutti gli altri piccoli animaletti che ci vivono intorno?
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Cosa farà alle radici delle altre piante?
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Cosa farà in termini di mutazione?
Se un killer è così forte da poter uccidere virus, parassiti e insetti, evidentemente può uccidere tutto quello che gli sta intorno e domani può uccidere un’altra pianta, e domani può partire nel terreno, nell’agricoltura, in questa meravigliosa terra che abbiamo avuto in eredità da 4.600 milioni di anni, un’azione di omologazione e di killeraggio senza precedenti.
E ce la gabellano come pianta ecologica, perché uccide da sola gli insetti, ma non è una pianta carnivora, è il nostro frumento, è la nostra mela, la nostra uva. E io dovrei bere quel vino?
Questa è la prima cosa che fanno, poi vogliono clonare gli animali, vogliono farli tutti uguali. E qui veramente non hanno studiato Darwin, perché se avessero studiato un po’ di biologia saprebbero che la biologia è storia di biodiversità, che l’evoluzione biologica ha creato migliaia, milioni di tipi di farfalle, di uccelli, di animali, sei miliardi di individui, uno diverso dall’altro.
Qualcuno, una volta, mi ha chiesto in un dibattito della televisione austriaca: “Ma lei, professore, potrebbe avere un sosia?”.
Può darsi che ci sia uno uguale a me, in qualche parte del mondo, ma non parlerebbe col mio accento senese, non avrebbe il mio background, non avrebbe le mie conoscenze, non sarebbe della contrada della Giraffa, quindi non è un mio sosia. A parte il fatto che poi creano la pecora, hanno già fatto 102 pecore Dolly, e regolarmente muoiono, perché si dimenticano per esempio del gene della vecchiaia, perciò a due mesi è come se avesse 120 anni, oppure si dimenticano del gene del latte, quindi dà lana ma non dà più latte, quindi non potrebbe più allevare degli agnellini:
fanno queste pecore tutte clonate, tutte uguali.
La mia denuncia è che questo è contro la natura, è contro la storia della vita, perché la vita è una storia di biodiversità, non è una storia di clonazione, la clonazione è l’opposto della biodiversità, vuol dire fare tutto uguale, tutte le pecore uguali, perché ci interessa la lana, perché è il mercato che la vuole, non la biologia che la vuole; poi si va a toccare quella cosa sacra che è il genoma umano, si vuole anche mettere le mani su queste cose, e si vuole fare quello che nemmeno i nazisti hanno osato fare nei loro terribili esperimenti nei lager, cioè si vuole veramente creare una razza per così dire eletta, sana, perfetta, meravigliosa, non so se tutta bionda o tutta nera, non mi interessa. Quello che mi interessa è che la clonazione, essendo omologazione, essendo distruzione delle biodiversità è secondo me qualche cosa che nega l’esistenza stessa di quella meravigliosa storia di evoluzione biologiche da cui noi veniamo..
DIBATTITO
DOMANDA (Competelli Antonio) – C’è una corrente di pensiero, facente capo ad Alex Langer, che ritiene più idoneo parlare di futuro sostenibile, ritenendo inidoneo parlare di sviluppo sostenibile, forse perché come sviluppo si intende incremento di attività produttive, forse perché siamo influenzati dalla foga di aumentare il PIL. Le chiedo se ci sono coincidenze tra i termini “sviluppo sostenibile” e “futuro sostenibile”. La ringrazio per la risposta anche a nome di tanti amici ed estimatori di Alex Langer.
RISPOSTA – Alex era anche un mio carissimo amico, credo che la mia relazione abbia già chiarito questa cosa. È chiaro che “sviluppo sostenibile” vuol dire “futuro sostenibile” per tutte le popolazioni del mondo, vuol dire solidarietà estesa a tutti i popoli del mondo, solidarietà estesa agli animali e alle piante, solidarietà estesa non in senso conservativo, ma nel senso di uso armonico delle risorse della flora e della fauna, e ovviamente solidarietà generazionale, quindi “futuro sostenibile”.
Invece alcuni economisti della crescita, in Italia, hanno preso il concetto di “sviluppo sostenibile” che è stato coniato da noi con questo significato, con questa idea del futuro sostenibile, e l’hanno tout court tradotto in “crescita sostenibile”: la scorrettezza non è nella parola “sviluppo sostenibile”, ma nell’uso che è stato fatto da questi economisti, Modigliani in testa.
Da questo punto di vista, quindi, “sviluppo sostenibile” coincide con il concetto di “futuro sostenibile”, con grande attenzione all’uso delle risorse, con una base scientifica, seria, di modelli. Per chi fosse interessato, all’Università di Siena, facendo scambi da dieci anni con tutti i laboratori del mondo – io mando i miei giovani a lavorare negli Stati Uniti da Prigogine e da Daly, tutti gli anni – abbiamo in mano per la prima volta in Europa il know how per gli indicatori di sostenibilità da applicare in vari territori: se qualcuno di qualche Provincia o Comune è interessato – per ora è stato fatto un solo studio, in Italia, nella provincia di Modena, uno studio che è durato un paio d’anni, è costato circa 150 milioni – se qualche amministratore o gruppo è interessato a lavorare in questa direzione, noi siamo ben contenti di collaborare e di mettere a disposizione il nostro know how.
Per concludere, Alex Langer aveva ragione a parlare di “futuro sostenibile” e ovviamente quelli che intendono per sviluppo l’incremento delle attività produttive o addirittura l’aumento del PIL ci stanno prendendo per il sedere.
DOMANDA (Fausto) – Una domanda molto breve. Ho letto recentemente su una rivista la relazione di uno stu-dioso, sinceramente non ricordo il nome, però un italiano, che con il suo gruppo sta lavorando alla fusione fredda, che è quella cosa che sembrava fosse una barzelletta, non se vi ricordate qualche anno fa, venne dato questo annuncio, poi venne ridicolizzato, ma ora sembra che non sia una barzelletta, peccato però che naturalmente non ci siano investimenti su questa cosa, perché significherebbe avere una fonte di energia a basso costo non inquinante che chiaramente scardinerebbe il sistema del petrolio.
Se il professor Tiezzi è informato, volevo una conferma su questo. Dico subito, però, in coda alla domanda, che una scoperta di questo tipo, per quanto straordinariamente importante, se confermata, andrebbe nella direzione dell’ecologia dell’efficienza, cioè nella direzione di avere uno strumento che è in grado, con un impatto ambientale molato ridotto, anzi nullo rispetto a quello di altre forme di energia, di fornire una grande quantità di energia, però per tutti i discorsi che ha fatto anche il professor Tiezzi poco fa, è evidente che una ecologia dell’efficienza non è sufficiente, serve un’ecologia della sufficienza, cioè un’ecologia che ci porti ad adottare stili di vita diversi, compatibili con il quadro che prima è stato delineato.
Chiaro che noi non soltanto depriviamo i poveri del mondo delle risorse in termini monetari, li stiamo depredando delle risorse anche in termini ambientali. La Rete, che è nata dall’idea della restituzione di ciò che era stato sottratto e l’ha realizzata in termini di solidarietà “monetaria”, l’autotassazione, mi sembra che potrebbe fare un passo in questa direzione, cioè vedere la restituzione in termini di stile di vita, di assunzione di comportamenti: su questo argomento ormai in Italia stanno venendo avanti una serie di movimenti, di sensibilità, che vale la pena penso di prendere in considerazione.
RISPOSTA – Condivido tutte le considerazioni finali, quindi non entro nel merito. Uno dei modi del colonialismo moderno è anche quello di rubarci l’informazione, di rubarci la scienza, il modo di fare scienza.
La fusione fredda: io ho molta paura del nucleare, almeno del nucleare vecchio, quello che rompe l’atomo, la fusione è un processo diverso, è mettere insieme due atomi per tirare fuori energia. Uno dei ricercatori che lavora su questo è della mia facoltà, il Professor Piantelli, dell’Istituto di Fisica dell’Università di Siena, credo che sia molto importante ricercare in quella direzione, non credendo però di avere già la soluzione in tasca, e meno che mai di demandare tutto a un’unica soluzione.
La cosa bella è una diversità di energie, l’usare il più possibile le energie del luogo, quindi la eolica, la geotermica, le biomasse, il biodiesel, l’idroelettrico, la cogenerazione, l’energia da rifiuti, il solare, il fotovoltaico; tante piccole energie insieme forse danno più risposte di un’unica risposta, o tutto petrolio, o tutto nucleare. Però la ricerca sulla fusione nucleare come sull’idrogeno può essere una ricerca molto importante, ma attenzione, perché qui si va a toccare il punto fondamentale dell’esistenza delle multinazionali economiche.
È nostra convinzione – abbiamo parlato spesso anche con gli amici dello sviluppo sostenibile negli Stati Uniti, in Brasile, in America Latina – che dietro al problema dell’energia ci sia un patto faustiano tra i paesi produttori e i paesi consumatori. Il grande guadagno va in mano alle multinazionali, sostanzialmente anglo-americane, alle sette sorelle del petrolio che anche quando si va a toccare il 5% del loro profitto, non hanno problemi ad ammazzare– il caso di Enrico Mattei insegna, voglio dire, ed ora anche l’ENI è diventato subalterno alle scelte delle multinazionali del petrolio; sono i responsabili dell’effetto serra, ma non sono loro a pagare la distruzione del Mozambico o quella dei cicloni o quella delle inondazioni.
Queste multinazionali controllano il prezzo del petrolio. Mi domando, anche in seguito a quello che ha detto il Papa ieri sera, è giusto che siano i Paesi dell’OPEC a decidere il prezzo del petrolio? Non dovrebbero essere le Nazioni Unite o tutti i paesi del mondo? Perché solo quelli che hanno in mano la manipolazione o la produzione di questa fonte di energia così criminale, così terribile per il pianeta?
Infatti, cosa fanno di solito? Ogni volta che ci sono delle ricerche nella direzione dell’effetto serra, investono miliardi perché ci siano ricerche alternative che dicano che l’effetto serra c’è sempre stato, vere e proprie menzogne, ma che vengono scritte da fior di scienziati foraggiati a suon di miliardi. E quando c’è un’energia che comincia ad essere competitiva, come è successo con l’eolica in California, abbassano il prezzo del petrolio e la tagliano fuori dal mercato.
Quando le energie alternative sono un po’ indietro rialzano il rezzo del petrolio, poi lo riabbassano, in modo tale che fanno fallire, nel mezzo, tutti quelli che si mettono a fare energie alternative di vario tipo, e a maggior ragione, le ricerche in questa direzione.
Bene, questo è un patto faustiano: tra i paesi produttori di petrolio ci sono moltissimi paesi arabi, e moltissimi finanziamenti al fondamentalismo islamico, alle armi del fondamentalismo islamico, vengono ovviamente dai petrodollari. Quindi i soldi che vanno a foraggiare il fondamentalismo islamico, ivi comprese le armi algerine, vengono dalle multinazionali del petrolio, le quali hanno il diritto di decidere qual è il prezzo dell’energia nel mondo.
DOMANDA – Faccio una breve domanda. Premetto che appartengo a quel mondo di coltivatori biologici, che ho da molto tempo amato, che abbiamo messo in piedi molti anni fa, e che adesso seguiamo. Noi siamo preoccupati di una cosa, e volevo chiedere al professor Tiezzi se aveva elementi per illuminarci su questo.
Oggi i nostri campi sono vicini ad altri campi; ci stiamo già organizzando per difenderci anche in termini giuridici, perché non c’è nel diritto alcu-na norma chiara in questo senso, perché se il vicino coltiva con la diossina, questa arriva anche nel mio campo, e quan-do mi produce un danno, oggi mi rispondono: “La diossina sono autorizzato a metterla”, però non hai il diritto di danneggiare il mio campo.
Stiamo difendendoci anche in termini giudiziari, però non sappiamo, questa è la domanda, se le impollinazioni crociate possono interferire sulle nostre sementi; quindi se il vicino, magari a sua insaputa, o perché il mercato glielo propone, mette della soia transgenica o del mais transgenico, questo viene a interferire con le impollinazioni, anche nel nostro campo che riteniamo naturale, di sementi antiche, o comunque da noi selezioniate? Questa è la domanda che ci preoccupa molto, perché vorrebbe dire che anche la nostra agricoltura biologica verrebbe fatalmente inquinata a nostra insaputa.
RISPOSTA – Rispondo brevemente dicendo che non è il mio campo, io mi occupo di problemi energetici e di indicatori di sostenibilità, però la preoccupazione c’è, senza il mimino dubbio, e non può non esserci. Bisognerà stare molto attenti e vedere se succede qualcosa del genere e a quel punto partire immediatamente con le denunce. Questo forse sarà il modo giusto per bloccare la diffusione dei cibi transgenici. C’è anche la speranza,però, che la natura, selezionata dall’uomo in centinaia di anni, con la sua meravigliosa biodiversità si sappia difendere e non accetti l’impollinazione di un gene troppo semplice come quello clonato.
* Professore universitario.
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