Mons. ANDREA GHETTI – Profumo di santità – Angelo Nocet
ALLA MEMORIA DEL PRETE CHE MI HA CAMBIATO LA VITA
Mons. Andrea Ghetti – Baden
Oh! le tue notti: quanto hai pensato a noi: a uno a uno: ci hai seguito col cuore e con tutta l’anima: “Che sarà di te, povero bambino mio che sarà di te?”. Mamma come vorrei poterti dire che sono contento.
L’ultima notte. Il silenzio della casa: la tua casa: dormivamo. “…così non avete potuto vegliare un’ora con me?” E tu ti sei andata preparando a morire: quella notte hai sentito la fine: i dolori non ti costernavano più: hai sentito l’ora della tua morte. Forse hai avuto paura: e noi dormivamo. Poi la tua messa: il tuo pontificale. Che Messa santa: tu offerta, tu vittima:l’accettazione della volontà divina, lo strumento del Sacrificio.
Quale vuoto! Dove non c’è più la mamma come è vuota la casa. Mamma, più conosco a che cosa consiste la santità, più io vedo che tu sei santa: il dovere: compiuto a fondo senza mia lamentarsi, senza mai scoraggiarsi. Il dovere delle piccole azioni quotidiane, dei piccoli sacrifici.
Piccole mani tagliate dal freddo, rugose: e a scuola tenevi i guanti perchè ti vergognavi farle vedere.
90 lire messe ogni mese alla Cassa di risparmio nel libretto di Vittorio: 90 lire risparmiate per la vocazione e a costo di quali sacrifici.
Alle tue scolare, mi han detto, io insegno di non far peccati, perchè Dio ci vede: tutto alla presenza di Dio.
Vestiti raccolti, piena miseria, aggiustati: Quale povertà: anche morta ti hanno messo un vestito regalato. I funerali fatti con denaro a prestito. Perchè questa tua luce deve restare nel buio?
Mamma guardami
Mamma confortami
Mamma aspettami.
Vorrei scrivere “chiamami…”, ma ho paura che sia troppo dolore per gli altri, e forse troppo presto per me.
Questi esercizi mi hanno indicato una meta: la santità del dovere. E basta. Tu corrobora il mio carattere.
Mi benedica il Signore, come ci ha amato. Amore: Signore te lo voglio restituire nei poveri, nei bambini, nei peccatori.
Addio mamma prega per me.
Baden
Nasce l’11 marzo del 1912 ed è ordinato sacerdote, a Milano, nel 1939.
Intensissima la sua vita: dall’attività di docente di filosofia presso il Collegio Arcivescovile S.Carlo di Milano, alla sua opera di assistente spirituale della FUCI, al suo lavoro di Ispettore delle Scuole di Religione presso la segreteria dell’ufficio catechistico dove risultava aggiunto per la sezione Apologetica, al suo lavoro di giornalista per l’Italia prima ed in seguito per Avvenire.
Fu con il card. Montini tra i fondatori de “Il Segno”, che diresse per vent’anni e uno degli animatori più entusiasti di ogni iniziativa diocesana prima tra tutte la Missione di Milano.
Assistente regionale dell’ASCI contribuì a ricostituire, durante il periodo fascista, le “Aquile Randagie”, il movimento scout clandestino. Fa il suo ingresso solenne come parroco al Suffragio il 4 ottobre 1959 e vi rimane fino al 5 agosto 1980 giorno della sua tragica morte a Tours.
mons. Andrea Ghetti
FACCIAMO MEMORIA
La frenetica attività edilizia di don Portaluppi ha praticamente lasciato ben poco da fare ai suoi successori, ma se sono poche le opere materiali e artistiche che possiamo ascrivere alla volontà di don Ghetti, perchè don Angelo Portaluppi aveva praticamente esaurito tutto il fattibile, non sono elencabili le iniziative attivate in parrocchia, soprattutto per i giovani e per chiunque avesse bisogno. Negli anni ’60 sono una trentina i gruppi attivi, a diverso titolo, nella comunità. Ognuno poteva trovare nelle molteplici associazioni la forma più adatta per prendere il proprio posto nella chiesa: per “sporcarsi le mani”.
Sarà ricordato soprattutto per la volontà di SERVIRE, secondo la legge scout, fino in fondo: “La vita vale come dono, come servizio, come amore!” è stato trovato scritto tra i suoi appunti e per la sua attenzione all’uomo nella molteplice sfaccettatura dei suoi problemi e della sue situazioni.
Se per don Portaluppi l’alfa e l’omega della permanenza tra noi sono costituiti dall’effige del Sacro Cuore, per don Andrea la sua alfa ed il suo omega sono costituiti da una mensa per i lavoratori e dalla Mensa per il Cristo. Infatti nel 1960 , al suo arrivo, ristruttura il piano terreno della canonica, dando più spazio ai ragazzi dell’oratorio per giocare, e fa realizzare un bar-mensa per i molteplici lavoratori pendolari che operano in zona e grazie a questa istituzione, hanno un servizio utile e confortevole.
Nel dicembre del 1979 viene invece consacrata la nuova Mensa eucaristica realizzata secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II.
Attivo, dinamico, mai domo ci piace ricordarlo come don Giorgio Basadonna nel saluto del 14 agosto del 1980: “… Qualcosa è cambiato dentro di noi. Ci siamo riforniti di coraggio e di entusiasmo, ci stringiamo la mano, ci guardiamo in volto e ciascuno riparte col suo zaino carico di speranza e di dolore sull’unica grande strada che conduce a Dio. Ciascuno sente che tu sei ancora presente,ci accompagni,ci sostieni e cammini con noi”.
(G.Basadonna … Sempre pronto! un profilo di don Andrea Ghetti)
«capace di sognare e far sognare noi ragazzi», così lo ricordano in tanti. «Il cristiano non ha tempo libero, perché quello che ha lo mette a disposizione degli altri». Quasi urlava mentre organizzava le sue “missioni” di solidarietà : dal Polesine, all’invasione dei russi in Ungheria, dal Vajont all’alluvione nel Trentino, da Nomadelfia ai mutilatini di don Gnocchi, al rifugio in Stazione Centrale di fratel Ettore. «Noi dobbiamo uscire: questo è il tema della Chiesa adesso. Uscire sulle strade e andare nelle case». Lo disse a Concilio non iniziato.
ne (era nato nel 1912). E il metodo educativo dell’associazione lo avrebbe segnato. «Mi ha impresso alcune caratteristiche che sono rimaste per tutta la vita: una ricerca della verità, anche se talvolta duramente pagata, capacità di iniziativa, il coraggio di ricominciare sempre dopo ogni sconfitta, la gioia del servizio», avrebbe ripetuto più volte. Una fedeltà allo scoutismo che don Ghetti non ha rinnegato anche quando espresse le sue riserve sulla fusione tra le due associazioni, maschile e femminile, da cui sarebbe nata l’attuale «Agesci».
«capace di sognare e far sognare noi ragazzi», così lo ricordano in tanti. «Il cristiano non ha tempo libero, perché quello che ha lo mette a disposizione degli altri». Quasi urlava mentre organizzava le sue “missioni” di solidarietà : dal Polesine, all’invasione dei russi in Ungheria, dal Vajont all’alluvione nel Trentino, da Nomadelfia ai mutilatini di don Gnocchi, al rifugio in Stazione Centrale di fratel Ettore. «Noi dobbiamo uscire: questo è il tema della Chiesa adesso. Uscire sulle strade e andare nelle case». Lo disse a Concilio non iniziato.
ne (era nato nel 1912). E il metodo educativo dell’associazione lo avrebbe segnato. «Mi ha impresso alcune caratteristiche che sono rimaste per tutta la vita: una ricerca della verità, anche se talvolta duramente pagata, capacità di iniziativa, il coraggio di ricominciare sempre dopo ogni sconfitta, la gioia del servizio», avrebbe ripetuto più volte. Una fedeltà allo scoutismo che don Ghetti non ha rinnegato anche quando espresse le sue riserve sulla fusione tra le due associazioni, maschile e femminile, da cui sarebbe nata l’attuale «Agesci».
sacerdozio. Sempre impegnato tra i giovani, docente in collegi arcivescovili e poi di
religione al Parini, assistente della Fuci, nel 1946 sarebbe stato assorbito dal rilancio
dell’«Asci». Nel 1959 l’arcivescovo Montini gli affidò la popolosa parrocchia di Santa Maria del Suffragio. «Occorre un parroco che porti la Croce con sapienza e con carità, tutto imbevuto di Vangelo e di Grazia di Dio». Così scrisse l’arcivescovo. L’anno dopo sarebbe nato «Il Segno», il mensile cui il cardinale affida il compito di instaurare un dialogo continuo con la comunità ecclesiale. E Ghetti sarebbe stato fino alla morte il direttore e avrebbe invitato i cattolici ad uscire dal complesso di inferiorità che vedeva crescere nella comunità ecclesiale. «Dobbiamo tutti reagire – scriveva nell’ultimo editoriale – il nostro assenteismo permette ad altri di scrivere la storia. Bisogna che ognuno abbia una chiara presa di coscienza del patrimonio cristiano, capace di una consolante risposta ad ogni istanza umana».
DON ANDREA GHETTI:
UN’ICONA DELLA PENTECOSTE
Non ho conosciuto personalmente mons. Andrea Ghetti, parroco in S. Maria del Suffragio dal 1959 al 1980, ma avendo ascoltato tante persone, avendo letto qualcosa di lui, ma soprattutto avendo toccato con mano la sua presenza, tuttora potente e significativa nel tessuto della mia comunità parrocchiale – in particolare nel mondo dei giovani (Scout) e della caritativa – me lo immagino così: come un’icona della Pentecoste.
Mons. Tonino Bello ha scritto:
Troppe volte dimentichiamo che i simboli della Pentecoste non sono il divano, la sedia, le pantofole, la camomilla, il nostro chiuderci dentro la nostra casa, la tv accesa, ma sono il vento, il fuoco – simboli forti che indicano passione, vita, fantasia, creazione, movimento. Lo Spirito Santo ci scaraventa nel mondo. Ci vuole creature di azione, di movimento.
Don Andrea me lo immagino proprio così: creatura di azione scaraventata nel mondo, «con il fuoco nel cuore e ai piedi le ali».
Mi conduce a questa immagine l’omelia tenuta al suo funerale da Sua Ecc.za mons. Libero Tresoldi:
Un prete che non poteva essere rinchiuso in un ambito pur così bello così grande e così ricco come quello di una comunità parrocchiale. Eccolo allora pronto quando l’esigenza del servizio lo chiama là dove si manifestano le situazioni più imprevedibili e più difficili.
«La vita vale come dono, come servizio, come amore» è stato il suo motto e lo Scoutismo ha esaltato in maniera formidabile le sue doti, i suoi sogni. Così si descrive:
Lo Scoutismo a me personalmente ha dato molto. Mi ha impresso alcune caratteristiche che sono rimaste per tutta la mia vita di prete: una ricerca della verità anche se talvolta duramente pagata, capacità di iniziativa, il coraggio di ricominciare sempre da capo dopo ogni sconfitta, la gioia del servizio.
E nella gioia del servizio di tutti e dei poveri in particolare ha trovato Dio e ha fatto trovare Dio a molti. Come mirabilmente ci comunica questo racconto:
Un antico asceta orientale, noto in tutto il mondo per la sua santità, viveva circondato da alcuni discepoli che ammaestrava con i suoi insegnamenti.
Dopo tre anni di vita comune, tre di quei discepoli vollero cominciare la loro missione nel mondo.
Dieci anni più tardi tornarono a far visita al maestro. Ognuno gli raccontò la propria esperienza:
«Io – incominciò il primo con una punta d’orgoglio – ho scritto tanti libri e venduto milioni di copie».
«Tu hai riempito il mondo di carta», disse il maestro.
«Io – prese a dire il secondo con fierezza – ho predicato in migliaia di posti».
«Tu hai riempito il mondo di parole», disse il maestro.
Si fece avanti il terzo: «Io ti ho portato questo cuscino perché tu possa appoggiare senza dolore le tue gambe malate», disse.
«Tu – sorrise il maestro – tu hai trovato Dio».
E in un uomo della Pentecoste non poteva mancare il colore della festa e dell’amicizia: don Andrea è stato un amico splendido e prezioso. Fanno testo due testimonianze folgoranti.
La prima è di don Giorgio Basadonna che così lo salutava il 14 agosto del 1980:
Siamo qui a farti festa, Baden.
Ogni volta
che ci si incontrava con te,
era sempre una festa,
perché tu portavi
la tua nota di gioia,
di entusiasmo, di fiducia,
perché tu andavi sempre
fino in fondo
e davi coraggio e ottimismo.
La seconda, ancora più suggestiva e intrigante, è quella del suo Arcivescovo Giovan Battista Montini che così gli scriveva nel gennaio del 1962:
La tua solidarietà, la tua amicizia, il tuo impegno pastorale mi consolano assai e sorreggono la mia debolezza a lavorare, la mia tristezza a sperare.
Splendida l’umanità dolorante di Montini, invidiabile questa amicizia!
Nel secondo libro dei Re si racconta il rapimento di Elia in cielo:
Elia disse a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te».
Eliseo rispose: «Due terzi del tuo spirito diventino miei».
Quegli soggiunse: «Sei stato esigente nel domandare. Tuttavia se mi vedrai quando sarò rapito lontano da te, ciò ti sarà concesso; in caso contrario non ti sarà concesso». (2 Re 2,9-10)
Io non ho visto «rapire» don Andrea ma oso chiedere al Signore: che almeno un terzo del suo spirito passi in me, parroco in S. Maria del Suffragio dal 1994.
Don Mirko
dall’Informatore Parrocchiale – luglio 2000
Mons. Andrea Ghetti “Baden”
L’anonima fossa al cimitero di Musocco ha lasciato il posto ad una tomba “seria” nella Casa dello Scout in Via Burigozzo a Milano, ma non so quanto ci sia di diverso.
Gregorio di Tour diceva, riferendosi agli uomini del passato,”che noi siamo dei nani sulla spalle di giganti”. L’immagine è ancora valida oggi. Don Andrea è certamente stato un gigante nello scautismo e il suo pensiero e la sua convinzione continueranno ad aiutarci per vedere lontano.
Oggi più che mai avremmo bisogno di giganti…!
Nel passato non mi sono mai posto il problema della mia sepoltura, tanto mi sembrava irrilevante. Ieri, però, ho deciso di lasciar detto che mi dispiacerebbe esser sepolto a Milano. Non è che ce l’abbia coi milanesi, brava gente senz’altro. In certi settori sono i migliori d’italia, ma a seppe lire i morti proprio non ci sanno fare. Non si può manovrare le bare con la catena di montaggio!
Tu arrivi a Musocco per accompagnare un tuo carissimo amico nell’ultima “route” e ti trovi improvvisamente di fronte ad una specie di fossa comune, fonda due metri e lunga cinquanta: man mano che arrivano le bare vengono calate a distanza uguale una dall’altra, come in una zona colpita da grave calamità naturale. Verso sera, passa la ruspa e copre tutti.
Roba da milanesi, che a noi romagnoli fa senso.
Forse lo scatolificio Schiassi, che ho in parrocchia, può sistemare così in fila la produzione in magazzino, ma mi rifiuto di accettare che si possa fare altrettanto coi defunti.
In Romagna è vivo il culto dell’individualità, tanto è vero che si usano ancora molto i nomi strani ed originali e quando, per poca fantasia dei genitori, uno si chiama solo Giuseppe o Pietro, allora si vede affibbiare un soprannome colorito, che valorizza la sua personalità.
Non devono esserci confusioni: se ogni uomo – come dice Chesterton – è una parola di Dio che non si ripete mai, allora deve avere un segno distintivo che lo faccia riconoscere con sicurezza tra gli altri.
Ho sottomano il bando contro il”Passatore” del Commissario Pontificio per le quattro legazioni. Ogni membro della banda è descritto con molti particolari somatici, per favorire il riconoscimento a chi desiderasse collaborare con la giustizia. A fianco di ogni nome è sempre segnato, in apposita casella il soprannome: Lasagna, Mattiazza, Teggiolo, Ghigno, ecc. In Romagna si è sempre usato così perché gli abitanti sono tutti un po’ anarchici e repubblicani: ognuno è una repubblica per conto suo una specie di S. Marino in miniatura. Anche dopo la morte c’è il rispetto dell’individualità: ognuno ha diritto alla “ sua” buca o alla sua lapide originale, e i cimiteri non danno mai l’idea di un esercito di morti schierati in attesa dell’ispezione. Casomai è un esercito di garibaldini: ognuno ha la sua brava divisa fuori ordinanza ed anche dopo morto deve conservare un certo spirito bersaglieresco. Vuole infatti la tradizione, che i bersaglieri dopo morti sappiano fare ancora sette salti.
Qualcuno mi chiederà perché stia facendo questa specie di dissertazione sui romagnoli passati a miglior vita. È un atto di doverosa solidarietà verso il mio amico, il mio fratello scout, le cui spoglie mortali erano ieri laggiù allineate, in attesa della scarica di terra dell’impietosa ruspa milanese.
Per nascita era metà romagnolo, ma per temperamento molto di più e mi ha dato molto fastidio vederlo invece sistemato secondo la rigida e anonima disciplina funeraria ambrosiana.
lo credo che don Andrea, o meglio “ Baden” (da buon romagnolo si era infatti scelto un soprannome più personalizzato) starebbe meglio sepolto nel piccolo cimitero di VaI Codera, la dove ognuno, anche dopo morto, rimane qualcuno e non un numero e una lapide uguale alle vicine.
Che don Andrea avesse una origine romagnola credo Io si possa affermare senza dubbi anche senza ripercorrere la storia della sua famiglia.
Basti pensare, per esempio, al soprannome: di Baden tutti sanno che n’è esistito già uno ma quello si chiamava anche Powell. Credo che don Andrea da giovane si fosse ispirato proprio al buon vecchietto fondatore dello scautismo per scegliere il soprannome. Era un segno d’affetto, di rispetto e di fedeltà che sottolineava la scelta precisa di uno stile di vita caratterizzante. Il soprannome per don Andrea era una specie di uniforme che evidenziava i tratti, già tanto marcati, della sua ricca personalità.
lo ho sempre fatto fatica a chiamarlo “Baden”, preferendo il nome di battesimo, ma ora mi accorgo che quel soprannome, prima che per gli altri, era per lui una bandiera, un cappello piumato, un’armatura, il segno di una fedeltà allo scautismo.
Questa fedeltà romagnola aveva una grande carica di sentimento; come prova basterebbe ascoltare ancora le note e le parole dei “Canti di mezzanotte”, di cui Baden fu uno degli autori, e che ebbero un ruolo importantissimo nel delineare lo stile scout – diciamo così – dell’ASCI. Vale la pena di ricordare anche che il libretto fu poi gettato nel dimenticatoio dagli iconoclasti della nuova generazione politicante, intellettualoide e sessuologa, per sostituirlo con le canzoni da osteria e della protesta chitarraia.
La fedeltà e l’amore di don Andrea allo Scautismo non potevano arrendersi alle astuzie della diplomazia; quando le cose presero una brutta piega egli denunciò il pericolo a chiare parole, a rischio di diventare impopolare. Divenne infatti un personaggio scomodo a molti e rifiutato dalle strutture. Questa sua capacità di non scendere a compromessi fa di lui uno dei personaggi chiave dello scautismo italiano. L’associazione ha resistito negli anni bui perché qualche fiaccola è rimasta a indicare il giusto cammino, mentre troppi capi ed assistenti, per mantenersi un consenso, hanno giostrato tra la contestazione ed “il riflusso”, gestendo tranquillamente prima l’una poi l’altro.
Tante robuste intuizioni, tante geniali interpretazioni dello scautismo, e del roverismo in particolare, le ha seminate col cuore don Andrea a Colico e fortunatamente sopravvivono ancora, sfidando l’usura del tempo e l’insipienza degli uomini.
Romagnolo nell’anima « Baden » lo era in pieno.
I romagnoli non sono mai stati degli amministratori ma dei pionieri. La Romagna da sempre è stata una regione di frontiera e non ha voluto perdere questa sua vocazione nemmeno dopo l’unità d’Italia. I Romagnoli, eredi dei loro antenati che avevano militato nella “decima legio” di Cesare, cercarono allora nuove frontiere nelle grandi lotte sociali, nelle bonifiche e infine, oggi li troviamo impegnati nell’avanguardia dell’organizzazione turistica.
Una lapide ad Ostia ricorda che le prime bonifiche pontine furono iniziate, all’inizio del novecento, dai braccianti romagnoli. Dopo un anno di lavoro il venti per cento erano morti di malaria ma gli altri non si arresero e rimasero tenacemente sul posto, pur di conquistare un pezzo di terra da coltivare.
Don Andrea fu sempre un “prete d’assalto”, aperto a qualsiasi impresa scout. Era capace anche di stare dietro alla scrivania parrocchiale; tante anime hanno trovato la soluzione dei loro problemi e la tranquillità della propria coscienza proprio tra le mura del sùo accogliente ufficio ma era insuperabile in un campo, in una route o in una operazione di soccorso.
La sua presenza faceva diventare quell’attività di “prima classe”, degna di diventare storia associativa se non leggenda.
Come non ricordare anche i suoi colpi di mano, i suoi blitz, organizzati per burla in vari campi nazionali.
E romagnolo non erano forse il suo modo di fare un po’ scanzonato e il suo parlare ricco di paradossi?
In Romagna, quando s’incontra un amico, in segno d’affetto gli si da una manata sulle spalle e gli si rivolge un brutto auguraccio. Chi non conosce il carattere di quella gente rimane esterefatto; c’è poi da spaventarsi assistendo ad una discussione tra due romagnoli: ad un estraneo quella animata polemica a voce alta, quei toni violenti, lasciano ragionevolmente supporre che tutto possa concludersi tragicamente e invece… terminerà tranquillamente davanti ad una bottiglia di Sangiovese.
L’irruenza nel parlare, il tono alto della voce, il calore delle parole, il gesticolare delle mani sono la manifestazione esteriore di forti convinzioni, che ognuno cerca di manifestare con tutti i mezzi della propria personalità. I canoni della espressione romagnola spesso mettono in difficoltà, se non in crisi, chi non li conosce e non sa che certi modi, qualche volta un po’ rudi, sono il segno di un animo e non di una animosità di un animo che ha il gusto della polemica, della difesa dei diritti e di una certa rivolta permanente verso l’ordine costituito. La Romagna è stata la patria o il rifugio di molti grandi rivoluzionari, che sapevano parlare col cuore ed al cuore.
Anche don Andrea ha avuto il gusto della polemica, della battaglia, magari per la difesa dell’uniforme scout. I suoi articoli sono sempre stati ispirati ad una rivoluzione permanente interiore ed anche esteriore, non per distruggere ma per costruire sempre meglio.
A Colico si corre! . I toni romagnoli sono sempre un po’ bersagliereschi ma a che cosa si ridurrebbe lo scautismo se si sedesse e perdesse la fierezza del proprio dinamismo e della propria identità?
Ora che don Andrea ci ha lasciati rimpiangeremo certo di non avergli dato, negli ultimi anni, sufficiente spazio e sufficiente ascolto.
E’ troppo facile e comodo scegliere chi diplomaticamente sa dare ragione a tutti. Don Andrea era invece un prete scomodo perché aveva il coraggio di compromettersi e di dire apertamente e di slancio il proprio parere.
Qualcuno, mi par già di sentirlo, dirà che Baden negli ultimi anni era stato messo un po’ da parte per non aver saputo comprendere la nuova situazione giovanile. lo credo che l’avesse capita fin troppo bene e che le sue reazioni fossero proprozionate al desiderio di mantenere lo scautismo un movimento di élite e di controcorrente alle mode dilaganti. Certo don Andrea non ammetteva, i compromessi e le mezze misure, che oggi ci siamo abituati ad accettare in nome di una pseudo unità associativa. Voleva che ragazzi ed adulti fossero fieri ed entusiasti di una scelta scout, capace di dar loro una marcia in più.
Non aveva simpatia per lo scautismo in blu jeans, sciatto e mimetizzato.
Ce ne fossero ancora molti di preti nello scautismo, poco o niente disposti al permissivismo ed al possibilismo e capaci di alzare la voce al momento opportuno!
Don Andrea ce ne ha dato l’esempio: la sua sofferenza, la sua polemica, l’ardore dei suoi slanci ci assicurano sul suo amore paterno verso lo scautismo. La sua morte ci lascia un po’ orfani: abbiamo perso un padre. L’associazione ha molti funzionari, molti professori, molti « quadri, ‘ ma pochi padri!
Mi è venuta anche la tentazione di paragonare don Andrea a Geremia, un romagnolo ante litteram . Anche al tempo del profeta il popolo, piuttosto che ascoltare la sua parola infuocata, che proponeva una vita difficile ed impegnativa, preferiva rivolgesi a coloro che lo blandivano e lo accarezzavano con previsioni di tranquillità e di sicurezza.
Don Andrea non era certamente per uno scautismo facile, addomesticato, che vada bene per tutti.
Rispetto alla parola data, vita rude, chiarezza d’idee, scelte impegnative e fedeltà alla Chiesa erano le note caratteristiche del suo ideale scout, un ideale ASCETICO.
Oggi invece si tende piuttosto a proporre uno scautismo sociale, che accontenti tutti, una specie di ricreatorio. Vuoi i blue jeans nell’uniforme? Eccoti i jeans. Vuoi le ragazze? Eccoti le ragazze. Camminare è fatica? allora ci sediamo e facciamo. una bella discussione; e così via.
Come per Geremia credo che anche per don Andrea fosse una grande sofferenza vedere in molti posti uno scautismo anonimo, adagiato, seguace di mode e costumi forestieri, piuttosto che lievito e luce.
Uno scautismo che insegni solo a diventare e a vivere come tutti gli altri, che renda uguali, non può piacere ad un romagnolo. Uno scout lo si deve notare subito: per il suo sorriso, la voglia di lavorare, la competenza, il desiderio di essere utile, il suo stile di comportamento: deve essere -infatti – avanti e sopra gli altri, altrimenti che esploratore è?
Per questo mi dispiace che le spoglie mortali del romagnolo don Andrea Ghetti, uno dei pochi e veri profeti dello scautismo cattolico italiano, siano diventate un numero qualsiasi di un piatto cimitero milanese invece di esser sepolte in Val Codera, in alto tra le cime dei monti.”
da Esperienze e Proge
don Annunzio
Sono stato in forse se riproporre questo brano a distanza di così tanti anni, ma poi ho deciso per il si. Ho pensato, infatti, che anche queste mie righe possano servire almeno tenere vivo un “certo” ricordo di don Andrea e della sua ricca personalità sacerdotale e scout, così difficile da trovare nei ricordi ufficiali, e farlo conoscere a quanti, specialmente per motivi di età, non hanno potuto incontrarlo.
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