01 – PIERLUIGI MICHELI: SINFONIA DI UN AMORE – Angelo Nocent
Posted on novembre 28th, 2009 by Angelo
PIERLUIGI MICHELI:
sinfonia di un amore.
Di Angelo Nocent
Dieci anni fa usciva dalla nostra vista ma non dalla nostra vita.
Nei suoi appunti la sintesi teologica dell’ hospitalitas, carisma che ha condiviso con i Fatebenefratelli, da medico laico al servizio della città ambrosiana di ogni estrazione.
L’ hêgoúmenos della discretio e della misericordia, litteratissimus et humanus.
Alcuni mesi fa, proprio su queste colonne, era scoppiata una piccola ma graffiante polemica con i laici partecipanti al 66° Capitolo Generale a proposito del documento che avevano elaborato e presentato ai Padri Capitolari. Nel proporre all’attenzione la figura del Dr. Pierluigi Micheli, credo di fornire una risposta più convincente e meno astratta del tipo di laico di cui hanno bisogno la Chiesa e l’Ordine Ospedaliero.
La lunghissima sua presenza all’Ospedale “San Giuseppe” di Milano che risale agl’anni ’50 e si protrae fino al 1980, dapprima come consulente esterno e per un quindicennio da Primario della Divisione di Medicina Generale, hanno permesso a lui di esprimersi al meglio nel progetto vocazionale cui si è sentito chiamato ed agl’altri di sperimentarne le doti di mente e di cuore. Proprio per questo, alla vigilia del pensionamento (haimè, solo alla vigilia!) è stato aggregato all’Ordine per i riscontrati requisiti indicati dagli Statuti Generali. Il riconoscimento non è un premio di fine servizio ma un legamen che assume il significato di un atto formale da parte della Chiesa, dati i presupposti:
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Ha professato la fede cristiana;
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Ha dimostrato una condotta esemplare per i costumi e per la vita familiare e professionale;
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Ha manifestato stima all’ Ordine, cooperando alle sue opere di carità in modo notevole.
Ciò significa che la sua vita è stata e va tutt’ora letta e riconosciuta come una interpretazione fedele ed autentica dello “spiritum hospitalitatis”, ossia del carisma peculiare che la Chiesa riconosce ai Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio, patrono universale dei malati e degli operatori sanitari. Egli lo ha vissuto da “Christifidelis laicus”, ossia da discepolo del Signore che ha portato a maturazione il suo battesimo nello status di persona coniugata ed esercitando la professione-vocazione di medico. E che di vocazione si tratti è lui stesso ad ammetterlo:
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“Chiunque sia chiamato ad assistere i malati guarda a Cristo come esempio, deve imitarlo nella discretio e nella misericordia.
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L’etica del medico non è tanto nell’atto di sanare quanto nel gesto di carità;
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la dignità è data dal sigillo del divino;
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l’arte medica deve essere ritenuta come coinvolgimento totale, come operazione caritativa che, per noi che la leggiamo in linguaggio cristiano, vuoI dire vedere in ogni ammalato l’immagine di Cristo.”
Egli era così convinto di ciò che ha scritto e lo ha fissato per tenerlo bene in mente e viverlo: “l’orizzonte della medicina, dell’ars medica, se non viene ridotto a coordinate puramente tecnico-strumentali e non si dimentica l’umano, l’etico, lo spirituale, è veramente grandioso. Diceva Platone che chi insegna medicina deve essere, secondo una antica immagine, l’ hêgoúmenos che prende per mano il discepolo, aiutandolo a percorrere un tratto con sé, per lasciarlo poi proseguire sui suoi piedi con la forza dello slancio acquisito” ( Cf. 27).
Ciò che non è successo fin’ora a tanti di noi, può ancora accadere: lasciarci prendere per mano e seguire questo hêgoúmenos che ci ha preceduti in età, sapienza e grazia. Forse la sua visione dell’uomo la diamo per scontata e posseduta. E qui sta il nostro difetto dominante: d’impigliarci nella rete dei quattro soliti luoghi comuni, senza prestare più ascolto alle tante voci della sapienza e della saggezza di chi ci è stato amorevolmente mandato da Dio proprio a tale scopo. I medici San Riccardo Pampuri e Pierluigi Micheli praticamente coprono l’arco del secolo che abbiamo lasciato alle spalle.
Questi due astri luminosi del ‘900 sono stati inviati a rischiarare il cielo imbronciato delle nostre giornate di operatori sanitari ostinati in pigre abitudini e dalla fede stanca o malata. Pura casualità? Non posso crederlo: è provvido disegno di Dio. Nella vigna che è Sua, ha mandato i profeti per rivisitare il nostro dire e fare in sanità. Siamo orchestre di corto respiro per reggere all’imponenza mirabile del poema sinfonico della carità che si trova in quello spartito ispirato dal Cielo che è il capitolo 13 della prima ai Corinzi. Su Riccardo la Chiesa ha detto la sua definitiva parola. Su Pierluigi auspichiamo che avvenga e che sulla sua tomba il dolore continui a trovare conforto.
In una di quelle sue notti pensose così ha scritto il nostro Micheli:“L’uomo pensa, ama, soffre, ammira, prega, tutto insieme con il suo cervello, con tutti i suoi organi e con la sua anima (CarreI). La tecnica non è l’unico fattore determinante del progresso come credeva Renan. La persona umana è formata di carne (è l’Io biologico), di intelletto (l’Io pensante), di speranza (l’Io credente).
Da questa coscienza ricava la consapevolezza che “La medicina deve occuparsi dell’uomo nella sua totalità: l’avvenire della medicina è condizionato dal concetto che si ha dell’uomo. Il colloquio del medico ricorda la confessione. Ippocrate insegnava che il medico deve mortificare l’insolente, il prepotente; ristabilire l’ordine, l’isonomia; è ministro di giustizia, deve essere messaggero di speranza, di ottimismo, di certezza nell’avvenire. Sua deve essere una sacralità caritativa e poetica: litteratissimus et humanus (Flavio Biondo). Deve essere come il samaritano che reca l’olio per ottenere attraverso la guarigione del corpo e la salute la ripresa delle ordinarie occupazioni, degli affetti domestici, della socialità Cf. 108).
L’obiezione viene spontanea: come e quando tutto ciò può accadere se io quest’uomo che pensa, ama, soffre, ammira, prega… neanche lo vedo! Don Tonino Bello, Vescovo, a tanti di noi direbbe sconsolato: “siete evangelizzatori di pratiche!”.
Negli appunti è stata rinvenuta questa annotazione che ci riguarda da vicino: “Nel giugno del 1978 su invito del Padre Generale vi fu un incontro dei direttori sanitari e di un gruppo dei medici dei Fatebenefratelli sul tema:”I Fatebenefratelli tra la riforma e il rinnovamento”. In questo incontro un gruppo di loro definì l’ospedale religioso un ospedale configurato nella stretta osservanza dei principi cattolici, pur nella funzione pubblica del servizio. …Ma preferirei dire che l’ospedale religioso è un luogo di evangelizzazione. Evangelizzare vuoI dire vedere i problemi quotidiani con la lampada del Vangelo, vuoI dire vedere nel malato l’uomo condividendo con lui le sue sofferenze, le sue preoccupazioni, i suoi rimpianti, le sue speranze” ( Cf. senza numero).
Il quel “preferirei dire” c’è il testamento che lascia agli operatori sanitari: evangelizzare vuol dire vedere-condividendo. Impresa certamente non facile. Infatti, così si legge da un’altra parte:“La medicina è un arte, richiede un supplemento d’anima” (f.108). Quel “supplemento” noi continuiamo a chiamarlo HOSPITALITAS, ossia carisma. Ogni giorno di più ci rendiamo conto che non si compera né si baratta: è dono dello Spirito. E l’Ospedale che sognamo è fare di un’azienda, imposta ed impostata sulle leggi di mercato, un “luogo carismatico”: “Vi sono diversi doni, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono vari modi di servire, ma uno solo è il Signore. Vi sono molti tipi di attività, ma chi muove tutti all’azione è sempre lo stesso Dio. In ciascuno, lo Spirito si manifesta in modo diverso, ma sempre per il bene comune.”
La carica per procedere contro corrente ci viene dall’Apostolo che ci invoglia e ci invita: “Aspirate ai carismi più grandi…” (1 Cor 12, 31). Epperò, se avessi…se avessi…se avessi…ma… “se non ho amore, sono un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto “ (1 Cor 13, 1). E allora addio orchestra!
Quello di Pierluigi è un profondo sentire cum Ecclesia. Lui i Decreti Conciliari non li ha leggiucchiati ma assimilati: “Il mondo moderno ha subìto una caduta della capacità dialettica, più grave della caduta della morale. Agnosticismo filosofico, indifferentismo religioso, relativismo morale, le varie ideologie vegetariane, animaliste, i guru e i culti esoterici, il timore di trasmettere la vita. L’uomo di oggi non vuol più sentirsi dire che la vita è una battaglia ” (Cf. 88). Si badi: la caduta della capacità dialettica, più grave della caduta della morale. E’ la linea che persegue tenacemente Benedetto XVI .
Il suo ecumenismo? Presto detto: ” Il PADRE NOSTRO è una preghiera corale che tutti gli uomini possono dire e che nella sua universalità non è legata a correnti di pensiero. E’ la preghiera dell’UOMO ” (f.73). Per questo lo straniero a casa sua non s’ è mai trovato né si trova a disagio.
Il tassello che mi mancava per completare il mosaico delle mie convinzioni e mi permettesse di inquadrare il Micheli nella sua giusta luce e non soltanto nell’ottica del mio punto di vista, è saltato fuori proprio in questi giorni e l’ho trovato nell’omelia funebre pronunciata dal suo Parroco ed amico Don Giovanni Marcandalli che non mi era ancora capitato di leggere.
Il Celebrante, nel finale, così si rivolgeva a Pierluigi: “Fa’ splendere il tuo volto su questa comunità parrocchiale che ti ricorderà sempre come il migliore dei suoi figli, come il più saggio e il più santo fra i suoi fedeli”.
Non sono parole di circostanza ma la prima pietra di un monumento da costruire con preghiere e suppliche all’intercessore che riposa nel Cimitero Monumentale di Milano. Il presbitero in precedenza aveva chiesto un’altra grazia: “Fa’ splendere il tuo volto sui tuoi familiari, sui tuoi collaboratori, medici e infermieri (i tuoi “confratelli”). Fa’ splendere il tuo volto sulla “Università della Terza età”, “opera di altissima utilità”. E l’omelia era cominciata con parole non meno pregnanti, dal sapore di Chiesa delle origini: “Siamo qui attorno alle spoglie mortali (“le sante reliquie”) del nostro fratello Piero, il Dott. Micheli, con una profonda mestizia nel cuore (come Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro), perché è stato sottratto alla nostra vista un grande uomo, un ottimo medico, un vero cristiano, un autentico maestro di vita e, per molti (come per me) un sincero amico”.
Queste sono parole pronunciate nella Chiesa, dalla Chiesa, attraverso il suo Ministro, la longa manus del Vescovo. E sono formulate in un contesto liturgico, Pasquale, alla presenza dello Spirito Santo di Dio che le ha suscitate. Non possiamo banalizzare. Dal celebrante ho avuto modo di sentire altre riflessioni nelle messe di anniversario che ogni anno si celebrano presso la Chiesa di San Marco. Peccato che siano entrate nell’anima degli uditori ma non siano state fissate sulla carta da colui che le ha pronunciate. Spero che almeno queste parole cadano nelle mani del Postulatore Generale dell’Ordine perché si faccia carico di raccogliere scritti e testimonianze prima che sia troppo tardi, e perori la causa perché si apra un processo canonico nella Chiesa che è in Milano. Per incoraggiarlo in questa impresa, mi farò assistere dal filosofo Jean Guitton che sulla santità ha idee molto chiare e convincenti, come cercherò di illustrare nelle pagine seguenti e come ho già diffuso in internet.
A dieci anni dalla sua ultima Pasqua
Erano gl’anni sessanta. Per via di un’ulcera duodenale che ha tormentato la mia giovinezza, ho conosciuto il Dott. Pierluigi Micheli quando ne avevo diciassette. Con il limite delle conoscenze di allora, mi ha curato per un decennio. Poi l’ho perso di vista dopo l’intervento chirurgico risolutore. Nel 2002, quasi caduto dal cielo, mi son trovato tra le mani il volume di Andrea Martano “PIERLUIGI MICHELI MEDICO UMANISTA” (Ed. Federico Motta), con la prestigiosa prefazione dell’attuale arcivescovo Mons. Gianfranco Ravasi.
Leggendo e rileggendo quelle pagine che sono anche una raccolta antologica di parte dei suoi scritti, ho sentito il bisogno di esternare alla Signora Augusta, la consorte che ancora non conoscevo, i sentimenti e le emozioni che esse mi avevano trasmesso. Mi sia permesso citare alcuni passi di quella lettera scritta a caldo, perché meglio esprime lo stato d’animo della mia testimonianza, dopo l’inattesa scoperta: “…L’incontro [con Dr.Micheli] era sempre coinvolgente: non faceva soltanto il medico, leggeva nel cuore, aveva un gesto, un tono, uno sguardo quasi sacerdotale; dalle prime battute s’intuiva trattarsi di un uomo riservato, colto ma anche in confidenza con il Sacro. Porto ancora nelle pupille il fascino del suo sguardo mentre mi visitava sul lettino; è lo stesso che ritrovo intatto nella foto a pag. 12 e mi emoziona. Il libro mi fa rivivere le sue battute discrete, argute, penetranti che giungevano come un messaggio da raccogliere e custodire.”
Raccontatole piccoli aneddoti impressi nella memoria, aggiungevo: “Tante volte mi ha sentito il polso, misurato la pressione, ascoltato il battito cardiaco. Attraverso questo libro e leggendo i sui scritti, ora i ruoli sembrano invertirsi: è il lettore che gli misura il polso, gli sente il battito, gli prova la pressione… Il mio parere è che si tratti di un cuore al di fuori della norma. Abituato a immergersi nelle profondità oceaniche dell’Assoluto, credo abbia raggiunto primati ragguardevoli di contemplazione estatica in apnea”.E in quella circostanza le ricordavo inoltre un detto Giapponese: “quando muore un saggio, è come se venisse a mancare una biblioteca. Il Dr. Micheli più che un saggio è stato un santo del nostro tempo. Fortunatamente restano alcuni scritti così che, almeno parte della biblioteca, è salva. Auspico che essi vengano interamente pubblicati perché sarebbero una testimonianza ulteriormente capace di generare “un movimento verso l’alto”.
Era proprio ciò che il Dr. Micheli si sforzava di fare ogni giorno: “Quello che può riempire di gioia un uomo ed essergli di conforto e di sostegno è di aver suscitato nel suo cammino con la sua opera, il suo modo di vivere, le sue parole, un movimento in chi gli sta attorno verso l’alto, il soprasensibile, il metaempirico, verso la speranza, verso la terra promessa… Il popolo eletto, il popolo sacerdotale è al servizio degli altri” (f.30, pag.47). Appare evidente che sentiva di appartenere a un popolo “sacerdotale” al servizio degli altri, così ben espresso nella Lumen Gentium ai punti 31 e 34 . Sono stupende le sue intuizioni sul medico, la medicina, il malato, l’ospedale. Non si finirebbe di citare. Ha scritto che, talvolta, “credere è vedere”.(Pag.44) Sono certo che Gli succedesse con i malati: in essi “vedeva” perché credeva al Vangelo: “In verità, vi dico che tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me!” (Matt.25,40).
“Uomo assetato di fede e di sapienza, di verità e di bellezza”. Così lo ha definito sinteticamente l’Arcivescovo Gianfranco Ravasi. E, se è vero che ricordare significa “riportare al cuore”, qui anch’io vorrei provocare quel piccolo miracolo che è nelle stesse parole del Prelato: ”far rivivere nell’affetto e nel sentimento una presenza che è forse stinta ma non estinta”, proprio nel decimo anniversario della sua nascita al Cielo, alla giovane età spirituale di ottantacinque anni. Buona eternità, Dr. Micheli!: “Noi dunque non ci scoraggiamo. Anche se materialmente camminiamo verso la morte, interiormente, invece, Dio ci dà una vita che si rinnova di giorno in giorno. 17La nostra attuale sofferenza è poca cosa e ci prepara una vita gloriosa che non ha l’uguale. 18E noi concentriamo la nostra attenzione non su quel che vediamo ma su ciò che non vediamo: infatti, quel che vediamo dura soltanto per breve tempo, mentre ciò che non vediamo dura per sempre”. (2Cor 4,16)
Il cristiano Micheli
Il Martano dice che la parte più personale e intima di Pierluigi Micheli è stata giocata nelle veglie notturne: “ Era una notte di pensieri la sua, che si snodava dal termine, assai duro, della giornata di lavoro, trovava un momento di quiete sulla sua poltrona e continuava, ancora per alcune ore, nel suo studio. Sempre gli fu complice la musica di Mozart e Bach, da lui amata più d’ogni altra cosa e seconda soltanto alla medicina”.
Ed aggiunge: “Unico momento di distrazione il bussare, graffiando, del suo gatto ai piedi della porta, a chiedere di entrare nella stanza e nei pensieri. Così Pierluigi amava fermarsi faccia a faccia con se stesso o ancora trattenersi a studiare di medicina sui suoi libri e sulle riviste scientifiche, soprattutto francesi. Molte delle conoscenze nel suo campo sorsero in quelle veglie e tante delle sue riflessioni posarono lievi passi sulla carta alla luce di quelle sere. Delle prime si giovarono i suoi pazienti o chi gli chiedeva consiglio, dalle altre noi tenteremo una via di conoscenza dell’uomo. Se egli amò divagare su Dante, meditare sulle Sacre Scritture e sulla fede, ritessendo i motivi della sua scelta di vita, la medicina, tutto questo poté farlo nel tempo serale che dedicò a se stesso e ai pensieri. Concedeva al sonno un tempo breve. La sveglia al mattino presto, la cura dedicata alla persona e quell’inconfondibile profumo di colonia che, misto all’odore del tabacco da pipa (da lui tanto amata), per tutta la giornata lo rendeva riconoscibile anche nei corridoi del suo reparto in ospedale, davano inizio alla giornata, scandita da un ritmo regolare e intenso: dapprincipio le visite ai suoi pazienti nelle case, persone alle quali sempre rimase caro per la perizia e i modi gentili, poi le attività ospedaliere e infine le visite nel suo studio”(p.19).
Chi lo ha conosciuto, sa benissimo che non era un uomo astratto. Se la concretezza per un medico è fondamentale, la sua trascendeva rispetto all’ambiente: si capiva che non si faceva carico dell’organo malato ma del suo proprietario e che tendeva a curare l’uomo sofferente la cui patologia non poteva essere disgiunta e trattata separatamente. Visitava con cura e gratuitamente le persone bisognose con la stessa attenzione posta ai “poveri ricchi”, doppiamente malati per via di quell’attaccamento morboso ai beni che Gesù ha definito “patologia ad alto rischio”, come riferisce Matteo al cap.24,24.
Concretezza e dedizione infatti lo hanno caratterizzato e contraddistinto: “Dedito al suo lavoro fino agli ultimi giorni di vita, colpì tutti, anche chi sempre gli fu vicino, il fatto che si prese cura dei suoi pazienti persino quando egli stesso necessitava di cure. Non solo continuò a dare consulti ai suoi colleghi, ma neppure smise di visitare gli ammalati quando si trovò nel letto di ospedale. E il suo camice era lì accanto, con la pipa nel taschino. Giammai infatti sembra averlo colto lo sconforto per le sue vicende personali; piuttosto si dava pensiero per i casi particolari di cui si occupava, sia che fossero suoi pazienti sia che si trattasse delle persone che usava aiutare. Senza sprecare, allora, parole di elogio, sempre e con molto riserbo manifestava una grande tensione per gli altri, facendosi strumento di aiuto dinanzi a qualunque richiesta. Non a caso la madre usava spesso dirgli che “la carità esce dalla porta e rientra dalla finestra”: Pierluigi ne fece un motto. Mai infatti si persero le salde trame sulle quali con arte ebbe modo di tessere, egli stesso, tutta la sua storia” (Pag. )
Poiché l’appetito vien mangiando, chi ha desiderio di saperne di più, non ha che da navigare in internet:
http://www.tuoblog.it/pierluigimicheli
Dovendo attenermi al tema della rubrica, proverò a scoprire quella parte di lui che era dominante e trabocchevole: l’essere medico di Dio nella città dell’uomo. Dopo la fruttuosa lettura dei suoi scritti ho provato a sintetizzarli in questa epigrafe che fin’ora è rimasta solo sulla carta. Credo ne riassuma pienamente il senso che andremo a scoprire insieme un po’ alla volta:
PIERLUIGI MICHELI
MEDICO
nato a Pontevico il 27 Ottobre 1913
morto a Milano il 22 Giugno 1998
IN CONCETTO DI SANTITÀ
S’EGLI AMÒ DIVAGARE SU DANTE
DAL SUBLIME FU ATTRATTO E SEDOTTO
MEDITANDO LE SACRE SCRITTURE
MEDICINA FU SCELTA DI VITA
E LA NOTTE MAESTRA OGNI GIORNO
PAZIENTE E CALMO
NELLE DIFFICOLTÀ
CHE GLI SI PRESENTARONO
VESTITO OPPORTUNAMENTE
SERENO NEL VOLTO E NELL’AGIRE
NEL MALATO MAI ALTRO VIDE
CHE UNA PERSONA SOFFERENTE
SCELTO A VEGLIARE SULLA VITA
E SULLA MORTE DELLE SUE CREATURE
A DIO COSÌ RISPOSE:
“ ECCO IO SONO PRONTO ALLA CHIAMATA”
E perché non appaia una forzatura, tenterò di spiegare quel “in concetto di santità” che potrebbe anche far arricciare il naso a qualcuno. Chi intende seguirmi nel ragionamento dovrebbe aprire la Bibbia ai seguenti paragrafi: 1 Cor 12, 29-31; 13,1-13; 14,1-3. Costretto a fermarmi, l’appuntamento è rimandato al prossimo numero. Ci lasciamo con l’ultima considerazione del Martano a conclusione della sua ricerca: “Il lettore raccoglie il testimone, e nella mente serba vivo un ricordo: l’immagine nitida di un uomo che alle preoccupazioni e alle fatiche della giornata rispondeva serenamente adagiato sulla sua poltrona, indagando i percorsi dei pensieri. Non tace il segno di questa grande e feconda umanità” (p.81). No, no, parla, eccome! Ma va amplificato il suono.
Angelo Nocent
Il Dr. Pierluigi Micheli a un pranzo di gala.
Note biografiche
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Pierluigi Micheli nasce a Pontevico (Brescia), il 27 Ottobre 1913 da Alfonso, ingegnere, ed Elvira Annovati. A quattro anni perde il padre nelle prima guerra mondiale. La madre, donna austera e di antico casato sarà figura di rilievo nella vita del figlio al quale inculca un grande senso del dovere, solidi principi ed una fede incrollabile. Muore nel 1955 lasciando in lui un grande vuoto. Già da bambino esprime il desiderio di fare il medico.
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Nel 1927 è liceale presso il Collegio Villoresi-San Giuseppe di Monza. Brillante negli studi, sviluppa anche le qualità morali ed umane che lo segneranno per sempre.
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Si laurea nel 1937 ma subito dopo è colpito da una malattia che sembra non dargli scampo. Si ritira presso i frati minori di San Vigilio, nel Trentino, dove la sua salute rifiorisce prima del previsto e può riprendere la sua attività. Conteso dai primari di allora che lo volevano al seguito, resterà legato al Prof. Donati che lo vorrebbe chirurgo. Ma Pierluigi preferirà sempre la medicina. Formidabile diagnosta, dotato di una grandissima sensibilità, usa ripetere che “il medico bravo è quello che sbaglia di meno”.
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Nell’aprile del 1947 conosce Augusta e il 10 luglio 1948 la sposa nella Cappella privata dei Cavalieri del Santo Sepolcro, in piazza San Simpliciano a Milano. E’ consulente medico della Rhodiatoce-Montecatini, convenzionata con l’Ospedale San Giuseppe di Via San Vittore, nel cuore di Milano e dal 1955 collabora con la clinica Salus, pur continuando a seguire i suoi pazienti da medico generico, cosa che farà fino agli ultimi giorni della sua vita.
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Presso l’Ospedale San Giuseppe dei Fatebenefratelli negli ultimi quindici anni è primario della divisione di Medicina Generale, posto che lascia per il pensionamento, a sessantasette anni. Alla vigilia di questa scelta obbligata, riceve la bolla di aggregazione all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio. Da allora nella clinica privata Sant’Ambrogio di cui era già socio dal 1970, opera fino al Maggio 1998, poco prima della morte, avvenuta il 22 Giugno dello stesso anno. E’ sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano al 931, Rialzo di ponente.
Da FATEBENEFRATELLI Lugl./Sett.2008
segue…
PIERLUIGI MICHELI: “Eccomi! Sono pronto alla chiamata” – Angelo Nocent
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