4 SAMARITANI O ALBERGATORI ? – Meglio una parabola – A.Nocent
Posted on dicembre 5th, 2009 by Angelo
MEGLIO UNA PARABOLA
L’ospedale ideale può concretizzarsi solo con l’aiuto dello Spirito Santo, colui che fa dimorare nell’amore di Gesù Cristo e ricorda di compiere i suoi insegnamenti. Il Salvare ha compiuto gesti prodigiosi per sanare debolezze umane e, nell’attesa che il Suo regno venga e la Sua volontà si compia, Egli ripete “ Va’ e comportati allo stesso modo” (Lc 10,37).
I cristiani, Fatebenefratelli in prima linea, sono dalla Chiesa mandati in soccorso di coloro che subiscono imboscate lungo la strada. Il rischio che corre ogni discepolo è di rispondere: “Sì, ho capito, adesso vado…un momento…Appena torno dal Convegno… Adesso devo andare al Capitolo per discutere la bozza sull’ospitalità del 2000…Adesso sono preso con la Commissione, poi ne parliamo…” E intanto si dilunga l’antica disputa: “Ma chi è il mio prossimo?” (Lc 10,39).
E’ non solo doveroso ma necessario ristabilire la frequenza d’onda sul voto di ospitalità, definire il ruolo dei laici coinvolti o da coinvolgere nel ministero sanante. Ma le idee chiare si formano inginocchiati sulla Parabola Evangelica. La carta d’identità sulla quale ogni votato all’ospitalità è chiamato a modellarsi è il Samaritano, uomo di poche parole, essenziali, incisive. Nessuno si illuda di averlo appieno compreso una volta per tutte. La storiella è arcinota, ma i verbi e gli aggettivi che la compongono, molto meno:
“ Un maestro della legge voleva tendere un tranello a Gesù. Si alzò e disse:
- Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?
26 Gesù gli disse: – Che cosa c’è scritto nella legge di Mosè ? Che cosa vi leggi?
27 Quell’uomo rispose: – C’è scritto: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e ama il prossimo tuo come te stesso.
28 Gesù gli disse: – Hai risposto bene! Fa’ questo e vivrai!
29 Ma quel maestro della legge per giustificare la sua domanda chiese ancora a Gesù: – Ma chi è il mio prossimo?
30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto.
31 Per caso passò di là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì.
32 Anche un levita del tempio passò per quella strada; anche lui lo vide, lo scansò e prosegui.
33 Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione.
34 Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino e lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo.
35 Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: “Abbi cura di lui e anche se spenderai di più pagherò io quando ritorno”».
36 A questo punto Gesù domandò: – Secondo te, chi di questi tre si è comportato come prossimo per quell’uomo che aveva incontrato i briganti?
37 Il maestro della legge rispose: – Quello che ha avuto misericordia di lui. Gesù allora gli disse: – Va’ e comportati allo stesso modo.” (Lc 10,25-37)
Come ogni parabola di Gesù, anche questa è stata letta in tanti modi lungo i secoli e, come ogni parabola evangelica, non esaurisce mai le sue sorprese, né finisce di provocare, ferire, stupire chi la interpella. Più che interrogare furbescamente Gesù, da astuti maestri della legge che tendono tranelli alla Chiesa per giustificare comportamenti opportunistici, è bene mettersi in atteggiamento di interrogati, cercando di captare ogni parola che esce dalla bocca del Signore. Per capire meglio il senso della parabola è necessario partire dalla situazione in cui Gesù si è venuto a trovare:
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Gli si presenta davanti un dottore della legge che ha intenzione di metterlo alla prova: “Che devo fare per ereditare la vita eterna ?”
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Da teologo vuole vedere se il Signore ha qualcosa di nuovo da insegnare per la vita eterna; da laico critico, di ieri e di oggi, cerca risposte per i problemi della vita di ogni giorno.
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In lui, dottore della legge, abitano il teologo e il laico. Dentro di sé egli à già la risposta, positiva o negativa, religiosa o sociale, ideologica o pratica.
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Quell’uomo che fa domande siamo tutti noi. In imbarazzo non è Gesù ma gli interlocutori che si autoconfondono con le proprie parole.
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Perché non ha chiesto: “Chi è il mio Dio?” Perché è già sicuro di saperlo: è una persona religiosa che prega e frequenta regolarmente il tempio.
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Se non fosse religioso ma laico, non chiederebbe ugualmente: “Chi è il mio Dio?” Il perché è semplice: il prossimo sembra essere la cosa più importante, più vera e più viva.
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Con ironia Gesù gli chiede: “Che cosa capisci?”
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Costretto a rispondere, dice:”amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua vita, con tutte le tue forze e con tutta la mente ed il prossimo tuo come te stesso”.
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Gesù non rifiuta questa impostazione del problema. Egli sa che c’è il prossimo dell’uomo religioso e il prossimo del laico, il prossimo del cristiano e il prossimo dell’uomo di strada.
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La risposta è lo Shemah (“Ascolta, Israele…”), che unisce due citazioni dell’Antico Testamento, l’amore per Dio (Dt 6,5) e per il prossimo (Lv 1 9,18).
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Lo scriba ottiene l’approvazione di Gesù perché ha dimostrato di aver studiato bene la Scrittura.
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La tragedia è per i cristiani: molti di essi pensano che “ama il prossimo tuo come te stesso” sia l’insegnamento anche per loro.
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Gesù parlando alla sua comunità non ha mai detto amate il vostro prossimo come voi stessi.
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Questo concetto di prossimo va bene per la spiritualità ebraica, per uno criba, un teologo, ma, attenzione, non è il comandamento nuovo che ha lasciato Gesù. Il suo è radicalmente diverso: “amatevi come io vi ho amato”. Guai a confondersi! Purtroppo questa cantonata è presente nelle prime nuove Costituzioni post Concilio, alla voce Voto di ospitalià. Le ultime non le conosco.
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Il prossimo era inteso nel senso di appartenente al clan familiare, poi qualcuno forzava per farci entrare ogni componente le tribù d’Israele; con dispute infinite si poteva arrivare ad ammettere lo straniero…
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Gesù non ritiene che sia il caso di forzare, di caricare un fardello a questo israelita che ha durezza di cuore e convinzioni radicate. Per questo gli dice: “Bravo! Fa questo e vivrai”.
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Il testardo è anche orgoglioso, perciò vuole giustificare la sua domanda: ”E chi è il mio prossimo?”
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Gesù racconta la parabola: un viandante è derubato… il sacerdote e il levita passano oltre…per caso un samaritano…
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In altre parole si potrebbe dire che un israeliano è lasciato mezzo morto ai margini della strada da ladroni, forse sabotatori arabi…è soccorso da un arabo suo nemico.
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Parlando un linguaggio più occidentale, si potrebbe anche dire che quell’uomo mezzo morto era un operaio…così ridotto dai suoi sfruttatori…chi lo ha soccorso era un industriale che passava per quella via.
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Qualcuno ha visto nell’uomo mezzo morto uno studente, uno di quelli che protestano contro questo mondo d’iniquità e servitù con tanta passione da cospargersi di benzina e bruciare se stesso per la strada…Chi l’ha soccorso è un operaio maturo, che conosce il peso della vita, e d ha avuto pietà di lui e della sua giovinezza disperata.
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Si potrebbe continuare a dire chi è l’uomo mezzo morto sulle vie asfaltate di questo mondo e chi è che gli si ferma accanto e vede in lui un fratello.
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C’è una spiegazione sul perché il sacerdote e il levita sono passati oltre?
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Sembrerebbe di sì. Al tempo di Gesù c’erano circa 7000 sacerdoti che a turno svolgevano servizi nel tempio. Ogni sacerdote serviva al tempio 5 settimane l’anno; nella settimana di servizio, era estratto a sorte il sacerdote, che doveva svolgere il servizio più importante, che era alimentare il braciere con l’incenso nel tempio (noi lo chiameremo il sancta sanctorum), quel servizio cui fu chiamato Zaccaria, il giorno in cui gli apparve l’angelo Gabriele che gli annunziava la nascita di Giovanni Battista.
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Nel resto dell’anno svolgevano una professione laica, molti erano scribi.
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Importante: per accedere a queste funzioni sacerdotali, bisognava essere mentalmente e fisicamente integri.
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I leviti erano circa 10.000 e anch’essi facevano ognuno turni di servizio per settimane l’anno; non erano pagati e facevano i lavori più umili al tempio: pulizia, guardia al tempio perché non entrassero pagani, animazione per la liturgia e il canto. Erano poveri e anche loro svolgevano, per vivere, un’altra attività.
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Se Gerusalemme era la Città Santa¸ dove si trovava il tempio del Signore, Gerico era la città sacerdotale dove cioè risiedevano sia sacerdoti sia i leviti; ma Gerico era anche una città di scambi commerciali, dove si poteva trovare di tutto un po’, con presenze anche di tipi, poco raccomandabili.
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Ci sono circa 27 chilometri da Gerusalemme a Gerico e si supera un dislivello di circa 900 metri s.l.m. Gerico era a circa 200 metri sotto il livello del mare. Era una strada che si prestava bene ad imboscate dei briganti.
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Il sacerdote per esercitare le sue funzioni doveva essere puro. Bastava un niente perché dovesse sottoporsi a lavaggi, purificazioni, osservare determinate regole. Quello che sta scendendo è immacolato.
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Adesso possiamo capire meglio perché il sacerdote e il levita sono andati oltre: bisognava essere mentalmente e fisicamente integri¸ vale a dire puri e il contatto con un uomo morto, significava perdere la purezza, e quindi sette giorni di astinenza dai compiti sacerdotali, e se quei giorni erano di servizio al tempio, non era certamente un guaio da poco.
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Un sacerdote davanti a un ferito doveva scegliere: osservo la legge di Dio, l’amore di Dio o l’amore per il mal capitato? La conclusione è ovvia: prima la legge di Dio. Quindi, lui che evita il malcapitato non lo fa per crudeltà o perché è cattivo: lo fa perché osserva la legge di Dio.
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Il levita era una specie di sacrestano, con molte meno responsabilità. Poteva soccorrere un uomo, l’importante è che appartenesse a figli puri d’Israele, e con il via-vai che c’era per quella strada, non si faceva tante domande, se il viandante era un puro figlio d’Israele oppure no .
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Il sacerdote e il levita che passano oltre dal lato opposto della strada, possono oggi rivestire abiti molto diversi e non essere necessariamente dei religiosi, ma essere dei propagandisti di questa o quella ideologia, ritenuta più importante dell’uomo e della vita dell’uomo.
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Possono essere dei rivoluzionari che ritengono inutile un atto di pietà, finché non siano modificate le strutture sociali.
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Possono avere l’aspetto di persone oneste e per bene che non vogliono turbare l’ordine pubblico, rispettando le leggi e le autorità costituite. In realtà nell’intimo sono degli egoisti, ripiegati su se stessi, privi di ogni senso di umanità, irritati contro chi disturba il loro quieto vivere.
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Anche costoro, religiosi o laici che siano, rivoluzionari o conservatori, passano oltre dal lato opposto della via.
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Gesù prepara la sorpresa sconvolgente che non ha ancora finito di sconvolgere: “Un samaritano invece, essendo in viaggio venne presso di lui”.
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I Samaritani non erano considerati puri.
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Questa è una vicenda storica: dopo il re Salomone il Regno d’Israele fu diviso in due, regno del nord e regno del sud:al nord c’era la Samaria e al sud la Giudea.
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Invasioni varie disgregarono i due regni ma con la differenza che i Giudei si preservarono puri, sia nel culto sia nella razza;
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Gli abitanti della Samaria invece si unirono a donne non ebree, e per gli ebrei la donna era colei che conservava la purezza del sangue della razza.
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Essi mescolarono anche tradizioni diverse nella religione.
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Il Samaritano non era ben visto proprio per queste ragioni: era un impuro perché mescolato ad altre razze e religioni; tant’è vero che alcune famiglie giudee stabilite in Galilea, a nord della Samaria (per capire meglio sarebbe utile consultare una cartina della Palestina), per giungere a Gerusalemme, a sud della Samaria, non entravano direttamente in Samaria ma allungavano il viaggio passando verso il mare¸ la via maris, o attraversando il Giordano per evitare, come dice il libro del Siracide “lo stolto popolo che abita in Sichem”. Il Samaritano era un eretico e nemico del popolo dei giudei. Non poteva entrare nel tempi, era un nemico totale degli ebrei.
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Fu Gesù – va ricordato per inciso – a passare attraverso Sichem dove incontrò la Samaritana ma questa è un’altra storia.
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Chi è questo Samaritano? Un viaggiatore, probabilmente un commerciante, lavoro molto comune in Samaria.
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Il samaritano che si avvicina cosa fa: lo ammazza? Lo deruba? No. “…avendolo visto, ebbe compassione”.
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Nel brano evangelico vanno evidenziati i verbi portanti: quando leggiamo “ne ebbe compassione”¸ nel testo greco vi è scritto: provò un amore viscerale. Il termine è usato anche nel primo comandamento: ama (visceralmente) il tuo Dio con tutto il cuore …
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Gesù sta dicendo qui qualcosa che all’orecchio di un ebreo suona come una bestemmia.
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“…ebbe compassione” non vuol dire ebbe misericordia. Avere compassione è un termine tecnico che nell’Antico Testamento indica sempre, soltanto ed esclusivamente l’azione di Dio verso gli uomini.
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Dio verso gli uomini ha compassione, gli uomini verso i loro simili hanno misericordia, non compassione.
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Compassione significa restituzione di vita che solo Dio può dare.
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Nel Vangelo, oltre a questo caso, troviamo il verbo nel cap.6 quando Gesù incontra la vedova di Naim. Egli prova compassione e risuscita il figlio. Nella parabola del figliol prodigo il padre vede il figlio e ha compassione.
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Gesù, quindi, attribuisce a un eretico, indemoniato e impuro l’atteggiamento che solo Dio può avere: la compassione.
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Avere l’atteggiamento di Dio non dipende dalla frequenza al tempio, non dipende neanche dal Dio in cui si crede o dall’atteggiamento che si ha verso di Lui.
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Gesù viene a dire che dipende da come ci si comporta verso gli altri.
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Nella religione il credente è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi.
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Con Gesù questo atteggiamento finisce. Gesù non inviterà mai gli uomini a obbedire a Dio, perché Dio non chiede obbedienza, ma assomiglianza.
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L’obbedienza significa sempre una distanza tra chi comanda e chi obbedisce; la somiglianza accorcia queste distanze, ecco perché siamo chiamati figli di Dio.
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Allora il credente è colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al Suo.
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Chi è il credente tra il sacerdote, il levita e l’eretico? E’ certamente l’eretico.
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Da qui emerge l’universalità del messaggio di Gesù: che uno sia credente non si vede da quante volte entra nel luogo di culto, non si vede dall’atteggiamento religioso ma unicamente da come si comporta con gli altri.
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Gesù mette in guardia dai giudizi e pregiudizi. Noi soppesiamo volentieri le persone dalla frequenza alla chiesa, Gesù c’invita a guardare il bene che fanno, i servizi che svolgono per gl’altri. “ Dio è amore, e chi vive nell’amore è unito a Dio, e Dio è presente in lui” (1 Gv 4,16). Su tutte le latitudini del mondo.
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Il Samaritano antepone l’accoglienza nei confronti del ferito al di sopra dei suoi personali interessi: si trova in viaggio, si ferma, ritarda i suoi impegni. Soccorrendo, egli espone effettivamente se stesso ai rischi della violenza, entra in una situazione pericolosa.
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Egli sa che la zona è percorsa da delinquenti ma non pensa al pericolo che corre, pensa all’altro che è in fin di vita.
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Non si conforma al comportamento degli altri: del sacerdote, del levita, degli stessi samaritani. Fa quello che ritiene il suo dovere, senza rifiutarsi di farlo, nonostante “tutti facciano così”.
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Un vero aiuto non può venir recato senza essere sul posto dove c’è uno che soffre, senza mettere a repentaglio la propria esistenza. Il Samaritano non cerca qualcuno da mandare, va di persona.
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Cerca di utilizzare al meglio le risorse di cui dispone.
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Deterge le ferite e le medica con gli unici rimedi che ha con sé:
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Lo fascia con bende improvvisate, carica il ferito sul suo cavallo e cerca per lui una più adeguata sistemazione: “…e, caricatolo sulla propria cavalcatura…”: è il comportamento di Dio. Il Dio di Gesù è il Dio che si mette al servizio degli uomini. Questo eretico, pur essendo considerato un impuro, è in piena comunione con Dio e si comporta come Dio. Lui che era sul cavallo scende e ci mette il ferito. Egli si fa servo di colui che trasporta.
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Predispone una struttura assistenziale.
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L’albergatore rappresenta la comunità coinvolta, ogni realtà sociale che si fa istituzione accogliente.
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Il sano pragmatismo del Samaritano si esprime con l’intuizione che, a ciò che ha già fatto, bisogna stanziare una somma per l’assistenza all’infermo.
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Decide di mettere mano ai suoi fondi senza contare di ottenere qualcosa in cambio.
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Il suo gesto esprime una solidarietà sociale.
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Nella storia della chiesa il Samaritano è stato sempre visto come il Cristo e in lui l’esempio da seguire.
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Si potrebbe pensare che il Signore Gesù, espressione della tenerezza di Dio, abbia voluto darsi un decalogo personale di azioni, dei comandamenti da mettere in pratica verso di noi. In fondo Gesù, lo aveva detto altre volte, in maniera più esplicita: “non sono venuto per essere servito ma per servire”.
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Il Signore nella parabola ci presenta un uomo agli estremi per le ferite nel corpo e nell’anima e per la sua solitudine disperata. Ma poi non ci dice: questo è il tuo prossimo. Anzi ci risponde con una domanda: dimmi tu chi è il prossimo di quell’uomo mezzo morto?
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In ogni tempo ci si ritrova di fronte a questa risposta obbligata: il prossimo dell’uomo mezzo morto è colui che gli usa compassione.
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È interessante notare come Gesù voglia capovolgere il punto di vista del dottore della legge: costui desidera riconoscere oggettivamente il suo prossimo ogni qualvolta ne avesse avuta l’occasione; Gesù lo invita a domandarsi se, e fino a che punto, sia disposto ad essere veramente prossimo degli altri.
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Questo è il punto essenziale: solo chi non ama sta a domandarsi chi è il suo prossimo, chi ama invece è capace di individuarlo qui e ora.
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San Giovanni di Dio, fedele discepolo del Signore Gesù, è quel Samaritano che ognuno vorrebbe incontrare sul suo cammino. Tutti gli riconoscono un particolare carisma. In che cosa consiste? Semplicemente – per modo di dire – nel “Va’ e anche tu fa lo stesso”.
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Per andare bisogna essere stati attratti dalla carità del Padre.
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Lo Spirito Santo, invocato prima della Consacrazione, fa che il pane e il vino diventino Corpo e Sangue di Gesù.
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Lo Spirito Santo invocato dopo la Consacrazione fa che tutti i credenti diventino il Corpo di Cristo, cioè reale manifestazione di Lui e del suo amore presso ogni uomo.
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Il santo, proprio perché dimora in Dio ed è vicinissimo al suo cuore, ha una genialità profetica e una forza eroica nel percepire i bisogni degli uomini e nel venire loro incontro.
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Abitualmente l’attenzione non è posta agli ultimi che sono i più bisognosi, trascurati, al limite della resistenza. Essi sono doppiamente ultimi anche perché non riescono a farsi sentire, ad attirare l’attenzione, a farsi soccorrere.
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Nella risposta del dottore verso la figura tracciata da Gesù si nota un po’ di fastidio: il dottore non dice “il samaritano” ma “colui che ha avuto misericordia”. Probabilmente per il dottore della legge era un problema anche solo il nominare la parola samaritano. Però va notato che non dice quello che ebbe compassione di lui. Non può accettare che un uomo possa comportarsi come Dio. Per lui è inconcepibile e Gesù non insiste: “…va e anche tu fa lo stesso”.
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Ma c’è un altro personaggio che nessuno prende mai in considerazione: è il viandante.
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Forse è il personaggio più difficile da interpretare: > incappò nei briganti¸ > lo spogliarono¸ > lo percossero, > lo lasciarono mezzo morto. Fin qui potremmo anche ritrovarci nella figura: esperienze di vita, ci dicono come anche noi, chi di più chi di meno, abbiamo vissuto l’incontro con dei briganti che ci hanno lasciato almeno moralmente mezzi morti.
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Qui viene il difficile e cioè l’incontro con il Samaritano-Cristo. La domanda è: > In quelle situazioni mi farei curare? > Mi lascerei versare l’olio e il vino sulle ferite? > L’olio era usato per lenire il dolore e il vino per disinfettare ma sono anche simbolismi: olio simbolo che restituisce la dignità rubata e il vino per restituire l’allegria perduta. > Mi farei caricare sul suo giumento? > Mi farei curare alla locanda, che può essere la Chiesa o la comunità? > Lo farei pagare per me finché sono in cura e oltre, credendo che il Samaritano- Cristo, rifonderà il debito al locandiere al suo ritorno? > Mi lasceresti servire in tutte queste cose? > La lavanda dei piedi: “Se io non ti lavo tu non sarai veramente unito a me” (Gv 13,7).
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La difficoltà di vivere appieno questo personaggio sta nella dimensione, anche culturale, della nostra educazione: siamo stati educati prima al dovere poi al piacere; secondo me , per una persona che vuol seguire Cristo, che partecipa alla sua sequela, il cammino da percorrere è l’inverso: se io non mi lascio amare da Dio nelle difficoltà, nelle povertà di qualsiasi genere, non posso aderire completamente a Lui…
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L’ultimo personaggio è il locandiere, sicuramente persona di fiducia del Samaritano-Cristo, ed, alla luce di questa riflessione, è la figura del fedele che segue il Signore nel suo servizio d’amore; è pagata con due denari, la paga di due giorni di lavoro; per noi i due denari possono essere simbolicamente la fede e la carità oppure la parola di Dio e l’Eucaristia. Nell’ambito di una chiesa domestica può essere il coniuge che aiuta l’altro, nei momenti in cui questi si trova nei panni del viandante; nell’ambito invece di una Chiesa universale, il locandiere potrebbe essere il missionario, che opera nella locanda-missione, pagato con i due denari di cui dicevamo prima, vivendo nell’attesa del Samaritano-Cristo, che lo rifonderà al suo ritorno.
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Che cos’è il voto di ospitalità? Che cos’è l’ospitalità del 2000? Che non sia una formulazione nuova dell’antica domanda: > Chi è il mio prossimo? > O quell’altra: Che cosa devo fare per avere la vita eterna?
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Quest’ultima è una domanda vitale, il problema fondamentale di ogni esistenza umana. E’ impossibile vivere senza sapere se si è fondati su qualcuno o su qualcosa oppure si è sospesi nel vuoto, nel nulla, per cui tutto gli affanni quotidiani sono semplicemente privi di senso.
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Quale che sia la domanda, sul senso della vita e sulla vita eterna, Gesù ribalta la domanda: > “che cosa dice la Bibbia su questo problema? > Che cosa vi leggi? > Che cosa hai capito? “
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La risposta la suggerisce l’evangelista Giovanni: “Chi ascolta la mia parola e crede nel Padre che mi ha mandato ha la vita eterna…E’ già passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24).
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Conclusione: il prossimo non è colui che è da amare, ma colui che ama. Proprio perché ama, si fa prossimo. Il “Fate del bene a voi stessi, fratelli, per amore di Dio” era l’invito di Giovanni di Dio rivolto a gran voce agli abitanti di Granata a farsi prossimo. Vuol dire che aveva capito la lezione evangelica.
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Gesù ha seminato la parola, ma il satana del potere e dell’ambizione, ad ogni stagione la porta via. Che i dottori della legge siano stati completamente refrattari al suo messaggio è molto evidente. Che noi siamo migliori di loro è tutto da dimostrare.
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Del samaritano dell’ora prima la nostra parabola non parla, ma a volte si può commentare la Bibbia anche a partire dai suoi silenzi: se la strada fosse stata meno pericolosa, custodita meglio… forse i briganti non avrebbero potuto rapinare e lasciare mezzo morto il poveraccio. Nessuno si sarebbe accorto di niente. E’ la carità politica che non si limita a fasciare le ferite, ma fa in modo che le ferite non si creino. E’ una forma molto alta e difficile di carità, che richiede competenza, studio, pazienza…
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….A questo punto, nessuna pretesa di aver capito tutto e bene. L’elenco delle considerazioni non ha fine e, per ora, si ferma qui.
Mi piace riportare la sintesi di un maestro di Esegesi Biblica:
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“Nella parabola nulla è detto del ferito: non viene evidenziata la sua identità, ma il suo bisogno. Che altro sapere? Prossimo è qualsiasi bisognoso che ti capita di incontrare, anche lo sconosciuto. Chi sia il prossimo da aiutare non è il frutto di una deduzione teorica, ma un evento. È colui nel quale ti imbatti, non importa chi sia. Questa universalità della nozione di prossimo ha un fondamento, che qui non è dichiarato ma che è supposto dall’intero vangelo, e cioè l’universalità dell’amore di Dio.
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E’ con l’avvento di Gesù che diventa chiaro che Dio ama ogni uomo, senza differenze: ama i giusti e i peccatori, i vicini e i lontani.
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Gesù sposta l’ attenzione dello scriba da “chi è il prossimo?” (dopo tutto è una questione teorica) a un’altra domanda, più concreta e coinvolgente: che cosa significa amare il prossimo? A dispetto della domanda dello scriba, la risposta di Gesù pone l’accento sul verbo “amare” più che sul “prossimo” da aiutare. La parabola, infatti, insiste con compiacenza sul comportamento del samaritano: si fermò accanto allo sconosciuto, gli fasciò le ferite, lo condusse all’albergo, pagò interamente il conto. Il samaritano non si è chiesto chi fosse il ferito, e il suo aiuto è stato disinteressato, generoso e concreto. Ecco che cosa significa amare il prossimo.
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Giunto, poi, alla conclusione del racconto, Gesù pone direttamente allo scriba una domanda che lo invita a spostare ulteriormente il suo interesse: “Chi di questi tre ti sembra essersi fatto prossimo a colui che è incappato nei briganti?”.
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Dal prossimo come oggetto da amare al prossimo come soggetto che ama, questo è il punto al quale la parabola vuole condurre. Chi sia il prossimo non si può definire, si può esserlo. Il problema risiede proprio qui.
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Non chiederti chi è il prossimo – sembra dire Gesù – ma piuttosto fatti prossimo a chiunque, abbatti le barriere che porti dentro di te e che costruisci fuori di te. Questo è il vero problema.
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E così lo scriba – che aveva un problema teologico da risolvere e aveva posto una domanda teorica – si vede invitato a convertire se stesso. (B. MAGGIONI, Il racconto di Luca, Cittadella Editrice, Assisi 2000, pp. 216-218)
A consolazione di ogni mal capitato, scansato da tutti, c’è una scritta incisa su una pietra di un edificio che i pellegrini considerano la locanda della parabola (in realtà è del tempo dei crociati) e che è sulla strada romana tra Gerusalemme e Gerico. Così recita: “Se persino sacerdoti e leviti passano oltre la tua angoscia, sappi che il Cristo è il Buon Samaritano: egli sempre avrà compassione (amore viscerale) di te e nell’ora della tua morte ti porterà alla locanda eterna.”
Meno male!
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