“IL PARE NOSTRO NON POTA…LIBERA!” – P. Alberto Maggi osm
“IL PADRE NON POTA … LIBERA!”
Aula Magna – Facoltà Teologica Valdese
Roma – 16 ottobre 2009
Brani commentati: Gv 15, 1-15
trasposizione da audioregistrazione non rivista dall’autore
Nota: la trasposizione è alla lettera, gli errori di composizione sono dovuti alla differenza fra la lingua scritta e la lingua parlata e la punteggiatura è posizionata a orecchio.
Introduzione.
Buonasera a tutti e benvenuti a questa serata speciale del programma di Nuova Proposta. Per chi non ci conoscesse, noi siamo un gruppo, un gruppo cristiano di donne e uomini omosessuali, che da circa venti anni sono presenti a Roma e fanno un percorso di aiuto reciproco e di condivisione su tutto ciò che riguarda l’esperienza di coniugare fede ed omosessualità.
Per molti di noi Alberto Maggi, che è qui alla mia destra, è stato molto importante perché ci ha aperto una visione della Parola molto concreta e molto illuminante e quindi ogni tanto chiediamo ad Alberto di farci il regalo, di venirci a trovare e di organizzare per noi, appunto, una conferenza.
Presento meglio Alberto Maggi che, forse conoscete già tutti, ma per chi fosse la prima volta … Alberto Maggi è frate dell’Ordine dei Servi di Maria, un biblista che ha studiato per moltissimi anni all’Ecole Biblique di Gerusalemme e direttore del Cento Studi Biblici “G. Vannucci” di Montefano. Il Centro Studi Biblici è nato 14 anni fa, con l’obiettivo specifico di mettere a disposizione della gente normale, come noi, il patrimonio di esegesi che loro hanno accumulato in tutti questi anni di studio, utilizzando un linguaggio divulgativo, rendendolo appunto accessibile anche a noi che non siamo addetti ai lavori.
La conferenza di questa sera si inserisce nel programma 2009-2010 di Nuova Proposta che è ispirato al tema della fecondità; ci siamo ispirati in particolare al brano che Alberto oggi tratterà e sviscererà in ogni aspetto, anche il più recondito. Il brano è al capitolo 15 di Giovanni, il famoso brano della vite e i tralci. E’ un brano che ci guiderà un po’ tutto l’anno e tratteremo il tema della fecondità in tutti i suoi aspetti.
Per chi fosse interessato, noi siamo su internet, abbiamo un sito che si chiama www.nuovapropostaroma.it oppure siamo anche su facebook, Nuova Proposta sia some pagina che come gruppo. Quindi ci potete trovare ovunque.
Lascio subito la parola ad Alberto e buon ascolto a tutti.
p. Alberto Maggi OSM
Buonasera, grazie agli amici di Nuova Proposta per questa occasione, in cui cercheremo di condividere insieme uno dei brani più belli del Vangelo di Giovanni. Questo è un brano – capitolo 15, ne faremo soltanto la prima parte – che se compreso e accolto, lo vedrete, cambia radicalmente la nostra relazione con Dio e, di conseguenza, la nostra relazione con gli altri.
Giovanni, sapete, è l’unico tra gli evangelisti che non ha la narrazione dell’ultima cena come la riportano Matteo, Marco e Luca, cioè con le parole e le azioni di Gesù sul pane e sul vino. Ma è, in realtà, l’evangelista che, più degli altri, ne esplora la ricchezza del significato. Praticamente tutto il Vangelo di Giovanni è in chiave eucaristica, cioè di spiegazione e comprensione di questo passo essenziale nella vita di Cristo e nella vita del credente.
Nel capitolo 15, che è il discorso che prosegue al momento dell’ultima cena, secondo Giovanni – l’ultima cena di Giovanni inizia al capitolo 13 con la famosa lavanda dei piedi che vedremo adesso andando avanti di comprendere nel suo significato – l’evangelista parla degli effetti della eucaristia e di questa comunione con Dio. Allora leggiamo e commentiamo questo brano del Vangelo, capitolo 15 dei Giovanni, versetto 1.
Gesù comincia rivendicando la pienezza della condizione divina. Il problema che Gesù ha con i suoi discepoli è che loro sono arrivati a capire che Gesù è un profeta, che indubbiamente è un inviato di Dio, che è anche Messia, ma accettare che in Gesù ci sia la pienezza della divinità, questo no, questo è troppo difficile per loro.
Nel capitolo precedente, il capitolo 14, Filippo arriva a dire “Signore mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù dice “Ma Filippo, non hai capito che chi vede me vede il Padre?”
L’evangelista qui si rifà a quanto ha scritto all’inizio del suo Vangelo, al termine del Prologo, con una affermazione perentoria, “Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio ne è la rivelazione”. Cioè l’autore fa un invito al lettore: centra la tua attenzione su tutto quello che adesso leggerai in Gesù. Tutto quello che coincide con quello che sai di Dio lo mantieni, tutto quello che si distanzia o lo contraddice, lo abbandoni. E sono molte le cose da abbandonare.
Quindi la comunità di Gesù non è arrivata ancora a comprendere l’identità di Gesù. Siccome la religione ha messo un abisso tra Dio e gli uomini, la religione di fatto ha distanziato Dio dagli uomini, che in un uomo ci sia la pienezza della divinità, questo è incomprensibile. Allora Gesù non perde occasione per rivendicarla, dicendo “Io sono”.
Non è soltanto una affermazione di esistenza, è il nome divino. Conoscete l’episodio di Mosè, quando si trova di fronte al roveto ardente, di fronte a quel fatto misterioso con la divinità che pensa di avere davanti, chiede “Chi sei?” E questa divinità non risponde con un nome, perché il nome indica l’identità, ma con un’attività che lo renda riconoscibile, “Io sono”.
Da quel momento, dal Libro dell’Esodo, “Io sono” è passato a significare il nome di Dio. Allora Gesù si presenta nella pienezza della condizione divina. “Io sono la vera vite”. Perché dice Gesù che è la vera vite? Se Gesù è la vera vita significa che ce n’è un’altra falsa. L’evangelista prosegue nelle sostituzioni che Gesù fa nel suo Vangelo. Già Gesù si è dichiarato il vero pane che scende dal cielo, quindi non la manna. Gesù si è dichiarato la vera luce che illumina il mondo.
Adesso si dichiara “la vera vite”. La vite era la pianta che rappresentava, simbolicamente, il popolo di Israele. Ebbene, per Gesù, si sta per proclamare una nuova alleanza: mentre l’antica alleanza era riservata a un popolo, al popolo di Israele, la nuova alleanza di Gesù ha un respiro universale, il suo orizzonte si allarga a tutta l’umanità.
Allora, appartenere al popolo di Dio, al popolo di Gesù, non dipende dalla razza, dalla religione, ma dall’adesione a Gesù. Allora Gesù dice “Io sono la vera vite”, quindi il vero popolo di Dio, “E il Padre mio è il vignaiolo”. Quindi Gesù stabilisce molto bene i ruoli specifici: lui è la vite e il Padre e il vignaiolo.
Poi Gesù dichiara “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Naturalmente questa immagine della vite e dei tralci vuole significare la relazione che Gesù ha con i suoi. Allora dice Gesù “ogni tralcio”, quindi ogni discepolo, e sottolinea “Che in me”. Cosa significa “Che in me”? Una persone, un componente di questa comunità che “in me”, e che quindi partecipa a questa eucaristia, cioè si ciba del pane della vita, ma poi non si fa pane per gli altri, non porta frutto, “questo lo toglie”.
Secondo Gesù e, come ripreso dagli evangelisti, la vita dell’individuo ha due aspetti e sono due i termini che gli evangelisti adoperano per significarli. Uno è il termine “bios” da qui la nostra parola “biologia”, che indica la vita fisica, una vita che ha un inizio, ha un suo massimo sviluppo e poi comincia purtroppo il declino fino al disfacimento totale, ma c’è un’altra vita che gli evangelisti indicano con il termine “zoe” che invece è quella vera, quella che continua per sempre.
Anche questa ha un inizio, ma, quando l’altra comincia il declino, questa continua a vivere per sempre. Ebbene cos’è che unisce e distingue queste due vite? La vita biologica, per crescere, ha bisogno di essere nutrita, la vita interiore, quella che dura per sempre, quella che gli evangelisti chiamano “vita eterna”, per crescere deve nutrire gli altri.
Quindi nella vita dell’individuo, nella vita del credente, sono necessari questi due aspetti, in equilibrio fra di loro: essere nutriti per poi nutrire gli altri.
C’è il rischio, e il rischio ci può essere, che nella comunità – Gesù sta parlando alla sua comunità – ci siano degli individui talmente centrati su sé stessi, persone che vedono soltanto i propri bisogni e le proprie necessità, che si nutrono degli altri, si nutrono di questa linfa vitale che scorre attraverso Gesù e che scorre attraverso la comunità, ma poi non pensano a farsi pane per gli altri.
Sono magari persone pie, persone religiose, tutte preoccupate della propria santità, della propria perfezione spirituale, talmente presi e occupati dal Signore, che poi non hanno tempo di occuparsi degli altri.
Allora la sentenza di Gesù ora è drammatica, “ogni tralcio che in me”, quindi uno, pur appartenendo alla comunità cristiana e pur cibandosi della linfa vitale, che è Gesù, chi prendendo questo pane poi non si fa pane per gli altri “ questo lo toglie” perché è un parassita, un tralcio inutile. Quindi pur ricevendo la linfa, non la traduce in amore per gli altri, questo è un parassita.
Attenzione, però, è il Padre che compie questa azione. Non compete agli altri tralci, i discepoli, neanche compete a Gesù. Gesù è colui che comunica questa linfa vitale senza condizioni. E’ il Padre. Il Padre sa se questa linfa vitale poi la traduce in amore e in vita per gli altri. Quindi il compito di eliminare il tralcio inutile non compete alla comunità, ma al Padre.
Ecco questa seconda parte del versetto è importantissima, come dicevo prima. Se capiamo questo, la nostra vita cambia, perché cambia il rapporto con Dio e cambia il rapporto con gli altri. E vedremo quanto delle inesattezze, se non proprio errori di traduzione o di interpretazione, hanno mistificato il pensiero di Gesù.
“E ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto”. Qui l’evangelista fa un gioco di parole nella lingua greca, che non è possibile rendere in italiano. Potremmo dire, forzando il testo, che il tralcio che non porta frutto il Padre lo epura, quello che porta frutto lo depura. Perché sottolineo questo fatto della purificazione?
Perché una inesatta traduzione e una errata interpretazione, hanno portato a tradurre questo verbo con “potare”, “il Padre lo pota”. E da qui si è dato l’avvio a tutta una mistificazione dell’azione di Gesù. Quante volte nei momenti difficili della vita, quando si entra in contatto con quelle persone che sono da evitare in quei momenti, le persone pie, le persone devote, quelle che sanno tutto su quello che fa il Signore, e su quello che non fa, ci si è sentiti dire “E’ il Signore che ti ha potato; E’ il Signore che ha dato una potatura alla tua vita”. Nulla di tutto questo.
L’evangelista non sta parlando di “potare”, il verbo che adopera è il verbo “purificare”. Quello che l’evangelista sta dicendo ha un raggio d’azione straordinario. L’unica preoccupazione del discepolo di Gesù, l’unica preoccupazione del credente è: nel ricevere questa linfa vitale, cioè l’amore del Signore, tu traducilo in altrettanto amore, in fonte di vita per gli altri. Quelle impurità che appartengono al tralcio, cioè quei difetti, quegli elementi negativi, quelle tendenze, che credi che possano impedirti di portare frutto – attenzione – non sei tu che le devi eliminare, e neanche gli altri tralci le devono far osservare. Il Padre ci pensa, perché è interesse dell’agricoltore che il tralcio porti più frutto.
Allora, è il Padre che individua in un tralcio quelle impurità, quella sporcizia o quella escrescenza, ed è lui, con la delicatezza che soltanto il Padre sa usare, che elimina in maniera progressiva, crescente e continua, tutto quello che al tralcio può impedire di portare frutto affinché il tralcio stesso porti più frutto.
Sapete che questo significa un cambio radicale nella nostra esistenza e nei rapporti con Dio. Ma non ci avevano insegnato che bisogna fare l’esame di coscienza per individuare i nostri difetti, le nostre colpe, gli elementi negativi e centrare tutta la nostra attenzione per sforzarci di sradicare quel difetto, di soffocare quella tendenza, di eliminare quello che credevamo che fosse nocivo? E chi lo ha fatto lo sa, e l’esperienza di chi lo ha fatto sa che è vero: tutti gli sforzi per eliminare un difetto, per soffocare un elemento o un aspetto della nostra vita che si credeva nocivo, tutti questi sforzi sono falliti perché il difetto si irrobustiva, la tendenza nociva o il male che pensavamo d’avere si irrobustiva.
Perché? Perché l’uomo si centra su se stesso. Non c’è nulla di più tremendo per una persona che centrarsi su se stesso, sulla propria idea di perfezione spirituale, sulle proprie virtù. Non bisogna centrarsi su se stessi; questo è sempre nefasto qualunque siano le intenzioni con cui lo si fa. Bisogna orientarsi verso gli altri e centrarsi sugli altri.
Allora questo dà piena tranquillità. Io ho degli aspetti che indubbiamente sono negativi, ho dei limiti, ho dei difetti, ho delle tendenze che probabilmente sono nocive nella mia esistenza, ma io non me ne devo occupare, perché dal momento che me ne occupo mi distraggo da quello che è l’unico mio compito, preoccuparmi degli altri.
Se sto guardando dentro me stesso non posso vedere gli altri, quindi mi distraggo, spreco energie che andrebbero usate a favore degli altri, per cercare di individuare la parte negativa che è in me, e poi rischio di fare dei danni irreversibili. Perché se io individuo nella mia vita un elemento che ritengo – perché così dice la società, la morale o la religione – che sia nocivo e impiego tutti i miei sforzi per eliminarlo, attenzione perché posso sfilare quel tessuto, quella trama che era l’asse portante della mia esistenza e squilibrarla in maniera definitiva.
Allora Gesù ci invita a non preoccuparci, abbiamo tutti quanti delle imperfezioni, degli elementi negativi, il nostro unico impegno è: vivi per rendere felici gli altri, per il bene degli altri. Se ci sono questi elementi che possono impedire di portare frutto o di comunicare vita agli altri, sarà il Padre che li eliminerà, non tu. E se il difetto, l’elemento negativo rimane? Nonostante la mia vita orientata al bene degli altri, come mai questo aspetto negativo rimane? Si vede che agli occhi del Signore non è di impedimento per portare più frutto.
C’è un’espressione molto bella nella Prima Lettera a Giovanni dove dice “anche se il tuo cuore” – il cuore nella cultura ebraica non è la nostra sede degli affetti, il cuore è la mente, la coscienza – “ti rimprovera qualcosa, ma stai tranquillo, stai in pace perché Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”.
Ci sono degli aspetti che la morale corrente e la religione ci fanno credere nocivi, peccati, ma siamo sicuri che sia così anche agli occhi del Signore? A volte l’occhio del Signore e la morale non coincidono. E noi vediamo – e quelli della mia età lo possono testimoniare – che quello che era negativo cinquanta anni fa oggi è permesso, quello che sembrava peccaminoso cinquanta anni fa, oggi è normale. Allora c’è da chiedersi “quante cose oggi giudichiamo negative e tra un secolo non lo saranno?
Quanti aspetti che noi giudichiamo peccaminosi tra cinquanta anni non lo saranno più?
Allora non sprecare energie per tutto questo! L’unico impegno: vivi per il bene degli altri. Se c’è in te un aspetto negativo, è il Padre che, in maniera continua, crescente e progressiva, te lo eliminerà perché è suo interesse che tu porti più frutto. Sapete cosa significa questo?
E’ la fine dell’idea – e uso il termine in maniera appropriata – diabolica di perfezione spirituale.
Non c’è nulla di più devastante, di più satanico per una persona dell’idea della perfezione spirituale. Cos’è l’idea di perfezione spirituale? Nessuno di noi si accetta per come è. Ognuno di noi si immagina di essere un altro. Ognuno di noi si crea un piedistallo dove mette il proprio “io” e tutti gli sforzi, tutte le tensioni, tutte le energie sono utilizzate per arrivare a quel piedistallo dove avevamo messo la nostra persona. Ma poi dopo ci pensa la realtà quando commettiamo uno sbaglio, quando commettiamo un peccato, quando c’è quella caduta che ti apre gli occhi che ci fa vedere che siamo ben lontani da quell’ambizioso progetto della perfezione spirituale.
E sapete cosa creano la caduta e il peccato quando c’è un’immagine di perfezione spirituale – per questo sto parlando di idea satanica di perfezione spirituale – provoca una rabbia omicida verso gli altri. Mentre in una sana relazione con il Signore il peccato, la colpa, vengono visti in maniera tranquilla “Signore ho sbagliato, va bene, ricominciamo da capo”, quando uno ha l’immagine si sé messa su un piedistallo, non accetta di aver sbagliato, non accetta di essere caduto, inizia a fare un processo a sé stesso e agli altri.
Ma come è stato? Ma non è possibile, come è stato? Si individua in un altro quei difetti, quegli elementi che noi non riconosciamo in noi per poi aggredirlo. Allora, mentre l’idea di perfezione spirituale è tanto lontana e illusoria quanto grande è la nostra ambizione, Gesù invita, al contrario, al dono di sé.
Il dono si sé è totale e immediato quanto grande è il proprio cuore. Quindi via l’idea della perfezione spirituale, lontana e irraggiungibile quanto grande è la nostra ambizione, ma sì all’idea del dono immediato di sé che è immediato, completo e totale.
Quindi Gesù ci dà grande serenità. Quegli aspetti della nostra vita che noi reputiamo negativi, lasciamo che ci pensi lui a eliminarli perché è suo interesse eliminare dalla nostra vita tutto quello che ci impedisce di portare più frutto. E se il Padre non lo elimina, si vede che agli occhi suoi questo non è negativo. “Ma la religione, la società…”, “Va bene, la religione, la società cambiano come le mode, ma Dio non cambia mai”.
Allora questo dà al discepolo, al credente, una enorme serenità. Quindi in una dimensione di serenità costante e crescente sa che non deve preoccuparsi di niente se non di comunicare vita agli altri.
Ma aggiunge Gesù “voi siete già puri, per il messaggio che vi ho annunziato”. Questo messaggio che Gesù ha annunziato non è una dottrina, ma è stato un gesto.
Perché Gesù dice “Siete già puri per il messaggio che io vi ho annunziato”? Cosa ha fatto Gesù? Anche questo è uno di quegli aspetti del Vangelo e di tutto l’insegnamento dei Gesù che, se compreso, anche questo cambia completamente il rapporto con Dio. Voi sapete che nelle religioni, in tutte le religioni, la dignità è all’interno dell’alone della purezza e soltanto le persone che sono pure ci si possono avvicinare, escludendo di fatto gran parte dell’umanità che per scelte, per situazioni, si trova in una perenne condizione di impurità. Comunque, anche quelli che vogliono avvicinarsi, devono attraversare dei riti di purificazione per entrare in contatto con questa divinità.
Ebbene, con Gesù tutto questo cambia. L’insegnamento di Gesù, che adesso vedremo, è che non è vero che bisogna essere puri per accogliere il Signore, ma è l’accoglienza del Signore che ci purifica.
E’ un cambio radicale; quindi non è vero che devo essere puro per avvicinarmi al Signore, e questa è la credenza che allontanava tante persone dal Signore perché “io non sono degno di avvicinarmi”. Gesù dice “No. Non è vero che tu ti devi purificare per accogliermi, ma accoglimi perché così sarai purificato”.
Allora dice Gesù “Voi siete già puri per il messaggio che vi ho annunziato”. Il capitolo 13 dice che Gesù – non prima della cena, ma durante la cena, ed è l’ultima cena, la cena Eucaristica – si alza da tavola per lavare i piedi dei discepoli. I piedi sono la parte del corpo quella più sporca, quella più sudicia. Provate a immaginare, la gente andava scalza, cos’erano i piedi a quell’epoca. Erano la quintessenza dell’impurità.
Ebbene Gesù, per far partecipare i discepoli alla cena in cui lui si offre come pane e come vino, il suo corpo e il suo sangue, non pretende che si puliscano i piedi prima di partecipare alla cena, e neanche lui lava loro i piedi prima di partecipare. Se Gesù lo avesse fatto all’inizio, significava che bisognava essere puri per partecipare alla cena.
Scrive l’evangelista che fu durante la cena, quindi Gesù interrompe la cena e si mette a lavare i piedi ai discepoli. Cosa significa questo? E’ la partecipazione alla cena quella che purifica il discepolo, il partecipante. Non è vero che ti devi purificare per partecipare alla cena, ma è partecipare alla cena ciò che ti purifica.
Voi capite che questo è un orizzonte completamente nuovo. Pensate a quante persone sono state tenute e vengono tenute lontane dal Signore per una falsa comprensione del suo messaggio e per una inesatta comprensione del suo insegnamento. Il Signore – ed è questo il succo potremmo dire di tutto il Vangelo – non si offre come un premio per la buona condotta, ma come un regalo.
Se il Signore si concede come un premio significa che chi lo riceve ha compiuto qualcosa per meritarlo. No, Gesù non si offre come un premio, ma come un regalo. Il regalo non dipende dai meriti di chi lo riceve, ma dal cuore del donatore. Allora dice Gesù “Voi siete già puri”, quindi c’è una purezza iniziale che è dovuta a questo fatto del messaggio, e il messaggio è che Dio si fa amore e si mette a servizio.
E poi Gesù continua con quello che è un verbo importante adoperato una decina di volte, quello del “rimanere”, cioè del “dimorare”. “Rimanete in me e io in voi”. E’ qualcosa di inaudito quello che Gesù ci sta dicendo e che – sembra strano – sono duemila anni che è stato scritto questo messaggio, perché ancora non lo capiamo? Perché ancora non ci crediamo?
Rileggo: “rimanete in me e io in voi!” Gesù – e Gesù è Dio – non è una realtà esterna all’uomo verso la quale l’uomo deve orientare la propria esistenza, ma una realtà interiore. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto nella nostra vita per fondersi con noi e dilatare la nostra capacità d’amore. Più noi amiamo e più lui ci dona quest’energia per dilatare la nostra capacità d’amore.
Non c’è più un santuario dove andare per incontrare Dio, ma l’uomo è l’unico vero santuario dove si realizza l’amore di Dio. Questi brani di Giovanni, non solo non sono stati compresi, ma sono stati mistificati. C’è un’espressione adesso – si va con le mode anche per i manifesti funebri, per gli annunci funebri – specialmente per le persone religiose, adesso è molto in voga, se era una persona pia, religiosa, leggere “è tornato alla casa del Padre”.
Quanto piace alle persone religiose questo “è tornato alla casa del Padre”. Dove è tornato? Alla casa del Padre? Anzitutto dimmi quando era venuto, perché se c’è tornato … significa che era venuto via. E poi che cos’è questa casa del Padre? Dov’è? Questa è la mistificazione del messaggio di Gesù. Noi non andiamo nella casa del Padre, ma è il Padre che prende dimora in noi. Noi siamo la casa di Dio. Non dobbiamo andare nella casa di Dio.
Quando Giovanni, nel capitolo 14 dice “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore e io vado a prepararvi un posto”, non sta dicendo che va a preparare gli appartamenti per noi, ma sta dicendo che attraverso la sua morte e il dono dello Spirito, renderà ognuno di noi capace di diventare la casa di Dio.
Perché molte dimore? Perché Dio è immenso. Dio non si può manifestare in una sola persona, ma nell’insieme delle persone si manifesta la realtà di Dio. Noi siamo la casa di Dio, non ci sono case di Dio dove andare! Ma è Dio che viene in noi. Capite che tutto questo cambia completamente la realtà. E capiamo anche Ah, caspita! Ecco perché l’hanno ammazzato Gesù.
Sapete, una frase che chi legge i nostri scritti o partecipa agli incontri, sente pronunciare tutte le volte: non c’è da meravigliarsi che Gesù sia stato ammazzato, ma come ha fatto quest’uomo a campare così tanto. Se è vero quello che Gesù sta dicendo, e la gente ci crede, è il crollo dell’istituzione religiosa.
L’istituzione religiosa era riuscita a separare Dio dagli uomini. “Voi non potete avvicinarvi a Dio, avete bisogno di una categoria speciale di persone, i sacerdoti, che fanno da mediatori tra voi e Dio, avete bisogno di un luogo particolare, il tempio, di un giorno particolare, un giorno di culto, e di un rituale, la liturgia, non è che uno si può rivolgere a Dio come vuole”. Quindi, tutta una serie di elementi di mediazione per entrare in comunione con Dio.
Se è vero – ed è vero – che invece Dio non è esterno all’uomo, ma che Dio chiede di prendere dimora in ognuno di noi, tutto questo, uno dopo l’altro, crolla. “Ma perché devo andare dal sacerdote per dirgli qualcosa da riferire a Dio, quando Dio è dentro di me!” “Ma perché mi devo recare in un luogo particolare per parlare con Dio quando Dio mi è intimo!” “Perché devo osservare dei gesti, dei rituali, o addirittura delle formule quando Dio è intimo a me stesso!” .
Quindi quello che Gesù sta dicendo è qualcosa di straordinario che cambia la relazione con Dio. Quindi “rimanete in me e io in voi”, cioè ognuno di noi diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore di Dio. E sapete qual è la differenza? Che nel vecchio santuario, quello costruito dai sacerdoti, quello costruito dalla religione, le persone dovevano andare con alcune condizioni, ma non a tutte era possibile accedere.
C’erano determinate categorie di persone che, per la loro condotta, la loro situazione morale o religiosa, erano escluse. Il nuovo santuario, invece, non attende che le persone vengano, ma il nuovo santuario è in cammino. Verso chi? Verso gli esclusi dalla religione. Questo è il compito della comunità cristiana, non verso le persone del tempio, ma verso quelle che sono escluse dal tempio. Sono questi gli affamati e gli assetati di questa vita.
E continua Gesù “Come il tralcio non può portar frutto da sé stesso, se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”. E’ necessario che questo flusso continuo di linfa vitale che scorre da Gesù nella nostra vita, non conosca interruzione, perché ogni interruzione rischia di bloccarla o diminuirla.
E, ripete Gesù “Io sono”, rivendica di nuovo il nome divino, “la vite e voi i tralci, chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto”. Ecco la fecondità, ecco la vera fecondità: portare molto molto frutto. Ma questo frutto – l’abbiamo visto – non è soltanto il nostro sforzo. C’è tutta una collaborazione, Gesù che ci comunica la sua linfa, il Padre attento, che quando vede qualcosa che ci impedisce di portare più frutto, subito lo elimina, noi che, ricevendo questa linfa, contenti di portare più frutto, sappiamo che la volta successiva questo frutto porterà ancora nuove capacità di frutto, questo in un crescendo, questa è la fecondità e la vita del credente.
“Perché senza di me”, aggiunge Gesù, “non potete fare nulla”. E qui Gesù si rifà al famoso testo del profeta Ezechiele. Dice Gesù “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si inaridisce, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano”. Perché Gesù, tra i tanti esempi che poteva fare, fra i tanti alberi che poteva prendere, per questo esempio della linfa che scorre tra i rami e produce frutto, ha preso proprio quello della vite?
Indubbiamente perché rappresentava il popolo di Israele, ma perché la vite è l’unico – chiamiamolo albero da frutto – il cui legno non serve assolutamente a niente. Dice il profeta Ezechiele “Che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Ci si fa forse un piolo per attaccarci qualcosa? Può essere utile a qualche lavoro anche quando era intatto?” Non serviva a niente.
Quindi il legno della vite non serve a niente, serve soltanto a portare i grappoli, a far frutto. Sapete che – questa è la tradizione delle campagne –del legno della vite che andava bruciato, neanche la cenere era buona. Quando una volta le lenzuola si lavavano con la cenere, si lavavano con tutti i tipi di cenere, ma non con la cenere della vite perché li macchiava.
Quindi è un legno che o porta frutto, o altrimenti è completamente inutile. Allora Gesù sta indicando che nella nostra esistenza o portiamo frutto o siamo delle persone completamente inutili, ci inaridiamo, cioè siamo senza Spirito e veniamo eliminati.
E promette Gesù “se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. E’ incredibile – e lo dico per esperienza, ogni volta che si chiede – come siamo abili nel manipolare il Vangelo e a selezionare la parte che ci interessa e ci fa comodo, e dimenticare o cancellare quella che si ritiene impegnativa. Quando si chiede a qualcuno qual è l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, tutti sanno “chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Ma dimenticano le condizioni!
E’ vero che Gesù ha detto “chiedete quel che volete e vi sarà dato”, ma, attenzione, dice “se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”, forse è per questo che molta gente rimane male, chiede e non ottiene.
Gesù ha messo due condizioni:
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se rimanete in me, cioè dando adesione a questa linfa vitale, quindi in un impegno di opere che comunicano vita senza escludere nessuno da questo raggio d’azione
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se le mie parole rimangono in voi, non soltanto Gesù, ma tutto il suo messaggio.
Perché Gesù dice “chiedete quello che volete e vi sarà dato”? Perché il Padre vede in questi individui il prolungamento dell’azione del Figlio, e il Padre collabora con il figlio perché porti più frutto.
E dice Gesù “In questo è glorificato il Padre mio”. Anche qui cosa non è stato fatto in passato, a maggior gloria di Dio? A maggior gloria di Dio si sono costruite cattedrali sempre più ambiziose, sempre più lussuose; a maggior gloria di Dio si sono compiute azioni efferate; a maggior gloria di Dio si sono ammazzate le persone. Come si è potuto fare questo tradimento delle parole di Gesù?
“In questo è glorificato il Padre mio”: che portiate molto frutto. “Glorificare” significa “manifestare visibilmente”. Dov’è che Dio si manifesta visibilmente? Là dove c’è una crescita traboccante d’amore; lì si manifesta Dio, non nel lusso, non nella grandezza, che sono proiezioni delle ambizioni e delle frustrazioni degli uomini.
“E così sarete miei discepoli. Come il Padre ha amato me”, il Padre ha amato Gesù attraverso il dono dello Spirito, “così ho dimostrato il mio amore. Rimanete nel mio amore”. Gesù ci invita a una identità e comunione con Dio che è quella che, dicevamo prima, produce una fusione con la divinità. Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio.
Non c’è più un Dio a cui andare, ma con Dio e come Dio andare verso gli altri. Quindi, rimanendo in quest’amore, ma non per rimanere in una misura contemplativa, ma in una misura dinamica verso gli altri.
E qui Gesù dice “Se osserverete i miei comandamenti”. E quali sono i comandamenti di Gesù? Perché Gesù parla di osservare i suoi comandamenti? Nella cena, capitolo 13, Gesù ha detto “Vi lascio un comandamento nuovo”, uno. Perché adesso Gesù parla di comandamenti? Anzitutto vediamo cos’è che Gesù lascia. Gesù non lascia un nuovo comandamento, ma un comandamento nuovo.
Il termine “nuovo” nella lingua greca si esprime in due maniere: una che indica ciò che aggiunto nel tempo, e lo adoperiamo anche nella lingua italiana, che è “neos”. Neos significa nuovo nel tempo. Poi c’è un altro termine greco che è “kairos”, che non indica un qualcosa aggiunto nel tempo, ma una qualità migliore che sostituisce tutto il resto.
Allora Gesù non dice “vi lascio un nuovo comandamento”, cioè avete già quelli di Mosè, adesso vi aggiungo il mio, ma “vi lascio un comandamento nuovo”, cioè un comandamento migliore che eclissa tutti gli altri. E qual è questo comandamento? “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.
Ma questo è strano. Come mai Gesù comanda l’unica cosa che non può essere comandata all’uomo? Gli uomini potete comandare di tutto: di obbedirvi, di servirvi, ma non potete comandare di amare, perché l’amore è un fatto interiore. Tu potrai comandarmi di obbedirti, ti dovrò obbedire, di servirti, tutto quello che vuoi, ma non potrai comandarmi di volerti bene. Io ti obbedirò, ma ti odierò dentro di me, ti servirò, ma penserò che fai schifo.
Perché Gesù chiede di amare, e dice che è un comandamento? Non perché si un comandamento, ma per sostituirlo e anteporlo i dieci di Mosè. Nella comunità di Gesù c’è un unico comandamento che, per la qualità, annienta, sostituisce, eclissa tutti gli altri. Ma perché adesso Gesù qui non parla di un comandamento, ma dei “miei comandamenti”? Gesù non fa un elenco di comandamenti, c’è un unico comandamento “amatevi tra di voi” – avete notato Gesù non dice “come io vi amerò”, cioè l’amore totale definitivo della croce, ma “come io vi ho amato”.
E come ha amato? Lavando loro i piedi, cioè servendoli. Quindi l’amore non è reale se non si traduce in servizio verso gli altri. Ma perché Gesù dice dei comandamenti? C’è un unico comandamento: l’amore che si fa servizio, le traduzioni concrete, le traduzioni pratiche di questo unico comandamento, questi hanno valore di comandamenti. Ecco perché Gesù non li elenca; Gesù non fa un elenco di comandamenti, ma tutte quelle azioni che partono da questo unico comandamento – un amore che si fa servizio per gli altri – tutto questo per Gesù ha valore di “comandamento”.
“Questo vi ho detto” – siamo ormai alla conclusione, ed è la prima volta che Gesù ne parla – “perché la gioia, quella mia, sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Ecco qual è la volontà di Dio. Vedete, purtroppo, in passato, per delle deformazioni del messaggio di Gesù, la parola “Dio” è stata associata più al dolore che alla felicità. La parola “Dio” è più facile associarla alla sofferenza che alla gioia. Sapete, a certi teologi, se togliete loro il dolore, la sofferenza e il dispiacere, non sanno più come parlare di Dio.
Lì all’ingresso, dopo guardatelo, c’è una cornice con un frase di Karl Barth, questo famoso teologo, che dice che “un teologo senza gioia non è un vero teologo”. E’ molto bella quella frase, dopo rileggiamola. Ebbene, dai Vangeli appare che la gioia, cioè la felicità dell’uomo, appartiene alla volontà di Dio. Dio vuole che l’uomo sia nella gioia. Ma non un gioia normale, una gioia raggiungibile con i mezzi umani.
Dice Gesù “questo vi ho detto”, quindi tutto questo insegnamento, “perché la gioia” – e sottolinea, non dice soltanto la gioia – “quella mia”. Gesù è Dio!
“Sia in voi e la vostra gioia sia piena”, cioè talmente colma che poi possa traboccare. Questa è la volontà di Dio, quindi la volontà è che noi qui, in questa esistenza terrena, raggiungiamo una pienezza di gioia talmente completa, talmente grande, che possa traboccare, per poi comunicarla agli altri.
Potremmo dire con un termine semplicistico, ma reale, che l’incontro con il Signore ci renda ancora più felici di essere al mondo. L’unica cosa che lui ci chiede è “adesso fa che ogni persona che incontri si senta ancora più felice di essere al mondo”.
Allora, non la sofferenza, non la penitenza, no la mortificazione, tutte parole che non appartengono al vocabolario di Gesù, ma la gioia! Non è possibile essere seguaci di Gesù e avere certe facce lugubri, certe espressioni tristi, certe figure tetre! Non è possibile. Se una persona è tetra, sia chi sia, significa che non è stata minimamente sfiorata dalla Buona Notizia di Gesù.
Perché Gesù, alla conclusione di tutto questo, dice “Questo vi ho detto perché la gioia, quella mia, sia in voi”? Perché ha risolto il problema con Dio. La religione faceva sì che l’uomo si sentisse sempre in colpa nei confronti di Dio. Perché? Era un Dio inflessibile, un Dio permaloso, un Dio che ti caricava con tutto un elenco di leggi, di precetti da osservare, e per quanto cercassi di essere in regola, c’era sempre qualcosa che non riuscivi ad osservare, c’era sempre una mancanza, c’era sempre una colpa e ti sentivi sempre in debito, sempre in colpa, con un grande senso di indegnità.
La religione rende le persone tristi, perché la religione, con il suo carico di leggi, di prescrizioni, fa sì che l’uomo non si senta mai all’altezza del Signore, gli manca sempre un qualcosa.
Con Gesù, nella fede, si rende l’uomo pienamente felice. Dice Gesù “Vi ho detto tutto questo”. Cosa ci ha detto? Non ti preoccupare, hai quel problema, hai quel difetto, hai quell’elemento che pensi negativo? Non preoccuparti, tu pensa ad amare gli altri; se questo che tu pensi negativo, è un vero problema, il Padre lo elimina.
Non l’ha eliminato? Si vede che agli occhi del Signore è indifferente. Voi capite che persone che per tutta la vita si sono sentite in colpa in base a certe norme religiose, persone che hanno schiacciato la propria vita, soffocato la propria affettività per delle interpretazioni erronee del messaggio di Gesù, quando sentono questo è una vera risurrezione!
E’ una vera rinascita, e veramente la Parola del Signore può compiere miracoli. Quindi, questa gioia nasce dal fatto che il credente si sente amato e accettato così com’è, non come lui vorrebbe essere, e neanche come gli altri lo vorrebbero. Ma il Signore lo ama così com’è. Perché quest’amore, lo abbiamo già detto, è un amore che non va meritato, ma è un amore che viene regalato.
E, concludendo, Gesù dice “Questo è il comandamento” – e sottolinea, tante volte non l’avessimo capito – “quello mio, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato”. La gioia di sentirsi tanto amati d Gesù conduce i discepoli a mettersi a servizio degli altri. Ed ecco la relazione nuova, inaudita, che Gesù, che è Dio, vuole avere con noi.
“Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando”. E poi continua “non vi chiamo servi, ma amici”.
“Amicizia”, è questa la relazione che Gesù vuole che abbiamo con lui. Amicizia! Non quel rispetto ossequioso verso una divinità. Perché queste parole di Gesù sono vere, e nessuno le mette in dubbio, però c’è sempre un’eccezione: sì però è sempre Dio, quindi amicizia, però con rispetto; amicizia ma con le dovute cautele, non prendiamoci troppa confidenza!
Gesù dice che la relazione che lui vuole con noi è di amicizia. L’amicizia presuppone un parità. Facciamo subito una prova se la nostra relazione con Gesù è di amicizia, in occasione di una caduta, di una colpa, di uno sbaglio, di un peccato, cos’è che facciamo? Quella è la prova se siamo in amicizia con lui. Quando si sbaglia con un amico, se è un vero amico, neanche attende che noi gli chiediamo scusa, ma è lui per primo che non tollera che tra di noi ci sia questa frattura, questa ruggine.
Se è un vero amico sarà lui a venirci incontro, a metterci una mano sulla spalla “và, lascia perdere, è passato, continuiamo ad andare avanti!” Se è un vero amico. Invece quante storie si fanno nei confronti di Gesù quando pensiamo di aver sbagliato, di aver peccato, di aver commesso una colpa. Significa che questo rapporto di amicizia fra di noi non c’è. L’amicizia rende la vita del credente serena, rende la vita del credente più ricca. Chi è l’amico?
L’amico è quella persona sulla quale in qualunque momento, in qualunque circostanza, uno sta di poter contare e, soprattutto, se è vero amico, è quella persona – l’unica forse – alla quale ci possiamo presentare senza le maschere, così come siamo, perché l’amico ci accetta così come siamo.
Bene, ho fatto una galoppata, credo che possa bastare così la parte della relazione. Come sempre, la parte più interessante di questi incontri è quella dei vostri contributi. Allora se non avete sonno e non dovete scappare a casa, abbiamo ancora dieci/quindici minuti ancora con i vostri interventi e le vostre domande. A voi la parola.
Domanda: io vorrei dire una cosa, vorrei capire un po’ meglio la relazione che abbiamo con Dio. Ho sentito che noi abbiamo un relazione di intimità, Gesù è Dio, però noi a volte siamo completamente chiusi e ci capita che non riusciamo a percepire questo messaggio. Come è possibile questo?
Risposta: perché siamo vittime e succubi della religione. Noi non abbiamo avuto una educazione alla fede in Gesù, abbiamo avuto un’educazione religiosa …
Domanda: ma se Dio agisce dall’interno, Dio agisce dall’interno … è in noi, è in intimità con noi … come può la religione superare questo …
Risposta: guarda Filippo! Filippo è uno dei primissimi discepoli di Gesù, fra i primi che Gesù ha chiamato. Dopo tanto tempo, lo stesso Gesù dice: “Filippo, dopo tutto questo tempo che stai con me, ancora non hai capito che chi vede me vede il Padre?”
Come è stato possibile? I discepoli a quell’epoca vivevano giorno e notte con il maestro, Filippo è stato il protagonista della condivisione dei pani e dei pesci, non era neanche un discepolo in seconda fila, era tra i primi. Eppure, la forza della religione è talmente nefasta che guardi ma non vedi, ascolti ma non capisci.
Domanda: ma l’intimità non è nel senso di convivenza … l’intimità è se noi siamo pieni di Dio, in qualche modo ci è connaturale …
Risposta: ma se si è stati educati alla paura di Dio, al timore di Dio, al fatto della purificazione nei confronti di Dio, come vuoi che si potesse capire che Dio è dentro di noi? Dio ci è sempre stato presentato distante, un Dio al quale bisognava andare, un Dio di cui bisognava avere paura, bisognava avere timore. Non è che Dio non c’era dentro di noi, ma la pressione, l’incubo della religione, era talmente potente che ci impediva di prenderne coscienza. Gesù, grazie al cielo, ce ne libera.
Domanda: però mi viene in mente un’altra cosa. Se c’è qualcosa in noi che non va, ci pensa Dio a toglierla. Allora questo com’è compatibile con il fatto che la religione imposta gli uomini qualcosa di così pesantemente sbagliato? Se effettivamente pensasse Dio a tutto, in maniera così sistematica e così risolutoria, come può …
Risposta: allora, questo lasciar fare a Dio non invita ad essere dei parassiti, o dei vagabondi. Qui si tratta di persone che hanno impegnato la propria vita per il bene degli altri. Quindi il tralcio che viene purificato non è il tralcio che sta lì buono tranquillo. Ha detto Gesù “il tralcio che porta frutto”. Quindi si parla di un credente, impegnato, che orienta la sua vita al bene degli altri. E’ un atteggiamento che non è passivo, ma è attivo. Quando c’è questo atteggiamento attivo, lì subentra l’azione del Signore.
Domanda: volevo collegarmi a quello che diceva lei … come si fa tante volte se di solito si mette al centro la forza di volontà, quello che l’uomo può fare, come si fa a passare da un concetto all’altro. Io lo trovo difficile, sinceramente. Non sono più abituata a sentirmi in colpa, ma a pensare al bene dell’altro. E’ un atteggiamento mentale, come si fa a scardinare questo sistema?
Risposta: ecco, dunque, abbiamo che questo discorso che Gesù sta facendo è per credenti che hanno accolto Gesù e il suo messaggio e si impegnano a viverlo per gli altri. Quello che bisogna eliminare dal nostro orizzonte è l’idea di perfezione spirituale, darsi l’obiettivo di quello che dobbiamo diventare, ma questo non toglie che ci sia un impegno, ma sereno.
Vedete in Dio, sapete ci sono i due aspetti della paternità, ma anche della maternità. E quali sono le caratteristiche della paternità e della maternità? Il padre è colui che vuole che il figlio sia simile a sé, quindi i padre è lo stimolo alla crescita del figlio; la madre è l’amore incondizionato che accetta il figlio così com’è.
Allora in Dio ci sono questi due aspetti, in perfetto equilibrio tra di loro, e guai quando uno dei due prevale sull’altro. Quindi da parte di Dio c’è il Padre che ci stimola ad assomigliargli nell’amore, ma dall’altra c’è un’accettazione incondizionata di noi così come siamo.
Se ci fosse prevalente l’aspetto della paternità, questo ci metterebbe l’ansia, l’angoscia, di non essere all’altezza delle aspettative del Padre, se prevale l’aspetto materno, questo ci porterebbe verso una sorta di lassismo.
Quindi noi abbiamo una certezza, siamo amati, accettati, così come siamo, ma siamo stimolati ad essere sempre di più come il Padre. Essere come il Padre non significa altro che un amore incondizionato dal quale nessuno viene escluso. Ma questo lo possono capire soltanto quelli che sono stati esclusi.
E’ difficile, sapete, che una persona religiosa possa capire questo. Una persona tutta per bene, tutta a puntino, è difficile che possa capire il messaggio di Gesù. All’epoca sono state le persone religiose quelle refrattarie; sono state le persone pie i nemici di Gesù, che è stato capito da chi? Dagli esclusi dalla religione.
Soltanto una persona che ha vissuto sulla propria pelle cosa significa sentirsi esclusa da Dio, soltanto questa persona poi sarà incapace di escludere qualunque individuo dalla sua esistenza, perché la gioia che ha provato quando ha incontrato Gesù e ha sperimentato che non è vero che era esclusa, ma era per una falsa idea della dottrina, della religione, e che mai era stata esclusa dall’amore di Dio, ebbene quella gioia è talmente incontenibile – e lo dico come una battuta – che vado in cerca degli esclusi della società per dire loro “anche te, anche te, anche te!”
Domanda: quello che hai detto l’ho visto proprio nella mia esistenza, e in quella di molte persone, perché io ho fatto parte per più di dieci anni di uno dei cammini più integralisti, nel quale ero anche catechista ed ho visto il 90% di persone della comunità devastate da queste cose. Personalmente, per mia fortuna, un giorno mi diedero da leggere un tuo libro ed era “Roba da preti”. Ma ho visto la paura di staccarsi, per paura di perdere quelle sicurezze.
La domanda che volevo fare era questa. Sicuramente anche tu ci hai fatto capire che Gesù era dalla parte dei reietti, degli ultimi, i pastori, i magi. Adesso Gesù non dovrebbe essere dalla parte degli omosessuali, dei clandestini, mentre non si sente la voce della chiesa forte in questo senso. Si sente ogni tanto, così flebile … Siamo oppressi da questo conservatorismo che, anziché diminuire, sembra aumentare sempre di più. Come è possibile una cosa del genere?
Risposta: io dico che, per fortuna, quando la sacra famiglia è fuggita dalla Palestina perché Re Erode voleva ammazzare il bambino, ed è scappata in terra straniera, in terra pagana dagli egiziani, dico sempre: “Fortunati che hanno trovato i pagani egiziani e non i nostri cattolicissimi legislatori!”
Perché li avrebbero respinti. Figuratevi, una famiglia irregolare, dove il marito della donna non era il padre del figlio – già questo… – senza lavoro, senza mezzi economici, c’erano tutte le condizioni per optare per un respingimento. Per fortuna che i pagani egiziani sono stati più umani dei nostri cattolicissimi legislatori. E’ una vergogna quello che sta accadendo in Italia, in tutti i sensi; una vergogna ancora più grande è il silenzio della chiesa.
Ogni tanto uno dice “Birichini!” Ma proprio solo “Birichini, birichini”, poi “scherzavo, scherzavo”.
Perché la posta in gioco è molto grande e questo è un tradimento del messaggio di Gesù. Ci sono parole di Gesù che non possono essere messe tra parentesi, non possono essere cancellate e nessuna legge al mondo potrà mai seppellire “Ero straniero e mi avete ospitato”. Non potremmo dire “Ma c’era Bossi che non voleva”. “Ero straniero e mi avete ospitato”, senza se e senza ma.
Quindi c’è una chiesa – quando si dice la voce della chiesa si intende la voce gerarchica – ma c’è un’altra voce nella chiesa ed è quella del popolo che è molto più potente e più efficace della voce della chiesa gerarchica, perché è la voce profetica dello Spirito. Allora è con questa che bisogna farsi sentire, anche a costo di rimetterci, anche a costo di pagare di persona.
Allora perché in queste situazioni in cui viene tradito il Vangelo di Gesù, in base a norme, a leggi, che si vogliono spacciare addirittura per cattoliche, noi per primi non gridiamo contro questa ingiustizia? Quindi se c’è una voce che si deve far sentire è la nostra.
Domanda: io volevo chiedere anche a chiarimento delle ultime domande. La cosa che forse risulta più difficile da capire è “Ma basta solo amare”?
Gesù dice che basta amare, no? Forse bisognerebbe ritornare su questo punto perché, secondo me, è fondamentale … ho l’impressione che uno si dica “Vabbè io sto fermo, statico, non faccio niente. E’ Dio che pensa a tutto”. In realtà no …
Risposta: ma l’amore è attivo. La nuova relazione che Gesù ci propone con il Padre non è più basata sulla legge. La legge è statica, e la legge è comoda. Quando io ho osservato quelle regole, quelle prescrizioni della legge, sono a posto. La nuova relazione che Gesù ci propone con il Padre è dinamica.
Perché è basata sull’accoglienza e somiglianza all’amore di Dio. E l’amore di Dio è dinamico, non c’è nessuna legge che lo potrà formulare. Perché Gesù prende le distanze dalla legge? Perché il Dio di Gesù è amore e l’amore non si può formulare attraverso le leggi, m soltanto attraverso delle opere che comunicano vita.
Se c’è un legge, io posso dire “va bene stasera ho fatto il mio dovere, sono a posto”. Se c’è l’amore, eh no, l’amore produce sempre – non un’ansia – ma un dinamismo, un desiderio di comunicarlo perché più tu lo comunichi e vedi le persone che sono gioiose e felici e più senti la gioia che cresce in te.
E quella di prima “Vi lascio la mia gioia perché in voi sia traboccante”. L’autore della prima lettera di Giovanni, dice una cosa a un certo punto che molti pensavano addirittura si fosse sbagliato, e hanno cercato di correggerla, dice “E vi diciamo tutte queste cose affinché… “ – e ci si aspettava “affinché la vostra gioia sia completa” – no “affinché la nostra gioia sia completa”. Nel comunicare vita agli altri si produce gioia in noi.
Questa gioia dà nuova capacità per comunicare vita agli altri, in un crescendo instancabile, senza fine.
Gli unici stop sono quelli dovuti anche al rispetto di noi stessi. Non si può vivere dando perché c’è bisogno anche delle pause; c’è bisogno del riposo, perché, ricordate all’inizio, la vita biologica deve essere nutrita, la vita interiore deve nutrire, ma bisogna che ci sia equilibrio. Non posso sempre nutrire senza essere nutrito.
Quindi è una vita completamente dinamica, attiva, non è un vita che ci porta alla pigrizia, anzi! E’ una vita che ci mette in sintonia con la fantasia del Padre Eterno. La fantasia del Padre Eterno qual è? Che nella vita non ci sono pietre, ma pani.
Le pietre sono situazioni che schiacciano l’individuo, pani sono situazioni che alimentano l’individuo, allora la fantasia del Padre Eterno si esercita in questo. Quando nella vita ti capita un avvenimento negativo, un episodio triste, un dolore che pensi che sia una pietra, ebbene la fantasia del Padre Eterno ti fa scoprire che non è una pietra che ti schiacciava, ma era pane che ti alimentava.
E noi siamo coinvolti in questo dinamismo, siamo portati anzitutto nella nostra vita a non confondere il pane con le pietre, e a far scoprire agli altri “guarda che la situazione che stai vivendo non è una pietra che ti è capitata e che ti schiaccia, ma è pane che ti alimenta e ti dà la vita”.
Domanda: non so se ho capito male, allora tutto quello che di negativo accade, la sofferenza, e il dolore che c’è nel mondo, è provvidenziale.
Risposta: ma io non ho detto questo, non farmi dire cose che non ho detto.
Domanda: che una pietra è un pane per forza!
Risposta: la fantasia di Dio trasforma la pietra in pane.
Domanda: … qualunque cosa ci accade di doloroso …
Risposta: allora noi abbiamo una certezza, dalla lettera di S. Paolo ai Romani che il Signore tutto trasforma in bene. La forza della vita è più forte di qualunque forza di morte. Dio non tollera che la nostra vita possa essere schiacciata dal dolore, dalla sofferenza, dalla morte.
E non è che viene la morte perché lui ci possa comunicare vita!
Ma laddove ci sono situazioni di morte, lì Dio si innesta con tutta la su fantasia e tutta la sua potenza, per trasformare in bene quello che era una situazione di male. Ma ti dispiace questo? E’ bellissimo!
Domanda: no, mi sembra .. io non riesco … quello che è male, infatti ci sono cose che non si comprendono …
Risposta: io ti assicuro, per la mia esperienza, che questa è storia quotidiana. Non c’è nulla di negativo nella propria esistenza che il Signore non trasformi poi in un vantaggio ancora più bello, ancora più grande.
Bene, vi ringrazio. Buonanotte.
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