O2 – IL “CONVENTO-OSPEDALE” UN FARO SULLA CITTA’ – A. Nocent
Posted on dicembre 6th, 2009 by Angelo 				
				C’ERA UNA VOLTA IL CONVENTO-OSPEDALE
Appunti di bordo di  Angelo Nocent
n. 02 – Il “Convento-Ospedale” un faro sulla città
Sul carisma  dell’Ospitalità sono sati versati negl’ultimi cinquant’anni fiumi  d’inchiostro, come non mai nei cinque  secoli di storia dell’Ordine. Potrebbe essere il lampeggiatore che segnala  l’esaurimento del carburante, la spia rossa che mette in forse le salde certezze  di un tempo. A diverso titolo, assistiamo ad una subdola crisi persistente che  sgretola silenziosamente l’Istituzione come i tarli le gambe di un tavolo. Ci  sono forti indizi – ad esempio la latitanza – per presagire che alcune realtà  stiano per implodere. Che significa un cedimento verso l’interno, un  afflosciarsi sulle proprie gambe, come fossero state minate le fondamenta. Questa potrebbe anche essere  la spiegazione dell’atteggiamento di certa subdola politica che se ne sta in  riva al fiume riservata e guardinga, in attesa che passi il cadavere, pronta ad  intervenire al momento giusto. E non sarebbe la prima volta…
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No alle conclusioni predefinite
Epperò noto con  rammarico che non c’è la tendenza ad analizzare i fallimenti e gli sbandamenti.  Incolpando or l’uno or l’altro, s’imbocca la strada più facile che esenta dalla  fatica dell’approfondire per capire. Davanti ad un mobile antico, ad un affresco  intaccato, si procede al restauro. Quando si parla di un Ordine Religioso si  deve parlare – come si sta facendo – di ri-fondazione. Se quella del restauratore è come la  mano del chirurgo che rischia, “o la va o la spacca”, quella della rifondazione è arte delicata che si apprendere dalla  Chiesa delle origini che crede alle promesse del Signore: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete  testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi  confini della terra» (At 1,8). E questa promessa, all’inizio  incredibile, gli Apostoli l’hanno vista realizzarsi: «Di  questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro  che si sottomettono a lui» (At 5,32). 
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Nello specifico, si  tratta di reinterpretare il carisma tramandato, in funzione di nuovi bisogni  della Chiesa, della Società e di una mutata situazione culturale. La rilettura  compete al Capitolo Generale. Ma sempre in sottomissione a Lui. Leggo che sono  in corso sforzi di preparazione all’assise. Mi auguro che siano commisurati  all’importanza che assume nella Chiesa. Perché di Chiesa stiamo parlando e non  di sociologia, né di scienza delle finanze o di mercato globale. E tutti  dovremmo sapere che un carisma non è  dato ma affidato. Non appartiene alla  persona o al gruppo che lo riceve ma alla Chiesa, cioè al Popolo di Dio tutto intero che ne ha diritto e dovere di  vigilanza attraverso la gerarchia ecclesiastica. Perciò, se non è affare  privato, vuol dire che in Messico si va essenzialmente a parlare della nuova  evangelizzazione in un contesto mondiale diventato altro. 
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Una qualche  perplessità su quanto sta avvenendo mi viene dalla constatazione del tanto che è  già stato detto, ridetto e scritto in questi anni, magari  non sempre centrando le cause che hanno  originato la crisi. Si tratta di una  catena di propositi senza seguito, di auspici rimasti tali, di ipotesi  traballanti. La constatazione più amara è vedere che i religiosi ormai sono  stati praticamente allontanati dal letto dei malati, per fare di mestiere non si  sa bene che cosa. Se la riforma della scuola non si può fare semplicemente  cambiando i banchi, figuriamoci se la ri-fondazione di un Ordine può avvenire  introducendo gli amministratori delegati! 
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Ma si può fare medicina senza i medici?
Non so quanti si sono  soffermati sulla Circolare. La prima impressione a caldo per me è stata di  disorientamento. Per come la vedo io, si tratta di un documento con alti e bassi  e qualche contraddizione. Qui non c’è lo spazio per documentare né per  un’analisi dettagliata ma, di sicuro si può dire che richiederebbe precisazioni,  integrazioni e magari anche ripensamenti di natura teologica. Ma scendiamo di un  gradino. Lì per lì mi sono posto una domanda che può sembrare  retorica: si può oggi pensare di  rifondare un Ordine Ospedaliero senza fare i conti con i medici che io non vedo  così coinvolti? Ed una conseguente:  a quanti degli altri operatori sanitari può interessare la svolta che si vorrebbe  storica? Non mi risulta che dalle nostre  parti sia stata condotta un’analisi conoscitiva. In epoca di maxi sondaggi,  questa andrebbe commissionata al più presto, se si vuole restare con i piedi per  terra e non perdersi fantasticamente negli spazi siderali. 
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Nelle sedi in cui  verrà aperto il dibattito, bisognerebbe evitare due insidie: quella di  analizzare la Circolare per evidenziarne semplicemente i limiti e sottolineare  le lacune, e l’opposta, avvilente, di lasciar correre tutto, come si trattasse delle solite chiacchiere  inconcludenti di chi non ha altro da fare. Invece è doveroso discernere, ossia prendere coscienza di ciò che lo  Spirito suggerisce attraverso la Parola instancabilmente interpellata. Il testo  base deve fungere da tracciato per la riflessione e il dibattito. Ma il  documento Capitolare finale dovrà risultare necessariamente irriconoscibile  rispetto al testo iniziale. E’ successo per tutti gli schemi proposti dalle  Segreterie ai Padri Conciliari per il dibattito e il voto in aula; dovrà succedere anche qui, a costo di rimandare di  un anno la sessione di chiusura del Capitolo. E’ l’auspicio che proprio ieri,  dopo un funerale, ho formulato al Direttore della Rivista, che è uno dei Vocali al CGS. 
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Le imposizione calate  dall’alto, pur se elaborate da canonisti ed esperti, sono come i cibi precotti:  hanno per natura durata limitata e, quando scadono, intossicano. Solo da un  paziente dialogo, che è tollerante ascolto dell’altro, può passare  l’illuminazione dello Spirito di Gesù, il Maestro Interiore di ciascuno. La  purificazione della memoria, cui fa riferimento la Circolare, non può avvenire  che gradualmente. E non va dimenticato che le conclusioni predefinite  assomigliano ai progetti sulla fame nel mondo di cui è popolato l’universo: la  fame non scompare, gli affamati sono in aumento.
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S’è già detto che  l’annuncio che ne ha fatto il Priore Generale, coinvolge – almeno nelle sue  intenzioni – religiosi e laici. Anzi, per i secondi, i famosi 40.000 dipendenti  sparsi nel mondo, più benefattori, ecc…, quasi non bastassero quelle ordinarie, l’Ordine sembrerebbe intenzionato ad aprire autostrade pur di facilitarne l’adesione. Ma Dio solo  sa in quale misura c’è disponibilità ad aggregarsi a livello di base, sia da  parte dei consacrati che dei Christifideles  laici. Meglio non illudersi. Mentre la Circolare va subito  all’osso nell’intento di portarsi a casa un risultato storico, mi parrebbe  prudenziale che si provasse a rispondere preventivamente ai tanti interrogativi  sorti in questi anni dai documenti ufficiali ed anche da queste colonne, a  cominciare da uno: Chiesa, dove stai andando? Naturalmente intendo noi Chiesa particolare, dove, come nelle promesse  battesimali e nel Credo, non si può dare una risposta collettiva (crediamo,  rinunciamo) ma solo personalissima: credo, rinuncio… 
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Un faro sulla città
Nel linguaggio della  tradizione FBF c’era il Convento-Ospedale di… Cambiano i tempi, le mode s’impongono, il linguaggio si adeguano: Centri  FBF, IRCSS, Fondazioni… Ma quella denominazione che la tradizione ha conservato  fino ai giorni nostri, trovo che sia insuperabile ed averla abbandonata o  volerla dimenticare è solo un impoverimento, anche se imposto dalle circostanze.  Non dico no alle nuove terminologie ma andrebbero usate negli atti ufficiali e  solo quando occorre. Perché il Convento-Ospedale richiama il concetto che lì, in quella struttura sanitaria c’è un  “angolo monastico”. Come a dire che lì  il primato è dichiaratamente di Dio e che vi si respira la divina umanità di  Cristo. 
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Già nel nome si percepisce l’idea che, proprio nella fase critica di una malattia, volendo, c’è la  possibilità per ognuno di avvertire una Presenza, di imbattersi in una Persona,  che succeda un Avvenimento sconvolgente. In questo modo il Convento-Ospedale  sarebbe anche un faro che orienta e richiama la Comunità territoriale  all’esperienza bruciante della Presenza di Dio; un luogo dove il Santo dei Santi  fa dell’Ospedale un Tempio, la dimora di  Dio fra gli uomini, il Misericordioso e Compassionevole che gli operatori  sanitari cristiani fanno percepire ogni volta che accostano i letti  dell’infermità.
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Da noi, in ogni  struttura ospedaliera pubblica o privata, di solito c’è una chiesa, una  cappella. Ma il Convento-Ospedale suscita l’idea di una comunità che non è solo  di professionisti della salute ma anche di oranti, che partecipa al dolore della  città sofferente, che si fa carico dei destini degli uomini. Ed è proprio qui,  in quest’angolo monastico che dovrebbe convergere anche la Chiesa locale, di cui  la comunità religiosa è parte integrante ed espressione della sua diaconia e del  ministero sanante.
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Giovanni Marcandalli,  il parroco e confidente del nostro compianto Dott. Pierluigi Micheli di cui ho  più volte riferito, in Sogni e follie di un  parroco, prefazione del Card. Tettamanzi, racconta di aver  avviato nella centralissima Chiesa di San Marco in Milano, vicino alla Scala, nei pressi dell’antico  ospedale Fatebenefratelli, un’iniziativa da moltiplicare: “Ogni settimana, in un giorno stabilito, nello spazio “monastico” del nostro coro secentesco, io mi  raccoglierò, con chi vorrà partecipare, per questo momento  contemplativo:
- - per “godere di Dio”,
 
- - perseguire il sentimento della Sua presenza,
 
- - deliziarsi della bellezza del Suo volto,
 
- - lasciarsi rigenerare dalla sua parola nella lectio divina,
 
- - non per “sapere” di più, ma per “ardere” di più, cogliere qualche bagliore della Sua gloria, qualche scintilla del Suo mistero “tremendo e affascinante”.(Ed. Àncora).
 
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Lo “spazio monastico”.
Io credo che anche  questo sarebbe un modo di concepire la medicina che porterebbe a fare la  differenza: curare con gli strumenti della scienza e della tecnica ma anche con  un supporto di fede palese, manifesta, espressa e non scontata e vissuta come fatto privato da vivere dietro le  quinte. La città lo dovrebbe sapere. Come dovrebbe sapere che il tal giorno,  alla tal ora, nell’angolo monastico, il Crocifisso-Risorto si fa trovare in  mezzo ai suoi perché ognuno, alla stregua di Maria Maddalena, possa farsi  annunciatore della vita nuova: “Ho visto il Signore” ( Gv 20,18). 
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Ogni  mercoledì, nella cappella dell’Istituto  dei Tumori di Milano dove lavoro, il SS. Sacramento resta esposto all’adorazione  per tutta la giornata. Ed ogni lunedì la messa è animata da quelli del  Rinnovamento nello Spirito, dopo la quale vengono effettuate le “preghiere di  guarigione”, secondo le indicazioni della Sacra Congregazione. 
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Alla Messa  quotidiana sono ricordati coloro che subiranno l’intervento chirurgico il giorno  successivo.  Se ciò può avvenire in un  Ospedale pubblico, allora ben torni a risuonare il binomio “Convento-Ospedale”  avvertito come una qualificazione più che sinonimo di superato e di stantio. Basterebbe la sola presenza di un religioso, posto come segno  escatologico, per costituire nel territorio un’assemblea di oranti, un far  percepire alla città che il luogo di cura è una delle strutture del ministero sanante di Cristo che più sta a cuore  al Vescovo, memore del Signore Gesù che “passava di città in  città e guariva tutti” (Lc 6,19).
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A guardar con la  lente d’ingrandimento, buona parte della pastorale ospedaliera, nella maggior  parte dei casi si riduce a ben poco. I ricoveri sono sempre più brevi per via  dei costi, i sacerdoti, assegnati con il contagocce, le suore, mosche bianche.  Le visite del sacerdote ai degenti, fugaci, tanto per ricordare che la Chiesa esiste e con essa i Sacramenti della  Salvezza. Tutte le buone intenzioni e le suggestive proposte che si leggono,  provengono da gratificanti convegni e servono più per sfornare libri e articoli  che altro.
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Se le cose stanno  davvero così, il Convento-Ospedale potrebbe fungere da scuola e palestra, dove  ci si prepara, da sani, ad affrontare l’inevitabile periodo della malattia e  dove si riceve attenzione per le “emozioni ferite” di cui siamo un po’ tutti  portatori. Un modo per fare prevenzione, inculcando, attraverso percorsi  educativi, nozioni di igiene mentale ed arginare in questo modo i disastri di  una patologica diffusa vita disordinata  e del diffondersi dei disturbi della personalità che possono anche degenerare.  Un luogo di ascolto e di orientamento. 
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Ma attenzione. La  tentazione ricorrente nella vita consacrata postconciliare è quella di chiederci  che cosa dobbiamo fare e di mettere insieme una lista  di impegni, di propositi o elencare dei campi in  cui metterci ad operare, dimenticando che la domanda vera  cui tentare una risposta è un’altra: a quali condizioni c’è per la vita  consacrata  un futuro carico d’eternità.  “…voi avete il compito di invitare nuovamente gli uomini e  le donne del nostro tempo a guardare in alto, a non farsi travolgere dalle cose  di ogni giorno, ma a lasciarsi affascinare da Dio e dal Vangelo del suo Figlio.  Non dimenticate che voi, in modo particolarissimo, potete e dovete dire non solo  che siete di Cristo, ma che «siete divenuti  Cristo»! 
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A queste  sollecitazioni della Chiesa, segue un incoraggiamento  da raccogliere: “Voi non avete  solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da  costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi  ancora cose grandi.” (Vita  consecrata.110)
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Ma c’è di più e ce lo  suggerisce il Padre Raniero Cantalamessa, predicatore pontificio: “Diciamocelo pure: la preghiera comune delle comunità tradizionali rischia  di ridursi facilmente a quello che Isaia definiva “un  imparaticcio di usi umani”, un “onorare  Dio con le labbra mentre il cuore è lontano da lui” (cf. Is 29, 13-14). Non dobbiamo certo disprezzare la preghiera liturgica, ma è  necessario sostenerla e mantenerla viva con altri tipi di preghiera, da sola non  basta. 
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Noi conosciamo due soli generi di preghiera: la preghiera liturgica e la  preghiera personale. La preghiera liturgica è comunitaria, ma non spontanea; la  preghiera personale è spontanea, ma non comunitaria. Ci  occorre una preghiera che sia al tempo stesso comunitaria e spontanea e questo è ciò che chiamiamo preghiera  carismatica, non chissà quali strane forme di preghiera.  Essa permetterebbe, in certe circostanze o all’interno della stessa preghiera  liturgica quando è consentito, dei momenti di autentica condivisione spirituale  tra fratelli. 
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Diversamente c’è il pericolo che nelle nostre comunità  condividiamo tutto, eccetto che la nostra fede e la nostra esperienza di Gesù.  Si parla di tutto eccetto che di Lui. Lo  Spirito Santo ha riportato in vita questo tipo di preghiera carismatica, essa  è la forza di quasi tutte le nuove  comunità e i movimenti ecclesiali del  dopo Concilio. Possiamo aprirci a questa grazia senza tradire minimamente la  nostra identità, anzi manifestandola”.
E allora, buona  preghiera carismatica a tutti. Nello “spazio  monastico” che non deve scomparire.
                                                                             Angelo Nocent
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REVISIONE PER LA RIVISTA “FATEBENEFRATELLI”:
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