SARA , LA MADRE DEL POPOLO DI DIO – Elena Bosetti

SARA, LA MADRE DEL POPOLO DI DIO

 
 
 

 

Di Elena Bosetti

C i lasciamo introdurre da un bel testo della Lettera agli Ebrei che presenta Abramo e Sara come il padre e la madre che ci hanno preceduto nella fede: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.

Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova  lungo la spiaggia del mare. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra» (Eb 11, 8-13).

Abramo e Sara sono la prima coppia che la Scrittura racconta in forma particolareggiata, dopo quella di  damo ed Eva. Nei capitoli che seguono la cacciata dei due progenitori dall’Eden troviamo  elenchi di genealogie, ma non storie di coppie. Della moglie di Noè non sappiamo neppure il nome.

Abramo e Sara segnano un nuovo inizio. Siamo al primo tornante della storia di salvezza! È la coppia che Dio sceglie e benedice, è la coppia che inizia il ritorno, il movimento di conversione al Signore che si esprime nella totale obbedienza alla sua parola e nella fiducia incondizionata.

Questo inizio è registrato in maniera eminente al capitolo 12 della Genesi con la chiamata di Abramo. Ma è già anticipato in Genesi 11, 27-32, nella sfida tra la morte e la vita che accompagna la prima uscita di Abramo dalla sua terra, la migrazione da Ur dei Caldei a Carran.

Una carovana segnata dalla morte

Il testo presenta la famiglia di Terach e la sua decisione di emigrare: «Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch’era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. Sarai era sterile e non aveva figli.

Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan.  Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono» (Gn 11, 27-32).

Abramo e Sara sono dunque già inseparabili Quando da Ur dei Caldei parte una carovana di gente segnata dalla morte. Capo della carovana è il padre Terach. Doveva essere vicino ai cent’anni (secondo Gn 11, 26 era diventato padre a settant’anni!) ma più che l’età doveva pesargli il dolore per la morte del figlio Aran, avvenuta misteriosamente alla sua presenza. Le ragioni della migrazione sono taciute. Invece si sottolinea che a partire con il vecchio Terach sono i congiunti segnati dall’esperienza di morte.

C’è Lot, il nipote che gli ricorda il figlio morto, e c’è Abram il cui futuro sa già di morte poiché sua moglie Sarai “è sterile e senza figli” (si noti la ripetizione del concetto, con valore rafforzativo). Tra i componenti della carovana non risulta invece il figlio Nacor e sua moglie Milca, una coppia feconda, l’unica umanamente parlando che ha il futuro aperto alla vita. Con il vecchio Terach partono soltanto i segnati dalla morte. Una sfida alla vita. Di fatto quella carovana di gente segnata dalla morte andava aprendo un futuro di salvezza per l’intera umanità.

Il fascino di Sara

Di Sara è proverbiale la stupenda bellezza. Si racconta che ci fu una carestia in terra di Canaan dove Abramo soggiornava con le sue greggi e perciò il patriarca decise di scendere in Egitto. Strada facendo, si rivolge alla moglie e le fa questo ragionamento: «Vedi, tu sei una donna di aspetto avvenente. Quando arriveremo in Egitto, gli Egiziani se ne accorgeranno subito e, sapendoti mia moglie, finiranno per uccidermi pur di averti! Facciamo così: non dire che tu sei mia moglie, presentati come mia sorella… » (cf. Gn 12, 11-13).

Abramo gioca sul doppio senso che la parola “sorella” poteva avere per gli egiziani: oltre il senso di sorella anche  quello di “sposa” (vedi il Cantico dei Cantici e le canzoni di amore egiziane). Sta il fatto che Abramo viene “trattato bene per riguardo di lei”. Emerge così un primo contrasto tra la figura di Sara e quella di Eva: mentre Eva fu causa di male per Adamo, Sara fu causa di bene per Abramo! Oltrettutto ci si potrebbe interrogare su questa irresistibile bellezza di Sara. Quale fascino poteva esercitare una bellezza di 65 o addirittura 90 anni? (la storia di Genesi 12 si ripete in Gn 20 quando Sara, stando ai dati della Bibbia, doveva avere ormai 90 anni!).

C’è chi ha letto in questo fascino di Sara un’allusione all’irresistibile fascino della elezione (così Israele e il Cristo, il “più bello tra i figli degli uomini”). Sara, come madre, incarna e anticipa la sorte del popolo  letto: scende in Egitto, suscita attrazione e irresistibile fascino, viene presa dal faraone, ma poi liberata e riconsegnata al vero marito (Abramo in tal caso rappresenta Dio stesso).

Sara anticipa come madre la vicenda del popolo di Dio, di Israele e della Chiesa.

I limiti di Sara

La Bibbia non racconta storie di eroi, ma di uomini e donne reali, con i loro difetti, limiti e pecche. E il limite di Sara è la sua gelosia. Prima spinge il marito verso la schiava al fine di avere un figlio almeno attraverso di lei, ma poi si trasforma in aguzzina della povera Agar e giunge fino ad obbligare il marito a cacciare di casa il figlio Ismaele. Tuttavia Dio si avvale anche di questo limite per il suo piano di salvezza. Sara mediante la sua gelosia diviene, inconsapevolmente, la custode dell’elezione. Infatti Dio dice ad Abramo: “ascolta la parola di Sara in quanto ti dice, ascolta la sua voce” (Gn 21, 12). Benché esprima gelosia, la voce di Sara va ascoltata; Dio stesso la utilizza per il suo concerto di amore, di gratuita elezione.

Quando Dio sceglie immancabilmente separa: Abramo deve separarsi dalla  sua gente, Isacco da Ismaele, Giacobbe da Esaù… così il popolo di Dio sarà separato da tutti gli altri popoli della terra.

Il sorriso di Abramo e di Sara

Abramo aveva creduto alla parola del Signore e si era messo in viaggio. E con lui la nostra Sara. Ma gli anni passavano, Sara invecchiava, la sua bellezza avvizziva e il suo grembo restava chiuso. In Genesi 17 Dio rinnova ad Abramo la promessa: “sarai padre di una moltitudine di popoli” e lega tale promessa a un’alleanza perenne. Un’alleanza che Abramo e i suoi discendenti porteranno nella loro stessa carne, mediante il rito della circoncisione: «Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. (Cambiamento di nome come era avvenuto per Abramo: 17, 5). Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei» (Gn 17, 15-16).

L’autore sacro ci riserva qui una sorpresa. Come è noto, Abramo è l’uomo della fede incondizionata. Non obietta mai, tace e obbedisce, anche quando Dio gli chiederà di offrirgli Isacco. Ma qui non può trattenersi dal riso. E proprio mentre è prostrato fino a terra, cioè in adorazione del suo Dio! Fede e incredulità convivono: «Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire? (Gn 17, 17).

La notizia è così “strana” e inaudita che subito Abramo avanza l’intercessione per il figlio già avuto: «Abramo disse a Dio: “Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!”. Ma Dio disse: “No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso”» (Gn 17, 18-20).

La scena del sorriso si ripete anche per Sara. Un giorno, nell’ora più calda, mentre Abramo faceva la siesta all’ingresso della sua tenda, giunsero tre uomini. Abramo li accolse con squisita ospitalità. Preparò per loro un succulento banchetto e mentre mangiavano lui “stava in piedi presso di loro” (Gn 18, 8) come uno che serve.

I tre chiesero: “Dov’è Sara, tua moglie?”  E Abramo rispose: “È là nella tenda”. A questo punto il testo sacro passa dal plurale al singolare, come se i tre fossero diventati uno (i Padri della chiesa vi scorgono un’allusione all’unità e trinità di Dio). Dice dunque quell’Uno ad Abramo: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio” (Gn 18, 10).

Sara stava dietro la tenda ad origliare. All’udire quelle parole le scappò da ridere. Non un riso di gioia, ma un riso amaro che appena si dispiega sulle labbra e resta propriamente dentro. “Sara rise dentro di sé” (Gn 18, 12). È il riso della totale disillusione. Ormai Sara aveva perso la speranza, era già vecchia. E non solo lei, ma anche Abramo. Ride dunque nel suo cuore, ma forse preferirebbe piangere… Il Signore che legge i cuori, vede anche il triste riso di Sara e si rivolge ad Abramo con queste parole: “Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio” (Gn 18, 13-14). Davvero “nulla è impossibile a Dio” (le stesse parole sono dette a Maria dall’angelo Gabriele: Lc 1, 37). Come Dio aveva annunciato così avvenne. La vecchia Sara concepì e partorì un figlio.

Allora il suo riso fu veramente pieno e liberatorio. Le uscì di bocca un grido di gioia e di meraviglia: “Motivo di     lieto riso mi ha dato Dio!” E con sottile ironia, pensando al suo incredulo sorriso di un tempo, immagina ora un riso collettivo, che contagia di meraviglia l’intero vicinato: “Chiunque lo saprà sorriderà di me!” “Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!” (Gn 21, 6-7). Abramo chiamò quel figlio “Isacco”, che significa un “riso di gioia”.

Per approfondire l’ascolto

Sara è la “sterile graziata”, una caratteristica che ritroviamo in Rebecca, moglie di Isacco, e in Rachele, la più amata delle due mogli di Giacobbe. Il diventare madre è “grazia” invocata umilmente nella preghiera. Dio è vincitore della sterilità. Egli ha il potere di aprire il grembo sterile, come di suscitare vita dalla morte (cf. Rm 4, 17-21; Eb 11, 19).

Testi biblici

  • La sterilità-maternità di Rebecca: G25, 21

  • La sterilità-maternità di Rachele, la madre che muore donando la vita: Gn 29, 31; 30, 1-2; 35, 16-20

  • La sterilità-maternità di Anna, la madre del profeta Samuele: 1Sam 1, 4-20

  • La sterilità-fecondità di Gerusalemme e del popolo di Dio: Is 54, 1-3; Sal 113, 9

  • La rilettura paolina della figura di Abramo e Sara: Rm 4, 18-25; Gal 4, 21-31

In dialogo e confronto

Passiamo dall’ascolto alla meditazione con l’aiuto di alcune domande.

* Ci lasciamo interpellare personalmente dalla Parola e confrontiamo la nostra vita con Gesù Cristo, Verbo del Dio vivente.

  • Da Ur dei Caldei parte una carovana di gente segnata dalla morte, tra cui Sara, la “sterile e senza figli”. Eppure è con questa carovana che Dio traccia il nuovo futuro dell’umanità!

* Cosa comporta questo evento per la mia vita, per quella della mia famiglia e della chiesa?

* Credo davvero che Dio sa trarre vita da situazioni di morte?

  • Anche noi, come Sara, per il fatto di aver accolto la grazia del battesimo, benedizione spirituale in Cristo Gesù, nuovo Abramo e sposo della Chiesa. Questa nostra “bellezza” non conosce l’usura del tempo. 

* Sono consapevole di tale bellezza? I doni di grazia e benedizione mi sostengono nelle difficoltà?

  • Sara è una donna con limiti, difetti e gelosie. Dio non ha paura dei nostri difetti. Chiede però la nostra fede per realizzare, anche attraverso di essi, il suo piano di amore: “C’è forse qualche cosa di impossibile per il Signore?”.

* In chi credo davvero: in me, nella mia preparazione, nel mio impegno, oppure nel Signore? Mi fido di Dio? Invoco umilmente il suo aiuto?

* Come è stato il mio cammino di fede fino ad oggi? Vivo l’obbedienza della fede?

  • Anche la nostra vita può rimanere sterile per lungo tempo come quella di Sara. Si fanno tante cose, tanta applicazione, lavoro, organizzazione… ma non si genera alla fede! Eppure il Signore ha in serbo anche per noi figli e figlie, partoriti magari nella vecchiaia… Siamo chiamati a generare vita.

* Come vivo la dimensione apostolica della mia fede negli ambienti di vita come la scuola, il lavoro, la famiglia?

*  Cosa può essere in me causa di “sterilità”: l’attaccamento alle mie abitudini, la paura di non riuscire, la poca generosità?

* Il Signore mi chiama a diventare padre/madre: sono disponibile a dare la vita, a donarmi fino all’oblazione, come Rachele, la madre che muore donando la vita?

In preghiera

Alla luce dello Spirito che feconda la nostra umanità, contempliamo la bellezza e i limiti della nostra comunità e della Chiesa.  Chiediamo il dono della paternità e maternità spirituale. Facciamo nostra la preghiera di Anna, la madre del profeta Samuele:

  • Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio.

  • Si apre la mia bocca contro i miei nemici, perché io godo del beneficio che mi hai concesso.

  • Non c’è santo come il Signore, non c’è rocca come il nostro Dio.

  • Non moltiplicate i discorsi superbi, dalla vostra bocca non esca arroganza;perché il Signore è il Dio che sa tutto e le sue opere sono rette.

  • L’arco dei forti s’è spezzato, ma i deboli sono rivestiti di vigore.

  • I sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati han cessato di faticare.

  • La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita.

  • Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire.

  • Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta.

  • Solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie, per farli sedere insieme con i capi del popolo e assegnar loro un seggio di gloria (1Sam 2,1-8).

Prolunghiamo con le nostre parole questa preghiera celebrando la potenza e misericordia di Dio per noi.

Affidiamo all’intercessione di Maria il nostro proposito, quella particolare parola che ci impegniamo a vivere.

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