L’OSPITALITA’ ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO – 1993

ROMA 7 SETTEMBRE 1993

LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE E L’OSPITALITÀ ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO

 

Evoluzione della vita religiosa nell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio dal Concilio Vaticano II ai giorni nostri e prospettive future

Edizioni Fatebenefratelli

A tutti i Confratelli dell’Ordine

 

Stimati in Cristo,

 

i giorni 29 e 30 agosto u.s. si è svolto il secondo incontro della Commissione Preparatoria del Capitolo Generale 1994. Detto incontro è servito princi­palmente ad analizzare il documento-base che sarà presentato al Capitolo per valutare lo sforzo di rin­novamento compiuto dall’Ordine dopo il Concilio e per orientare il nostro futuro.

 

Come previsto dal calendario di lavoro della Commissione, ho la soddisfazione di poterVi inviare sin d’adesso il documento affinché lo studiate e va­gliate attentamente, Il documento, che considero un prezioso elemento per la nostra crescita spirituale, dovrà essere conosciuto da tutti i Confratelli come anche dal gruppo di collaboratori che si crede op­portuno. Ciascuna Provincia, o gruppo di Province attraverso il Segretariato Interprovinciale, scelga il metodo più opportuno per realizzare il suo studio. Al Capitolo il documento servirà come strumento di la­voro per valutare la tappa post-conciliare dell’Ordi­ne ed illuminare la programmazione del suo futuro.

 

Non chiediamo di elaborare commenti particola­reggiati, come se si trattasse della revisione degli Statuti Generali; tuttavia siamo disposti ad accoglie­re tutti i suggerimenti che riterrete opportuno avan­zare, per integrarli nel documento e facilitare il lavo­ro dei Confratelli Capitolari durante il Capitolo. Vi preghiamo di elaborare i Vostri contributi capitolo per capitolo e di inviarceli attraverso le Province op­pure i Segretariati Interprovinciali. Tra i cinque ca­pitoli del documento, vorremmo che dedicaste un’at­tenzione speciale ai capitoli III e V.

 

Nell’elaborazione dei Vostri contributi, nella quale seguirete il metodo indicato dalla Vostra Pro­vincia, Vi suggeriamo di procedere secondo il triplice schema: aggiungere, eliminare, sostituire. I contribu­ti vanno inviati a Fra Pedro Saavedra, Presidente della Commissione Preparatoria del Capitolo, pres­so la Curia Generalizia, entro la fine di aprile 1994. Più che perderVi in precisazioni e puntualizzazioni, Vi preghiamo di concentrarVi sugli aspetti utili per il nostro futuro.

 

Faccio voti affinché questo percorso serva da preparazione degna al grande evento di fede che tut­to l’Ordine vivrà con il Capitolo nel mese di ottobre 1994 a Bogotà.

 

Che San Giovanni di Dio, San Riccardo e i nostri Beati ci illuminino e che tutto ciò che andiamo facen­do contribuisca al bene dell’infermo e del bisognoso! Sempre uniti nel carisma, Vi saluta fraternamente

 

 

Fra Brian O’Donnell

Priore Generale

 

Roma, 7 settembre 1993

PRESENTAZIONE

 

Nella riunione dei Superiori Maggiori dell’Ordi­ne, celebratasi a Roma dal 19 al 22 ottobre 1992, si parlò, tra le altre cose, anche del Capitolo Generale 1994, per il quale, dopo un approfondito studio, si suggerì come tema: “LA NUOVA EVANGELIZ­ZAZIONE E L’OSPITALITA ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO” con il sottotitolo: Evoluzione della vita religiosa nell’Ordine O­spedaliero di S. Giovanni di Dio dal Concilio Vati­cano II ai giorni nostri e prospettive future.

La Commissione Preparatoria del Capitolo Ge­nerale nominata dal Consiglio Generale ritenne op­portuno incaricare una sottocommissione dell’elabo­razione di un documento su questo tema che fu ulti­mato in una riunione svoltasi a Fusagasuga (Colom­bia) dal 3 al 9 agosto 1993. Dopo essere stato analiz­zato dalla Commissione Preparatoria, il documento viene presentato ora alle comunità e ai collaboratori per un ulteriore approfondimento.

Il documento consiste di cinque capitoli:

 

  1. nel primo capitolo vengono illustrate quelle par­ti della dottrina del Concilio che hanno avuto una particolare incidenza sulla nostra vita;
  2. il secondo capitolo propone sulla stessa linea una presentazione del magistero post-conciliare;
  3. nel terzo capitolo viene ricapitolata la risposta che l’Ordine ha dato all’esigenza di rinnovamen­to lanciata dal Concilio;
  4. nel quarto capitolo viene presentato l’invito con cui la Chiesa sta chiamando a raccolta attual­mente se stessa per una nuova evangelizzazione;
  5. nel quinto capitolo si tenta di mettere a fuoco il volto che l’Ordine desidera dare al suo futuro ri­spondendo alla nuova evangelizzazione con la nuova ospitalità.

Tanto nella valutazione di ciò che l’Ordine ha realizzato, quanto nell’orientamento del nostro futu­ro, abbiamo tentato di essere realisti e coscienti della nostra storia, quale la abbiamo vissuta e quale siamo chiamati a viverla nell’avvenire.

1. IL CONCILIO VATICANO IIE LE LINEE FONDAMENTALI PER LACHIESA E PER LA VITA RELIGIOSA

1.1. Il Concilio Vaticano II come fenomeno socio­logico e teologico nella Chiesa

 

Molto è stato scritto sul tema. Noi ci baseremo nella seguente presentazione sulle idee espresse dallo stesso Giovanni XXIII nella Costituzione Apostolica, con la quale il 25 dicembre 1961 convocò il Concilio.

 

Parte dalla grave crisi in cui si trova l’umanità che porterà con sé grandi cambiamenti. Vede uno squilibrio tra il progresso tecnico e scientifico da una parte e il progresso spirituale dall’altra. Giovanni XXIII non ha per questo una visione pessimista del nostro tempo, ma scorge in mezzo ad esso non pochi indizi che lo fanno sperare in tempi migliori sia per la Chiesa che per l’umanità.

 

Presenta il Concilio come un momento in cui la Chiesa desidera fortificare la sua fede e dare maggio­re efficacia alla sua sana vitalità. Sarà il momento per chiarire certi principi dottrinali e dare esempi di ca­rità. Il Concilio offrirà una possibilità per tutti gli uo­mini di buona volontà di avviare pensieri e propositi di pace.

 

E’ cosciente che la Chiesa, pur non avendo fina­lità direttamente terrestri, non può tuttavia disinteres­sarsi nel suo cammino dei problemi relativi alle cose temporali né delle difficoltà che da queste sorgono.

 

Pensiamo che il Concilio sia stata una grande esperienza di fede per la Chiesa e che i suoi contenu­ti abbiano illuminato la fede dei suoi membri. Guidato da questa luce, anche il nostro Ordine ha iniziato un cammino di rinnovamento che ci prepariamo a va­lutare in questo Capitolo Generale per aprirci al futu­ro, fedeli alla nostra identità quali possessori del cari­sma dell’ospitalità, per il bene della Chiesa e della nostra società, nel servizio agli infermi e ai biso­gnosi.

 

1.2. Lumen Gentium. Il nuovo concetto di Chie­sa: apertura al laicato

 

La Costituzione Dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”, considerata il documento fondamentale del Concilio Vaticano II, sviluppa e completa la dot­trina che sulla Chiesa aveva incominciato a formula­re il Concilio Vaticano I, interrotto bruscamente nel 1869.

 

Pur mantenendo una continuità dottrinale con quanto si era andato elaborando nel secolo anteriore, si distingue per un tono molto più pastorale ed ecu­menico, avvia l’elaborazione di una teologia del lai­cato e apre alla Chiesa nuovi orizzonti di fronte al mondo moderno. Fu promulgata da Paolo VI il 21 novembre 1964.

 

La Chiesa viene presentata come mistero, come sacramento, come comunità. Partendo dalle diverse immagini bibliche, interviene un cambio fondamen­tale nella presentazione della sua funzione quale stru­mento di salvezza voluto da Gesù per l’umanità.

 

Nel definirsi, la Chiesa dà l’assoluta precedenza alla figura del popolo di Dio, come nuovo popolo de­stinato all’alleanza con Dio che, in virtù del batte­simo, partecipa del sacerdozio comune di Cristo, ar­ricchito da diversi carismi, con una funzione univer­sale e missionaria.

 

All’interno di questo popolo si dedica una consi­derazione speciale ai fedeli laici che contribuiscono al bene della Chiesa in base al loro carattere secolare che li è proprio e peculiare, e che sono destinati per vocazione a cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Sono chiamati da Dio a contribuire, dall’interno a modo di fermen­to, alla santificazione del mondo esercitando la pro­pria professione guidati dallo spirito evangelico.

 

Pensiamo che la nuova ecclesiologia abbia influi­to positivamente sulla forma di orientare la nostra vi­ta e di sentirci Chiesa e che, mettendo in risalto il va­lore della presenza dei laici nelle strutture umane, ci abbia aiutato a inserire con profitto questa realtà nel­le nostre strutture.

 

 

1.3. Forma di stare nel mondo: Gaudium et Spes

 

La Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes” venne approvata dal Concilio Vaticano II il 7 dicem­bre 1965, dopo essere stata studiata approfonditamente e rielaborata nelle tre sessioni conciliari.

 

Nonostante l’ampiezza del suo contenuto, poggia su un’impostazione unitaria che la qualifica. La Chiesa si definisce come posta al servizio dell’uomo ed afferma che non c’è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel suo cuore. Si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia. Per questo si rivolge a tutti gli uomini, ani­mata dal desiderio di esporre a tutti come intende la sua presenza ed azione nel mondo contemporaneo.

 

Ha dinnanzi a se l’intera famiglia umana nel con­testo universale di tutte quelle realtà entro le quali es­sa vive. Desidera instaurare un dialogo con essa su tutti i suoi problemi alla luce del Vangelo e offrirle la forza salvifica che ha ricevuto dal suo Fondatore. E la persona umana che si tratta di salvare, è l’umana società che si tratta di rinnovare.

 

Senza voler entrare in un’analisi più approfondita dei vari problemi, due sono le cose che vanno evi­denziate per l’incidenza che hanno avuto posterior­mente sulla nostra vita. La prima è che la Costituzio­ne introduce una visione umanizzante dell’essere della Chiesa, del suo stare al servizio dell’uomo, af­frontando temi fondamentali della sua identità: di­gnità, coscienza, libertà, rispetto, uguaglianza ecc. La seconda è che esamina una serie di tematiche intima­mente collegate con la nostra missione: gli interroga­tivi profondi dell’uomo, la morte, il progresso, la cul­tura, lo sviluppo economico ecc.

 

Non c’è dubbio che molti dei progetti che abbia­mo avviato nel processo del nostro rinnovamento e gran parte dei nostri sforzi volti a rispondere alle esi­genze attuali del nostro apostolato siano stati ispirati da questa filosofia.

 

 

1.4. Principi sulla vita religiosa emanati dai do­cumenti conciliari: Lumen Gentium 43-47

e Perfectae Caritatis

 

La Lumen Gentium presenta la vita religiosa co­me uno stato particolare distinto da quello dei chieri­ci e da quello dei laici, stato che, per sua natura, pro­muove lo sviluppo della persona umana, la purificazione del cuore, la libertà spirituale e il fervore della carità. I consigli evangelici vengono indicati come l’essenza della consacrazione.

 

Esorta a lavorare secondo le forze e la forma del­la propria vocazione, sia con la preghiera, sia con l’operato apostolico, per il consolidamento e l’esten­sione del Regno.

 

La vita religiosa è un segno che attira i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vo­cazione cristiana. Liberi dalle preoccupazioni terre­ne, capaci di testimoniare la vita nuova ed eterna conquistata dalla redenzione di Cristo, i religiosi ab­bino cura e sollecitudine, affinché la Chiesa, attraver­so le loro vite, presenti Cristo al mondo.

 

Dichiara che lo stato, che è costituito dalla pro­fessione dei consigli evangelici, pur non concernen­do la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tut­tavia fermamente alla sua vita e alla sua santità.

 

La Chiesa eleva la professione religiosa alla di­gnità di uno stato canonico e la presenta come stato consacrato a Dio con la sua azione liturgica.

 

La Perfectae Caritatis muove dalle dichiarazioni fatte dal Concilio sui religiosi nella Lumen Gentium, ma nella prospettiva di conferire maggiore efficacia alla loro presenza nella Chiesa proponendo i principi per un adeguato rinnovamento:

 

“Il rinnovamento della vita religiosa che si ade­gua alle esigenze dei tempi comporta nello stesso tem­po il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, e l’adattamento de­gli istituti alle mutate condizioni dei tempi” (PC 2).

 

Il Vangelo viene presentato come suprema norma di vita. Si esorta a conservare lo spirito autentico dei Fondatori ed i loro intenti, come pure le sane tradi­zioni; a che tutti gli istituti partecipino alla vita della Chiesa e promuovano tra i loro membri un’appro­priata conoscenza dell’uomo e della realtà attuale della nostra società mettendo in moto un rinnova­mento spirituale.

I criteri proposti per il rinnovamento sono:

 

— adattamento del modo di vivere, di pregare e di agire alle odierne condizioni fisiche e psichiche dei religiosi, alle necessità dell’apostolato, alle esigenze della cultura e alle circostanze sociali ed economiche;

 

— riconsiderazione della forma di governo degli i­stituti;

 

— revisione delle costituzioni, dei direttori, dei consuetudinari, dei manuali di preghiera e di ce­rimonie e di altri codici di stile all’insegna del motto: no alla moltiplicazione di leggi.

 

Afferma che un efficace rinnovamento può aver luogo solo con la collaborazione di tutti i membri dell’istituto e che va ancorato nella ricchezza della propria vita spirituale.

 

Agli istituti di vita apostolica dice che la loro azione appartiene alla natura stessa della vita religio­sa; perciò tutta la vita dei loro membri sia compe­netrata di spirito apostolico e tutta l’azione apostolica sia animata da spirito religioso.

 

Rivolgendosi direttamente alla vita religiosa lai­cale, conferma i membri appartenenti a questo stato nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vi­ta alle esigenze attuali.

 

Dà criteri in relazione ai consigli evangelici, alla vita comune, all’abito religioso, alla formazione, al mantenimento, adattamento e abbandono delle opere, alla promozione delle vocazioni ecc.

 

Riteniamo che la Perfectae Caritatis sia stato il decreto che ha creato il maggior movimento in dire­zione del rinnovamento, non solo all’interno della nostra istituzione, ma nella vita religiosa in generale. Così lo voleva il Concilio e così è stato. Ora si tratta di valutare la profondità di questo rinnovamento e di assumere sulla sua linea un modello di vita, quale lo attende da noi Fatebenefratelli la Chiesa.

 

 

1.5. La riforma liturgica: Sacrosanctum Concilium

 

È la prima Costituzione che il Concilio approva dopo un processo di elaborazione molto partecipato, che denota l’importanza che si attribuiva al tema e all’esigenza di rinnovamento. Entrò in vigore nel me­se di febbraio 1964, quando ancora non era iniziata la terza tappa del Concilio.

 

Mise in moto nella Chiesa come pure nell’Ordine un grande movimento di rinnovamento tutto teso ad assumere i principi emanati dalla Costituzione. Il senso in sé della liturgia, il sacramento dell’eucaristia con l’importanza che si è attribuita alla liturgia della parola; l’ufficio divino; l’anno liturgico ecc. sono tut­ti temi che furono esaminati dal testo conciliare e che noi fedeli abbiamo tentato di incarnare nelle nostre espressioni liturgiche.

 

Analizzando la nostra realtà attuale ci dobbiamo chiedere, fino a che punto ci siamo fermati in esterio­rità e fino .a che punto la riforma liturgica ci abbia aiutato veramente ad approfondire il significato del mistero di Cristo. Forse dopo i cambiamenti del Con­cilio pecchiamo attualmente di un certo abbandono dei temi liturgici e faremo bene perciò a richiamarci alla mente i loro fondamenta per dare loro nella no­stra vita spirituale il significato che meritano.

2. IL MAGISTERO DELLA CHIESAPOST-CONCILIARE SULLA VITARELIGIOSA E LA SUA MISSIONE

 

2.1 Ecclesiae Sanctae: norme per l’attuazione del Decreto Perfectae Caritatis

 

Nell’introduzione di questo documento, promulgato di agosto 1966, Paolo VI dice che il Concilio Va­ticano II esige che si stabiliscano norme e direttive per rispondere alle necessità create dallo stesso Concilio.

 

Pubblicandole promuove un periodo di speri­mentazione che servirà anche per la revisione e la modifica del nuovo Diritto Canonico.

 

La pubblicazione abbraccia l’ambito di quattro Decreti conciliari, tra cui la Perfectae Caritatis.

 

Accogliendo queste esigenze, l’Ordine avvia un processo di revisione ed adattamento delle proprie Co­stituzioni elaborando nello stesso tempo gli Statuti Ge­nerali e promuovendo la vitalità spirituale ed apostolica tra i Confratelli, i collaboratori, gli amici e gli infermi.

 

Nel portare avanti questo compito tiene in consi­derazione sia i criteri che si propongono per un ade­guato rinnovamento, sia gli aspetti indicati come bi­sognosi di adattamento e rinnovamento.

 

 

2.2. Evangelica Testificatio: Esortazione Apostoli­ca di Paolo VI circa il rinnovamento della vita religiosa secondo l’insegnamento del Concilio

 

Pubblicato il 29 giugno 1971, questo documento ha portato nella nostra vita una ventata di aria fresca.

 

È il primo documento di contenuti sulla vita religiosa che esce dopo il Concilio Vaticano II. E’ un documen­to pensato e lavorato che introduce concetti nuovi in riferimento all’interpretazione della vita religiosa nel mondo moderno.

 

Presenta la vita religiosa come testimonianza evangelica che manifesta agli uomini il primato dell’amore di Dio e dei valori del Regno. Rafforza il significato della sua presenza nella Chiesa, arrivando ad affermare addirittura che, senza questo segno con­creto, la carità che anima l’intera Chiesa, rischiereb­be di raffreddarsi, il paradossale e meraviglioso mes­saggio salvifico del Vangelo di perdere la sua forza di penetrazione, il sale della fede di diluirsi in un mon­do in fase di secolarizzazione.

 

Invita a superare certi elementi esteriori, a snelli­re appesantimenti e irrigidimenti e a compiere tutti gli adattamenti necessari. Afferma Paolo VI che se­gue con attenzione tutti gli sforzi di rinnovamento in atto, voluti dal Concilio.

 

Affronta molti temi peculiari della nostra vita, con grande chiarezza, con contenuti nuovi, tracciando linee che più tardi verranno raccolte come principi nelle Co­stituzioni degli istituti e nello stesso Diritto Canonico.

 

Per noi è stata fonte per il rinnovamento spiritua­le delle nostre vite ed ispirazione per il testo delle no­stre Costituzioni attuali.

 

 

2.3. Evangelii Nuntiandi: Esortazione Apostolica di Paolo VI sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo

 

Scritto un anno dopo l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi del 1974, a dieci anni dalla chiusura del Concilio, affronta il tema dell’evangelizzazione nel mondo moderno in maniera molto felice.

 

E uno dei documenti migliori del magistero di Paolo VI. Prova ne è che ha mantenuto intatta la sua attualità fino ai giorni nostri.

 

Prende in considerazione quattro questioni fondamentali: Che cosa significa evangelizzare? Qual è il contenuto dell’evangelizzazione? Quali sono i suoi destinatari? Come evangelizzare oggi?

 

Apre nuove frontiere mettendo il Vangelo in relazione con lo sviluppo, la liberazione, le strutture, la politica ecc. Sottolinea il grande valore della testimo­nianza e del contatto personale per l’evangelizzazio­ne. Tutto ciò ha contribuito a che nella Chiesa si sia passato dal concetto “essere missionario”al concet­to “evangelizzare”.

 

Nel presentare gli agenti dell’evangelizzazione, di­ce che noi religiosi abbiamo nella vita consacrata un mezzo privilegiato per una evangelizzazione efficace. Testimoni della santità nella dimensione del radicalismo delle beatitudini. Descrive la nostra vita come una predicazione eloquente, capace di impressionare anche i non cristiani di buona volontà, sensibili a certi valori.

 

Mette in risalto la dedizione di tanti religiosi all’annuncio di Cristo giudicando il loro apostolato ricco di originalità, immaginazione e generosità.

 

 

2.4. Mutuae Relationes: note direttive per le re­lazioni tra i vescovi e i religiosi nella Chiesa

 

È un documento emanato congiuntamente dalla Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e da quella dei Vescovi. La data di pubblicazio­ne è il 14 maggio 1978.

 

E diviso in due parti: una dottrinale che, nel caso dei religiosi, tocca il tema dell’identità e del carisma proprio degli istituti che deve essere custodito, ap­profondito e sviluppato in sintonia con il Corpo di Cristo, in crescita perenne, tenendo presente i doni personali che ciascun religioso riceve dallo Spirito.

 

La seconda parte ha un’impostazione più pratica e si riferisce al campo formativo, all’aspetto operati­vo e al coordinamento in funzione della realizzazione di un buon apostolato.

 

Diversi di questi aspetti sono confluiti tanto nel nostro diritto proprio quanto nel nostro stile di vita in ordine a rispondere alle esigenze della nostra voca­zione, avendo un impatto particolarmente forte nel campo della formazione permanente, della pastorale della salute e dell’apostolato nella Chiesa locale, dio­cesana e nazionale.

 

 

2.5. Il nuovo Codice di Diritto Canonico: 1983

 

Promulgato il 25 gennaio 1983 da Giovanni Pao­lo II, la nuova versione del Codice opera una profon­da riforma su quello risalente al 1917.

 

Alla riforma del Diritto Canonico si stava lavo­rando da anni raccogliendo i concetti fondamentali del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo fino al momento della sua promulgazione.

 

La sua pubblicazione è avvenuta, quando le no­stre Costituzioni già erano state elaborate definitiva­mente. Il fatto di aver potuto visionare e studiare tut­to il materiale esistente prima della sua pubblicazione ufficiale, ci ha permesso tuttavia di ispirarci ad esso in tutto il nostro lavoro e di integrare nel nostro diritto proprio tutto ciò che riguardava da vicino la nostra vocazione.

 

2.6 Salvifici Doloris

 

È una Lettera Apostolica scritta da Giovanni Pao­lo II l’11 febbraio 1984 sul senso cristiano della sof­ferenza umana.

 

La offre al mondo dopo essere passato come Pon­tefice attraverso l’esperienza dell’attentato e, come conseguenza, del dolore, della sofferenze e della pos­sibilità di perdere la vita.

 

E’ divisa in due parti: nella prima viene proposta un’antropologia della sofferenza, nella seconda una teologia della sofferenza.

 

Come approccio del magistero all‘infermità e al dolore, non apporta nessuna innovazione speciale; tuttavia è la prima volta che la Chiesa presenta una ri­flessione sistematica sul tema. E’densa di contenuti, particolareggiata e contiene una serie di elementi che aiutano a comprendere il senso cristiano della soffe­renza e a viverlo integrando il dolore nella vita delle persone sulla base di una visione olistica della realtà.

 

2.7. Redemptionis Donum

 

È un’Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II ai religiosi e alle religiose pubblicata il 25 marzo 1984 a circa un anno dalla promulgazione del Diritto Canonico.

 

È un documento che presenta una visione teolo­gica della vita religiosa prendendo in considerazione sì tutti i temi fondamentali, ma che — questo il no­stro parere — senza scendere in aspetti pratici, si li­mita a ricapitolare la dottrina che il magistero recente della Chiesa è andato formulando al rispetto a partire dal Concilio Vaticano II.

 

 

2.8. Dolentium Hominum

 

È una Lettera Apostolica in forma di Motu Pro­prio, scritta da Giovanni Paolo II l’ 11 febbraio 1985, con la quale viene istituita la Pontificia Commissione per la Pastorale degli Agenti Sanitari, il cui compito sarà coordinare tutte le istituzioni cattoliche, sia reli­giose che laiche, dedite alla pastorale degli infermi.

 

Mantenendo la stessa finalità, la Commissione più tardi viene elevata al rango di Pontificio Consi­glio. Il documento fonda l’azione pastorale a favore degli infermi su un concetto integrale dell’uomo, che non può essere assistito soltanto nelle sue necessità somatiche, ma anche sotto l’aspetto spirituale.

 

Per noi questo atto non è stato solamente un’espressione di conferma del significato della no­stra missione, ma anche uno stimolo per realizzare ciò a cui siamo stati chiamati da Cristo, in collabora­zione con altri gruppi con una missione simile e in sintonia con i principi emanati dal magistero.

 

 

2.9. Lineamenta per il Sinodo sulla vita religiosa

 

È la IX Assemblea ordinaria che ci si prepara a celebrare. Il tema è stato stabilito da Giovanni Paolo II il 30 dicembre 1991. Avrà luogo nell’autunno del 94, praticamente in concomitanza con il nostro Capitolo Generale.

 

Consultando vari organismi e seguendo le indicazioni dello stesso Giovanni Paolo II, il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo ha preparato il testo delle Lineamenta unitamente ad un questionario, il cui scopo è di promuovere tra i pastori della Chiesa gli interessati una riflessione approfondita in vista del prossimo dibattito sinodale.

 

Si presenta come un cammino sinodale, che è stato iniziato e che continua accompagnato dalla riflessione, la meditazione e la preghiera di tutta la Chiesa, affinché i consacrati possano giungere ad una presa di co­scienza più profonda e ad un impegno più autentico nella missione della Chiesa per la salvezza del mondo.

 

Invita la vita religiosa “a rendersi sempre più ge­nerosa nella nuova evangelizzazione del mondo at­tuale, con le sue situazioni variegiate e diversificate di persone, categorie e culture” (3).

 

Parla della vita religiosa laicale presentandola come ­“una forma rilevante di consacrazione nella sua espressione carismatica, con una grande diversità di servizi apostolici e sociali in favore dell’umanità. I religiosi laici, mossi dal proprio carisma, si aprono a tutti nell’amore universale di Cristo per lenire i dolo­ri dei deboli e degli ammalati, per venire incontro ai poveri ed emarginati, per contribuire a stabilire la vera pace e giustizia in questo mondo, in una comu­nione fraterna universale che viene evocata dallo stesso nome con cui vengono designati, cioè, FRATEL­LI” (21).

 

In numerose prese di posizione che nel frattempo sono state pubblicate in relazione al testo delle “Li­neamenta”, abbiamo potuto leggere che lo stesso of­fre una visione della vita consacrata limitata rigida­mente alle coordinate del magistero ufficiale, il ché rappresenta in se innegabili vantaggi, ma che allo stesso tempo implica un impoverimento considere­vole, perché così si ignora praticamente la grande ric­chezza di esperienza accumulata da tanti consacrati nelle più diverse parti del mondo. La vita consacrata è di per se stessa vita e pertanto movimento.

 

 

2.10. Altri documenti apparsi nella Chiesa con ri­ferimento ai religiosi: vita di preghiera, apo­stolato, formazione…

 

2.10.1. Religiosi e promozione umana

 

È un documento elaborato dalla Sacra Congrega­zione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, pubblicato il 12agosto 1980.

 

Dato che i religiosi per il loro inserimento in seno alla Chiesa e il loro collegamento peculiare con la sua missione sono stati e continuano ad essere particolar­mente sensibili e coinvolti nell’apostolato di presenza, impegno ed azione diretto alla lotta per la promozione integrale dell’uomo che caratterizza il nostro tempo, si ritenne opportuno propone dei criteri al rispetto, contra­stando nel contempo cene visioni riduttive o esagerate.

 

Il documento affronta quattro temi, di cui tre di­rettamente collegati con la nostra presenza ed azione storica nella Chiesa: l’opzione per i poveri e per la giustizia oggi; le attività e opere sociali dei religiosi; l’inserimento nel mondo del lavoro.

 

La riflessione proposta su questi tre problemi ci portato, nel nostro processo di rinnovamento, a compiere azioni e a cambiare atteggiamenti per rispondere meglio alle esigenze del nostro essere ed agire nella Chiesa.

 

Prova ne sono i numerosi cambiamenti realizzati e i principi assunti nella nostra vita.

 

 

2.10.2. La dimensione contemplativa della vita religiosa

 

E’ un documento preparato dalla Sacra Congrega­zione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, pubblicato, al pari del precedente, il 12 agosto 1980.

 

Per fortuna è un segno peculiare del nostro tempo la riscoperta, in atto nel Popolo di Dio, del gusto per l’attività contemplativa. Il documento, di fronte a questa ripresa, dà in un certo qual modo quasi per scontata la relativa dottrina e pone l’accento sugli orientamenti pratici ed attuali, dedicando la prima parte in prevalenza agli istituti di vita attiva e la se­conda a quelli di vita contemplativa.

 

Sottolinea l’importanza della interiorità spirituale di ogni forma di vita consacrata e la necessità ed ur­genza di riaffermare l’assoluto primato della vita nel­lo Spirito.

 

Nel caso degli istituti di vita attiva, la Sacra Con­gregazione ha voluto promuovere soprattutto l’integra­zione tra interiorità e dinamismo affrontando quasi tut­ti i temi che costituiscono la nostra vita, nell’auspicio che si stabilisca una vera osmosi tra queste due realtà.

 

Vari dei suoi orientamenti sono stati ripresi nei nostri lavori illuminativi e tradotti in pratica nella no­stra vita.

 

 

2.10.3. Direttive sulla formazione negli istituti religiosi

 

È un documento elaborato dalla Sacra Congrega­zione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, pubblicato il 2 febbraio 1990.

 

La sua pubblicazione era attesa da tutti i religiosi, dato che se ne stava parlando da anni e che da anni circolavano “bozze” che a noi ed altri sono servite per l’elaborazione delle Costituzioni e la preparazio­ne del libro sulla formazione.

 

Il suo scopo è: precisare i concetti da tenere in considerazione nella formazione dei candidati alla vita religiosa; presentare gli agenti e gli ambiti della formazione analizzando alcuni tratti caratteri­stici del nostro tempo e definire le tappe della for­mazione.

 

Riteniamo che la Consacrazione con questo scrit­to abbia reso un grande servizio agli istituti della vita religiosa, anche se la sua pubblicazione è giunta in un momento in cui la maggioranza, tra cui noi, aveva già organizzato a livello di diritto e di filosofia tutti gli apporti conciliari e post-conciliari in materia di for­mazione.

 

Avendo avuto fortunatamente la possibilità di consultare le “bozze” in circolazione, possiamo dire che i nostri orientamenti sono basati su queste diretti­ve della Chiesa.

Riguardo alla formazione dei candidati e alla formazione permanente illuminano e rinforzano i principi dai quali siamo partiti, e le azioni che andia­mo realizzando.

 

 

2.10.4 Fratello negli Istituti Religiosi Laicali

 

É un documento scritto dai Superiori Generali degli Istituti Laicali, tra cui anche il nostro Superiore Generale Fra Brian O’Donnell, pubblicato nel mese giugno 1991. Il suo scopo fu quello di presentare l’identità specifica del Fratello.

 

Illustra in tutta la sua pienezza significato e valore della vita del Fratello, la cui vocazione risponde in pieno alle necessità del nostro mondo: al servizio dell’amore in nome di Gesù, siamo, con tutto quello siamo e che possiamo fare, testimoni di una fraternità possibile in un mondo sempre più lacerato.

 

Presentato come ricercatore dell’Assoluto, il Fratello è chiamato a fare della preghiera un’attitudine normale nella sua vita compiendo ovunque, nel suo vivere comunitario e nel suo apostolato, la sua mis­sione fondamentale che è quella di vivere e trasmet­tere al mondo l’utopia evangelica della fraternità.

3. INCIDENZA SULL’ORDINE: RINNOVAMENTO PER L’OSPITALITÀ

 

3.1. Il movimento che si crea nell’Ordine in ri­sposta alle esigenze del Concilio

 

Il Motu Proprio “Ecclesiae Sanctae” che ha imparti­to le norme per l’attuazione dei diversi decreti del Concilio Vaticano II, nella parte dove si riferisce alla “Pecfectae Caritatis” chiede agli istituti religiosi di convocare entro due o tre anni al massimo uno speciale Capitolo Generale, ordinario o straordinario.

 

Questo Capitolo si potrà tenere in due periodi distinti, con un intervallo di tempo in genere di non più di un anno.

 

Ai fini di una migliore preparazione si sollecita di realizzare un’ampia consultazione dei religiosi nella forma che si crede più opportuna (II. 1. 3 e 4).

 

Questo Capitolo ha la facoltà di modificare in forma sperimentale determinate norme delle Costitu­zioni.

 

Questi esperimenti si potranno protrarre fino al prossimo Capitolo che potrà prolungarli, ma non per un periodo maggiore di sei anni.

 

Partendo da questi principi, nell’Ordine prende corpo un movimento di rinnovamento che era già sta­to avviato in alcuni aspetti durante i primi anni del generalato di P. Igino Aparicio e precedentemente da P. Mosé Bonardi.

 

 

3.2. Revisione e adattamento delle Costituzioni ed elaborazione degli Statuti Generali

 

3.2.1. Costituzioni e Statuti Generali “ad expe­rimentum”: 1971

 

Seguendo le direttive impartite dal Motu Proprio“Ecclesiae Sanctae”, l’Ordine promosse un Capitolo Generale Straordinario, condue sessioni nel 1969 e nel 1970, orientato fondamentalmente alla revisione delle Costituzioni e all’elaborazione dei nuovi Statu­ti Generali.

 

Anche se queste Costituzioni seguono ancora lo schema tradizionale, contengono numerosi elementi che conferiscono loro un sapore nettamente post­-conciliare:

 

  • - integrano, adeguandola alla realtà dell’Ordine, la dottrina dei documenti del Concilio e di quelli emanati nel frattempo dal magistero in relazione al Concilio;
  • - eliminano gran parte della normativa che passa a costituire materia degli Statuti Generali;
  • - presentano in maniera positiva i voti;
  • - danno grande forza al significato liturgico della nostra fede;
  • - promuovono l’azione missionaria dell’Ordine;
  • - integrano nuovi concetti di formazione: lo scola­sticato, la formazione continua, la necessità di studi speciali.

Negli Statuti Generali viene creato il Segretariato Generale per le Missioni e si incoraggia l’istituzione di altri.

 

3.2.2 Costituzioni e Statuti Generali del 1984

 

Il Capitolo Generale del 1976 era del parere che le Costituzioni approvate dopo il Concilio Vaticano II non avessero avuto il tempo sufficiente per essere assimilate e messe in pratica dall’Ordine e considerò pertanto opportuno rimandare l’elaborazione delle Costituzioni definitive per altri sei anni.

 

Dopo un ampio lavoro di elaborazione, al quale presero parte tutti i Confratelli, si giunse a un proget­to definitivo che fu sottoposto allo studio e all’appro­vazione del Capitolo Generale del 1982.

Nelle nuove Costituzioni confluiscono la dottrina del Concilio e gli insegnamenti del magistero post-­conciliare, ma anche l’esperienza vissuta dall’Ordine nei quasi vent’anni che allora ci separavano ormai dall’assemblea sinodale.

 

Anche se hanno un carattere eminentemente dot­trinale e teologico, sono piene di vita ed accessibili a tutti i Confratelli. Sono state presentate come il no­stro libro di vita, sono state chiamate il nostro princi­pale libro di preghiera. Sono state definite il Vangelo in chiave di carisma.

 

Gli elementi qualificanti che le caratterizzano, sono:

 

  • - integrano non solo i principi emanati dai decreti conciliari, ma anche quelli proposti successiva­mente dal magistero post-conciliare;
  • - prendono in considerazione tutti i criteri della teologia della vita religiosa;
  • - si fondano su un’esperienza di dodici anni vissu­ta da parte dell’Ordine;
  • - presentano in una nuova luce il carisma, la spiri­tualità e la missione dell’Ordine;
  • - definiscono in termini nuovi il voto di ospitalità;
  • - aprono nuovi orizzonti all’esercizio del nostro apostolato;
  • - sottolineano l’importanza di essere comunità di vita e la necessità di un’autentica vita spirituale.

Gli Statuti Generali non vengono sottoposti ad uno studio così rigido come le Costituzioni; la loro approvazione avviene tuttavia con il verdetto dei Ca­pitolari che decidono di affidare ad una commissio­ne la redazione del testo da presentare in via defi­nitiva.

 

 

3.3. Documentazione dei Rev.mi Padri Generali Iginio Aparicio, Mario Alfonso Gauthier, Pierluigi Marchesi e Brian O’Donnell

 

P. Igino Aparicio il 10 gennaio 1960 scrive una lettera circolare per l’attuazione delle conclusioni del Capitolo Generale del 1959, in cui tocca tre aspetti concreti collegati intimamente con la vita religiosa: la vita spirituale; reclutamento e selezione delle vocazioni e perfezionamento della formazione della nostra gioventù. Richiamandosi alla Costituzione Apostolica “Sedes Sapientiae”,invita a realizzare una simbiosi tra vita spirituale ed attività apostolica. Allo stesso tempo impartisce alcune norme per i diversi centri di formazione, istituendo lo scolasticato come tale.

 

Il 10 aprile 1966 scrive, sotto l’influsso della ripetuta lettura della Costituzione, Lumen Gentium e del Decreto Perfectae Caritatis, una lettera intitolata “Lo stato religioso ospedaliero alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II”, nella quale presenta alla considerazione dei suoi Confratelli alcuni punti della dottrina conciliare che più tardi saranno inseriti nelle Costituzioni “ad experimentum”. Conclude lanciando un appello ai religiosi a rinnovarsi secondo lo spirito del Vangelo. Afferma: “Non viene proclamata una riforma giuridica, bensì spirituale; una rinnova­zione, cioè, interiore di quanto costituisce l’essenza dello stato religioso… Se ci sforziamo di vivificare i basilari principi ricordati dal Concilio ai religiosi, il nostro santo Padre Fondatore vedrà in noi tanti suoi degni successori, fedeli alla Chiesa, col medesimo grande ardente amore, che egli aveva per essa.”

 

P. Mario Alfonso Gauthier dedicò parte del suo lavoro come Superiore Generale a promuovere l’as­similazione delle nuove Costituzioni secondo lo spi­rito della Chiesa. Presentandole l’8 marzo 1971 all’Ordine, scrisse: “Vi invitiamo a studiarli attenta­mente e a meditarli, per quindi viverli con fervore e raggiungere così la meta fissataci dal Concilio Vati­cano II, cioè: il nostro rinnovamento spirituale per­sonale e quello di tutte le comunità dell’Ordine O­spedaliero.” Con lo stesso impegno promosse la revisione del Cerimoniale dell’Ordine che venne pub­blicato il 24 ottobre 1974, colmando così un’altra precisa esigenza della Chiesa.

 

Sono tre i documenti principali che P. Pierluigi Marchesi scrive durante il suo generalato: Le basi del rinnovamento, L’Umanizzazione e L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000.

Le basi del rinnovamento è un documento che P. Pierluigi indirizza ai Confratelli per dare risposta ad una richiesta dei Capitolo Generale del 1976, dopo aver creato le commissioni “H” e “R” ed aver tenuto una riunione a Granada nel mese di marzo 1976 con i PP. Provinciali. Di questo scritto ci occuperemo più avanti.

 

L’Umanizzazione, pubblicata nel mese di marzo 1981, fu offerta all’Ordine di nuovo dopo un incontro previo con i PP. Provinciali destinato al suo studio e completamento. La riflessione ha un duplice tema di fondo: la crescita personale dei Confratelli come tali e delle comunità chiamate a vivere secondo un ideale e la progettazione della nostra presenza nelle opere sulla base di un’attitudine umanizzante: “Umanizzar­si per umanizzare “. Nel documento è stato ricono­sciuto un denominatore comune, l’umanizzazione appunto quale base su cui poggiare gli sforzi di rin­novamento personale e dell’Ordine. Per l’incidenza che ha avuto sulla vita dell’Ordine, torneremo più avanti nella nostra analisi su questo documento.

 

L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000 traccia un nuovo stile di essere e di agire per il futuro immediato dell’Ordine. Di fronte ai cambiamenti della nostra società sottolinea la necessità di rimane­re aperti allo Spirito, ai tempi e all’uomo di oggi per individuare e comprendere le nuove categorie di bisognosi. Disegna un nuovo ruolo per i Fatebenefratelli ­nella Chiesa e nella società sulla base di un peculiare approccio alla vita e considera l’atteggiamento di ricerca come un possibile momento di rinnovamento della nostra ospitalità.

 

Nell’appendice del documento vengono analizzati ­tre gruppi di bisognosi che si propongono come destinatari preferenziali del nostro carisma: gli anziani, i ­malati terminali e i tossicodipendenti.

 

I due interventi di maggior spicco di Fra Brian Donnell hanno visto la luce a motivo della celebrazione del terzo centenario della canonizzazione di Giovanni di Dio: come si ricorderà, “Servo e Profeta” è uscito all’inizio, “Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” alla chiusura del centenario. Quest’ultimo, presentato a Malaga nell’ambito di una Conferenza Generale dell’Ordine, si segnala per la particolarità che fu elaborato collegialmente dal De­finitorio Generale.

 

In “Servo e Profeta” il P. Generale presenta sotto questo duplice aspetto la figura di San Giovanni di Dio nell’intento di dare, sulla base della propria espe­rienza, nuovo impulso alla nostra vita religiosa e all’apostolato che il corpo dell’Ordine, Confratelli ecollaboratori, realizzano. Vede il futuro della nostra vita nella dimensione della testimonianza profetica, dimensione che incarneremo scegliendo un approc­cio contemplativo alla vita, in particolare alla soffe­renza e al dolore, mettendo i poveri e gli emarginati al centro del nostro servizio, facendo nostra una spi­ritualità tesa all’integrazione e all’interconnessione, vivendo uno stile di vita sempre più semplice ed aprendoci in tutto questo ad altri religiosi e ai laici. La riflessione si chiude indicando come valore chia­ve quello dell’umanizzazione. La nostra vita religiosa ha subito profonde trasformazioni, ma dobbiamo vivere nella convinzione che siamo tornati di nuovo nelle mani del vasaio.

 

Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” è un messaggio rivolto all’Ordine che, partendo dalla realtà, si propone di richiamare, con tutta la sua forza vitale, il segno di Giovanni di Dio ricordando i prin­cipi basilari dell’identità del Fatebenefratello. Pur ri­conoscendo il forte contrasto che esiste tra il progetto della nostra vita e la società di oggi, il messaggio ci chiede di essere coscienti che è questa la società che siamo chiamati a servire proponendo soluzioni ai problemi esistenti. Il messaggio era inteso come vei­colo per trasmettere la forza dell’utopia e della spe­ranza sia ai Confratelli che a quanti costituiscono il corpo dell’Ordine.

 

Come aiuto e stimolo al rinnovamento dell’Ordi­ne va letta finalmente la Relazioneche Fra Brian ha presentato all’incontro dei Superiori Maggiori svol­tosi a Roma dal 19 al 22 ottobre 1992 dopo la ce­lebrazione dei Capitoli Provinciali. Partendo dalla domanda Come vanno le cose? il P. Generale affron­ta in essa due tematiche che considera di importanza fondamentale: il rinnovamento e forme appropriate dell’ospitalità.

 

Concludendo afferma che, anche se il rinnova­mento non è sparito dal lessico dell’Ordine e dai suoi progetti e viene auspicato e ricercato dai singoli e dalle Comunità, occorre che la sua necessità e i mez­zi per la sua realizzazione vengano richiamati con maggiore forza.

 

 

3.4. Documentazione dei Capitoli Generali: 1965, 1970, 1976, 1979, 1982 e 1988

 

Il LVII Capitolo Generale, denominato nell’occasione intermedio perché non implicava l’elezione del Generale, ebbe luogo nel mese di maggio 1965. Si dedicò a studiare le proposte presentate dai PP. Capi­tolari, dalle quali si nota chiaramente l’incidenza sui Confratelli incominciava ad esercitare la dot­trina conciliare, anche se il Concilio era ancora in pieno svolgimento.

 

Il LVIII Capitolo Generale, denominato straordinario, fu celebrato in due sessioni nel 1969 e nel 1970 ed era orientato, come Capitolo speciale secon­do le direttive del Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, completamente all’elaborazione delle Costituzioni e degli Statuti Generali. Nella seconda parte, oltre all’approvazione del testo delle Costituzioni, si svolse la fase elettiva del nuovo governo dell’Ordine per il sessennio successivo.

 

Il LIX Capitolo Generale, celebratosi nel mese di ottobre 1976, concordò di prorogare per altri sei armi le Costituzioni“ad experimentum “. Inoltre de­cise che una commissione nominata ad hoc approfon­disse i temi più importanti e preparasse il materiale necessario per le Costituzioni definitive. Con ciò se­gnò in un certo qual modo il contenuto del Capitolo Straordinario del 1979. Furono esaminate tutte le questioni importanti della nostra vita religiosa secon­do la documentazione del Concilio ed approvate una serie di proposte che sarebbero servite come base per i lavori successivi.

 

Il LX Capitolo Generale, celebratosi nel 1979, era un Capitolo straordinario, che fu convocato allo scopo di compiere uno studio approfondito del carisma come richiesto dal Capitolo precedente.

 

Venne introdotta una nuova metodologia che privilegiava il lavoro di gruppo rispetto

 

Venne concordato un piano generale per la revisione delle Costituzioni da promuovere da una Com­missione Centrale nelle Province e nelle comunità.

 

Il Capitolo approvò una nuova formulazione del voto di ospitalità ad experimentum che più tardi sa­rebbe stata inserita nelle nostre Costituzioni attuali.

 

Delimitò e distribuì la programmazione secondo i seguenti campi di azione: apostolato, stile di vita, for­mazione e governo ed amministrazione. Individuò il problema fondamentale dell’Ordine all’epoca nello “squilibrio tra la logica assistenzialista” e “la logi­ca evangelizzatrice” che implica e comporta il cari­sma specifico dell’Ordine.

 

Inoltre stabilì un programma suddiviso in obietti­vi e tappe da realizzare successivamente nella vita delle Provincie.

 

Il LXI Capitolo Generale, svoltosi nel 1982, non elaborò un nuovo piano di azione, ma si limitò a rivedere ed aggiornare quello del 1979 cercando di renderlo più funzionale ed aderente alla realtà delle Province.

 

Pur riconoscendo una serie di aspetti positivi en­trati a far parte della vita dell’Ordine grazie al lavoro realizzato nei tre anni successivi, il Capitolo constata allo stesso tempo una serie di problemi che debbono essere affrontati per migliorare e rendere più efficace la vita dei religiosi. Alla luce di questa visione di in­sieme il Capitolo definisce come problema fondamentale: “Constatiamo con una certa preoccupazione che il modo in cui ci inseriamo attualmente nelle opere assistenziali è in contrasto con la vita e l’azione di San Giovanni di Dio.”

Il lavoro principale del Capitolo era orientato analisi e all’approvazione definitiva delle Costituzioni. Dopo che i PP. Capitolari avevano studiato e discusso lungamente il testo proposto cercando di identificarci con esso, il Capitolo nominò una commissione per la redazione definitiva delle Costituzioni. Degli Statuti Generali furono trattati nell’aula sol­o quegli aspetti strettamente collegati con il testo delle Costituzioni.

 

Inoltre il Capitolo deliberò che i Segretariati Internazionali per la Formazione e per la Pastorale Ospedaliera fossero incaricati di determinati programmi, che si nominassero due Coordinatori Generali per missioni in Africa e in Asia e che si erigesse uno Scolasticato Interprovinciale nell’Africa Occidentale.

 

Il LXII Capitolo Generale, celebratosi nel 1988, fu preparato con l’elaborazione di un docu­mento intitolato “Ospitalità – impegno con l’uomo”. ­Si mantenne la metodologia introdotta nei due Capitoli precedenti e ciascuna fase era preceduta da un’introduzione del P. Presidente. Un altro elemento di lavoro costituirono le valutazioni presentate dai Segretariati Generali.

 

Dopo aver valutato attentamente gli aspetti positivi e negativi del sessennio trascorso, il Capitolo denuncia che “il problema principale dei Confratelli consiste nella poca incidenza del nostro apostolato tra i malati e i bisognosi” aggiungendo che è un aspetto preoccupante, perché è dal Capitolo del 1979 che questo problema viene evidenziato. Perciò il Capitolo considera imprescindibile continuare il processo di rinnovamento, avendo come centro l’ospitalità secondo lo stile del nostro Fondatore (Fase del giudicare).

 

La programmazione è animata dal desiderio di dare nuovo impulso alla dimensione dell’apostolato che vie­ne trattata sotto il titolo “Ospitalità”;nel settore della formazione vengono privilegiate la formazione permanente e la pastorale vocazionale; viene incoraggiata l’azione missionaria, rivolta un’attenzione speciale al tema dei collaboratori (come si ricorderà, hanno parte­cipato in questo Capitolo per la prima volta otto colla­boratori in veste di uditori a una parte delle sessioni) e proposto un piano di riorganizzazione per le strutture di animazione dell’Ordine (Fase dell’agire).

 

Infine il Capitolo demanda al Governo Generale di studiare determinate questioni collegate agli Statu­ti Generali e di indicare adeguate soluzioni in merito.

 

 

3.5. Azioni nella vita dell’Ordine

 

3.5.1. Scuola Internazionale di Spiritualità e Missionologia. Studentati Interprovin­ciali

 

Nelle norme impartite da P. Igino Aparicio per i centri di formazione si trova un capitolo intitolato Scuola Internazionale che si riferiva alla Scuola di Spiritualità e Missionologia eretta a Roma nel 1955 e inaugurata nel 1956. In quanto alla spiritualità venne­ro proposti i seguenti obiettivi: cultura teologica e spirituale, preparazione di formatori, relazioni tra i Confratelli delle diverse Province e apprendimento dell’italiano. Per quanto riguarda invece la missionologia, lo scopo era di preparare spiritualmente, moralmente e culturalmente i religiosi impegnati in terra di missione.

 

Nelle norme succitate si trova inoltre un capitolo dedicato allo Studentato Interprovinciale. In esso si incoraggiò le Province di lingua comune a costituire una casa di studi superiori interprovinciale, la cui erezione doveva comunque essere approvata dal P. Generale con il suo Definitorio. Si propose di crearla in una casa con un’opera apostolica sotto la guida di in maestro, anche se tutti i Confratelli sarebbero comunque rimasti sotto l’autorità di un Priore locale.

 

 

3.5.2. Le Commissioni “H” e “R”

 

Nel Capitolo Generale del 1976 fu deciso la creazione di una Commissione con il compito di studiare alcuni punti in relazione alla ospitalità destinati ad essere integrati nelle Costituzioni definitive.

 

A tal fine si tenne a Roma dal 26 ottobre al 2 no­vembre 1977 una riunione convocata dal P.Generale, nel cui ambito venne istituita la Commissione H. Il compito di tale Commissione si incentrò su tre aspet­ti: lo studio del voto di ospitalità, lo studio del cari­sma e del fine specifico dell’Ordine, e la preparazio­ne dei contenuti e della dinamica del Capitolo Gene­rale Straordinario.

 

Chi consulta la documentazione della Commis­sione, può constatare come il P. Generale, istituendola, era animato dal desiderio di spingere l’Ordine a mettere in pratica l’invito del Vaticano II, vale a dire a realizzare “il rinnovamento autentico dell’Or­dine”. Per definire le competenze e i compiti della Commissione fu elaborato un documento guida intitolato: ”Sul rinnovamento dell’Ordine nella vita nell’espressione del suo carisma”.

Realizzando uno studio approfondito sul contenuto del carisma, si era convinti di poter appoggiare significativamente il processo di rinnovamento spirituale e la fraternità dei Confratelli.

 

Nella stessa riunione fu istituita la Commissione R per il rinnovamento.

 

 

3.5.3. 1979: Anno del Rinnovamento. Corsi di rinnovamento

 

In un incontro con i PP. Provinciali svoltosi a Granada i primi di marzo del 1978, il P. Generale pre­sentò una riflessione intitolata: “Le basi del rinnova­mento” che posteriormente venne proposta a tutto l’Ordine in data 18 aprile 1978.

 

Nell’introduzione di questo scritto P. Marchesi proclamò l’anno 1979 “Anno del Rinnovamento”, che sarebbe culminato nel Capitolo Generale Straor­dinario. Le Commissioni “H” e “R”organizzarono una serie di corsi: si iniziò con uno riservato a rispet­tivamente due animatori di ciascuna Provincia, che si tenne a Roma nel mese di novembre 1978, al quale seguirono diverse riunioni di Superiori organizzate per gruppi linguistici, nonché diversi incontri per sensibilizzare tutti i Confratelli.

 

Il P. Generale considerava la sua riflessione come un modesto, fraterno e meditato aiuto teso ad avviare il rinnovamento dell’Ordine a livello personale e co­munitario. La riflessione era suddivisa in due parti intitolate rispettivamente le barriere che ci dividono e i punti forti che ci uniscono.

 

 

3.5.4. I Segretariati Generali e la Commissione Generale di Animazione

 

I Segretariati Generali sorgono all’interno dell’Ordine come strumenti di aiuto per il P. Generale il suo Consiglio nell’area di governo e dell’ani­mazione. Sulla stessa linea vengono istituiti nelle Province i Segretariati Provinciali.

 

Abbiamo già rilevato come nelle Costituzioni del 1971 si parli del Segretariato Generale per le Missio­ni (C nn. 111 e 118) e si promuova la creazione di altri per i seguenti campi: vocazioni, formazione, pastorale ospedaliera, ospitalità ed amministrazione (SG n. 255). Il motivo per cui si creano i Segretariati è di “rendere sempre più aggiornato ed efficace il nostro specifico apostolato”. Ignoriamo se all’epoca si è arrivati ad istituzionalizzare gli stessi a livello della Curia Generalizia; sappiamo tuttavia che inco­minciarono a funzionare in alcune Province.

 

Nel 1978 Fra Pierluigi Marchesi nel presentare “Le basi del rinnovamento“, scrive una breve lettera, nella quale, facendo riferimento all’organizzazione della Curia Generalizia, annuncia la creazione di due uffici, tra cui quello di studi e formazione, e cinque Segreterie rispettivamente per la Pastorale Vocazio­nale, le Missioni, la Pastorale Ospedaliera, gli Ospe­dali e le relazioni con i collaboratori secolari. Alcuni di questi incominciano in seguito a lavorare; altri tut­tavia entrano soltanto dopo il Capitolo del ‘82 piena­mente in funzione.

 

Nel sessennio 1982-1988 sono stati costituiti i Se­gretariati per i Laici, Studi e Formazione, Missioni, Pastorale Sanitaria, Centri ed Amministrazione. Era­no composti da religiosi e collaboratori. Hanno elabo­rato propri obiettivi e si sono riuniti due volte all’an­no. Il lavoro realizzato è raccolto nei relativi verbali.

 

Il Capitolo Generale del 1988 considerò iperdi­mensionata questa organizzazione e chiese al Gover­no Generale nella linea di azione 28.3 della sua pro­grammazione di “riesaminare e riorganizzare i Se­gretariati Generali, affinché incoraggino, stimolino e animino i seguenti settori della vita dell’Ordine: pa­storale ospedaliera, missioni, stile di vita e governo della comunità, formazione, laicato e centri ed amministrazione.”

Accogliendo questa richiesta, nel piano di governo elaborato e presentato da Fra Brian O’Donnell con una lettera nel mese di febbraio 1989, si affida la respon­sabilità di ciascuna delle aree sinora gestite dai Segre­tariati Generali ad un Consigliere Generale. Inoltre si istituisce una Commissione Generale ed una Commissione Permanente per l’Animazione, sulle quali sarà presentata una valutazione in questo Capitolo.

 

3.5.5. Il Segretariato Latino-americano per il Rinnovamento

 

I corsi di rinnovamento costituirono per tutti i Confratelli dell’America Latina un momento prezio­so per lo studio della realtà, per l’aggiornamento pa­storale e per dare alla propria vita un nuovo impulso evangelizzatore nella dimensione del carisma e della missione dell’Ordine.

 

Realizzati questi corsi nel 1979 a Bogotà, gli ani­matori di questo processo si resero conto che, per da­re continuità al cammino di rinnovamento iniziato, era necessario fornire un appoggio e un accompagnamento permanente ai Confratelli.

 

Nelle riunioni che succedettero all’ultimo corso, il P. Generale, i Provinciali e i Delegati Provinciali interessati concordarono di creare il Segretariato Latino-americano per il Rinnovamento, detto SELARE, diretto da un Confratello destinato a tempo pieno a organizzare le attività necessarie per portare avanti e seguire il processo. Inoltre nelle tre Delegazioni (co­stituite nello stesso anno in Viceprovincie), nella De­legazione del Brasile e nella Provincia Colombiana, si nominò rispettivamente un Confratello per anima­re il processo nella propria area.

 

Com’era prevedibile, in principio la funzione del SELARE non fu accettata o compresa in uguale ma­niera dalle diverse comunità dell’America Latina. Alcuni Confratelli offrirono al nuovo organismo tutto il loro appoggio e favorirono la sua crescita; altri lo consideravano inutile; altri ancora si mostrarono in­differenti.

 

Ma grazie all’encomiabile impegno dei Confra­telli che furono i suoi direttori e dei Confratelli de­legati nei diversi paesi, il SELARE si mostrò all’al­tezza del suo compito dando preziosi frutti nell’ac­compagnamento del rinnovamento post-conciliare in America Latina.

 

All’inizio degli anni novanta, la presenza del SE­LARE all’interno dell’Ordine come anche nella Chiesa e nel mondo della salute in America Latina era di tale rilievo che nella Riunione dei Superiori Maggiori svoltasi a Roma il 30 ottobre 1989, si deci­se di darle una nuova struttura più adeguata alle sue crescenti responsabilità e alla sua proiezione amplia­ta. D’ora in poi si chiamerà Segretariato Interprovin­ciale dell’America Latina (SAL.OH), con programmi interni per i Confratelli dell’Ordine e programmi esterni per altre comunità e diocesi. Questa proiezio­ne esterna continuerà sotto la sigla del SELARE, co­me un programma dipendente da SAL.OH.

 

3.5.6. I Segretariati Interprovinciali

 

Il desiderio di intensificare la cooperazione in al­cuni aspetti della propria vita è, soprattutto negli ulti­mi anni, andato aumentando nelle Province, soprat­tutto in quelle inserite in una stessa nazione o in un contesto linguistico-culturale di comune tradizione, anche se realizzare questo desiderio non sempre si è rivelato facile.

 

Alcune Province, con il tempo, sono convenute sulla necessità di creare a tal fine Segretariati Interpro­vinciali e li hanno istituiti, con l’appoggio del Governo Generale, quali strumenti agili per l’animazione.

 

I Segretariati Interprovinciali compaiono nelle Costituzioni del 1982 (n. 97d), dove il loro ruolo ap­pare vincolato a rappresentare gli interessi delle Pro­vincie associate dinnanzi alle autorità di uno stesso stato. Il loro sviluppo successivo è stato tuttavia mol­to più ampio, e ciò essenzialmente per due ragioni: da una parte hanno spesso varcato i confini nazionali, dall’altra hanno incominciato ad abbracciare nelle proprie azioni elementi peculiari dell’animazione della vita delle Province, non riconducibili alla sola dimensione rappresentativa dinnanzi ad uno stato.

 

Oggi esistono nell’Ordine sette Segretariati Inter­provinciali: SAL.OH in America Latina, quello delle Province di lingua inglese, quello delle Province di lingua tedesca e dell’Europa dell’Est, quello delle due Provincie italiane, quello polacco e quello dell’Asia.

 

 

3.5.7. Il libro sulla formazione nell’Ordine

 

Il libro sulla formazione è stato portato a termine dopo un lungo processo di elaborazione. La prima parte, pubblicata nel 1985 con il titolo: “La formazione­ del Fatebenefratello”,presentò i principi, gli obiettivi e i criteri fondamentali della formazione trattando non solo la formazione iniziale, ma anche la Pastorale Vocazionale e la Formazione Permanente.

 

La Commissione Permanente di Animazione dell’Ordine pubblicò nel mese di ottobre 1991 “La Formazione Permanente nell’Ordine”. Inoltre mise a disposizione delle Province, dopo che un documento base con lo stesso titolo era stato studiato dai promo­tori vocazionali, il testo definitivo de “La Pastorale Vocazionale nell’Ordine”lasciando ai responsabili provinciali la sua pubblicazione nelle diverse lingue.

 

Con ciò il Governo Generale considera di aver offerto le basi sia per suscitare e realizzare una buona formazione dei candidati in ordine alla loro integra­zione progressiva nell’Ordine, sia per garantire un accompagnamento adeguato mediante la Formazione Permanente.

 

3.5.8. I Noviziati Interprovinciali

 

Il desiderio di conseguire una migliore promozio­ne vocazionale e formazione dei candidati nei paesi in via di sviluppo, la scarsità delle vocazioni nei pae­si industrializzati, la possibilità di offrire buoni for­matori e l’apertura e il movimento di interprovincia­lità esistente nell’Ordine, sono i fattori che hanno portato alla creazione dei centri di formazione inter­provinciale.

 

Nelle Dichiarazioni del Capitolo Generale del 1979, nella sezione dedicata all’apostolato, tappa 30, raccomandazione 2, si chiede l’erezione di un Novi­ziato Interprovinciale in Africa. Nelle Dichiarazioni del Capitolo del 1982, nel capitolo dedicato alle pro­poste varie, si dice al punto 3: “Si dovrà creare uno Scolasticato Interprovinciale per l’Africa occidenta­le”.Finalmente nelle Dichiarazioni del Capitolo Ge­nerale del 1988, nella parte intitolata Fase dell’Agire, divisione Formazione Iniziale, nella linea d’azione 18 si sollecita: “Promuovere la costituzione di Centri Interprovinciali”.

Tutto ciò ha comportato che oggi abbiamo un Noviziato congiunto e due Scolasticati comuni nella Delegazione Generale dell’Africa, che non sappiamo, se possiamo definirli interprovinciali. Inoltre esi­ste un Noviziato Interprovinciale in Palencia (Spa­gna) delle tre Provincie spagnole ed uno a Graz (Au­stria) delle Province di lingua tedesca e dell’Europa dell’Est.

 

3.5.9. Le visite canoniche generali e provinciali come espressione di un nuovo stile di

ani­mazione

 

Le visite canoniche, sia generali che provinciali, sono prescritte praticamente da sempre dal Diritto Canonico. Come tali sono entrate a far parte delle no­stre Costituzioni e sono state realizzate nel tempo.

 

Il ruolo attribuito al visitatore, le difficoltà a li­vello dei mezzi di comunicazione e di trasporto e la forma di concepire la stessa visita hanno fatto sì che in passato essa verteva in primo luogo sul controllo, sulla disciplina e sulla valutazione della situazione incontrata. La chiusura serviva ad impartire criteri o norme in relazione al funzionamento della vita della comunità e dell’ospedale.

 

Lo stile delle visite canoniche è andato poi pro­gressivamente cambiando nella misura in cui hanno preso piede le idee del Concilio.

 

L’ultima visita canonica generale è stata proget­tata e realizzata sulla base di una concezione aperta e collegiale che ha portato a delegare le sue tappe più importanti al Consigliere Generale responsabile dell’area in oggetto, mentre il P. Generale e parte del Consiglio hanno partecipato di volta in volta alla chiusura accentuando così il suo carattere animatore, senza che per questo siano state trascurate le esigen­ze di analisi e revisione proprie della visita.

 

 

3.5.10. La costituzione delle Viceprovince dell’America Latina

 

Il 12 dicembre 1979 marca un passaggio impor­tante nella storia dell’Ordine in America Latina, ve­nendo erette canonicamente in questa data nell’ambi­to del Capitolo Generale Straordinario, come frutto del processo di rinnovamento post-conciliare e come risposta all’esigenza di adattarsi alle nuove necessità del subcontinente americano, le Viceprovince suda­mericane, e cioè:

 

- la Viceprovincia Sudamericana Settentrionale (composta di Ecuador, Panama, Perù e Vene­zuela) che sceglie come patroni Nostra Signora e il Venerabile Francesco Camacho;

 

- la Viceprovincia del Messico, Cuba e America Centrale che si collocò sotto la protezione di No­stra Signora di Guadalupe;

 

- la Viceprovincia Sudamericana Meridionale (composta di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay) posta sotto la protezione di San Gio­vanni di Avila.

 

Questo passo ha permesso di rendere più agili la struttura e i servizi dell’Ordine nonché di inserirsi meglio nelle diverse realtà; inoltre ha favorito l’in­gresso di vocazioni autoctone.

 

Le Viceprovince sono entità giuridiche temporali destinate ad essere erette in Provincie. A 15 anni dal­la loro creazione, oggi ciascuna delle Viceprovince sudamericane deve analizzare, a quale punto di que­sto processo verso la trasformazione in Provincia si trova.

 

 

3.5.11. Le Coordinazioni di Asia e Africa. La De­legazione Generale dell’Africa

 

Questo tema compare per la prima volta nel Ca­pitolo Generale del 1979, dove viene posto nei se­guenti termini: “Si considera indispensabile la nomi­na di due COORDINATORI: uno per l’Africa e le Isole Mascarena, l’altro per l’Asia e l’Oceania; detti coordinatori dovrebbero avere le stesse facoltà che le Costituzioni attribuiscono ai Delegati Generali”(Programmazione, Obi. II, Tappa 30, Raccom. 1).

 

Il Capitolo Generale del 1982, nella sezione dedi­cata alle proposte varie, al punto 2 chiede: “Si dovrà nominare un Coordinatore Generale per le Missioni d’Africa ed uno per quelle d’Asia”.

 

In quanto all’Africa, avviato il processo di coordinamento dei diversi centri dell’Africa Occidentale. il LXII Capitolo Generale nella linea di azione 25 approva che si porti avanti questo processo con l’obiettivo di instaurare la Viceprovincia dell’Africa Occidentale.

 

A tal fine la Curia Generalizia promuove, dopo i capitoli Provinciali del 1989, una riunione, alla qua­le invita i PP. Provinciali delle Province con opere in Africa e i Confratelli operanti in Africa che avevano preso parte agli ultimi Capitoli Provinciali. In detta riunione si giunge alla conclusione che la forma mi­gliore per preparare le case in Africa a diventare una Viceprovincia, sia quella di raggrupparle in una De­legazione Generale; come tale ha realizzato un pro­prio percorso in questo sessennio.

 

In quanto all’Asia, il LXII Capitolo Generale nella linea di azione 26 deliberò: “Il Governo Generale faciliti il coordinamento di alcuni aspetti del­la vita delle missioni dell’Ordine in Asia…”. In se­guito è stato creato il Segretariato Interprovinciale dell’Asia che ha incominciato ad operare in questa direzione.

 

3.5.12. I Capitoli Interprovinciali in Spagna

 

Al fine di giungere ad una condivisione maggiore degli elementi fondamentali della propria vita e del proprio apostolato, le Province di Spagna, per voce dei loro tre Consigli Provinciali, riunitisi a Madrid il 4 settembre 1985, chiesero alla Curia Generalizia il permesso di poter realizzare un Capitolo Interprovin­ciale che ebbe poi luogo a Ciempozuelos nel mese di maggio 1986.

 

In detto Capitolo si approvò un documento intito­lato “La presenza dell’Ordine in Spagna” che ha il­luminato il significato della presenza e dell’apostola­to dell’Ordine nel suo insieme in Spagna. L’esperien­za del Capitolo Interprovinciale fu ripetuta nel 1989 e nel 1992.

 

Questa esperienza assieme al dinamismo del Se­gretariato Interprovinciale ha fatto sì che si assiste oggi in Spagna, a prescindere dalle difficoltà proprie, ad un’azione congiunta in tutti i campi che costitui­scono la vita dell’Ordine.

 

3.5.13. Il Fondo Comune per le Missioni

 

La proposta di creare un Fondo Comune per le Missioni apparve per la prima volta durante la riunio­ne dei Superiori Maggiori dell’Ordine svoltasi nel mese di ottobre 1989.

 

Presa in considerazione dal Consiglio Generale, si preparò una prima bozza in cui venne delineata la filosofia del futuro Fondo Comune. Dopo aver studiato i suggerimenti presentati al riguardo dalle Province, si giunse ad un piano definitivo in una riu­nione della “Commissione Africa”.

 

Il Fondo è nato dall’esigenza di promuovere una maggiore condivisione delle risorse, vale a dire un appoggio più incisivo dalle realtà più avvantaggiate verso quelle meno avvantaggiate. Sinora si basa praticamente sui contributi che giungono direttamente dalle Province.

 

Anche se in principio si era pensato di fare del Fondo un mezzo di aiuto per tutte le comunità missionarie dell’Ordine, si constatò presto che era impossibile, per cui si decise di limitare la sua responsabilità alle Delegazioni Generali del Vietnam e dell’Africa.

 

Sono stati esaminati i preventivi di tutti i centri appartenenti alle due Delegazioni. Gran parte dei lo­ro introiti derivano dall’attività assistenziale che rea­lizzano. Aiuti consistenti arrivano dalle varie organizzazioni internazionali, tra cui le nostre ONG. Ma possiamo dire che anche il Fondo Comune ha fatto la sua parte negli anni 1991 e 1992. In quest’ultimo anno ha distribuito aiuti anche ad alcuni centri in Ame­rica Latina e in Australasia.

 

Nella distribuzione degli aiuti, il comitato prepo­sto alla gestione del Fondo, si è orientato ai criteri in­dicati dalle due Delegazioni Generali.

 

La nostra gratitudine va in particolar modo alle Province che con il loro aiuto hanno reso possibile che questa iniziativa vada sempre più consolidandosi.

 

3.5.14. La testimonianza di fedeltà dei Confra­telli nei paesi oppressi

 

Riteniamo giusto e necessario fare riferimento a questo fatto. Sono non pochi i Confratelli che in di­versi paesi, come altri settori della Chiesa, hanno sof­ferto l’oppressione.

Sono stati limitati nella libertà di testimoniare la loro fede e di realizzare il proprio apostolato; di po­tersi muovere e stare in contatto con i Confratelli di altre nazioni e di partecipare come membri dell’Ordi­ne ai suoi avvenimenti più importanti. Sono stati perseguiti e privati della possibilità di promuovere la no­stra vocazione.

 

Hanno vissuto con difficoltà il movimento che il Concilio ha suscitato nella Chiesa. Hanno patito la mancanza di informazione sia a livello generale che a livello dell’Ordine.

 

Quando dopo molti sforzi, rappresentanti di que­sti paesi poterono partecipare a qualche Capitolo, erano ricevuti con grande gioia e bombardati con do­mande circa la loro vita.

 

In queste circostanze hanno offerto alla Chiesa e all’Ordine un’encomiabile testimonianza di fedeltà alla nostra vocazione mantenendo vivo in mezzo a tutte le difficoltà il carisma di San Giovanni di Dio.

 

 

3.5.15. Il crollo dell’ideologia materialista nell’Europa dell’Est: nuove possibilità

 

Eccettuando la Polonia che da sempre ha goduto di uno status speciale, la situazione nei paesi dell’Eu­ropa dell’Est ha conosciuto in questi ultimi anni una profonda trasformazione. Con la caduta della cortina di ferro si sono aperte tutt’una serie di nuove possibi­lità che soltanto ieri sembravano ancora inimmagi­nabili.

 

I Confratelli possono di nuovo mettersi insieme e vivere in comunità; l’Ordine può rivendicare il diritto di proprietà sui suoi ospedali; si possono accogliere nuove vocazioni. Tutto sembra indicare che un nuovo orizzonte si avvicina.

 

Il messaggio del governo generale “Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” lanciava un appello ad impegnarsi nella ricostruzione dell’Ordine in que­sti paesi. Dalle Province di Austria e Baviera sono state avviate nel frattempo diverse iniziative. I nuovi candidati vengono formati nel Noviziato Interprovin­ciale Tedesco e nel Segretariato Interprovinciale Te­desco sono stati integrati rappresentanti delle diverse realtà dell’Est. Ma verosimilmente l’Ordine è chiam­ato a compiere altri gesti per conseguire in questi paesi la rivitalizzazione che merita.

 

3.5.16. I Confratelli riconosciuti santi dalla Chiesa

 

Il periodo post-conciliare è stato molto ricco in questo senso per l’Ordine. Tutti i Confratelli che ci hanno preceduto nella storia dell’Ordine, hanno cer­cato di rispondere fedelmente alle esigenze dell’ospitalità. Per questo sentiamo una profonda riconoscenza verso loro. Alcuni di loro si sono distinti sia per il dono che hanno ricevuto da Dio, sia per la risposta che hanno dato.

 

Tutti ricordiamo le celebrazioni che l’Ordine ha vissuto negli ultimi dodici anni, a incominciare da San Riccardo Pampuri, di cui abbiamo avuto la gioia di poter celebrare in soli otto anni la beatificazione e la canonizzazione rispettivamente nel 1981 e 1989. Nel 1985 è stato beatificato solennemente P. Bene­detto Menni; nel 1992 finalmente ha avuto luogo la beatificazione dei 71 Confratelli-Martiri della guerra civile spagnola.

I fatti che hanno costituito la loro vita e la loro morte, sono oramai ampiamente conosciuti. Circo­stanze molto diverse tra loro, ma che hanno visto ri­sponderli tutti in maniera eroica, cosa che è stata ri­conosciuta dalla Chiesa che per questo li ha procla­mati santi.

 

Questo riconoscimento è stato vissuto con grande gioia dall’Ordine. Confidiamo nella loro protezione così come confidiamo in quella di San Giovanni di Dio e del Beato Giovanni Grande, affinché continuino ad illuminarci e ad aiutarci a proseguire fedeli nel cammino della nostra vocazione.

 

3.6. Nuovi orientamenti nella vita dell’Ordine

 

3.6.1. Lo stile di vita: viviamo in comunità di fe­de la nostra consacrazione nell’ospitalità

 

Di stile di vita si incomincia a parlare nel Capito­lo Generale Straordinario del 1979, dove compare nella sezione 3 dedicata alla situazione attuale dell’Ordine come pure in uno dei grandi titoli della programmazione, precisamente il B.

 

Da allora in poi questo tema ha costituito una co­stante nella programmazione dei due Capitoli succes­sivi. Voleva essere questo un modo per integrare tut­to ciò che il rinnovamento della vita religiosa esigeva da noi in relazione alla vita di fede e al nostro vivere comunitario.

 

Ci siamo dati una libertà maggiore, abbiamo vo­luto abbandonare l’uniformità a vantaggio di un’unità costruita su basi più sincere, abbiamo fonda­to il nostro vivere comunitario non solo su presuppo­sti teologici, ma anche sugli apporti che la psicologia poteva offrirci: la crescita umana, il dialogo, la dina­mica di gruppo, le relazioni interpersonali ecc.

 

Abbiamo voluto vivere una vita di fede più in­centrata sul mistero di Cristo, con uno spazio forte dedicato alla preghiera personale, ma radicata al con­tempo fortemente nella dimensione comunitaria co­me espressione che condividiamo una stessa voca­zione di fede.

 

Guidati da semplicità evangelica, con la quale Dio illuminava la nostra vita, abbiamo tentato di in­camminarci su una strada più in sintonia con quello spirito evangelico che il Concilio ci spronava ad as­sumere. Oggi, a 28 anni dal Concilio, dobbiamo chie­derci guardando indietro al processo di rinnovamento che abbiamo compiuto: Siamo soddisfatti del nostro stile di vita e della forma in cui esprimiamo la nostra identità di Fatebenefratelli?

 

 

3.6.2. La Formazione Permanente come stru­mento di rinnovamento

 

San Giovanni di Dio non solo visse in un tempo di grandi cambiamenti, ma mise in moto egli stesso grandi cambiamenti. Oggi la Chiesa e la società si at­tendono un cambio radicale dalla vita religiosa. La nostra missione esige che rispondiamo alla Chiesa e ai poveri di oggi, ai malati e agli emarginati che ci chiedono di avvicinarci a loro come uomini attuali e non con concezioni del passato.

 

I Confratelli che sono entrati nell’Ordine prima o durante il Concilio Vaticano II, erano abituati a pen­sare alla formazione religiosa in termini di formazio­ne iniziale: postulantato e noviziato. Ma lo stesso Concilio ci dice che “il rinnovamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei loro membri”, i quali debbono adoperarsi per tutta la vita a perfezionare la propria cultura (PC 18ac).

 

In questa luce la Formazione Permanente diventa uno strumento prezioso e indispensabile del processo di rinnovamento dell’Ordine. E’ nelle Costituzioni del 1971 che questo concetto compare per la prima volta sotto il titolo di Formazione Continua: “La testimo­nianza cristiana dei nostri religiosi nel mondo sarà tanto più efficace quanto più completa è la loro preparazione culturale e apostolica, in armonia col fine dell’Ordine e col progresso dei tempi” (n. 161).

 

Nel Capitolo del 1982, l’Ordine perviene a for­mulare una prima definizione della Formazione Per­manente (Imag. Id. 33), definizione che si presenta ulteriormente affinata nelle Costituzioni del 1984: “La formazione permanente è un ‘esigenza del­la stessa vita e la risposta continua all’azione rinno­vatrice dello Spirito” (n. 72).

 

Il governo generale ha dimostrato un’attenzione speciale a questo tema con la pubblicazione del docu­mento “La Formazione Permanente nell’Ordine” e la sua applicazione attraverso il programma di “for­mazione permanente a livello comunitario” (1991-1994).

 

Il movimento di rinnovamento creatosi nell’Or­dine a partire dal 1979, ha contribuito enormemente a sensibilizzare le coscienze per la necessità della for­mazione permanente.

 

Da allora l’Ordine ha continuato a intensificare i suoi sforzi in questa direzione attraverso diverse ini­ziative quali:

 

  • - corsi, seminari, giornate e incontri sui più diver­si temi e ambiti per l’attualizzazione della mis­sione dell’Ordine;
  • - il programma di formazione a distanza promosso dal SELARE in America Latina per formare
  • “esperti nel campo della Pastorale della Salute” che successivamente è stato adeguato e adottato dalle Province di Spagna;
  • - i corsi di aggiornamento per: Superiori, formato­ri, direttori ecc.;
  • - i programmi di formazione permanente a livello comunitario promossi dalla Curia Generalizia.

 

3.6.3. L’opzione preferenziale per i poveri

 

A partire dal Concilio Vaticano II la Chiesa inco­mincia ad insistere, approfondendola e chiarendola sempre di più, sull’opzione preferenziale per i poveri. Il nostro Ordine, alla luce di questa opzione evangelica ed ecclesiale, esiste per evangelizzare i poveri, accom­pagnarli ed assisterli nelle loro sofferenze secondo lo stile di San Giovanni di Dio: “Incoraggiati dal dono ricevuto, ci consacriamo a Dio e ci dedichiamo al ser­vizio della Chiesa nell’assistenza agli ammalati e ai bisognosi, con preferenza per i più poveri” (C n. 5).

 

Il LXII Capitolo Generale segnala a questo pro­posito che “questa opzione rappresenta un criterio fondamentale che ci permette di valorizzare il si­gnificato della nostra presenza nella Chiesa e nella società, come persone, comunità e Province. Al tem­po stesso, è la chiave di lettura per valutare il nostro cammino di rinnovamento personale e comunitario” (DCG III.A).

 

Gli emarginati di oggi, in qualunque società essi si trovino, costituiscono le “nuove categorie di biso­gnosi”, termine che va riferito non solo al povero e malato, ma a qualsiasi uomo che lotta per recuperare la sua identità di persona. “Povero è ogni uomo che ha perso l’equilibrio psico-fisico e la speranza in una vita più ricca in ogni senso…Anche l’uomo del progresso è povero” (L’Ospitalità verso il 2000, n. 58).

 

L’Ordine Ospedaliero vive inserito nella realtà di un mondo diviso: Nord-Sud, Primo e Terzo Mondo, benessere e povertà. I Confratelli e le opere situate nel Primo Mondo, alla luce dell’opzione per i poveri agiscono in maniera coerente di fronte a questa realtà? Dall’altro canto, le opere situate nel Terzo Mondo ricercano nuove forme per rispondere a questa opzione?

 

Si sono visti alcuni sforzi per adeguare la nostra vita e le nostre strutture al servizio dell’emarginato: day-hospitals, alberghi notturni, assistenza a malati di AIDS e malati terminali, promozione di zone emarginate partendo da centri-base già esistenti… Questi sforzi richiedono tuttavia un’azione più coerente ­nel senso che l’Ordine si deve mettere più marcatamente nell’ottica del povero identificandosi, nel suo stile di vita, chiaramente con questa opzione, affinché, attraverso la sua forma di vita, il suo servizio di annuncio/denuncia, eserciti un’influenza sempre maggiore in questo senso sulla Chiesa e le strutture della società.

 

 

3.6.4. Le strutture sanitario-assistenziali dell’Ordine e la forma di orientare la loro missione

 

Nostro Padre San Giovanni di Dio fondò il suo ospedale a Granada per assistere i poveri che non tro­varono accoglienza in altri ospedali, offrendo loro, nella misura del possibile, un servizio degno ed uma­nizzato. In questo stesso spirito è andata sviluppan­dosi la storia del nostro Ordine.

 

Il Concilio ci ha dato e chiesto, come criterio, di adattarci alle esigenze del tempo, criterio a cui noi abbiamo dedicato grande attenzione nell’esercizio del nostro apostolato. Possiamo dire da sempre, ma maniera particolare nel periodo post-conciliare. Se elencassimo tutte le innovazioni introdotte nei centri, si riempirebbero in un nonnulla le pagine seguenti. Ma non possiamo fare qui un’analisi così particolareggiata. Pertanto ci soffermeremo soltanto sulla documentazione degli ultimi tre Capitoli Generali.

 

Nel ‘79 compare, nella sezione dedicata all’apostol­ato, come obiettivo 1 la necessità di rivedere e adattare le opere assistenziali e di promuovere nuove forme di apostolato. La seconda parte di questo obiettivo è stata ripresa, nella stessa sezione, dal Ca­pitolo del ‘82. Difatti, le Costituzioni che si approva­no in questo Capitolo, contengono un numero, il 47, che definisce le forme di apostolato.

 

La formulazione più esaustiva delle diverse esi­genze che questo tema ci ha posto nel nostro cammino post-conciliare, ha offerto il Capitolo del 1988 con a sezione intitolata Ospitalità, nella quale la presen­za dell’Ordine viene esaminata da una duplice angolazione: da una parte nei settori generalmente coperti dallo stato e dall’altra parte nei settori in cui l’azione sociale e sanitaria dello stesso non si fa sentire in ma­niera sufficiente. In questo modo viene esposto da una parte ciò che l’Ordine ha già realizzato nel rinno­vamento del suo apostolato, dall’altra viene confer­mato il desiderio di continuare su questo cammino di rinnovamento per servire meglio i bisognosi.

 

Per qualunque analisi che il Capitolo vorrà realizzare in ordine al futuro, rimandiamo a questo para­grafo.

 

 

3.6.5. La dimensione etica come atteggiamento di fondo in colui che serve e come princi­pio di rispetto all’uomo che soffre

 

L’ospitalità con tutto ciò che implica, è la forza propulsiva della nostra vocazione. La nostra vita e in particolare la nostra vita post-conciliare è stata tutta un’aspirazione e un agire, affinché fosse così. Questo pensiero affiora anche nella maggioranza dei numeri delle nostre Costituzioni attuali.

 

I Fatebenefratelli e quanti collaborano con essi, sono chiamati ad una vocazione di servizio alla per­sona malata, povera e bisognosa. La nostra aspirazio­ne è di realizzare questo servizio secondo lo stile di San Giovanni di Dio. Sappiamo che tra la sua vita e la nostra vita esiste una sensibile differenza di qua­lità. Ciononostante vogliamo e ci impegniamo, affin­ché nell’esercizio dell’ospitalità siano incarnati i principi che sono espressi, a modo di ideale, nelle no­stre Costituzioni:

 

  • - ci prendiamo cura dei poveri e degli ammalati assistendoli integralmente(n. 45);
  • - realizziamo la nostra missione con atteggiamen­ti e modi umanizzanti(n. 44):
  • - offriamo agli ammalati e a ogni persona biso­gnosa il servizio efficiente che meritano (n. 43);
  • - li assistiamo come prediletti del Regno, difendia­mo i loro diritti e offriamo la vita per loro (n. 3);
  • - la nostra presenza tra loro si distingue per lo ze­lo con cui poniamo in risalto i valori dell’etica cristiana e professionale (n. 51).

 

Illuminati da questa realtà e da altre riflessioni ella Chiesa e dei nostri Superiori, siamo passati all’azione avviando determinate politiche, definendo l’identità dei centri e dell’assistenza da praticare in essi; abbiamo promosso gruppi di riflessione che ci hanno aiutato a sviluppare nella dimensione etica lo stile di servizio che vogliamo che sia applicato nei nostri centri; abbiamo creato comitati di etica con l’obiettivo di illuminare determinate situazioni e di offrire modelli di comportamento per un esercizio di­gnitoso dell’ospitalità.

 

3.6.6. I nuovi bisogni e le risposte dell’Ordine

 

È una precisa esigenza del nostro carisma, e per­tanto della nostra vocazione, che, con l’aiuto delle nostre opere, ci impegniamo a sopperire ai bisogni dei poveri e degli infermi.

 

Il nostro mondo è dinamico; perciò sia negli stati che dispongono di un sistema sanitario organizzato, sia negli stati che non dispongono di un simile si­stema, sono apparse nuove necessità impreviste: tos­sicodipendenza, AIDS, Alzheimer, l’esplosione della popolazione anziana, senzatetto, nuovi poveri… Le stesse malattie di sempre, da come sono vissute oggi, presentano nuove necessità: angoscia, isolamento, condizioni disumanizzanti… Nuove necessità sono emerse anche nell’accompagnamento di chi vive i suoi ultimi momenti: malati terminali, hospices… Nuove necessità sorgono infine continuamente da situazioni puntuali, siano esse causate da eventi cala­mitosi o da guerre e condizioni politiche instabili Mozambico, Liberia, Cuba, Togo, Bosnia-Erzegovina ecc.

 

Di fronte a questo quadro l’Ordine ha preso l’impegno di rispondere. In diversi dei nostri documenti recenti viene auspicata una nuova presenza dell’Ordine nelle nuove situazioni di bisogno. Il nostro Prio­re Generale precedente, Fra Pierluigi Marchesi, ha affrontato in maniera puntuale questo tema nel suo scritto “L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000” dedicando nell’appendice uno spazio speciale all’analisi di tre nuovi bisogni: la vecchiaia, il malato terminale e i tossicodipendenti.

 

L’impegno di rispondere alle nuove necessità si è tradotto nel frattempo in numerose azioni concrete, sia nel senso che le Province abbiano aperto nuove opere, sia nel senso che abbiano adattato quelle esi­stenti. Pensiamo che i nostri Superiori, dando il via a questa ricerca, abbiano saputo valorizzare la creativi­tà del nostro carisma senza diminuire il valore delle innumerevoli attività apostoliche che da tempo si stanno realizzando nelle nostre opere.

 

 

3.6.7. Il movimento della Pastorale della Salute

 

Il Concilio ci ha aiutato a concepire la nostra vo­cazione più fortemente come un servizio integrale all’infermo e bisognoso. Non che non sia stato sem­pre così, ma non c’è dubbio che da allora nel nostro operare apostolico abbiamo incominciato a contem­plare con una nuova consapevolezza le possibilità di aiuto che alla persona umana derivano dalla salvezza di Gesù Cristo.

 

In questo senso si approvò, prima ad experimen­tum e poi definitivamente, nei Capitoli Generali del 1979 e del 1982, il nuovo testo relativo al voto di ospi­talità.

 

Possiamo affermare con certezza che in questo periodo nell’Ordine ha avuto luogo un risveglio per il tema della Pastorale della Salute che ha contribuito a un risveglio per questo tema nella stessa Chiesa, sia a livello universale che nazionale, regionale e locale.

 

Il Segretariato di Pastorale è stato sin dalla sua fondazione una delle strutture che più successo hanno ­avuto nelle Province. Nella maggior parte dei nostri centri esistono oggi Consigli o Gruppi di Pastora­le che lavorano, con il dovuto rispetto, per l’integra­zione della dimensione religiosa nel processo della malattia. Alcuni nostri Confratelli sono impegnati negli organismi diocesani e nazionali di Pastorale della Salute.

 

Ci sono stati e continuano a susseguirsi riflessioni, corsi e pubblicazioni. Questo ha fatto sì che, oltre coloro che sono impegnati direttamente nel Servi­zio di Pastorale nei centri, tutti noi Confratelli siamo oggi molto più coscienti di questa dimensione del no­stro apostolato ed anche tanti nostri collaboratori che intervengono con entusiasmo nelle azioni che si pro­grammano nei centri.

 

 

3.6.8. Il movimento dell’umanizzazione

 

Sappiamo che l’azione dell’umanizzazione pre­cede quella della pastorale; ma sappiamo anche che ogni azione pastorale comporta già al suo primo li­vello un’azione umanizzante. Ciononostante “l’uma­nizzazione”,intesa come movimento, nasce dopo quello della Pastorale nella vita dell’Ordine.

 

Anche se nessuno può dire che non fossimo co­scienti delle esigenze di umanizzazione che la realiz­zazione del nostro apostolato implicava, bisogna rico­noscere che di umanizzazione come tale, nell’Ordine si è incominciato a parlare a partire dal documento del nostro Priore Generale precedente, Fra Pierluigi Mar­chesi, intitolato appunto “La Umanizzazione”, che esce nel 1981 e proclama lo stesso anno a livello dell’Ordine come Anno d’Umanizzazione.

 

Da allora in poi numerose sono state le riflessioni e le azioni pratiche portate avanti in questa direzione nei centri, che ci hanno reso più consapevoli del valore fondamentale della persona, soprattutto quan­do è malata e bisognosa.

 

Tutto ciò ha determinato che le nostre comunità terapeutiche ed ospedaliere si sono poste come obiet­tivo la necessità di umanizzarsi per umanizzare. Sap­piamo che questo cammino che abbiamo iniziato, sarà interminabile, perché ci sarà sempre ancora un’altra possibilità di migliorare la qualità del servi­zio che offriamo e il modo in cui vengono trattati i malati e rispettati i diritti dei destinatari del nostro ca­risma.

 

Probabilmente non abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo posti; tuttavia possiamo af­fermare che abbiamo iniziato un cammino e che sia­mo soddisfatti dei risultati conseguiti. In futuro do­vremo concentrare i nostri sforzi a superare le omis­sioni e a rimediare alle carenze esistenti.

 

 

3.6.9. L’apertura ai collaboratori

 

Da sempre l’Ordine ha fatto affidamento su col­laboratori nell’esercizio dell’ospitalità. Giovanni di Dio, nelle sue lettere, parla ripetutamente dei suoi collaboratori e dell’aiuto che da essi riceveva.

 

Guardando alla storia, possiamo dire che l’opera San Giovanni di Dio è stata sostenuta in ogni attimo della sua vita da impiegati, benefattori e volontari.

 

­Una profonda apertura ai collaboratori si è avuta però soprattutto negli anni post-conciliari. Questa apertura si spiega da due premesse.

 

La prima è stata il rinnovamento. Spinti da esso, abbiamo adattato le nostre opere alle esigenze del tempo inserendole nella rete del servizio sanitario e sociale dei diversi paesi, introducendo le nuove tec­niche e ampliando il numero dei professionisti necessari per le nuove forme di servizio al malato. Pertanto il rinnovamento delle opere ha comportato l’inseri­mento di un grande numero di collaboratori.

 

La seconda è stata un approfondimento qualitati­vo del rinnovamento, nel senso che sentivamo sem­pre più forte l’esigenza di offrire un servizio ai desti­natari del nostro carisma sempre più in linea con lo spirito di San Giovanni di Dio. Assieme ai nostri col­laboratori intuimmo allora la necessità di instaurare un’alleanza tra quanti, sotto la bandiera di San Gio­vanni di Dio, compivamo una missione comune.

 

Proprio allora la Chiesa ci stava proponendo una dottrina sul laicato. Nell’accoglierla, ci accorgevamo che non era applicabile senza una serie di differenzia­zioni alla nostra realtà… che non quadrava piena­mente con il significato che noi desideravamo dare alla presenza dei nostri collaboratori nella nostra mis­sione, con i quali condividiamo sì ideali umani, ma non sempre quelli della fede.

 

Dalla Curia Generalizia venne promosso allora un movimento che poco a poco prese corpo. Abbiamo posto la nostra attenzione sulla filosofia che volevamo essere presente ed attiva nei nostri centri, una filosofia che fosse accettabile e condivisibile da tutti che ci troviamo impegnati nell’esercizio dell’ospitalità. Abbiamo realizzato una riflessione sull’innegabile dato che Confratelli e collaboratori, sulla base dei loro numerosi valori comuni, sono uniti in una missione, perché, anche se in maniera diversa, tutti partecipiamo al carisma di San Giovanni di Dio.

 

Ci possiamo dire soddisfatti del cammino realiz­zato, anche se abbiamo ancora davanti a noi un gran­de pezzo di strada da fare. La nostra speranza deve essere quella di arrivare a formare una famiglia che avvolta nello spirito di Giovanni di Dio, viva la sua vocazione comune di servizio agli infermi.

4. IL SIGNIFICATO DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

 

Fondamentalmente la “‘nuova evangelizzazione” ha inizio con il Concilio Vaticano II, anche se il concetto e il termine sono entrati soltanto di recente nel lessico comune della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, diceva nel 1985 Papa Giovanni Paolo II, ha rappresentato“il fondamento e l’avvio di una gigantesca era di evangelizzazione del mondo moderno”. Storic­amente parlando si potrebbe dire che tutto ebbe inizio con la “svolta giovannea”. Con l’annuncio del Concilio Vaticano II per voce di Papa Giovanni XXIII Chiesa esce dal secondo millennio e si incammina verso il terzo millennio consapevole delle enormi sfide che la attendono nel mondo moderno dominato fila secolarizzazione e dalla civiltà della tecnica.

 

Che cosa è e che cosa non è la“nuova evangeliz­zazione”? La nuova evangelizzazione è innanzitutto in movimento che riguarda la Chiesa stessa, la sua più intima identità. Essa è in primo luogo l’afferma­zione del primato dell’evangelizzazione su tutti gli altri compiti della Chiesa. Non è un “nuovo Vange­lo”, oppure, come qualcuno ha voluto intenderla, un aggiustamento, un adattamento del Vangelo all’era moderna. La novità non intacca il contenuto del mes­saggio evangelico che è immutabile, ma riguarda il linguaggio, i gesti, i metodi di apostolato. Parlare di nuova evangelizzazione non significa che quella pre­cedente sia stata nulla, infruttuosa o non duratura. Si­gnifica che oggi ci sono sfide nuove, nuove richieste che si presentano ai cristiani e alle quali è urgente ri­spondere (cfr. Santo Domingo, IV Conferenza Generale, II Parte, Capitolo I, n. 24).

 

 

4.1. L’uomo moderno e il messaggio cristiano

 

Prim’ancora di addentrarci nella tensione problematica che si è venuta a creare tra uomo moderno messaggio cristiano, ci sembra opportuno sottolineare alcune verità fondamentali che riguardano il rapporto tra uomo e religione in generale.

 

Prima verità: Sant’Agostino con una espressione molto semplice, ma molto efficace dice che l’uomo è “docibilis Deo “,capace cioè di accogliere Dio. Que­sta capacità è comune a tutti gli uomini e sempre presente. Come spiegarsi allora l’atrofia di questa capa­cità nell’uomo moderno e l’ateismo così diffuso nel nostro tempo? Risponde Karl Barth: “L’uomo della città secolare non è ateo, come egli stesso crede forse di essere; in realtà è idolatra”. Questo significa che l’uomo moderno ha, in fondo, molta nostalgia di Dio, perché, per dirlo con K. Rahner, come l’uomo di ogni tempo anche l’uomo moderno è “inguaribilmen­te religioso” (K. Rahner).

 

Seconda verità: Se Dio è scomparso dall’oriz­zonte dell’uomo moderno, ciò non è accaduto perché sia morto o mai esistito, ma perché fra noi e lui si è interposto il nostro Ego ormai onnipotente. Martin Buber ha coniato a questo proposito l’espressione eloquente della “eclissi di Dio “. E’ questo smisurato egocentrismo ad impedire all’uomo moderno di fare autenticamente, personalmente, l’esperienza di Dio. Ma al di là di questo errore di visione, che ricopre e nasconde Dio rendendocelo incomunicabile, Dio continua a splendere perfettamente intatto.

 

Una terza verità che secondo noi va tenuta in considerazione, è che la modernità è indivisibile, vale a dire che investe oramai, pur se con intensità e sfumature diverse, il globo intero. Dunque la proble­matica non riguarda solo l’uomo del mondo sviluppato, come spesso si è tentati di credere, ma l’uomo di ogni angolo del mondo in quanto uomo della civiltà della tecnica.

 

In tutto questo si avverte una grande sete di spiritualità, di trascendenza (vedi il proliferare delle sette). ­Nonostante che all’uomo di oggi sembri inte­ressare soltanto più quello che è fattibile e non ciò che è vero, c’è in lui una forte insoddisfazione esistenziale che si esprime in particolare in una continua e sempre più diffusa ricerca di stordimento (droga, divertimento, attivismo frenetico ecc.). Dietro questo si cela una forte tensione religiosa latente, alla quale tutti i cristiani, ma in particolare coloro che hanno consacrato la loro vita all’evangelizzazione, sono chiamati a proporre un modello di vita nella fede si­gnificativo ed attraente.

 

Assunte queste premesse, possiamo chiederci allora con Giovanni Paolo II nell’ottica della nuova evangelizzazione: “Come rendere accessibile, pene­trante, valida e profonda la risposta all’uomo di oggi, senza per nulla alterare o modificare il contenuto del messaggio evangelico? Come arrivare al cuore della cultura che vogliamo evangelizzare? Come parlare di Dio in un mondo nel quale è presente un crescente processo di secolarizzazione?” (Santo Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso Inaugurale, n. 10).

 

Una prima risposta a questa domanda la troviamo in Redemptoris Missio al n. 42: “L’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’e­sperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie”. Poco più avanti leggiamo: “La testimo­nianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre”. Questo è il campo di azione del Fatebenefratello nella nuova evangelizzazione: essere testimone dell’attenzione cristiana per la persona nella sua globalità, che noi abbiamo chiamato umanizzazione, essere testimone della solidarietà per i poveri, i malati e gli emargina­ti, essere fratello di chi soffre.

 

 

4.2. L’evangelizzazione della cultura e le culture dell’uomo

 

La domanda di fondo alla quale bisogna dare una risposta a questo riguardo è: quale rapporto esiste tra la fede e la moltitudine delle culture esistenti nel mondo e come è possibile in questa moltitudine una vera universalità? Questa domanda diventa ancora più pressante di fronte al fatto che l’aspirazione uni­versalistica della fede si deve misurare oggi, come abbiamo già detto, con un’altra universalità: quella della cultura della tecnica che grazie alla potenza del­le sue capacità e dei suoi successi si è imposta dap­pertutto, ma che nel contempo ha provocato quella divisione in nord e sud, in poveri e ricchi, che rappre­senta la vera emergenza del nostro tempo. Da qui sempre più forte il grido che chiede un’inculturazio­ne della fede non solo nelle diverse culture del mon­do, ma soprattutto nella cultura della tecnica.

 

In tutte le grandi culture storiche la religione rap­presenta un elemento essenziale, è anzi il suo centro. La dicotomia o addirittura la contrapposizione tra re­gione e fede è una concezione recente nata nell’Eu­ropa dell’era moderna. “La rottura tra Vangelo e cul­tura è senza dubbio il dramma della nostra epoca”,diceva Paolo VI nell’EN.

 

Il concetto dell’inculturazione propagato dal ma­gistero di Giovanni Paolo II parte dall’assunto che in cultura è attiva una disposizione di apertura ver­so le altre culture e che pertanto ogni cultura è poten­zialmente universale. L’elemento di mediazione, il punto d’incontro tra due culture è la verità comune sull’uomo che è intimamente e necessariamente lega­ta alla verità su Dio. Per questo motivo il messaggio di Gesù, i valori cristiani possono, anzi devono ispi­rare le diverse culture nel mondo dando vita così ad una cultura cristiana che rinnovi, ampli e unifichi i valori storici passati e presenti. Da qui anche la nuo­va concezione del “popolo di Dio” come “popolo dei popoli”.

 

Ma mentre l’inculturazione della fede in altre culture antiche e ricche di originalità sembra dipen­dere dalla mediazione poc’anzi citata, tra fede e cultu­ra della tecnica non sembra possibile un vero dialogo ed autentico incontro.

 

Parliamo volutamente di cultura della tecnica e non di tecnica come strumento di sviluppo e progres­so, intendendo con ciò quella visione relativistica e razionalistica che sta manovrando l’umanità verso un vuoto di senso che rischia di soffocarla. Anche se è innegabile che la cultura della modernità presenta un buon numero di valori positivi, molti dei quali sono frutti dell’evangelizzazione, come la libertà, l’ugua­glianza, la solidarietà sociale e la giustizia per citare solo quelli più importanti, essa ha eliminato valori re­ligiosi fondamentali e introdotto concezioni inganne­voli in netto contrasto con i valori cristiani (cfr. San­to Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso Inaugurale, n. 20).

 

Anche qui il Fatebenefratello può fare molto con la sua testimonianza “culturale”. Innanzitutto esso opera in molte culture essendo l’ordine presente in 48 paesi diversi su tutti e cinque i continenti, e può quindi, oltre a promuovere e valorizzare il dialogo delle culture al suo interno nella persona dei confratelli, contribuire ad una vera cultura della solidarietà tra i popoli nella persona dei suoi collaboratori, amici e benefattori. In più è presente in un campo della società mondiale, la salute, in cui i rischi della civiltà della tecnica diventano sempre più visibili. Deve impegnarsi per un giusto utilizzo delle conquiste della tecnica, ma evitare che la fattibilità prenda il soprav­vento sulla verità in momenti così centrali della vita dell’uomo come lo sono la nascita, la morte e la ma­lattia.

 

 

4.3. Unione intrinseca tra evangelizzazione e promozione umana

 

Dato che l’uomo – non l’uomo astratto, ma l’uomo concreto – “è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compito della sua missione”(Re­demptor hominis, n. 14), la promozione umana è una conseguenza intrinseca dell’evangelizzazione (cfr. Santo Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso Inaugurale, n. 13).

 

L’uomo concreto dunque, l’uomo con i suoi biso­gni, le sue aspirazioni, l’uomo nella sua fisicità, nella sua realtà sociale è la strada dell’evangelizzazione. In altre parole: il messaggio del Vangelo verrebbe muti­lato, addirittura svuotato, se fosse privato delle con­seguenze etico-sociali che ne derivano. La vera evan­gelizzazione deve perciò essere accompagnata sem­pre dalla testimonianza vissuta, dall’impegno concre­to per l’uomo.

 

Inutile dire che il Fatebenefratello a questo ri­guardo si trova in una posizione privilegiata, dato che la promozione dell’uomo, sotto tutti gli aspetti, è la sua missione, sia essa la guarigione dell’uomo colpi­to da malattia, l’accoglienza affettuosa di quanti sof­frono di un’infermità cronica, l’attenzione speciale rivolta ai più deboli e ai più poveri o l’accompagnamento di chi sta vivendo i suoi ultimi momenti. La domanda a cui il Fatebenefratello, al riguardo, dovrà dare una risposta in futuro è, come trasformare i suoi gesti di guarigione sempre più in autentici gesti di evangelizzazione, come trasformare i luoghi in cui opera, sempre più in luoghi significativi di evangeliz­zazione. Qui torna di nuovo prepotentemente alla ri­balta il tema dell’umanizzazione. Umanizzazione e evangelizzazione debbono formare per il Fatebene­fratello un’unità indivisibile, perché “dove non c’è carità, non c’è Dio, anche se Dio è in ogni luogo” (SGD, Lettera a Luigi Battista, n. 15).

 

Un grande rischio che nell’impegno per la pro­mozione dell’uomo può insinuarsi nel Fatebenefratello e che questi deve evitare è di percepirsi solo o prevalentemente nella dimensione dell’utilità sociale, dell’efficienza, trascurando la dimensione del suo es­sere testimone della carità di Dio che è la sua vera e più profonda chiamata.

 

Un’altra sfida con cui il Fatebenefratello si trova confrontato nella sua azione di promozione umana nel campo della salute, è di promuovere e di intensificare il dialogo tra scienze e fede. Qui egli è chiamato a di­mostrare che la scienza e la tecnica contribuiscono al­la civilizzazione e all’umanizzazione del mondo nella misura in cui sono permeate dal sapere di Dio (cfr. Santo Domingo, Discorso Inaugurale, n. 21).

 

 

4.4. Il contatto personale – elemento indispen­sabile per l’evangelizzazione

 

Un tratto che sta caratterizzando sempre più forte­mente l’uomo moderno, è senza dubbio la sua povertà relazionale. Sebbene la nostra era sia dominata com­pletamente dalla comunicazione, è anche, come l’ha definita qualcuno, l’era della incomunicabilità. Uno dei fattori principali a cui va addebitato questo fatto è, secondo noi che, senza la mediazione di Dio, le rela­zioni umane sono diventate fonte di angoscia perché dominate quasi esclusivamente dall’interesse, dallo sfruttamento, dall’ambiguità e soprattutto dalla com­petitività. Ed è proprio qui che l’uomo moderno, die­tro la sua parvenza di presunzione e autosufficienza, mostra tutta la sua fragilità. Ed è anche da qui che, se­condo noi, può e deve iniziare il suo recupero verso Dio. Abbiamo già detto del grande bisogno di spiritualità che non solo da ieri si respira dopo la cadu­ta della fede nel progresso illimitato e nelle ideologie. Questo recupero deve avvenire però con tatto, delica­tezza e grande comprensione, perché l’uomo di oggi è come se uscisse da un tunnel ed ha bisogno dunque di essere ricondotto gradualmente verso la luce.

 

Il Fatebenefratello deve convincersi che l’uomo che ha di fronte, nonostante tutte le parvenze, nel suo profondo è molto sensibile alla sua testimonianza e spesso non aspetta altro che essere invitato a entrare nello spazio della comunione umana che è lo spazio di Dio. In altre parole, il Fatebenefratello deve contrap­porre la sua interiore cultura dell’ospitalità alla cultu­ra dell’ostilità che non domina solo sempre più forte­mente i rapporti tra i popoli, le nazioni e le etnie, ma anche le relazioni interpersonali. In più i Fatebenefra­telli qui devono dimostrare una nuova capacità di ag­gregazione, cioè devono saper dare vita a comunità di fede aperte che siano di invito per tutte le persone con cui vengono a contatto: malati, familiari, collaborato­ri, amici ecc. Ogni centro dovrebbe essere una piccola chiesa domestica capace di creare quella comunione cristiana, in cui la gioia dell’uno è la gioia dell’altro e il dolore dell’uno è il dolore dell’altro.

 

Oggi più che mai il Fatebenefratello è chiamato ad essere testimone, nelle relazioni umane, di Dio “amante della vita” (Sap 11, 26) che si mescola fra la sua gente e con la sua presenza rende ospitale la terra e l’uomo veramente uomo.

5. ENTRIAMO NEL 2000 CON UN NUOVO SENSO DI OSPITALITÀ

 

Con l’anno 2000 entriamo nel terzo millennio. Per questo motivo, nel lanciare nuovi progetti, si è fatto spesso riferimento a questa data, non tanto per­ché con essa si chiude un secolo, ma perché apre un nuovo millennio nella storia dell’umanità.

 

Iniziative politiche, culturali e sociali si sono ri­chiamate a questa data; il magistero della Chiesa ed anche noi stessi con la già citata riflessione: “L’Ospi­talità dei Fatebenefratelli verso il 2000”. Sebbene il tempo si succeda in un inesorabile ritmo continuo, tutto il mondo pensa ormai al 2000 come ad un mo­mento che aprirà all’umanità una realtà diversa.

 

Il Capitolo 1994 parte dalla stessa prospettiva: fa­cendo un bilancio su che cosa abbiano significato per l’Ordine questi ultimi 30 anni dalla fine del Concilio, desideriamo entrare nel 2000 con uno slancio nuovo, con una nuova visione dell’ospitalità. Ce lo proponia­mo con realismo, vale a dire, assumendo con i suoi er­rori e i suoi meriti, tutti gli sforzi che sono stati com­piuti nella storia recente dell’Ordine per dare nuove risposte alle esigenze della nostra società, ma dando nel contempo, alla luce della nuova evangelizzazione, un nuovo senso all’essere e all’esercizio della ospitalità.

 

 

5.1. La società in cui viviamo

 

La società alla fine del XX secolo si presenta di­namica e in continua trasformazione. Negli ultimi cinquant’anni si sono prodotti, sia quantitativamente che qualitativamente, i maggiori cambiamenti che la storia ricordi.

 

Questi cambiamenti così rapidi e profondi hanno trasformato la nostra esistenza personale e sociale ed anche il nostro ambiente. Le caratteristiche principali di questo cambiamento sono state: la produzione in serie, una crescita enorme nel campo delle comunica­zioni, l’omogeneizzazione (dei procedimenti, salari, del habitat ecc.), il gigantismo (stabilimenti industria­li, ospedali ecc.) e la concentrazione del potere.

 

Gli individui e le società hanno tratto beneficio di questi cambiamenti, p.e. per quanto riguarda le con­dizioni e la durata media di vita. Il progresso tecnolo­gico punta oggi ad uno stile più ragionato per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse: sorge l’industria“ecologica”, cresce l’elettronica, l’informatica, la biotecnologia, che determineranno le forme di produ­zione e le condizioni di vita nell’immediato futuro. Questi progressi rappresentano una sfida per la nostra ospitalità, giacché molti di loro esigono da noi di ag­giornare, di approfondire sul piano etico-religioso e di adeguare costantemente la nostra missione.

 

Come abbiamo detto nel capitolo IV, una delle con­seguenze dei cambiamenti del XX secolo è stata la di­sintegrazione dell’uomo e il suo impoverimento interiore; allo stesso tempo si registra attualmente un forte desiderio di trascendenza. Lo spettacolare pro­gresso tecnologico richiede un progresso identico a li­vello spirituale ed etico. Su questa esigenza ha insistito anche Giovanni Paolo II nell’enciclica “Sollicitudo rei socialis”, dove nel terzo capitolo propone una panora­mica molto esaustiva del mondo contemporaneo.

 

Dall’altra parte assistiamo all’inesorabile dissol­versi dei valori tradizionali. Il consumismo è diventa­to un fenomeno universale; la società dell’immagine attrae e modella i comportamenti; la molteplicità del­le opinioni ha ridimensionato il valore dell’individuo e della sua libertà. I nuovi valori ed antivalori incido­no, volenti o nolenti, sul nostro stile di vita e di mis­sione che dovrà pertanto essere ripensato e rivalutato alla luce del Vangelo e del carisma per essere fermen­to e luce nel mondo in cui viviamo.

 

Questi ed altri fatti esigono dall’Ordine di saper leggere e discernere i nuovi segni del tempo.

 

5.2. Il significato della nuova ospitalità

 

Come abbiamo già detto, il magistero, quando parla di nuova evangelizzazione, non si riferisce al contenuto che è lo stesso dalla fondazione della Chie­sa: la salvezza di Gesù Cristo, ma a nuovi metodi di presentazione che corrispondano alle nuove situa­zioni che l’uomo sta vivendo.

Nella stessa linea noi, alla luce delle seguenti riflessioni, parliamo di nuova ospitalità:

 

  • - L’aspirazione dell’Ordine è di incarnare lo stile di San Giovanni di Dio nell’esercizio dell’ospi­talità. Se fossimo come lui, saremmo caratteriz­zati come agenti dell’ospitalità dal suo stesso es­sere, dalla sua stessa forza d’azione e non avremmo bisogno di parlare di nuova ospitalità.
  • - L’Ordine desidera rispondere alle nuove esigenze con l’impronta di San Giovanni di Dio, per cui è chiamato a vivere l’ospitalità in forma rinnovata.

 

Ponendoci dinnanzi in questo Capitolo la possibi­lità di una nuova ospitalità non significa altro che far­ci, tutto l’Ordine, confratelli e collaboratori, una chiamata a rinnovare il nostro essere agenti dell’ospi­talità per rispondere ai bisogni dell’uomo che soffre.

 

Consideriamo valido l’invito che ci ha rivolto il Concilio, a tornare alle fonti, sia a quelle del Vangelo che a quelle del nostro Fondatore. Da ambedue, la nostra ospitalità potrà attingere una dimensione nuo­va. Consideriamo altrettanto valida la necessità di leggere i segni del tempo in chiave di ospitalità. Sol­tanto così riusciremo ad adeguare le nostre risposte alle aspettative che l’uomo di oggi pone in noi Fate­benefratelli.

 

 

5.3. Esigenze della nuova evangelizzazione che dobbiamo fare nostre

 

Dopo aver chiarito l’intima relazione tra nuova evangelizzazione e nuova ospitalità, vogliamo ora esaminare più da vicino le esigenze concrete che la nuova evangelizzazione ci pone di fronte. Sullo sfon­do di quanto detto nel capitolo IV di questo docu­mento, ci permettiamo di richiamare l’attenzione in particolare sui seguenti punti:

 

- identità: come consacrati nell’ospitalità dob­biamo manifestare una rinnovata convinzione e determinazione nel farci riconoscere senza falsi timori come cristiani e religiosi, coscienti che il messaggio evangelico per sua stessa natura pre­me per essere trasmesso agli altri; il Papa a que­sto proposito parla di un nuovo ardore dell’evangelizzatore, al quale nulla può fare ta­cere;

 

- consapevolezza: dobbiamo fare nostra la consa­pevolezza che l’uomo che abbiamo di fronte, no­nostante si proclami indifferente o addirittura areligioso, conserva nel suo profondo una gran­de sensibilità per l’oltre, per Dio; è a quest’uomo che dobbiamo imparare a parlare con un nuovo linguaggio senza generalizzazioni o semplifica­zioni indebite;

 

  • - testimonianza: il messaggio cristiano, pur ser­vendosi come veicolo della parola, ha bisogno, per essere credibile, di essere incarnato da perso­ne che vivono nel e del Vangelo; il nostro cari­sma dell’ospitalità ci apre, come testimoni di Cristo, uno spazio privilegiato;
  • - profetismo: tra i tanti carismi che Dio dà per il bene del suo popolo, la vita religiosa, motivata dai valori futuri che essa tenta di annunciare con la sua testimonianza attuale, partecipa, in modo particolare, alla dimensione profetica della Chie­sa; come Gesù “il profeta potente in opere e in parole” (Lc 24, 19), anche noi siamo chiamati ad identificarci pienamente con il nostro tempo, il nostro ambiente sociale, ma ad essere, al tempo stesso, “altri” per il linguaggio, il comporta­mento, gli atteggiamenti;
  • - inculturazione e universalità: dobbiamo fare nostre le conoscenze dell’antropologia e dell’et­nologia per andare incontro con rispetto sempre maggiore alle culture in cui vogliamo fare pre­sente la misericordia di Dio attraverso il nostro carisma; in questo deve ispirarci un autentico spirito universalistico che abbracci l’intera fami­glia ospedaliera -religiosi, collaboratori e ami­ci – e che promuova una cultura del dialogo e della solidarietà tra i popoli;
  • - umanizzazione e tecnica: pur apprezzando l’immenso valore delle conquiste tecniche, dob­biamo vigilare sul loro giusto utilizzo ed indica­re i loro limiti promuovendo un’applicazione umanizzata per un buon esercizio dell’ospitalità;
  • - promozione umana: dobbiamo fare sì che il no­stro impegno a favore dell’uomo malato, povero ed emarginato e della sua crescita assuma sem­pre più manifestamente il valore della salute/sal­vezza di Cristo ed evitare di percepirci come centri socio-sanitari solo o prevalentemente nel­la dimensione dell’utilità sociale;
  • - contatto personale: l’uomo di oggi soffre in mi­sura crescente di una spaventosa solitudine, di un angoscioso svuotamento interiore, di un ano­nimato dilagante; per questo dobbiamo, oltre a fargli sentire la nostra comprensione e vicinanza, offrirgli autentiche relazioni di aiuto sia sul pia­no umano che su quello spirituale e pastorale.

Le nuove risposte che siamo chiamati a dare nel­la linea della nuova evangelizzazione, ci stanno chie­dendo di “rifondare”l’Ordine agli albori del terzo millennio, rimanendo docili ed aperti all’azione dello Spirito che ci sta costantemente presentando nuovi cammini. Si tratta di stare attenti alla sua voce che si esprime nella chiamata dei nuovi bisognosi.

 

 

5.4. La nuova ospitalità: esigenze nella nostra vi­ta di fede

 

Ci sentiamo privilegiati da Dio perché si è mani­festato in maniera speciale nella nostra vita chiaman­doci a vivere la nostra storia personale radicati nella fede. Una fede che si manifesta ogni giorno della no­stra vita attraverso le opere. Una fede da cui deve scaturire come risposta l’impegno per ciò che abbia­mo chiamato la nuova ospitalità.

 

Sappiamo che Giovanni di Dio dedicava grande spazio nella sua vita alla preghiera in tutte le sue for­me di espressione: eucaristia, penitenza, rosario, altre orazioni verbali, meditazione della passione di Cri­sto, dialogo con il Signore per chiedergli aiuto ecc. Dall’altra parte lo vediamo dotato di un ardore evan­gelico, trasformato nel suo essere, armonioso e sere­no, come frutto della preghiera. Con un senso di ospi­talità che scaturisce dalla sua identificazione con il progetto evangelico. Valorizziamo la sua fiducia in Dio; come scorge dappertutto la Provvidenza. Valo­rizziamo la sua capacità di intuire la presenza di Dio in ogni luogo, soprattutto dove si realizza l’amore. Valorizziamo la sua totale disponibilità a fare qualun­que cosa che gli si chiede per amore di Dio. Ciò ci di­mostra come Giovanni di Dio, dall’esperienza della fede nell’amore di Dio, fosse capace di presentare una nuova ospitalità, diversa da quella che si stava esercitando all’epoca.

 

Radicati in Giovanni di Dio, noi ci sentiamo chiamati a vivere l’ospitalità con uno spirito nuovo. Per i nostri limiti non sempre siamo stati capaci di tenere fede a questo obiettivo e siamo coscienti che la preghiera ci aiuterà a conseguirlo, una preghiera in­carnata nella vita, che ci darà la capacità di stare ac­canto ai malati e ai bisognosi in sintonia con Dio co­me Giovanni di Dio.

 

 

5.4.1. Coltiviamo la nostra vita di fede in comu­nità

 

La fede è un dono, ma un dono che richiede di es­sere accolto, sostenuto, coltivato. In questo processo conta molto l’atteggiamento della persona di fronte a Dio, ma contano anche fattori esterni quali: la forma­zione teologica e spirituale, le espressioni liturgiche, il nostro stesso essere chiamati a vivere in comunità. Pertanto la nostra fede esige:

 

  • - che purifichiamo costantemente la nostra attitu­dine di uomini di preghiera, di persone che ac­cettano Dio come fondamento assoluto della propria esistenza;
  • - che potenziamo la nostra formazione teologico-spirituale in tutti i campi e che la aggiorniamo attraverso la formazione permanente per soste­nere e coltivare la nostra dimensione di fede;
  • - che abbiamo cura delle nostre espressioni litur­giche, affinché siano momenti forti di incontro della Comunità con Cristo reso presente attra­verso i segni che celebriamo;

 

- che aderiamo al principio evangelico della ricon­ciliazione fraterna come realtà imprescindibile per partecipare alle celebrazioni comunitarie per favorire la fraternità nella comunità e la forma di vivere apostolicamente la nuova ospitalità;

 

- che non ci assentiamo né scusiamo con leggerez­za l’assenza dalle espressioni comunitarie di pre­ghiera per fomentare la unione tra i Confratelli e dei Confratelli con Dio.

 

 

5.4.2. Preghiera personale e esperienza di Dio

 

Siamo convocati nella Chiesa per vivere in comu­nità. Alla base di tutto ciò sta però una scelta perso­nale. E’Dio che ti invita. Eri tu, sono io che rispondo a un progetto che realizziamo insieme. Da qui l’impor­tanza di dedicare spazio alla preghiera personale, all’incontro con Dio, all’esperienza di Dio. Siamo convinti che gran parte della forza della ospitalità di San Giovanni di Dio scaturiva dai suoi incontri perso­nali con Cristo nella preghiera. Pertanto:

 

  • - una buona risposta alla chiamata che abbiamo ri­cevuto da Dio esige fomentare l’incontro perso­nale con Lui attraverso la preghiera;
  • - quello che vogliamo non è tanto che ciascuno compia diligentemente l’ora di preghiera perso­nale, di cui ci parlano le nostre Costituzioni, ma che ciascuno, fomentandola, ricerchi l’incontro personale con Dio;
  • - il clima vivo di un’osmosi di comunicazione personale nella preghiera con il Signore è neces­sario come presupposto per realizzare la pre­ghiera comunitaria;
  • - soltanto da una disposizione personale può scaturire la possibilità di camminare nella presenza di Dio e di fare una lettura degli avvenimenti della vita ‘iella luce della fede.

 

 

5.4.3. La sofferenza della persona – cammino per l’incontro con Dio

 

Nell’introduzione della “Salvifici doloris” al n. 3, Giovanni Paolo II riprende un pensiero della sua enciclica “Redemptor hominis”affermando: “In Cri­sto ogni uomo diventa la via della Chiesa”.Appli­cando questo pensiero al tema della sua riflessione, dichiara subito dopo: “Si può dire che l’uomo diven­ta in modo speciale la via della Chiesa, quando nel­la sua vita entra la sofferenza”.

 

Non vogliamo addentrarci qui nel tema della pre­senza del male, della malattia e della morte nel mon­do. La lasciamo nell’ambito del mistero. La accettia­mo come una realtà inerente alla nostra condizione di esseri limitati. Giovanni Paolo II presenta la soffe­renza come una realtà catechetica per gli uomini (SD 12), tanto per quelli che la patiscono quanto per quel­li che stanno a fianco dei sofferenti, che serve a com­prendere il vero senso dell’esistenza (SD 29).

 

La sofferenza di una persona porta sempre alla domanda sul suo perché. A seconda come la persona vive la sofferenza, questa può portare all’agnostici­smo, producendo molteplici frustrazioni e conflitti nei rapporti dell’uomo con Dio, ivi inclusa la negazione stessa di Dio (SD 9), oppure come sostiene la tesi dell’enciclica, all’incontro con Dio (SD 27).

 

Noi Fatebenefratelli, chiamati all’esercizio dell’ospitalità, chiamati all’incontro con il povero, bisognoso e malato, con la persona che soffre, dob­biamo tener conto di ambedue queste realtà, affinché a partire da una presenza opportuna possiamo portare luce nelle diverse situazioni ed aiutare. nella misura del possibile, le persone ad incontrarsi con Dio.

 

Come dice l’enciclica, assumendo in tutta profondità la sofferenza nella vita, la realtà della sof­ferenza, più che una risposta astratta, è soprattutto una chiamata, una vocazione (SD 26). La quale, ag­giungiamo noi, non dà la possibilità di scegliere tra essere malati o non essere malati, ma sì quella di op­tare per questo o quell’altro modo di assumerla, di stare nel mondo in questa condizione.

 

 

5.4.4. Come Giovanni di Dio, con Dio e con l’uomo

 

Essere un Fatebenefratello è una sfida. È il pro­getto di configurarci il più possibile con Giovanni di Dio. Di identificarci con la sua forma di vivere e di servire gli infermi. Ciascuno sulla base della sua per­sonalità. Non possiamo eliminare i codici che ci defi­niscono, ma possiamo avvicinarci, nella misura del possibile, al profilo ideale del religioso di San Gio­vanni di Dio cercando di identificarci il più possibile con il profilo di Cristo manifestazione della mi­sericordia del Padre.

 

Come fece nostro Padre San Giovanni di Dio: “Egli, sotto l’impulso dello Spirito Santo e tra­sformato interiormente dall’amore misericordioso del Padre, visse in perfetta unità l’amore a Dio e al prossimo” (C n. 1).

 

Il progetto di Dio implica sempre che Dio stesso entri nell’essere dell’uomo. Come il progetto del ve­ro uomo implica sempre l’essere aperti a Dio, il la­sciargli uno spazio nel proprio essere. Per Giovanni di Dio ciò era chiarissimo. Da qui la sua preoccupa­zione di trasmettere questo senso di Dio e dell’uomo ai suoi seguaci nel rispetto dei loro sentimenti, ma nella consapevolezza che in Dio avrebbero incontra­to i poveri e i malati, l’autentico senso della loro vita.

 

Gli obiettivi della nuova ospitalità e le esigenze di conversione e rinnovamento della dottrina conci­liare ci chiedono di vivere in profondità la nostra fe­de, di viverla nella dimensione della testimonianza, di viverla senza divisioni per Dio e per l’uomo. Di vi­verla radicati in Dio cercando di stare vicini all’uo­mo, soprattutto quando si trova in difficoltà.

 

 

5.5. La nuova ospitalità: esigenze nel nostro vive­re comunitario

 

Vogliamo rispondere alle esigenze della nuova evangelizzazione con la nuova ospitalità. Questo im­plica che creiamo una nuova forma di vivere ed esse­re comunità. Con ciò non vogliamo ignorare la nostra realtà, come stanno le cose nelle Province e quali so­no le nostre Comunità. Anzi, è proprio a loro che so­no indirizzate le seguenti proposte.

 

La nuova ospitalità esige che le nostre comunità vivano veramente la fraternità, che siano aperte ai collaboratori e agli infermi, che si preoccupino della propria crescita attraverso la preghiera e la formazione, che siano garanti del carisma e anima delle nostre opere, che si trasformino realmente in scuole di ospitalità.

 

5.5.1. Comunità di vita

 

Le nostre Costituzioni, all’inizio del capitolo de­dicato alla comunità, affermano che noi, seguendo l’esempio della Chiesa primitiva, nella quale la mol­titudine dei credenti aveva un cuore e un’anima sola e metteva in comune tutto ciò che possedeva, dimo­striamo al mondo che la convivenza umana è possibi­le (C. n. 26b).

 

Può darsi che questa sia una presentazione troppo spiritualista; sappiamo che anche nella Chiesa primi­tiva esistevano difficoltà, ma ciò che vogliamo sotto­lineare con questo riferimento è che siamo chiamati a formare comunità di vita. La teologia della vita reli­giosa ha insistito molto su questo aspetto. Siamo co­munità in missione, ma non ci possiamo perdere nel fare.

 

La nuova ospitalità esige che le nostre comunità siano comunità di vita che testimonino la comunione in un mondo diviso, che vivano la fraternità come ve­ri fratelli e diffondano l’idea dell’amore fraterno ne­gli ambienti in cui sono inserite.

 

Per formare autentiche comunità di vita ritenia­mo necessario:

 

- che ciascun Confratello si impegni in un proces­so di crescita personale, basato sui doni che ha ricevuto da Dio, cercando di superare i propri li­miti e agendo sempre nella prospettiva del bene comune;

 

- che ciascun Confratello sia consapevole che for­miamo una comunità e che pertanto tutti siamo responsabili della sua costruzione, della sua cre­scita, di dedicarle tempo, della necessità di par­tecipare alle sue manifestazioni;

 

- che ciascun Confratello dedichi determinati mo­menti allo studio e all’approfondimento delle esigenze umane, teologiche, spirituali e profes­sionali della nostra vocazione per poter rispon­dere efficacemente alle esigenze del nostro apo­stolato;

 

- promuovere come stile di vita l’apertura, il dia­logo, la capacità di ascolto, il rispetto per gli al­tri, la collaborazione, l’attitudine al servizio, la semplicità, la modestia;

 

  • - creare coscienza di appartenenza alla comunità, stabilire legami tra i Confratelli sulla base di una vera amicizia appoggiandosi e sostenendosi vi­cendevolmente in qualunque situazione, aperti alla riconciliazione quando necessario e uniti profondamente nella missione comune;
  • - fomentare lo spirito di fede; siamo comunità uma­ne e tutto quanto esista di veramente umano ci ar­ricchisce, ma allo stesso tempo siamo coscienti che Dio sta in mezzo a noi, per cui dedichiamo spazi forti alla preghiera e camminiamo nella pre­senza di Dio;
  • - vivere sentendoci in missione cercando la comu­nicazione reciproca con i collaboratori, gli infer­mi, i bisognosi e tutti coloro con cui veniamo a contatto; in questa maniera avremo un arricchi­mento reciproco e creeremo una vera alleanza apostolica.

 

 

5.5.2. Strumenti validi per fomentare il nostro vivere comunitario

 

Abbiamo spiegato l’aggettivo nuovo applicato all’evangelizzazione dicendo che esso si riferisce alla forma e i mezzi di presentazione, non al contenuto che rimane invariabile.

 

La nuova ospitalità esige l’utilizzo di strumenti atti a fomentare il nostro vivere comunitario, affinché le nostre siano comunità veramente vive. Alcuni di questi strumenti sono quelli di sempre, altri sono nuovi. Faremo bene ad utilizzarli tutti per fomentare il nuovo stile di vita che richiede l’ospitalità del terzo millennio.

 

Come elementi indispensabili per la crescita del­la comunità proponiamo:

 

  • - la lettura e meditazione delle Costituzioni che ci renderà più coscienti dell’ideale di vita che ab­biamo abbracciato; le Costituzioni sono per noi, come abbiamo detto, il Vangelo in chiave di cari­sma;
  • - il contatto permanente con Giovanni di Dio, che nel convivere con i suoi primi compagni, riuscì a stabilire con loro una vera comunità di vita in funzione ad una vera ospitalità;
  • - la celebrazione della liturgia e la preghiera co­munitaria come momenti di comunicazione con il Padre in quanto membri della Chiesa convoca­ti a formare una comunità;
  • - il progetto di vita, espressione di come la comu­nità desideri vivere concretamente la sua voca­zione, la cui elaborazione e valutazione mantie­ne viva la nostra attenzione per la risposta che diamo alla chiamata del Signore;
  • - la formazione permanente secondo le necessità personali, seguendo però nel contempo i pro­grammi comunitari per stare, nella misura del possibile, al passo del nostro apostolato;
  • - l’incontro comunitario mediante la riunione di famiglia, la ricreazione, i pasti, l’accoglienza di persone amiche di un membro o di tutta la comu­nità come espressioni importanti del nostro vive­re comunitario.

 

5.5.3. L’universalità come elemento essenziale della comunità

 

Un’attitudine che deve caratterizzarci come co­munità della nuova ospitalità, è l’universalità.

 

Siamo cittadini del mondo, viviamo in un’epoca dove le comunicazioni sono molto agevoli, sono 45 i paesi in cui l’Ordine è attualmente presente, tutti ele­menti che ci dovrebbero aprire all’universalità.

 

Dall’altra parte persistono espressioni che la im­pediscono: la difesa della propria identità; la tradizio­ne vissuta ad oltranza; l’attaccamento a principi acci­dentali, che, senza renderci conto, viviamo come fon­damentali; il fatto di lasciarci trascinare da comporta­menti egocentrici ed egolatri indotti dai criteri defor­mati della nostra società.

Ciononostante crediamo che la nuova ospitalità abbia un bisogno quasi essenziale dell’universalità. Pertanto esige:

 

  • - di aprirci“ecumenicamente al dialogo interreli­gioso”, vale a dire, di essere aperti in maniera universale al confratello fomentando questa apertura attraverso un autentico dialogo in seno alla comunità;
  • - che io, dalla mia cultura mi apra alla cultura dei miei confratelli, che ci confrontiamo con altre comunità dell’ordine nel mondo, creando alcu­ne comunità composte da confratelli di diversi paesi per scoprire gli elementi universali che ci uniscono;
  • - operare un’apertura giusta verso la donna, la cui presenza ha arricchito di sensibilità i nostri cen­tri e la cui azione è molto efficace nell’esercizio del carisma;
  • - essere sempre più coscienti delle necessità degli altri ricercando criteri per condividere i beni con i quali siamo stati arricchiti non solo a livello delle nostre comunità apostoliche, ma anche a li­vello delle esigenze della società;
  • - intendere la nuova ospitalità come esigenza di salute per tutti, di cui le nostre comunità si devo­no fare promotrici.

 

 

5.5.4. Comunità per la nuova ospitalità: il ruolo che dobbiamo assumere

 

Tutto ciò che siamo andati dicendo, lo abbiamo voluto puntualizzare in funzione delle nostre comu­nità chiamate a proiettare la nuova ospitalità nel terzo millennio in sintonia con le esigenze della nuova evangelizzazione.

 

Se riusciremo a superare le difficoltà che abbia­mo incontrato nella prassi e che talvolta ci hanno fat­to perdere l’illusione di poter costruire una vera co­munità, saremo capaci di vivere la comunità nella lu­ce dell’avventura della nuova ospitalità.

 

Gli aspetti che abbiamo segnalato in questo para­grafo 5.5 sono da considerarsi come obiettivi da tene­re presente nella prospettiva di metterli poco a poco in pratica.

Abbiamo il convincimento che molto dipenderà dalla nostra attitudine interiore, se crediamo o non crediamo in questa possibilità. Combattiamo il nostro ateismo a questo riguardo.

 

Soltanto coloro che confidano nella provvidenza come Giovanni di Dio, che credono contro speranza, potranno entrare nel terzo millennio aperti alla nuova ospitalità. Se non ci manteniamo aperti al Signore, rischio, come Israele, di non entrare nella terra promessa.

 

Questa prospettiva è valida per tutte le nostre comunità. Ad alcune di esse le esigenze della nuova ospitalità permetteranno di vivere negli stessi luoghi in cui vivono oggi.

 

Tenendo presente tutto ciò che abbiamo detto qui sulla comunità, avranno la possibilità di correre l’avventura di essere fedeli al futuro.

Altre saranno marcate più fortemente dal segno della modernità. Sorretti dalla forza di comunità-nu­cleo, coloro che vivranno questa esperienza, saranno chiamati a vivere ed esprimere la ospitalità in luoghi distinti e con persone diverse da quelle che compon­gono la loro comunità.

 

In questo caso bisogna sempre tenere presente che, anche in presenza di esigenze che ci possono di­sperdere, rimangono sempre più forti i legami che ci uniscono. Pertanto dobbiamo ricercare sinceramente quei momenti in cui questi legami possano esprimer­si e crescere.

 

Potremo prendere in considerazione anche, come esigenza della nuova ospitalità per alcuni Confratelli, la possibilità di creare comunità miste, composte cioè da Confratelli e collaboratori, che condividano non solo la missione, ma che, nella prospettiva della ospi­talità, arrivino a formare veri nuclei di vita.

 

In ogni momento le nostre comunità devono essere espressione del carisma dell’ospitalità, con il quale sono state arricchite. Inserite in un’opera pro­pria o affidata a loro, devono essere garanti che l’as­sistenza si realizzi nello spirito di Giovanni di Dio.

 

Il nostro P. Generale anteriore ha presentato un modello secondo cui il ruolo della comunità nei cen­tri dovrebbe esplicarsi nelle seguenti quattro direzio­ni: guida morale, coscienza critica, presenza antici­patrice e forza profetica.

 

E un modello, certo, ma che segna un salto di qualità nella forma di stare al servizio del malato. La nuova ospitalità ci chiede questo salto di qualità. Di­sponiamoci senza timore a compierlo, perché solo così risponderemo alle necessità del nostro tempo dando alla nostra vita tutta la sua forza apostolica.

 

 

5.6. La nuova ospitalità: esigenze nella nostra vi­ta apostolica

 

Il fine ultimo della vita di noi Fatebenefratelli è di fare presente nel nostro apostolato di carità Cristo che ci invita a impegnare la nostra esistenza nell’evange­lizzazione dei poveri e degli ammalati (cfr. C n.4l).

 

Alla luce della nuova evangelizzazione la Chiesa og­gi, in vista della nuova ospitalità, ci invita a verificare:

 

  • - se il nostro apostolato ha in tutte le sue espres­sioni una autentica valenza evangelizzatrice;
  • - in quale misura le nostre comunità nella loro azione apostolica sono coscienti del loro ruolo evangelizzatore;
  • - fino a che punto i singoli si percepiscono e si ap­prezzano nella loro dimensione di testimoni del Vangelo;
  • - in quale misura sappiamo essere animatori moti­vati radicati nel Vangelo ma nello stesso tempo sensibili alle scienze umane e organizzative;
  • - fino a che punto siamo riusciti ad armonizzare la dimensione apostolica con la dimensione con­templativa nella nostra vita.

 

 

5.6.1. Luoghi e azioni con un particolare signifi­cato evangelico

 

San Giovanni di Dio ha iniziato la sua opera a Granada praticamente sulla strada. Senza mezzi è riuscito ad affascinare persone sensibili che con la lo­ro generosità gli hanno permesso di aprire un primo luogo protetto aperto a tutti (cfr. SGD, TI Lettera a Gutierre Lasso, n. 5).

 

Anche se d’ora in poi Giovanni di Dio, i suoi pri­mi seguaci e l’Ordine che ne ha preso l’eredità, si so­no appoggiati ad opere stabili, non hanno mai smesso di rimanere aperti alle emergenze dell’epoca interve­nendo con tempismo in situazioni puntuali (guerre, epidemie, calamità naturali, ecc.).

 

Come i nostri predecessori noi Fatebenefratelli siamo chiamati oggi sulla spinta della nuova evan­gelizzazione ad attingere alla inesauribile ricchezza del nostro carisma, rispondendo con creatività e rinnovato ardore ai bisogni dell’uomo del nostro tempo.

 

Senza togliere nulla alle molteplici forme in cui oggi l’ordine esprime il carisma di San Giovanni di Dio, ci sembra che esistano alcuni campi di azione che, nella prospettiva della nuova ospitalità, sono se­gni evangelici particolarmente significativi:

 

  • - gli asili notturni: come espressione della dimen­sione di gratuità che nella nostra società dell’ef­ficienza e della produttività è quasi negata;
  • - gli hospices: come luoghi che segnalano il valo­re della vita nel momento del morire;
  • - i malati di AIDS: per contrastare paure e pre­giudizi irrazionali;
  • - i tossicodipendenti: amare l’uomo che non si sa amare;
  • - gli immigrati: accogliere Gesù straniero come genuina espressione di ospitalità;
  • - gli anziani: per affermare il valore della vita nel­la sua globalità.

 

Comunque sia, ogni luogo dove c’è povertà, ma­lattia, sofferenza è un luogo privilegiato per noi Fate­benefratelli di esercitare e vivere il Vangelo della Mi­sericordia.

 

 

5.6.2. Uniti ai collaboratori nella stessa missione

 

Partendo dall’apertura fondamentale che il Con­cilio Vaticano II ha operato verso i laici e illuminati dall’insegnamento della “Christifidelis laici”, noi Fatebenefratelli abbiamo costruito progressivamente un rapporto con i nostri collaboratori che abbiamo chiamato “Alleanza”.

Avendo dinanzi ai nostri occhi la capacità del tut­to particolare del nostro Fondatore di aggregare attor­no a sé persone, le più diverse, e di valorizzarle nello spirito del Vangelo, noi Fatebenefratelli oggi di fron­te alla moltitudine e alla varietà delle persone che ci aiutano nella nostra missione siamo consapevoli dell’enorme compito di trasmettere loro i valori della nostra rinnovata ospitalità.

 

Muovendo dal documento “Fatebenefratelli e collaboratori insieme per servire e promuovere lavi­ta “, alla luce della nuova evangelizzazione e della nuova ospitalità ci sembra di poter affermare che:

 

- c’è un livello in cui esiste la possibilità di incontro con tutti i nostri collaboratori, indipendentemente dal loro credo che potremmo definire il livello del comune servizio all’uomo; pur rispettando le con­vinzioni altrui è nostro compito sviluppare anche qui la nostra azione evangelizzatrice;

 

- abbiamo una particolare responsabilità verso colo­ro che condividono la nostra fede nel mantenere vi­vo in loro lo spirito evangelico e di formare assie­me a loro quella Chiesa ospedaliera che possiamo anche definire come la nostra Chiesa domestica;

 

- dobbiamo saper valorizzare sempre di più gli ap­porti con cui i nostri collaboratori hanno arricchito e continuano ad arricchire la storia dell’ospitalità;

 

- nell’alleanza che abbiamo proclamato ci deve essere anche spazio per la ricerca comune con i

laici di nuovi progetti di ospitalità coerenti e condivisibili;

 

- dobbiamo continuare a promuovere e ad accoglie­re con gioia chi dona gratuitamente nel servizio volontario il suo tempo ad alleviare le sofferenze del prossimo e ad essere sempre riconoscenti ai nostri benefattori per il loro contributo materiale e spirituale alla nostra missione nella consapevolez­za che tanto i volontari quanto i benefattori condi­vidono con noi il carisma di San Giovanni di Dio.

 

 

5.6.3. Filosofia del nostro agire: principi fonda­mentali e situazioni concrete

 

Assumendo l’appello della Chiesa ad essere sem­pre più consapevoli del primato dell’evangelizzazio­ne, noi Fatebenefratelli nel progettare la nuova ospi­talità, ci sentiamo impegnati a dare nuovo slancio all’identità confessionale dei nostri centri.

 

Con il rinnovamento abbiamo già fatto passi si­gnificativi in questa direzione. Prova ne sono:

 

  • - il coinvolgimento dei nostri collaboratori in vista di una condivisione non solo sul piano del lavo­ro ma anche su quello della fede e del carisma;
  • - la collegialità e la corresponsabilità nella ge­stione delle opere tra religiosi e laici;
  • - l’introduzione delle commissioni di etica;
  • - la sensibilizzazione per la dottrina sociale della Chiesa nell’ambito dei nostri centri con una par­ticolare attenzione alle esigenze della giustizia sia verso gli operatori che verso i malati;
  • - un approccio alla persona malata ispirato ai prin­cipi dell’umanizzazione;
  • - la valorizzazione e la promozione del servizio di pastorale per un annuncio deciso della salute-salvezza di Cristo;
  • - la revisione costante e della qualità dei nostri servizi e dell’efficacia apostolica sullo sfondo del carisma di San Giovanni di Dio.

 

Un elemento sempre più importante della nostra filosofia deve costituire in futuro una sensibilità spe­ciale per la questione ecologica. La nuova ospitalità, coerente al recenti insegnamenti della Chiesa, deve essere anche preoccupazione di mantenere ospitale la nostra terra. Essendo le nostre strutture luoghi di grande consumo dei più svariati materiali, possiamo qui dare dei segnali concreti e significativi di atten­zione all’ambiente istituendo commissioni per l’am­biente, privilegiando l’utilizzo di materie biodegra­dabili e riciclabili e sensibilizzando i collaboratori at­traverso corsi e seminari.

CONCLUSIONE

 

La sottocommissione incaricata di elaborare il presente documento ritiene di aver compiuto il lavo­ro affidatole con molta buona volontà, consapevole di rendere un servizio importante all’Ordine nella prospettiva che il rinnovamento, che ci è stato chiesto dal Concilio, continui nello spirito della nuova evan­gelizzazione attraverso la nuova ospitalità.

 

Tocca ora ai Confratelli e ai collaboratori studiar­lo, correggerlo e migliorarlo. Così arricchito sarà poi oggetto di un’ulteriore analisi nel Capitolo Generale che nella programmazione dovrà stabilire ed appro­vare gli orientamenti pratici a breve e a lungo ter­mine da adottare dal Governo Generale, dalle Pro­vince. dalle comunità e dai centri assistenziali per ri­spondere alle esigenze della nuova ospitalità.

 

 

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