«CHIAMATI AD ESSERE SANTI INSIEME» (1 Cor 1,2) –
«Chiamati ad essere santi insieme»
(1 Cor 1,2)
Relazione al Convegno Presidenti e Assistenti diocesani e regionali
(Assisi, 12-14 settembre 2008)
Documento del: 14/09/2008
Fonte: Documenti dell’Azione Cattolica Italiana
Autore: Franco Miano
Non è una responsabilità priva di difficoltà racchiudere, nel breve spazio di una relazione, la ricchezza sia dell’esperienza vissuta nelle giornate del Convegno, sia dei contributi emersi, né riuscire a interagire con la globalità delle questioni e delle problematiche poste. Tuttavia, a conclusione di un incontro si ha doverosamente, pur se con trepidazione, il compito di delineare una sintesi, che sia anche capace di offrire prospettive nuove.
È una sintesi tra la fede e la vita, tra i diversi aspetti dell’esperienza dei laici, tra gli ambiti dell’esistenza, tra gli impegni a cui siamo chiamati e tra le tante spinte a cui siamo sottoposti. È una sintesi che, proprio in quanto tale, non può essere semplice, in quanto è il frutto di un equilibrio sempre difficile, che si consegue progressivamente e si rimette poi in discussione per procedere oltre.
Nel compiere questa ricapitolazione mi avvalgo di importanti tracce, costituite da quanto emerso nel corso del Convegno, ma soprattutto da alcuni riferimenti essenziali che hanno ispirato l’elaborazione degli Orientamenti triennali. Introduzione Il primo di tali riferimenti è l’Incontro con il Santo Padre, svoltosi in Piazza San Pietro il 4 maggio 2008. Si è trattato di un’esperienza arricchente, che ha fatto toccare con mano quell’equilibrio fecondo tra Chiesa locale e Chiesa universale, a cui il Papa stesso ha fatto cenno e che costituisce una delle tipicità dell’Ac.
Altrettanto arricchente, però, è stato il viaggio che ciascuno ha compiuto per giungere a Roma, vissuto come un ritorno “a casa”. Una casa che è la Chiesa, il cui senso vivo è stato percepito attraverso l’incontro con il Santo Padre; una casa che è l’Azione Cattolica, sentita ancora più “nostra” nel ritrovarci con gli altri soci dell’Ac italiana e con i rappresentanti dell’Ac di tutto il mondo.
Infine, una casa comune costituita da tutti i volti di venerabili, santi e beati, resi visibili in piazza dagli stendardi, che, come il Papa stesso ha affermato, formavano una vera “corona di santità” e – allo stesso tempo – esprimevano quel legame impalpabile ma indivisibile che ci unisce a loro.
Quei volti ci incoraggiano ancora oggi a rispondere affermativamente alla domanda di Benedetto XVI: “non è forse possibile trasformare la nostra vita in un capolavoro di santità?”. Essa ci ricorda come questa opportunità sia data a ciascuno di noi e debba sempre più divenire un tratto costitutivo e fondamentale della nostra Associazione.
In questa prospettiva, il Documento della XIII Assemblea nazionale (n. 4) richiama alla necessità di compiere un “doppio passo in avanti”: «verso il primato della fede e la responsabilità della testimonianza».
Va sottolineato che restano questi i due pilastri essenziali a cui fare riferimento, anche quando si vorranno considerare le tante scelte importanti che l’Associazione è chiamata a operare. Nel Documento, infatti, così si legge: «Un passo è segnato dall’incontro con il Signore, dalla piena comunione con Lui, che è il senso stesso della santità cristiana.
L’altro passo ci spinge a stare da cristiani dentro la storia, con una testimonianza associativa coerente, attenta alla relativa autonomia delle realtà terrene. Saper distinguere – senza separare – questi due passi, in cui fede e ragione, Vangelo e vita devono armonizzarsi continuamente: è questo il compito che abbiamo davanti».
1. Il passo della santità Il primo passo che deve compiere la nostra Associazione è verso la sempre più piena comunione con Gesù di ciascun socio e della stessa Ac. Si tratta di una scelta di fondo che il Convegno Ecclesiale di Verona ha consegnato alle Chiese particolari, attraverso il forte riferimento antropologico e l’attenzione a una pastorale integrata e integrale, tesa a restituire centralità alla persona.
La Nota pastorale1, seguìta al Convegno, così afferma (n. 4): «In particolare, vorremmo che diventassero patrimonio comune tre scelte di fondo, che costituiscono anche un metodo di lavoro: (la prima scelta è, ndr) il primato di Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa, con … l’assunzione della santità quale misura alta e irrinunciabile del nostro essere cristiani. …».
Sembrerebbe trattarsi di un’ovvietà; eppure, sappiamo bene che l’esperienza ecclesiale, ma anche quella associativa, sono spesso afflitte dalla routine, dalla burocrazia, dalla ripetitività. In questo cammino verso la santità, abbiamo scelto di farci accompagnare da San Paolo, anche per vivere nel modo più significativo l’Anno paolino.
In particolare vogliamo lasciarci provocare dall’incipit della prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 1, 1-9), che ci ha anche offerto lo spunto per stilare gli Orientamenti programmatici: «Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro…».
In questo brano è particolarmente interessante per noi la definizione che Paolo attribuisce ai cristiani di Corinto: “chiamati ad essere santi insieme”. Ci soffermeremo ora su ciascuna delle tre parti di questa espressione (chiamati, essere santi, insieme), per cogliere alcuni spunti per il nostro cammino triennale. 1.1 “chiamati”: la chiamata alla santità appartiene alla vita cristiana, e di riflesso a quella associativa e all’esperienza di responsabili, l’avvertire tutti gli impegni che assumiamo come altrettante chiamate. Non si può dimenticare, però, che, tra queste, è da ritenere prioritaria proprio quella alla santità. Il brano di Paolo ci stimola a compiere una riflessione importante.
Va osservato, anzitutto, che egli scrive agli abitanti di Corinto, ovvero di una città, che, in quanto località di mare, costituiva un crocevia. Paolo vi si era recato di ritorno da Atene, dove aveva incontrato non poche difficoltà nel dialogo con gli intellettuali. Corinto era allora un grande centro, che contava ben 500.000 abitanti. Qui Paolo fonda una comunità, a cui in seguito scriverà ricordando quell’ “essenziale” che non solo poteva essere vissuto anche in una città a quell’epoca tanto complessa, ma deve riuscire a risuonare pure nel nostro tempo e nelle nostre città.
Il brano dell’apsotolo è quindi la traccia fondamentale per compiere un cammino di santità, che va realizzato tenendo presenti anche le immagini a cui è stata data visibilità nel momento di preghiera vissuto a Spello, tra cui, ad esempio, il fuoco. Come spesso richiamato dal Vescovo, la tensione alla santità è proprio un fuoco, che si avverte come una forza vitale dentro di sé.
Qualora così non fosse, si tratterebbe di un richiamo sterile. In alcune belle pagine dei Padri del deserto (monaci egiziani del IV secolo) così si legge: «Abbà Lot andò a trovare abbà Giuseppe e gli disse: “Secondo le mie possibilità, recito il mio ufficio, digiuno un po’, prego, medito, vivo nel raccoglimento e, per quanto posso, purifico i miei pensieri.
Ora, cosa devo fare ancora?”. Allora il vecchio si alzò, distese le mani verso il cielo, le sue dita divennero come dieci lampade di fuoco e gli rispose: “Ah, perché non diventare tutto intero come fuoco?”». È questa un’immagine da riprendere. Il nostro tempo esige infatti una testimonianza cristiana radicale, forte, efficace, espressa nello stile discreto e dialogico che ci appartiene, ma anche con una convinzione profonda e sentita, che non si ferma davanti alle difficoltà che ci è richiesto di affrontare.
1.2 “essere santi”: la risposta alla chiamata
Cosa significa, dunque, essere santi? Cosa comporta, nella vita quotidiana, rispondere affermativamente a questa chiamata alla santità? Cosa accade nella vita di una persona, quando decide di percorrere il cammino della santità? Per dare risposta a questi interrogativi, abbiamo scelto di lasciarci accompagnare da Giuseppe Toniolo e Carlo Carretto: due persone che si sono confrontate con la misura della santità laicale; due esempi significativi, che tuttavia non sono gli unici da considerare.
Come ha ricordato il Vescovo, il 4 ottobre, a Trieste, è prevista la beatificazione di don Bonifacio, martire nelle foibe; ci auguriamo inoltre che anche la causa di Armida Barelli abbia presto un esito positivo. Gli esempi, quindi, sono numerosi e possono sostenerci nel cammino verso la santità ancor più e meglio di tante affermazioni di principio.
Del resto, lo stesso Documento della nostra XIII Assemblea nazionale2 (n. 10.2.a.) ci esorta a conoscere le storie di santità laicale; infatti, suggerisce il Progetto Formativo3 (n. 6.1), «guardare alla santità vissuta aiuta ad orientare le scelte. Non si tratta di cercare modelli da copiare, ma di scrutare nella vita di altri l’azione dello Spirito e di allenarsi ad accoglierla a nostra volta.
Conoscere la storia dei santi è un modo per capire le infinite vie che può percorrere la grazia del Signore Risorto». Ed è bello scoprire che anche i santi, a cui noi guardiamo oggi, hanno guardato ai santi che li hanno preceduti e da loro si sono lasciati sostenere. Lo scopriamo leggendo, ad esempio, gli scritti spirituali di Giuseppe Toniolo. Sono pagine il cui contenuto non si discosta troppo da quanto espresso dall’ Apostolicam Actuositatem (n. 4), laddove si invitano i laici a non separare «dalla propria vita l’unione con Cristo», ma a crescere «sempre più in essa compiendo la propria attività secondo il volere divino».
È proprio questo lo stile con cui Toniolo ha vissuto concretamente, e che ha reso esplicito nei suoi appunti. È una santità vista e sperimentata come adempimento della volontà di Dio, cercando, nel momento in cui si è chiamati a compiere le scelte, a orientare i propri disegni, a reagire alle diverse vicende umane, di riconoscere il progetto che Dio ha sul mondo e su di noi, per portarlo a compimento.
Questo modello è valido anche per noi. Se, come afferma San Paolo, siamo “chiamati” ad essere santi, ciò significa che ci è rivolto un invito e ci è chiesta una risposta. Ci torna alla memoria l’icona del pellegrinaggio nazionale che come associazione abbiamo vissuto a Loreto nel settembre 2004: Maria, la madre di Gesù, che si è posta in ascolto dello Spirito ed ha accolto la volontà di Dio nella propria vita, nella ferialità dei giorni. Il santuario di Loreto, come ricordate, custodisce secondo la tradizione – la casa di Nazareth.
Lì sentiamo risuonare la risposta di Maria all’angelo, il sì di Maria al Dio che ha aperto nuovi orizzonti alla sua esistenza e le ha suggerito la misura alta della santità.
Per noi partecipanti a questo Convegno di Assisi, la chiamata alla santità si pone a livello non solo personale, ma anche associativo. Siamo qui, infatti, in quanto Presidenti e Assistenti diocesani; abbiamo accolto nella nostra vita la proposta di un servizio all’interno dell’Ac.
Siamo invitati perciò ad interpretare anche la responsabilità associativa che ci è stata affidata secondo la chiave di lettura della santità. Il nostro incarico diocesano, regionale, nazionale all’interno dell’Associazione è una occasione da vivere santamente. Se esso non rientrasse nell’orizzonte di una risposta alla chiamata alla santità, non sarebbe significativo.
È invece necessario porsi in ascolto dello Spirito, per intuire il progetto di bene che Dio ha per noi e per la nostra Associazione, per accogliere la sua volontà e partecipare alla sua concretizzazione, per vivere in modo “santamente operoso”.
Carlo Carretto, in Il deserto nella città, scrive, come nota di diario nella Pasqua del 1977 trascorsa a Hong Kong: «Io sono sempre stato “sorpreso” dalla vita. E siccome credo che Dio sia Vita, così come è Luce e come è Amore, penso davvero che sia stato proprio Lui a “sorprendermi” nel mio cammino. Dio è sorpresa. Dio è novità. Dio è creatività.
Quando, dopo il mio lungo soggiorno nel deserto del Sahara, ebbi la gioia di rivedere Papa Giovanni, mi chiese, fissandomi con quei suoi occhietti vivaci e penetranti: “Dimmi, prima di andare laggiù in Africa, ci avevi pensato? Era stata una cosa premeditata? Nella tua vita, durante il tuo impegno qui a Roma in Azione Cattolica, non avevi qualche volta intravisto la possibilità di farti Piccolo fratello? Non avevi mai intuito che la tua vita sarebbe cambiata, che ti saresti fatto religioso… eccetera?”. “No, gli risposi, proprio no. Fu di sorpresa che Dio mi ha chiamato ed è in pochi giorni che decisi l’accettazione di ciò che credevo sua volontà, partendo per l’Africa… Non avevo mai pensato prima di allora a questa svolta”.
E il Papa, fissandomi con un sorriso, disse: “Capita sovente così. Si va a finire là dove non si era mai pensato… Anche a me è capitata la stessa cosa… non ci avevo mai pensato”. E continuò a sorridere, guardando lontano da una finestra che dava sul lago di Castel Gandolfo».
Nel rileggere questa pagina di Carretto ho pensato anche a noi: qualcuno forse si aspettava di diventare Presidente o Assistente; altri no. Alla fine, comunque, spesso siamo andati là dove non avremmo mai pensato di andare e fatto ciò che non avremmo mai pensato di fare. Questo è un dato positivo, perché sta a indicare che abbiamo conservato e custodito, anche nel servizio associativo, quel senso di sorpresa, novità e creatività di cui Carretto scrive.
1.3 “insieme”: una santità di popolo
Proprio in questo troviamo la forza e il significato dell’espressione “chiamati a essere santi insieme”. Sappiamo bene che, pur rivolgendosi ai Corinzi, Paolo allarga l’orizzonte a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità. Noi, però, vogliamo riferirci anche a quella piccola porzione di Chiesa e di umanità che qui rappresentiamo, con la consapevolezza di essere insieme per una santità di popolo.
Aderiamo ad un’Associazione che sempre più deve riscoprire quella radice popolare di cui si è spesso discusso, anche recentemente. Essa consiste nell’essere piena espressione e parte di quel popolo di Dio a cui l’Ac rivolge il suo servizio e la sua attenzione.
Un’occasione per riflettere su questo aspetto è un’analisi di De Marco, introdotta da un articolo di Magister4, nel quale si definisce l’ “azione cattolica” (scritta in questa forma, e quindi intesa non solo come associazione, ma anche come un particolare stile) come “l’insieme dei virtuosi”. In questa dizione non è racchiuso un elogio. Si vuole piuttosto affermare che l’azione cattolica ha una misura esigente di vivere la fede, che però rischia di farla chiudere in un “circolo” ristretto, non più in grado di interagire con quel “popolo” che rappresenta i cattolici italiani.
È una riflessione che interessa naturalmente anche questioni di carattere politico, originate dal mai sopito dibattito sulla presenza e l’impegno dei credenti in questo ambito (cfr il recente discorso del Papa a Cagliari), ed evidenzia che la Chiesa sceglie come interlocutori privilegiati i politici che sono espressione del “popolo”.
È un articolo che invita a considerare come l’essere chiamati ad essere santi insieme riproponga all’Ac di attivarsi per il pieno recupero della popolarità. Il grande sforzo da compiere è quello di rendere partecipe del nostro stile, del nostro modo di essere Chiesa, dei nostri cammini formativi e delle nostre proposte un numero sempre maggiore di persone. Non si tratta di un problema di carattere quantitativo; esso riguarda, piuttosto, il senso stesso dell’idea di Ac e di Chiesa.
Noi crediamo infatti a un’Azione Cattolica popolare, che nella vita delle parrocchie sa contattare tutte le persone e interagire con il loro cammino e la loro vita. Non possiamo quindi rassegnarci ad essere, e ad essere visti, come un’associazione elitaria, anche perché in tante realtà ciò non corrisponde al vero. Deve quindi emergere con forza ed evidenza quell’idea di popolo che ci anima e raffigura il nostro sentire.
È questo un punto essenziale del cammino che siamo chiamati a percorrere. Il Progetto Formativo (n. 3.2) sottolinea: «La storia della santità laicale del Novecento e quella del laicato dell’Azione cattolica mostrano che un processo di appropriazione personale della fede non dà luogo necessariamente a una vita cristiana elitaria. Al contrario, quella cristiana può
4 Poco praticanti e poco virtuosi.
Ma sono loro che fanno “Chiesa di popolo, di Sandro Magister; Sui cattolici “scomparsi” dalla politica, di Pietro Di Marco; 11 settembre 2008 http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/206624
essere ancora un’esperienza di fede e di Chiesa popolare. Per questa ragione, ha valore anche oggi la scelta associativa quale particolare e specifica forma ecclesiale di aggregazione»5.
Dunque, la formazione proposta dall’Azione Cattolica mira ad accompagnare la persona nel suo cammino verso la santità e trova compimento nella vita associativa, che può e deve essere occasione per una esperienza personale di santità. L’espressione di San Paolo, ci dice con chiarezza e forza che siamo chiamati a essere santi insieme: tutte le generazioni come tutte le persone di ogni condizione.
Ci aiuta a comprendere la dimensione intergenerazionale e internazionale della santità un brano in particolare del libro Il gomitolo dell’alleluja di Paolo Giuntella , scomparso nei mesi scorsi, che vogliamo qui ricordare come un amico molto caro. L’autore, senza fare sconti nel descrivere la concretezza della santità, ci aiuta ad interpretare la lunga storia della Chiesa come storia di un popolo che tende alla santità: «Abbiamo fatto di tutto per nascondere questo tesoro; soprattutto nascondendo “il tesoro” dietro altri tesori meno veri o per niente veri.
Abbiamo nascosto il tesoro della verità che rende liberi, nel vaso di coccio di approssimazioni affermate talvolta come assolute, abbiamo nascosto il tesoro della misericordia, della solidarietà, della fraternità, dietro le mura spesse del clericalismo, della falsa “dignità”, dei falsi doveri del rango e della “responsabilità”, del potere inteso come culto dell’autorità a prescindere dall’autorevolezza e dalla paternità.
Ma nel nostro popolo ci sono sempre stati uomini e donne che nel corso della storia hanno vangato per dissotterrare il tesoro e la storia della chiesa è anche la storia di questo contrasto tra coloro che hanno lavorato (anche in buona fede) per sotterrare il tesoro e coloro che con vanghe e pale hanno lavorato per scoperchiare i forzieri in cui si tentava di rinchiudere o nascondere la grazia o la carità.
I santi lavorano in ogni tempo per dissotterrare il tesoro. E chi è il santo, se non l’uomo della tenerezza e della misericordia, l’uomo della mitezza, l’uomo soprattutto che accetta la scommessa di vincere la paura?»7. “Chiamati a essere santi insieme” è quindi la prospettiva che si apre di fronte a noi e ci richiama l’idea di un’Ac di popolo.
2. Il passo della testimonianza
Veniamo ora al secondo passo in avanti che l’Assemblea nazionale chiede alla nostra associazione: il passo della testimonianza. Già l’articolo 3 dello Statuto dell’Azione Cattolica Italiana ci invita a tenere strettamente uniti santità e apostolato, santità e impegno nel mondo: «I laici che aderiscono all’ACI si impegnano a una formazione personale e comunitaria che li aiuti a corrispondere alla universale vocazione alla santità e all’apostolato nella loro specifica condizione di vita»8.
Anche la Nota pastorale del IV Convegno ecclesiale (n. 4) indica questo nesso, proponendo alle Chiese particolari come prima scelta di fondo la tensione alla santità e, come seconda, «la testimonianza, personale e comunitaria, come forma dell’esistenza cristiana capace di far adeguatamente risaltare il grande “sì” di Dio all’uomo, di dare un volto concreto alla speranza, di mostrare l’unità dinamica tra fede e ragione, eros e agape, verità e carità».
Il testo continua come segue: «La paura di essere piccolo, disarmato, bambino, “artista”, ma anche la paura della maturità. La tentazione della semplificazione, della riduzione della complessità che ci circonda con ricette, manuali, formule, che conservino una purezza tanto incontaminata, da ignorare il mistero della croce, o la tentazione del gergalismo da retrobottega, la tentazione di sostituire Rouault e Chagall, che mettono paura perchè non è possibile mettergli briglie, con crostacce e chincaglierie.
La maturità cristiana, il farsi “piccoli” ma non “lattonzoli”, non è la rincorsa dell’innocenza perduta nella mummificazione spiritualista, e neppure l’iper-realismo neotemporalista: «L’innocenza dell’adulto – ci suggerisce Mounier – non potrà mai abbandonare i segni del tempo e il rimorso del peccato». La semplicità del cristiano adulto che si fa piccolo «si raggiunge dopo lunghi errori, senza miracoli, e solo la grazia, la grazia delle vette, dona la grazia finale del ringiovanimento dell’uomo nuovo».
Inoltre, il 7 settembre, incontrando i giovani a Cagliari, il Santo Padre Benedetto XVI ha usato espressioni molto intense sul tema della testimonianza, che purtroppo la stampa non ha ripreso: «Possa ognuno di voi riscoprire Dio quale senso e fondamento di ogni creatura, luce di verità, fiamma di carità, vincolo di unità, … »10.
Questo è proprio ciò che intendiamo sperimentare ed abbiamo pensato di vivere anche attraverso la redazione del Manifesto al Paese. Esso rappresenta una traccia fondamentale con cui abbiamo avviato le celebrazioni del 140°, e costituisce quindi un’impegnativa consegna affidataci dal triennio precedente.
Non possiamo dimenticare le parole che abbiamo cercato di sottolineare e di esaltare: «siamo al servizio dell’uomo per onorarne la dignità personale con i suoi valori irrinunciabili, a cominciare dalla vita e dalla pace, dalla famiglia e dall’educazione, per camminare accanto a tutti e a ciascuno, e tessere insieme una trama viva di relazioni fraterne. (…)
Il Paese merita un futuro all’altezza del proprio patrimonio di fede cristiana, cultura umanistica e scientifica, di passione civile e di solidarietà sociale. Ha diritto alla speranza. Noi vogliamo compiere un passo avanti verso questo Paese con il Vangelo e con la vita; incontro alla gente nel segno di un ethos condiviso, secondo uno spirito di autentica laicità, ricercando un’armonia sempre possibile tra piazze e campanili»11. Si tratta di un testo a tutti noto, ma che va ribadito e assunto nel tracciato che vogliamo percorrere.
3. Il cammino triennale
La santità costituisce dunque l’orizzonte programmatico per questo triennio, come si evince dagli Orientamenti, che indicano alcune chiavi fondamentali di riferimento per l’intero 2008/2011. Ogni associazione diocesana ha già individuato alcune priorità, o lo farà a breve. Ciò non costituisce un aspetto problematico, in quanto si sta effettuando un percorso comune, che prevede anche una circolarità tra Ac locali e Centro nazionale.
Ciascuna realtà deve quindi rileggere gli Orientamenti dal proprio punto di vista, a partire dal cammino della Chiesa e dell’Associazione diocesana, con la consapevolezza, però che tutti andiamo verso la stessa direzione. Nell’anno associativo che si apre, saremo accompagnati dal Vangelo di Marco.
L’episodio della professione di fede di Pietro (Mc 8, 27-36) sarà per noi motivo di provocazione. Intendiamo infatti lasciare che anche alla nostra persona, alla nostra esistenza quotidiana sia rivolta la stessa domanda: «E voi, chi dite che io sia?».
Saremo chiamati perciò a contemplare il volto di Gesù (così efficacemente rappresentato nel manifesto dell’anno), a stare con lui attraverso la lettura orante del Vangelo, perché la sua Parola si faccia spazio nella nostra vita quotidiana e orienti la nostra esistenza, nelle sue scelte piccole e grandi. Santità è conformare la nostra persona, anche e proprio nella sua dimensione feriale, alla persona di Gesù. È contemplare il suo volto per conformare al suo il nostro.
Nell’anno associativo 2009-2010 saremo accompagnati dal Vangelo di Luca; metteremo al centro della nostra attenzione la figura di Zaccheo e l’accoglienza di Gesù nella sua casa (Lc 19, 110). E la casa sarà il simbolo di riferimento fonamentale. Saremo invitati, così, a porre l’accento sulla vita della comunità dei credenti: la fede infatti ha anche una dimensione comunitaria, che si rende visibile nella comunione fra i credenti.
Nell’anno associativo 2010-2011 saremo accompagnati dal Vangelo di Matteo ed in particolare dalla conclusione del “Discorso della montagna”, in cui Gesù afferma: «Voi siete luce del mondo» (Mt 5, 13-16). Gesù consegna anche a noi oggi la missione di testimoniare la nostra fede nella realtà in cui siamo inseriti: la santità, infatti, è anche porsi a servizio dell’edificazione del Regno di Dio nel mondo.
4. Le forme della missione
I cinque grandi ambiti individuati dal Documento assembleare (due condizioni e tre obiettivi prioritari) costituiscono gli strumenti per rendere concreti e tradurre i contenuti sui quali ci siamo soffermati nel corso del Convegno, ma anche dei campi scuola estivi o di altre iniziative. Su questi aspetti, quindi, vorremmo compiere significativi passi avanti prima della prossima Assemblea nazionale. Dalle sintesi dei laboratori è emersa una grande ricchezza. È indubbiamente impossibile fornire una risposta a ogni sottolineatura. Tenterò quindi di segnalare, per ciascuno degli ambiti, alcuni elementi-chiave ed alcuni impegni che la Presidenza crede di poter assumere.
4.1 In primo luogo, è evidente che senza un cura formativo-educativa, da rafforzare ulteriormente, l’Ac non può procedere adeguatamente nel suo percorso. Si tratta di una cura duplice: essa va, da un lato, effettuata internamente, recuperando il grande patrimonio di cui l’Associazione è depositaria e riuscendo a trasmetterlo al tempo attuale; dall’altro, va sviluppata esternamente, sapendo entrare nel vivo delle odierne problematiche educative.
L’intento di perseguire tale obiettivo, emerso nelle riunioni della Presidenza nazionale, esce rafforzato dalle riflessioni proposte dal laboratorio che ha trattato questo aspetto. Il tema, per l’indubbia e decisiva valenza che ha acquistato, anche per l’insistenza del Santo Padre e per l’attenzione che probabilmente ad esso riserveranno gli Orientamenti del prossimo decennio, va posto al centro del cammino dell’anno associativo in corso, cercando di fare interagire sulla questione tutte le forze vive di cui l’Associazione dispone.
Abbiamo quindi deciso di dedicare il Convegno delle Presidenze, che si svolgerà dall’8 al 10 maggio 2009, proprio a questa problematica. Ne vorremmo fare sia un momento di sintesi della ricchezza del cammino che l’Associazione ha percorso e percorre sull’ampio fronte educativo, sia un’occasione per offrire un contributo pubblico su tali tematiche da parte dell’Ac.
È un appuntamento che coinvolgerà le Presidenze nella loro interezza, e quindi anche i movimenti, in particolare il Msac e il Mieac, che su questo aspetto possono avere un ruolo rilevante. Come ricorderete, inoltre, abbiamo avviato, nel triennio scorso, il Laboratorio nazionale della formazione. Si è trattato di un’intuizione significativa, che ci è stata consegnata dal Progetto formativo e che abbiamo iniziato a concretizzare. Ciò ha sollecitato, in alcune realtà, l’attivarsi di esperienze analoghe in ambito diocesano.
L’intera Associazione, a tutti i livelli, avverte infatti in modo condiviso l’importanza di dotarsi di un “luogo” che consenta di “pensare” la formazione, senza viverla in modo passivamente ripetitivo, ma riuscendo a intercettare le esigenze più vive dell’oggi. È però necessario compiere un’ulteriore tratto di strada riguardo alle modalità con cui sviluppare tale strumento. Proprio per questo, abbiamo scelto di non indicare appuntamenti relativi al Laboratorio, ritenendo piuttosto di effettuare, nella riunione del Consiglio nazionale che si svolgerà a ottobre, un’attenta riflessione che permetta di comprendere come proseguire questa significativa esperienza, in modo da renderla sempre più condivisa.
A questo fine, sarà importante assumere tutte le diverse iniziative realizzate a livello diocesano, che saranno fondamentali per compiere l’elaborazione consiliare. Tutto ciò consentirà di riavviare in forma più efficace il Laboratorio nazionale, rendendo ancora più esplicito il suo collegamento con due aspetti. Il primo è quello relativo ai cammini e agli itinerari formativi.
Proprio per questo si è scelto che l’avvio della programmazione dei testi del prossimo anno associativo, il 3 prossimo ottobre, preveda un momento iniziale comune e unitario, che veda la partecipazione di tutte le commissioni. Si vuole così iniziare a costruire un’unica mappa che sappia mettere in connessione itinerari formativi, cammini formativi e formazione dei responsabili.
Vorremmo inoltre pubblicare, prima del Convegno delle Presidenze, i due fascicoli sulle figure educative e sul gruppo, di cui è stata fornita una bozza in sede assembleare. Si intende dunque compiere uno sforzo complessivo di sintesi, che avrà nel Laboratorio il punto di arrivo.
Questo richiede però di aumentare gli spazi non solo di dialogo, ma anche di confronto, che sipossono concretizzare attraverso l’offerta di suggerimenti scritti e di osservazioni puntuali, tenendo conto che alla fase essenziale dello scambio e della discussione deve comunque seguire la capacità di offrire, all’interno dei testi, una linea guida sintetica.
Vorremmo dunque che nel Convegno delle Presidenze convergessero più percorsi compiuti sul versante della cura educativa: un dibattito di carattere “pubblico”, un rilancio del Laboratorio della formazione, la presentazione di alcuni sussidi, l’interazione con i cammini formativi.
La Presidenza intende assumere concretamente questo impegno, tenendo conto, tuttavia, che l’educazione viene essenzialmente dal cuore e che nessuno strumento potrà mai sostituire quel dono rappresentato dalla generosità delle persone e dal loro sforzo di essere accanto a coloro che ci sono stati affidati e di accompagnarli.
La chiamata alla santità esige anche, infatti, che si riesca a suscitare nuove vocazioni educative, facendo passare dallo slancio disinteressato all’approfondita competenza, e quindi alla capacità di valorizzare tutti gli strumenti proposti.
4.2 L’altro riferimento fondamentale da tenere presente è costituito dal tema della riscoperta della fede. Si tratta di un aspetto su cui l’Associazione, e la stessa Chiesa, hanno ancora molta strada da compiere. Se dal punto di vista educativo l’Ac ha acquisito nel tempo un grande ricchezza, il patrimonio relativo al problema della riscoperta della fede va ancora costituito. È una lacuna che occorre necessariamente colmare, ed è dovuta forse all’abitudine a una vita pastorale e associativa sostanzialmente ripetitiva.
La Presidenza nazionale vuole quindi impegnarsi anche su questo versante; crede però opportuno dedicare a tale elaborazione uno spazio temporale più ampio, guardando come parziale punto di arrivo il Convegno delle Presidenze del 2010. Il cammino appare infatti lungo e delicato, anche se sono indubbiamente presenti tante esperienze significative effettuate a livello locale.
È necessario, ad esempio, convenire sia sulla terminologia da adottare, cui sono sottesi naturalmente i contenuti, sia sul metodo da seguire per rispondere a quel profondo desiderio del cuore che ci invita ad aiutare le persone a incontrare il Signore. La sintesi finora compiuta su questi temi non appare ancora in grado di trovare una piena convergenza.
Nel Convegno dei Presidenti e degli Assistenti diocesani del 2009 (4-6 settembre) si potrà comunque verificare a quale livello è giunto il percorso. Il cammino che si è avviato procede su più fronti. Il primo riguarda gli educatori, gli animatori di gruppo, gli assistenti.
Sappiamo infatti che il tema della riscoperta della fede passa attraverso le persone che sanno accompagnare. Probabilmente, quindi, occorrerà comprendere meglio il significato che devono avere tali figure, anche riguardo a questa specifica dimensione. Stiamo inoltre compiendo una ricerca di ordine culturale, relativa al tema del recupero dell’interiorità. Sapere ascoltare la voce di Dio che ci parla significa sapergli fare spazio all’interno di sé, prima ancora che all’esterno.
Per raggiungere questo scopo, va superato un problema culturale, oltre che spirituale, perché è necessario imparare ad aprire le porte alle domande delle persone, non solo ascoltandole, ma anche aiutandole a porsi le grandi questioni dell’esistenza. Da qui emerge l’esigenza di rendere sempre più stretto il legame tra la proposta formativa e l’impegno culturale dell’Associazione, proprio perché la cultura è vita. Stiamo già operando per raggiungere il nostro scopo, percorrendo una pluralità di strade. Basti pensare allo sforzo che si compie in ordine al tema della famiglia, che è anch’essa luogo di riscoperta della fede.
4.3 A tutto ciò va collegato l’impegno per far crescere la fede. Non sempre è semplice distinguere tale questione dalla precedente, dal momento che sono indubbiamente interconnesse. Il Documento finale cerca di farlo, perché si comprenda che non è sufficiente sentirsi appagati dall’esistente, ma occorre elaborare prospettive nuove, guardando più lontano, muovendo verso il “largo”.
Appare importante, come evidenziato dai laboratori, l’attenzione alla formazione di ordine socio-politico, alle domande di senso, alla cura per ogni età della vita. Sappiamo però che l’ordinaria formazione degli aderenti non rappresenta un dato scontato. Mentre dunque guardiamo alle problematiche educative e alla riscoperta della fede, dobbiamo però continuare a sostenere cammini formativi sempre più esigenti e qualificati per i soci. Cosa indica, infatti, quel fuoco a cui abbiamo fatto riferimento, se non il carattere impegnativo di una proposta formativa, che sappia rispondere alla chiamata alla santità?
4.4 Per quanto riguarda l’impegno per la promozione del bene comune, si avverte l’esigenza, come sottolineato dai laboratori, da un lato, di disseminare nei cammini formativi l’attenzione alla formazione sociale e politica; dall’altro, di qualificare meglio alcune persone. Vorremmo infatti istituire, in occasione del rilancio del Laboratorio, una specifica sezione di formazione sociale, dedicata esplicitamente alla Dottrina sociale della Chiesa.
Sappiamo comunque che il tema del bene comune ha implicazioni amplissime, che impegnano i Movimenti, gli Istituti, l’intera Associazione con i suoi cammini. In merito a tale questione, mi ha particolarmente colpito un articolo di De Rita, nel quale viene riconosciuta alla Chiesa la caratteristica di “presidiare il territorio”12.
È questa una capacità che contraddistingue anche l’Ac. Si tratta di una strada che l’Azione Cattolica deve e può percorrere con più forza e pienezza, per la sua natura di associazione di carattere diocesano ma allo stesso tempo nazionale, per la sua tradizione culturale, per il suo essere realtà fatta di persone di ogni condizione ed età.
È questo un servizio che possiamo rendere per la vita della Chiesa oggi e per il bene comune. Il tempo attuale, inoltre, richiede di inventare nuove forme di investimento “dal basso”, suscitando passione e interesse concreto nella vita delle persone per questioni di ordine locale, con la consapevolezza che esse, comunque, non sono limitate a territori circoscritti, ma riguardano tutti. I problemi ambientali della Campania, o la lotta alla criminalità nel Sud, cioè, non toccano solo quelle specifiche zone, ma sono ben più ampi e diramati.
L’Azione Cattolica è dunque pienamente sul territorio, e allo stesso tempo si impegna per la sussidiarietà e per la solidarietà, nel senso più pieno e significativo.
4.5 Va considerata, infine, l’importanza del legame associativo, che è qualcosa di più del semplice incontrarsi, in quanto si fonda su un’identità, su una scelta precisa, anche se dinamicamente vissuta, su un riferimento costitutivo, su un modo di essere Chiesa.
Ai Presidenti e agli Assistenti diocesani è affidata oggi con particolare forza la cura di questo legame. Il Centro nazionale, da parte sua, propone una molteplicità di strumenti: l’appuntamento in corso, il Modulo per nuovi Assistenti, che si svolgerà nel mese di ottobre, il Convegno per Assistenti e quello delle Presidenze, le visite alle regioni, adeguatamente preparate insieme con le Delegazioni, le Settimane e i Progetti, il cui sviluppo a livello locale vogliamo verificare accuratamente.
Abbiamo inoltre in animo di proporre alcuni microprogetti, in grado di mostrare come, attraverso l’Associazione, si sia capaci di essere solidali e di prendersi cura degli altri. Il legame associativo rappresenta una scommessa fondamentale nella quale i Presidenti diocesani si devono giocare, con la specificità del loro ruolo. Tutti i nostri impegni e le nostre scelte, cioè, hanno bisogno che questo legame divenga sempre più forte e significativo.
Si tratta di uno strumento associativo non fine a se stesso, o a carattere unicamente intrassociativo. Esso può infatti costituire un modo efficace per fare incontrare tante persone con il Signore, per aiutarle a porsi al servizio della Chiesa e a crescere in umanità.
Crediamo fortemente in questo. Perciò l’Azione Cattolica deve essere nuovamente proposta nelle parrocchie, nelle città, nei seminari, con la creatività della vita associativa diocesana e con il sostegno che sarà in grado di dare il livello nazionale.
Conclusione Desidero concludere con due brani davvero interessanti che possono costituire una sintesi efficace dei lavori del Convegno. Uno di essi è molto noto, perché il suo autore, don Tonino Bello, è caro a noi tutti. L’altro è di frère Roger Schultz, che è stato fondatore e priore della comunità di Taizé.
Essi possono indicare la tonalità di fondo con cui siamo invitati a porci sul cammino della santità. Come si legge al numero 30 della Nota dopo il IV Convegno ecclesiale nazionale, infatti, siamo invitati a« portare una parola di speranza agli uomini e alle donne, stretti nella morsa dell’inquietudine e del disorientamento, più delle attività e delle iniziative saranno la saldezza della nostra fede, la maturità della nostra comunione, la libertà dell’amore, la fantasia della santità»13.
Don Tonino Bello così esortava l’AC della sua diocesi, in occasione della Festa dell’Adesione del 1990: «Siate soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perché essere uomini fino in cima Significa essere santi.
Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete. E, oltre che iscritti all’Azione Cattolica, siate esperti di Cattolicità Attiva: capaci, cioè, di accoglienze ecumeniche, provocatori di solidarietà planetarie, missionari “fino agli estremi confini”, profeti di giustizia e di pace.
E, più che tesserati, siate distributori di tessere di riconoscimento per tutto ciò che è diverso da voi, disposti a pagare con la pelle il prezzo di quella comunione per la quale Gesù Cristo, vostro incredibile amore, ha donato la vita»14.
Ho scelto poi un brano di frère Roger perché ben si attaglia a una caratteristica fondamentale dell’Azione Cattolica, che presenta talvolta elementi di difficoltà e fatica, ma costituisce anche motivo di grande gioia e impegno: la scelta della globalità nella vita della vita della Chiesa: «Una giornata è completa quando è in piccolo come un’intera vita. Ogni istante del giorno conosce la sua intensità.
Ritrovare il senso di stupore per ciascuno dei 1.440 minuti di ogni giorno. Ritrovare la meraviglia per quelle due pietruzze che Marc mi ha regalato anni fa: la minore è piatta, scura, leggermente, zebrata, al suo centro vedi segnato un cerchio. Ogni giornata può conoscere delusioni, aggressioni, sapori amari, altrettante trappole in cui l’ammirazione scompare.
Ogni giornata conosce soprattutto l’attesa della sua venuta. Una giornata è completa, vasta, quando le esperienze più dure non giungono fino a bloccare il soffio di una pienezza»15.
1 CEI, Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grandi “sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 4
2 ACI, XIII Assemblea Nazionale, Cittadini degni del Vangelo. Ministri della sapienza cristiana per un mondo più umano, 03 maggio 2008 3 ACI, Perché sia formato Cristo in voi. Progetto Formativo, Roma, AVE, 20055
6 7
007 http://www.azionecattolica.it/net/notizie/i-cattolici-italiani-tra-piazze-e-campanili
8 9 ACI, Statuto, Roma, AVE, 2005 CEI, Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grandi “sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 4.
ACI, Perché sia formato Cristo in voi. Progetto Formativo, Roma, AVE, 2005 Paolo e Vittorio E. Giuntella, Il gomitolo dell’alleluja: di padre in figlio il filo della fede, Roma, AVE, 1986, p. 21-22
10 Benedetto XVI, Discorso all’incontro con i giovani, Cagliari, 7 settembre 2008. Cfr.:11 I cattolici italiani tra piazze e campanili. Manifesto dell’Azione Cattolica al Paese, Castel S. Pietro Terme, 29
12 Giuseppe De Rita, La modernità della Chiesa, Corriere della Sera, 13 agosto 2008
13 CEI, Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grandi “sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 30. 14 15 Domenico Amato (a cura di), Fino in cima. Scritti e interventi di Mons. Tonino Bello all’AC, Roma, AVE, 2003 fr. Roger Schultz, Vivere l’insperato, pag. 24, Brescia, Morcelliana, 1977 10
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