Il SACERDOZIO illustrato da BENEDETTO XVI

Posted on Marzo 18th, 2009 di Angelo | Edit

Fra Roberto Varasi o.h.

Il SACERDOZIO illustrato da BENEDETTO XVI

Dal blog di De Magister un grande commento alla Lettera del Papa

Da leggere e meditare questo commento di Pietro De Marco apparso oggi sul Blog di Sandro Magister:

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/03/17/il-metodo-di-benedetto-xvi-pietro-de-marco-commenta-la-lettera-del-papa/


Viene richiamato fortemente, nell’articolo di De Marco, che:

Solo un uso politico del Concilio, non la sua dottrina, ha declassato sotto il pretesto della “rottura” conciliare, e respinto ai margini della vita cattolica, i secoli di vitale, autentica Tradizione cui i tradizionalisti cattolici si richiamano.


Come spesso abbiamo letto sul blog di fr Z., anche De Marco riprende il concetto di “contrappeso”. C’è bisogno di reintrodurre forme di stabilizzazione della dottrina, della liturgia, dell’esegesi biblica, che riportino molti cristiani (non certo la Chiesa Cattolica) nell’alveo di una Tradizione in continuo progresso, ma senza cesure o tentazioni di discontinuità. Chi ha ceduto a tali tentazioni dovrà, piano piano, riconoscerle e liberarsene, come ai tradizionalisti “congelati” si chiede di non pensare di poter rimanere al 1962:

La riabilitazione di stili, sensibilità e forme della storia cristiana intende agire come paradigma stabilizzatore delle derive centrifughe, della frammentazione soggettivistica, che operano non solo nelle sperimentazioni avanzate, ma anche nella pastorale corrente. La stabilizzazione esige, però, che quello che ho chiamato “uso politico” del Concilio divenga consapevole del proprio eccesso squilibrante, della propria parzialità; e ne tragga conseguenze autocritiche. Così l’obiettivo della riconciliazione nel seno della Chiesa diviene parte di un più ampio intervento medicinale per la Chiesa universale.


Un forte richiamo all’unità nella fede, pur nella tolleranza di espressioni diverse dell’unica fede. Sono invece intollerabili le espressioni diverse di fedi diverse. Questa sarebbe “rivoluzione”, un vero e proprio inconcepibile recidere le radici dell’albero che ci sostiene.

L’azione riformatrice del pontefice si conferma, dunque, rivolta contro una lettura ideologica e sostanzialmente “rivoluzionaria” del Concilio che è stata data da élite teologiche e pastoralistiche cattoliche ed è lentamente penetrata nei laicati parrocchiali. Slittamenti che hanno una preoccupante incidenza sulla fede. Si tratterà sempre, per Benedetto XVI, di assumere il rischio di indicare “opportune et importune” l’eccesso, quando dottrine e condotte oltrepassano soglie estreme di tollerabilità. In effetti lo spazio di tolleranza, implicito nella ricerca e nella condotta dialogica, ha i suoi confini teorici e pratici, richiesti dalla logica stessa del confronto aperto.


De Marco fa notare che ultraconservatori e ultraprogressisti condividono l’idea rivoluzionaria del Concilio. La differenza è la loro opposta valutazione. Ma entrambi gli schieramenti si sbagliano di grosso, soprattutto quando confondono le posizioni teologiche che stigmatizzano (soprattutto i lefebvriani fanno questo) con la dottrina del magistero della Chiesa, che sarebbe ormai irrimediabilemente compromesso:

Basti pensare che la non-accettazione del magistero del Concilio, o la più contingente disapprovazione degli atti ecumenici di Benedetto XVI, da parte dei membri della Fraternità, sono almeno simmetriche per gravità alle recezioni discontinuistiche del Concilio, quando esse si pongono come eversive della tradizione dei Concili antichi: ad esempio il serpeggiante anticalcedonismo delle scuole teologiche, o l’antagonismo alla cristologia dei Concili nel biblicismo cattolico riduzionista.


Riprendendo le note teorie di René Girard sul “capro espiatorio” e “la violenza che tenta di esorcizzare il male producendolo”, De Marco si spinge a sottolineare che questo comportamento non-cristiano si è spesso prodotto nel rinnegare il proprio passato, fino a trovare nei tradizionisti il capro espiatorio da eliminare, perchè continua a rammentare quel passato che si vuole estinguere:

La domanda provocatoria, elevata dai critici contro Joseph Ratzinger: “Ci dica il papa se dobbiamo ancora seguire il Concilio o ritornare alla Chiesa del passato”, è una conferma di questa “vittimizzazione” (nel senso di René Girard) del preconcilio e dei suoi difensori. Ma che i segni preferenziali per la selezione della vittima espiatoria siano il catechismo di Pio X o la messa tridentina, indica quanta falsa scienza sottende la violenza e il disprezzo di cui sono stati fatti oggetto i membri della Fraternità. Girard sostiene, infatti, che il meccanismo del capro espiatorio funziona come “una falsa scienza, una grande scoperta, una rivelazione”.


Infine De Marco invita a tener presente quale sia lo scopo finale di Papa Benedetto: confermare nella fede i fratelli. Non fede in un dio qualunque, ma nel Dio di Gesù Cristo, così come si è rivelato ed è stato consegnato alla Chiesa nella sua “intera storia dottrinale”. Non si può tollerare dunque una diluizione dei contenuti della fede cattolica. Chi dice che l’importante è “far del bene” e “amare tutti” senza badare a conoscere il vero Dio, sta invitando a tener presente solo metà del comandamento di Gesù: Ama Dio e Ama il prossimo (e per amare, si sa, bisogna prima conoscere). Il Cristianesimo non è una religione civile, è – invece – la fede nell’unico vero Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo:

Priorità suprema della Chiesa e del successore di Pietro è dunque “condurre gli uomini verso il Dio che parla nella Bibbia”, non un dio qualsiasi….Certo, non si vede a che serva “l’intera storia dottrinale” della Chiesa se, a coronamento di tutto, si risolvono l’assiduità con la Parola di Dio e la differenza cristiana in istanze di ordinaria moralità pubblica, buone a tutti gli usi, anche a contingente polemica politica. Basterebbe a costoro il residuo cristiano della religione civile di Rousseau, magari equivocata con il messaggio traente e rivoluzionario del Concilio.

Papa alla Congregazione del Clero:

Non c’è Chiesa senza sacerdoti,

non c’è sacerdote senza Chiesa

Riassumerei con il gioco di parole del titolo tutto il discorso, limpido e “monumentale” minicompendio di dottrina sul sacerdozio del Papa alla Plenaria di oggi della Congregazione del Clero: Non c’è Chiesa senza sacerdoti, e non c’è sacerdote senza Chiesa.

Chi prevede una chiesa secolarizzata e completamente laicale ha sbagliato il bersaglio, chiarisce Sua Santità: il sacerdote è indispensabile alla Chiesa. Il suo sacerdozio è una configurazione al sacerdozio di Cristo “essenzialmente” diversa rispetto al sacerdozio battesimale. La dottrina che già fu di Pio XII, ripresa dal Vaticano II in Lumen Gentium 10, viene ancora riproposta, perchè non se estingua la consapevolezza nel popolo di Dio. Senza sacerdote, niente eucaristia; senza eucaristia, niente Chiesa.
I preti non sono supplibili dai laici nel loro ministero essenziale. Il sacerdozio battesimale è certamente il più importate ai fini della salvezza: è il sacerdozio della vita, che configura ogni battezzato a Cristo sacerdote, che offre tutto se stesso al Padre sulla Croce. Ma per avere la forza di far questo nella vita di ciascun cristiano è necessaria la fontana di grazia che scaturisce dai sacramenti: per questo esiste il sacerdozio ministeriale. Appunto un ministero, un servizio: a servizio dei fratelli, perchè possano adempiere nella vita il Mistero di cui si sono precedentemente nutriti mangiando alla duplice mensa della Parola e del Pane eucaristico.
Ma il Papa completa il quadro: non c’è sacerdote senza riferimento e legame forte con la Chiesa. Nessun prete è padrone del messaggio che annuncia. E pur avendo la potestas sul corpo di Cristo vero e sull’annuncio evangelico, non può disporne a suo piacimento. La verità dottrinale va sempre tutelata e ribadita. Ministro, cioè servo. Servitore dei fratelli, ma servitore di Dio, suo portavoce, non suo sostituto.  ”Portare di Dio”, dunque, non di se stesso.
Tutta la Chiesa si esprime per bocca dei suoi sacerdoti, e per le mani dei sacerdoti tutta la Chiesa partecipa ancora, ogni giorno, del dono di Dio.
Commento con le parti in rosso questo splendido messaggio di Benedetto XVI:
Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!

Sono lieto di potervi accogliere in speciale Udienza alla vigilia della partenza per l’Africa, ove mi recherò per consegnare l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si terrà qui a Roma nel prossimo ottobre. Ringrazio il Prefetto della Congregazione, il Signor Cardinale Cláudio Hummes, per le gentili espressioni con cui ha interpretato i comuni sentimenti, e ringrazio per la bella lettera che mi avete scritto. Con lui saluto tutti voi, Superiori, Officiali e Membri della Congregazione, con animo grato per tutto il lavoro che svolgete a servizio di un settore tanto importante della vita della Chiesa.

Il tema che avete scelto per questa Plenaria – «L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera» – consente alcune riflessioni per il lavoro di questi giorni e per i frutti abbondanti che certamente esso porterà. Se l’intera Chiesa è missionaria e se ogni cristiano, in forza del Battesimo e della Confermazione, quasi ex officio (cfr CCC, 1305) riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, il sacerdozio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sacerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune. [Papa Benedetto riprende la distinzione ormai classica, tra il sacerdozio di tutti i fedeli (mi raccomando, non il sacerdozio dei laici, che non esiste proprio). Tutti i battezzati sono configurati a Cristo sacerdote, ma la consacrazione ministeriale distingue alcuni fedeli in modo essenziale: rimane in essi il sacerdozio battesimale, e viene loro conferito, per il servizio della chiesa, il ministero sacerdotale, per il quale compiranno il sacrificio eucaristico.] Del primo, infatti, è costitutivo il mandato apostolico: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Tale mandato non è, lo sappiamo, un semplice incarico affidato a collaboratori; le sue radici sono più profonde e vanno ricercate molto più lontano.

La dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma. Questa consiste nella partecipazione ad una “vita nuova” spiritualmente intesa, a quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli [Il Papa dice: chi è apostolo, non ha solo la FUNZIONE dell'apostolo, ma deve risplendere con una vita conforme a quella di Cristo. Certamente il punto di riferimento è Paolo]. Per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono “presbiteri”. In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas [Il Papa riprende la terminologia teologica dei TRIA MUNERA sancita dal Vaticano II, e tanto invisa ai Lefebvriani che vorrebbero tornare a parlare solo della potestà d'ordine e della potestà di giurisdizione. No, dice il Papa, manteniamo quest lettura teologica del dato dottrinale, perchè essa mette meglio in luce il fatto che prima c'è il dono "munus" di Cristo alla sua Chiesa, e "solo conseguentemente" questo si concretizza in un ufficio, prima sono un partecipare alla vita divina di Cristo, solo dopo - e il Papa non lo nega - sono un'esercizio di sacra potestas. Anche la giurisdizione è dono di Cristo, non è un elemento sociologico per l'andamento della Società-Chiesa]. Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale.[Qui il Papa dice: è vero che un prete mascalzone consacra validamente, ma quanto è meglio per il popolo di Dio avere un prete santo! Non bisogna fare la teologia del sacerdozio sul caso limite, altrimenti ci si fossilizza sui discorsi di validità e liceità, senza volare in alto anche con la spiritualità sacerdotale].

Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale “Anno Sacerdotale”, che andrà dal 19 giugno prossimo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo. Sarà cura della vostra Congregazione, d’intesa con gli Ordinari diocesani e con i Superiori degli Istituti religiosi, promuovere e coordinare le varie iniziative spirituali e pastorali che appariranno utili a far percepire sempre più l’importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea.

La missione del presbitero, come evidenzia il tema della plenaria, si svolge «nella Chiesa». Una tale dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale è assolutamente indispensabile ad ogni autentica missione e, sola, ne garantisce la spirituale efficacia.[Ecco il secondo tema. Il sacerdote nella e per la Chiesa: la comunione ecclesiale, gerarchia e dottrinale: sono i legami che fin dall'inizio caratterizzano la Chiesa cattolica. Il Triplice legame della stessa fede, degli stessi sacramenti e dei legittimi pastori.]

I quattro aspetti menzionati devono essere sempre riconosciuti come intimamente correlati: la missione è “ecclesiale” perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo [contro il personalismo e le innovazioni individuali che spaccano la comunione]. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote. La missione è “comunionale”, perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. [Come scrivevo qualche post fa: La chiesa è mistero di Comunione che si rende visibile in una dimensione sociale comunitaria. Non si può ribaltare questo ordine dei fattori] Questi, d’altra parte, derivano essenzialmente da quell’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore. Infine le dimensioni “gerarchica” e “dottrinale” suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si collega con “discepolo”) ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente [Un passaggio splendido! Disciplina, cari sacerdoti, vuol dire essere discepolo, e perciò avere sempre un maestro (senza voler mettersi al suo posto). Per questo finito il seminario non si archivia la formazione. E non solo quella "teologica", dice il papa teologo, ma quella "dottrinale". Cioè è importate sapere come intepretare il dato di fede, ma è più importante essere certi del dato di fede in quanto tale].
La consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi decenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazione dei candidati al ministero. In particolare, deve stimolare la costante sollecitudine dei Pastori verso i loro primi collaboratori, sia coltivando relazioni umane veramente paterne, sia preoccupandosi della loro formazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale e spirituale [Traduzione: Cari vescovi, siate padri veri per i vostri presbiteri, vogliate bene a questi vostri collaboratori di cui avete bisogno. Preoccupatevi anche della loro ortodossia e della loro vita spitituale, non solo dei conti delle parrocchie o di evitare scandali quando ormai le frittate sono fatte. Metodo preventivo salesiano anche con i preti]. La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità [Non c'è bisogno di commento: niente cesure, niente tentazioni di discontinuità. Più chiaro di così. Adesso nessuno venga a dire che l'ermeneutica della continuità è un'invenzione e che il Papa non la appoggia e non la diffonde]. In tal senso, è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II ["Corretta ricezione", cioè interpretazione autentica, di che cosa? dei "TESTI" non dello SPIRITO del Vaticano II], interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa.
Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa [Qui il papa, contrariamente a quello che titoleranno i giornaloni, non sta solo dicendo: "preti mettetevi la talare". Sta dicendo: "siate presenti nella società, siate visibili, udibili, non sparite dalle scuole, dalle università, dai luoghi dove si elabora la cultura e l'attività sociale-caritativa: ma siate sempre riconoscibili, non mascherati da altro che da voi stessi: sempre sacerdoti prima di tutto. Ai laici il compito regale di animare le realtà terrene, cosa in cui essi e solo essi eccellono. Ai sacerdoti il compito di animare e formare per queste realtà santi laici e di essere sempre per loro visibili e riconoscibili richiami al Cristo stesso].

Come Chiesa e come sacerdoti annunciamo Gesù di Nazaret Signore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincide con le attese più profonde del cuore umano. Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano. La missione ha qui il suo vero centro propulsore: in Gesù Cristo, appunto. La centralità di Cristo porta con sé la giusta valorizzazione del sacerdozio ministeriale, senza il quale non ci sarebbe né l’Eucaristia, né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa. In tal senso è necessario vigilare affinché le “nuove strutture” od organizzazioni pastorali non siano pensate per un tempo nel quale si dovrebbe “fare a meno” del ministero ordinato, partendo da un’erronea interpretazione della giusta promozione dei laici, perché in tal caso si porrebbero i presupposti per l’ulteriore diluizione del sacerdozio ministeriale e le eventuali presunte “soluzioni” verrebbero drammaticamente a coincidere con le reali cause delle problematiche contemporanee legate al ministero. [La botta finale: Nessuno si illuda o pensi che un domani si possa organizzare la Chiesa senza la figura ministeriale del prete, o riducendolo a "consacratore di ostie". No, il prete rimane figura di Cristo capo della Chiesa, deve predicare, celebrare e annunciare il Vangelo. Il ministero di un sacerdote non può essere supplito se non da un altro sacerdote. Senza che questo sia una dimuzione del laico. Anzi, la vera promozione è la complementarietà tra laici e chierici; il servizio insostituibile dei sacerdoti a tutti i fedeli non è potere, ma appunto ineliminabile ministero.]

Sono certo che in questi giorni il lavoro dell’Assemblea plenaria, sotto il protezione della Mater Ecclesiae, potrà approfondire questi brevi spunti che mi permetto di sottoporre all’attenzione dei Signori Cardinali e degli Arcivescovi e Vescovi, invocando su tutti la copiosa abbondanza dei doni celesti, in pegno dei quali imparto a voi e alle persone a voi care una speciale, affettuosa Benedizione Apostolica.

Filed under: Benedetto XVI

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.