LA PASTORALE DELLA SALUTE NELLA REALTA’ ITALIANA

LA PASTORALE DELLA SALUTE

NELLA REALTA’ ITALIANA

 

  

Novembre 2005

 

1. Una coincidenza provvidenziale
Questo Convegno Internazionale Camilliano è stato organizzato provvidenzialmente negli stessi giorni in cui si sta svolgendo la 55a Assemblea Generale della CEI ad Assisi (14-18 novembre 2005), durante la quale i vescovi stanno affrontando in modo particolare i temi della formazione al ministero presbiterale e quelli della pastorale nel mondo della sanità.

Secondo il comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza
Episcopale Italiana, riunito a Roma dal 19 al 22 settembre u. s., “il secondo tema
impegnerà i vescovi nella riflessione su ‘La Chiesa e il mondo della salute: nuovi scenari
e comunicazione del Vangelo’. Sarà occasione per approfondire le numerose
problematiche che emergono oggi nel campo della sanità, in considerazione dei
cambiamenti socio-culturali e dei progressi scientifici e tecnologici, e per ribadire
l’impegno della Chiesa, all’interno di una precisa prospettiva educativa ed etica,
nell’ottica della prevenzione e della promozione della salute integrale della persona.
Sarà anche l’occasione per avviare un rilancio della pastorale della salute nel contesto
della pastorale ordinaria e per manifestare vicinanza e sostegno agli operatori e alle
tante istituzioni sanitarie cattoliche che operano in questo campo”1.
E’ la prima volta nella storia della Chiesa italiana che l’intero episcopato affronta il
tema della pastorale della salute, dedicandole una giornata intera di studio. Tale
avvenimento può essere considerato un grande dono dello Spirito, un punto di arrivo di
un lungo e lento cammino iniziato oltre quarant’anni or sono, con la nascita dell’Ufficio
nazionale per l’assistenza spirituale ospedaliera nel 1962, affiancato da una
Commissione episcopale ed in seguito da una Consulta nazionale2.


1 AVVENIRE, Comunicato – Il testo finale sui lavori del Consiglio permanente CEI: “In ascolto della verità di Cristo
per capire il nostro tempo”, mercoledì 28 settembre 2005, p.15 ( I Documenti).
2 Cfr SANTORO G., La Consulta della CEI per la pastorale della sanità, in Insieme per servire, Rivista
dell’Associazione Nazionale Cappellani e Religiosi Ospedalieri (ANCRO), anno 2, 5, n. 2 – settembre 1988, pp. 10-13;
GHILARDI G., La Consulta nazionale per la pastorale della Sanità, in Insieme per servire, Rivista dell’Associazione
Italiana di Pastorale Sanitaria (AIPAS, già ANCRO), 27, anno X n. 1 – gennaio – marzo 1996, pp. 55-62 .
2
2. Non una riflessione teologica, ma una testimonianza di vita
Di questo cammino ho avuto la grazia speciale di essere soggetto attivo come
assistente spirituale e religioso in una struttura sanitaria pubblica di una grande città
del Sud. Inoltre la grazia divina ha “sovrabbondato in me”, perché mi ha fatto
incontrare religiosi carismatici della Famiglia Camilliana che mi hanno arricchito
spiritualmente e mi hanno permesso di aprirmi ai nuovi orizzonti della pastorale
sanitaria.
Il mio intervento, che ha la finalità di presentare un quadro panoramico della
pastorale della salute oggi in Italia, si qualificherà non tanto come analisi e riflessione
teologica dello studioso quanto come testimonianza appassionata di un pastore che è
stato provocato da molteplici fattori alla conversione interiore personale e al
cambiamento radicale del servizio pastorale nella metodologia e nei contenuti3. Infatti
da trent’anni io lavoro nella vigna del Signore non come operaio specializzato, ma
semplicemente come un manovale che attraverso l’esperienza sul campo e lo studio
informale si sforza di coniugare contemporaneamente sia l’una che l’altro.
Questi i punti salienti che svilupperò:
• le fonti ispirative del cammino della Chiesa italiana nella pastorale sanitaria,
• le vie d’incarnazione della rinnovata pastorale della salute,
• le lentezze ed i ritardi che generano preoccupazione,
• gli orizzonti di speranza del prossimo futuro.

3. Le fonti ispirative

 
Il cammino della Chiesa italiana nelle ultime quattro decadi, anche nel campo della
pastorale della salute, è stato segnato in modo determinante dalla forza propulsiva del
Concilio Vaticano II e dall’azione pastorale di Giovanni Paolo II nel lungo periodo del
suo pontificato. Questi due fattori costituiscono i punti di riferimento essenziali per una
giusta valutazione e comprensione di quanto avvenuto nel cambiamento della vita
3 DI TARANTO L. N., La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, Camilliane, Torino 2002, pp. 73-91. Comunque
non mancano analisi teologiche su questo ambito: cfr BRUSCO A., La pastorale sanitaria nell’attuale contesto
sociale, in AA. VV., Progettualità ecclesiale nel mondo della salute, Atti del 3° Convegno della Consulta Nazionale
della Pastorale della Sanità della C.E.I., 23-25 aprile 1995 (a cura di Mons. Italo Monticelli), Salcom, Brezzo di Bedero,
1995, pp. 17-46; SANDRIN L., La pastorale sanitaria in Italia: analisi e prospettive, in Insieme per servire, o.c., 27 –
anno X – n. 1 – gennaio marzo 1996, pp. 38 – 53.
3
cristiana e nell’evoluzione della pastorale in genere e della pastorale sanitaria in
particolare.

3.1 – L’evento del Concilio Vaticano II, “novella Pentecoste”
La grande assise ecclesiale, voluta da Giovanni XXIII perché si potessero rinnovare
“nella nostra epoca i prodigi come di una novella pentecoste”4, non ha affrontato in
modo sistematico e con un documento specifico le problematiche connesse con la salute
e la malattia, ma non ha dimenticato sia i malati che le problematiche della salute -
salvezza.
In diversi documenti approvati essa ha fatto riferimento al dovere di tutta la
comunità cristiana di preoccuparsi dei malati. La Nota CEI ha così sintetizzato i
contributi dei documenti conciliari riguardanti l’attenzione amorevole verso i malati:
“Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole verso i
malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti. Il concilio Vaticano
II raccomanda ai vescovi di circondare «di una carità paterna gli ammalati» (CD 30); ai
sacerdoti di avere «cura dei malati e dei moribondi, visitandoli e confortandoli nel
Signore» (PO 6); ai religiosi di esercitare «al massimo grado» il ministero della
riconciliazione in loro favore e di mantenere la fedeltà al carisma della misericordia
verso gli ammalati (cf PC 10); ai laici di praticare «la misericordia verso i poveri e gli
infermi», ricordando che la «carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con
premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto» (AA 8)”5.
Ma il Concilio Vaticano II ha posto soprattutto preziosi semi a livello teologico nella
Lumen Gentium con la proposizione di una ecclesiologia di comunione e di
corresponsabilità che negli anni postconciliari ha portato a positive conseguenze e a
frutti concreti. A modo di esempio è sufficiente ricordare i paragrafi riguardanti la
Chiesa come mistero (nn.1-8); il popolo di Dio: sacerdozio comune, carismi e unità
(nn.9-13); i laici nella Chiesa (nn.30-38); la vocazione universale alla santità nella
Chiesa (nn.39-42).
A livello pastorale poi con la Gaudium et spes lo stesso Concilio ha fatto la scelta di
solidarietà profonda col mondo in un rapporto di reciproco arricchimento. Il notissimo
incipit sinfonico della costituzione pastorale “Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce…” può essere letto non solo nell’ottica generale di una comunità cristiana che
4 ENCHIRIDION VATICANUM, EDB, Bologna (edizione 16a: novembre 1997), 1 , 23*
5 CONSULTA NAZIONALE CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, La pastorale della salute nella chiesa
italiana, 30 marzo 1989, Paoline, Milano 1989, Magistero 144, n.23.
4
vuole vivere i valori dell’incarnazione di Cristo con tutto l’uomo e tutti gli uomini, ma
anche nell’orizzonte specifico di un impegno di essere “buona samaritana” di una
umanità segnata dalla sofferenza, dalle malattie e da angoscianti interrogativi, ma
redenta dal Cristo, l’uomo nuovo, che con la sua risurrezione ha indicato ed inaugurato
“la terra nuova e il cielo nuovo” (nn. 11.18.22.39).
Tra i messaggi finali dei padri conciliari all’umanità, quello “Ai poveri, ai malati, a
tutti quelli che soffrono” può essere considerato quasi un programma ed una consegna
a tutti i battezzati: “Sappiate che voi non siete soli, né separati, né abbandonati, né
inutili: voi siete chiamati da Cristo, la sua vivente e trasparente immagine. In suo nome,
il concilio vi saluta con amore, vi assicura l’amicizia e l’assistenza della Chiesa e vi
benedice”6.
3.2 – Il notevole contributo di Giovanni Paolo II
Di quanto il compianto papa ha lasciato ai malati e ai sofferenti, agli operatori
pastorali e sanitari, alla Chiesa intera, possiamo individuare tre vie significative: la via
delle “parole” intesa come documenti magisteriali di varia natura, la via delle “opere”
comprendente la costituzione di organismi giuridici insieme ad iniziative pastorali, la
via della “testimonianza di vita” attraverso la salute e la malattia.
a) L’insegnamento – Vasto si presenta l’orizzonte degli interventi magisteriali di
Giovanni Paolo II riguardanti gli incontri con i malati nelle numerosissime occasioni
della sua azione pastorale: qualche rivista da anni ha una rubrica apposita dove riporta
tutto quello che il papa ha detto negli incontri pubblici con i malati e i sofferenti7. Non
mancano i discorsi pronunciati in occasione di convegni medico-scientifici e pastorali o
su problematiche di specifiche aree sanitarie ed etiche.
In questa sede ci interessa ricordare in modo particolare la lettera apostolica sul
significato cristiano della sofferenza umana (Salvifici doloris, 1984), l’esortazione
apostolica postsinodale sulla “vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo”
(Christifideles laici, 1988), la lettera enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita
umana (Evangelium vitae,1995). Questi tre documenti possono essere considerati
altrettante tappe del cammino del rinnovamento della pastorale della salute.
6 ENCHIRIDION VATICANUM, o.c., 524*.
7 Per esempio L’Ancora nell’Unità di Salute, rivista bimestrale a cura del Centro psicopedagogico etico spirituale dei Silenziosi Operai della Croce, Roma.
5
b) Gli organismi e le iniziative pastorali – Nel suo lungo pontificato Giovanni
Paolo II ha offerto alla Chiesa anche le fondamenta solide e gli strumenti efficaci di un
rinnovato slancio della pastorale della salute attraverso organismi e iniziative pastorali.
Già un anno dopo la Salvifici doloris istituiva col “motu proprio” Dolentium hominum
(11 febbraio 1985)8 quello che oggi ha assunto il nome di Pontificio Consiglio per la
pastorale della salute9.
Non va dimenticata la proposta della celebrazione annuale della Giornata mondiale
del malato, richiesta dal Presidente del Pontificio Consiglio e accettata da Giovanni
Paolo II, con una lettera del 13 maggio 1992. Né va sottaciuta la visibilità che il papa ha
dato ai malati nelle occasioni di particolare significatività della Chiesa, come il grande
Giubileo della Redenzione celebrato nel Duemila con liturgie particolari o gli imput che
egli ha dato alla pastorale sanitaria vista in orizzonti a cerchi concentrici sempre più
estesi, come per esempio in Vita Consecrata, Ecclesia in Europa, Pastores gregis.
c) La testimonianza di vita – Leggendo la vita di Giovanni Paolo II tutti sono
concordi nell’affermare che egli ha guidato la Chiesa per oltre un quarto di secolo non
solo con la sua parola, ma anche e soprattutto con la sua vita, con gesti particolarmente
eloquenti e con iniziative originali che hanno sorpreso l’intera umanità.
Il suo contributo al rinnovamento della pastorale della salute è stato importante
anche con la sua salute e la sua malattia. Possiamo veramente affermare che egli nella
prima parte del suo pontificato ha evangelizzato la salute con la sua “giovane” età,
mentre nella seconda parte ha parlato attraverso la sofferenza e la morte.
Sorge spontanea una proposta: non si potrebbe avviare nelle sedi formative più
opportune una seria ricerca teologica sull’influenza avuta da parte del Concilio
Ecumenico Vaticano II e del papa Giovanni Paolo II nello sviluppo e nella promozione
della pastorale della salute? Sembra che manchino studi a tale riguardo e sono sicuro
che i risultati che ne deriverebbero sarebbero certamente sorprendenti.
8 Questo organismo prima era stato denominato “Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari”, era
collegata col Pontificio Consiglio per i Laici e si prevedeva un Pro-presidente ed un Segretario. Dopo alcuni anni essa
diveniva “Pontificio Consiglio” col motu proprio “Pastor Bonus” del 1988.
9 Questo Pontificio Consiglio per la pastorale della salute ha prodotto i seguenti documenti:

I laici nel mondo della sofferenza e della salute (1987),

 I religiosi nel mondo della sofferenza e della salute (15 settembre 1987),

Formazione sacerdotale e pastorale sanitaria (1990).

Inoltre sin dalla sua nascita si è fatto promotore di una conferenza internazionale su temi che interessano il mondo della sanità e della pastorale della salute. I relativi Atti si trovano sulla rivista quadrimestrale che porta lo stesso nome del Pontificio Consiglio. Non possiamo dimenticare anche la pubblicazione della Carta degli operatori sanitari (1995), in cui sono raccolti i documenti del magistero della Chiesa per le problematiche che riguardano il mondo della salute e della Sanità.
6
4. Le vie d’incarnazione
Chi guarda all’evoluzione avvenuto nel campo della pastorale della salute nella
nostra nazione non può non notare il grande cambiamento che ne è derivato grazie ad
una vasta serie di interventi, che possiamo distinguere in quattro grandi aree.

 

4.1 – Magistero
Nell’ambito magisteriale la Chiesa italiana ha prodotto un serie di interventi che
stanno a significare l’attenzione concreta dei nostri pastori verso i malati e il tema della
salute – salvezza. Possiamo distinguerne due tipologie: quelli di documenti totalmente
dedicati a specifiche tematiche di pastorale della salute e quelli di paragrafi specifici di
altri documenti di interesse generale o programmatico.
Nella prima tipologia possiamo inserire: Evangelizzazione e sacramenti della
Penitenza e dell’Unzione dei malati (1973), Sacramento dell’unzione e cura pastorale
degli infermi (1975), La pastorale della salute nella chiesa italiana (1989), Problemi e
prospettive pastorali degli anziani non autosufficienti (1989), Indicazioni pastorali su
I malati mentali (1989), Evangelizzazione e cultura della vita umana (1989), Nota sui
risvolti pastorali del problema delle tossicodipendenze (1990), Riflessioni pastorali
sulle condizioni di vita dei portatori di handicap (1991), Le istituzioni sanitarie
cattoliche in Italia – Identità e ruolo (2000), Un dolore disabitato – Sofferenza
mentale e comunità cristiana (2003).
Nella seconda tipologia possiamo inserire gli Orientamenti pastorali degli ultimi due
decenni: Evangelizzazione e testimonianza della carità, 8 dicembre 1990, nn.39.47.48;
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 29 giugno 2001, nn.61.62; la Nota
pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio
2004, dove sono indicati alcuni spazi concreti per vivere la pastorale della salute nel
territorio. Né possiamo dimenticare gli interventi dei singoli vescovi o degli organismi
pastorali delle chiese locali10 ed i messaggi della Consulta o dell’Ufficio nazionale per la
pastorale della Sanità in occasione della Giornata del malato11.
10 Cfr BIFFI G., I malati nella comunità ecclesiale – Nota pastorale, EDB, Bologna 1987; MAGRASSI M., Diamo vita
alla vita – La realtà sanitaria in terra di Bari, messaggio pasquale 1991; PATRIARCATO DI VENEZIA,
COMMISSIONE DIOCESANA PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, Va’ e anche tu fa’ lo stesso . La pastorale
della salute nella comunità, Edizioni CID del Patriarcato di Venezia, 11 febbraio 1997; ARCIDIOCESI DI BARIBITONTO,
UFFICIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Siate sempre lieti il Giorno di Domenica – Lettera
degli operatori pastorali delle Cappellanie ospedaliere alle comunità cristiane, Proposte pastorali, Ecumenica Editrice,
Bari, settembre 2004.
11 Fino all’anno corrente 2005 sono state celebrate 13 Giornate Mondiali del Malato.
7
Da questa variegata realtà nasce una seconda proposta: non sarebbe opportuno
raccogliere tutti questi documenti in un Enchiridion della pastorale della salute, ove si
potrebbero inserire sia gli interventi magisteriali di Giovanni Paolo II che quelli della
Chiesa italiana? In altri ambiti pastorali questo è stato già realizzato, come quelli
dell’Ecumenismo e quelli della famiglia.

4.2 – Organismi di animazione e di comunione
Un ambito pastorale è fiorente ed efficace, radicato nel territorio e nella vita delle
comunità ecclesiali, se si dota di specifici organismi di animazione e di comunione:
negli ultimi trent’anni la pastorale della salute gradualmente si è dotata di un
organigramma, che abbraccia l’intera vita della Chiesa a vari livelli.
E’ doveroso ricordare anzitutto la nascita, lo sviluppo e la riorganizzazione
realizzatisi nel corso dei decenni della Consulta nazionale per la pastorale della Sanità:
è stata lei la prima artefice di animazione alle problematiche del mondo sanitario. Il
frutto più bello e più maturo è stato la pubblicazione della Nota La pastorale della
salute nella chiesa italiana nel 1989: è un documento armonico, completo, semplice,
propositivo in cui si approfondisce il discorso di questa pastorale presentandone il
fondamento cristologico, la definizione e gli obiettivi, i soggetti e le strutture12. Essa
rimane attuale ancora oggi.

La stessa Consulta si è fatta promotrice di tre convegni nazionali nel 1980, 1981,
1995: i relativi Atti13 costituiscono uno specchio della realtà nazionale di quegli anni ed
un patrimonio culturale prezioso di un cammino fatto, che ha avuto il merito di
affrettare la nascita dell’Ufficio nazionale per la pastorale della Sanità da parte della CEI
nel 199614.
L’impegno di questo organismo nazionale ha fatto maturare la diffusione della
nascita e delle attività degli Uffici e delle Consulte a livello regionale e

diocesano: esse si
sono sviluppate a macchia di leopardo, secondo ritmi diversi dipendenti dalla
12 E’ giusto riconoscere il merito ai Ministri degli Infermi, che sono stati gli unici a preparare tempestivamente un
commento qualificato della Nota: cfr BRUSCO A. (A cura di), Curate gli infermi- La pastorale della salute nella
chiesa italiana, Camilliane, Torino 1990.
13 Cfr AA. VV., Chiesa e riforma sanitaria – Atti del 1° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale sanitaria
della CEI, 24-26 ottobre 1980, a cura di P. Giuseppe Santoro, o.p., Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1981; AA:VV., La
pastorale della salute nel territorio, Atti del 2° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale sanitaria della CEI,
ottobre 1981, a cura di P. Giuseppe Santoro, o.p., Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1982; AA. VV., Progettualità
ecclesiale nel mondo della salute – Atti del 3° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale della Sanità della
CEI, 23-25 aprile 1995, a cura di mons. Italo Monticelli, Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1995
14 Cfr DI TARANTO L. N., L’Ufficio nazionale per la pastorale della Sanità: identità e compiti, in IDEM, La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, o.c., pp. 11-19.
8
sollecitudine dei pastori delle Chiese locali e delle Conferenze episcopali regionali. A
tutt’oggi, nel 2005, ci sono Uffici e Consulte che vivono e sono attivi da oltre vent’anni,
altri che stentano ad avviarsi concretamente pur essendo stati costituiti, altri ancora che
non sono ancora nati. Comunque possiamo affermare che nelle realtà diocesane gli
Uffici per la pastorale della salute per la maggior parte hanno assunto una loro
fisionomia, preparano programmi annuali dei loro servizi, sono inseriti a tutti gli effetti
nella vita delle Chiese locali. Il convegno annuale organizzato dall’Ufficio nazionale ha il
grande merito di riunire tutti i direttori degli Uffici diocesani per la riflessione, il
confronto e l’aggiornamento.
In questa area posso portare la mia testimonianza avendo avuto la grazia di
ricevere il mandato di far nascere l’Ufficio per la pastorale della salute nell’arcidiocesi di
Bari/Bitonto nell’anno pastorale 1985/86: è stata una esperienza pionieristica, perché
non avendo modelli di riferimento il cammino è stato “inventato” e sperimentato con la
creatività dello Spirito. Tutto è stato realizzato su due binari: quello del coinvolgimento
delle persone e delle associazioni impegnate nel campo dei malati e della sanità e quello
della politica dei piccoli passi. Tre sono state le scelte che hanno accompagnato questo
lungo periodo di vent’anni: la costituzione e l’attività della Consulta, la preoccupazione
costante della formazione, il camminare insieme alla Chiesa locale e agli organismi
regionali e nazionali.
Noi religiosi, quando siamo chiamati a responsabilità di guida di organismi
diocesani, dobbiamo renderci disponibili, perché può essere un dono e una chiamata
dello Spirito, che ci permettono di arricchirci della vita e del cammino della Chiesa
locale ma ci danno anche l’opportunità di offrire la nostra esperienza qualificata e il
nostro contributo alla crescita della pastorale della salute.
4.3 – Cultura e formazione
Anche nel campo culturale e formativo la Chiesa italiana ha compiuto un notevole
avanzamento nella riflessione sulla pastorale della salute. La nascita dei centri formativi
manifestano con chiarezza l’attenzione concreta della comunità ecclesiale verso un
ambito pastorale in significativa espansione.
Per primo è sorto a Roma nel 1987 l’Istituto internazionale di teologia pastorale
sanitaria “Camillianum”, incorporato alla Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum
come corso di specializzazione, con facoltà di conferire i gradi accademici. La
preparazione del sacerdote e dell’operatore pastorale diventa la premessa essenziale per
9
un lavoro apostolico fecondo: la presenza efficace della comunità cristiana nel mondo
della sanità oggi dipende moltissimo anche dalle persone qualitativamente formate e
dagli interventi qualificati. “Il Camillianum oggi è un centro di ricerca, di formazione
teologica e prassi pastorale attuati con l’approfondimento specifico delle tematiche
della salute e della sofferenza dell’uomo nei suoi diversi aspetti, biblici, teologici,
pastorali, spirituali, etici, psicologici, sociologici e storici… è uno strumento efficace
nella preparazione di operatori sanitari; ci prepara ad entrare in un vero dialogo con il
mondo scientifico della salute”15.

Ma non dobbiamo dimenticare l’istituzione del primo Centro di bioetica presso
l’Università del Sacro Cuore “A. Gemelli” a Roma, avvenuta qualche anno prima nel
1985. Gradualmente sonno sorti in alcune diocesi i Centri di pastorale della salute e le
Scuole di pastorale sanitaria16. Di conseguenza la teologia pastorale sanitaria ha
cominciato a compiere i primi passi attraverso la docenza dei professori, la
pubblicazione delle riflessioni maturate, le iniziative di confronto e di dibattito, le
riviste specializzate, la preparazione del primo manuale di teologia pastorale sanitaria17.
A tale proposito è bene ricordare che la relazione tra teologia e cura pastorale della
salute non è occasionale né estrinseca, come afferma un grande teologo: “Senza
teologia la diaconia si appiattisce e si riduce alla dimensione di un qualsiasi intervento
sociale condotto da gruppi impegnati e da singoli esperti; perde cioè la certezza della
propria origine e prospettiva, e diviene dipendente dalle concezioni antropologiche del
momento. Senza la diaconia la teologia si priva della testimonianza vivente della
trasmissione coerente dell’amore di Dio al mondo per mezzo della comunità”18.
La letteratura di settore nel corso di questi decenni si è ampliata: fra i numerosi
lavori editoriali, è bene ricordare il Dizionario di teologia pastorale sanitaria, cui
hanno partecipato i maggiori esperti del settore, e l’impegno delle Edizioni Camilliane
15 MONKS F., San Camillo – Gigante della Carità, relazione tenuta dal P. Generale al “Meeting” di Rimini, agosto
2005: “la libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini”, in CAMILLIANI CAMILLIANS, 3/2005, n.
161 – XIX, p. 253 – 259.
16 Il primo in assoluto è stato senz’altro il Centro Camilliano di pastorale, sorto a Verona nel 1983, grazie al carisma dei
Ministri degli infermi e all’esperienza pastorale accumulata nel mondo nordamericano che ha permesso loro di proporre
a livello nazionale i Corsi di Educazione Pastorale Clinica (EPC). Sono sorti in seguito nelle diocesi le Scuole di
pastorale sanitaria, tra le quali anche quella dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto (1996).
17 E’ bene ricordare la pubblicazione del primo manuale di teologia pastorale sanitaria: BRUSCO A. – PINTOR S., Sulle orme di Cristo medico – Manuale di teologia pastorale sanitaria, EDB Bologna 1999.
18 MOLTMANN J., Diaconia. Il servizio cristiano nella prospettiva del Regno di Dio, Claudiana Editrice, Torino 1986,
p.11, citato da LANZA S., Indicazioni pastorali – Criteri per l’agire, p. 85, in CINA’ G. (A cura di), Il dolore tra resistenza e resa, Camilliane, Torino 2004.
10
di Torino19. Anche le grandi Case editrici hanno inserito tra i loro interessi lavori
riguardanti il mondo della salute e della sofferenza.

Dinanzi a questo ampliamento di orizzonti un pastoralista ha affermato: “Mai come
oggi la pastorale sanitaria aveva acquistato una rilevanza e un interesse così generali.
Da esercizio di carità accanto al letto dell’ammalato, essa ha ampliato i suoi orizzonti ai
problemi dell’etica medica, a quelli dell’ambiente, della qualità di vita,
dell’organizzazione del servizio sanitario”20.
Nuove tematiche o aree di interesse pastorale sono state evidenziate in questi anni:
l’ipotesi della “Chiesa comunità sanante”, la necessità della collaborazione degli
operatori della salute riuniti nell’icona del “mosaico terapeutico” o “alleanza
terapeutica”, la strada della riflessione sulla “rilevanza” della pastorale della salute o del
contributo alle èquipe delle Cure palliative, l’importanza del discorso della Relazione di
aiuto nelle professioni sanitarie, il contributo della donna alla pastorale della salute, gli
interrogativi e le risposte della Bioetica, l’elaborazione del lutto, l’attenzione
all’enneagramma.
4.4 – Area pastorale
Anche nell’area dell’esperienza pastorale la Chiesa italiana è stata protagonista di
visibili passi in avanti: lentamente crescono i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le
religiose, i laici che assicurano un pregevole servizio di evangelizzazione e di
umanizzazione nelle strutture sanitarie.
Prima di tutto si va delineando l’identità dell’assistente spirituale e religioso (o
cappellano), con i requisiti necessari ed i numerosi ruoli che è chiamato a svolgere: la
Nota CEI del 1989 ha offerto un piccolo ma prezioso contributo nei nn. 38-41. Sono
seguiti anche utili pubblicazioni agli inizi degli anni novanta che hanno messo a fuoco
sia la sua figura pastorale e le funzioni, che i mezzi per superare i disagi della sua
situazione quali l’emarginazione e la frustrazione21. Sono aumentate le opportunità
formative per un ministero svolto con professionalità.
A supporto di queste affermazioni posso portare la testimonianza personale di un
cammino umano e spirituale trentennale, che mi ha visto passare da una azione
19 Attualmente questa Casa editrice può essere orgogliosa di un catalogo corposo con interessanti pubblicazioni.
20 LANZA S., Indicazioni pastorali – Criteri per l’agire, p. 86, in CINA’ G. (A cura di), Il dolore tra resistenza e resa,
Camilliane, Torino 2004.
21 Cfr BRUSCO A. – SANDRIN L., Il Cappellano d’ospedale. Disagi e nuove opportunità, Camilliane, Torino 1993;
MARINELLI S., Il Cappellano ospedaliero. Identità e funzioni, Camilliane, Torino 1993. A questi è utile aggiungere il
libro di CASERA D., L’assistente religioso nel mondo della sanità, Camilliane, Torino 1991.
11
pastorale basata semplicemente sulla buona volontà, sostenuta dalle risorse
psicologiche e caratteriali ad un impegno fondato su motivazioni teologiche e spirituali
e sulla formazione specifica, sia pure non accademica22.
Un’altra risorsa ha contributo a rinnovare la pastorale della salute negli ospedali: la
proposta dei due organismi di comunione e di partecipazione, che sono il Consiglio
pastorale e la Cappellania. Pur tra ritardi e difficoltà, la loro sperimentazione trasforma
in modo positivo il servizio pastorale nella metodologia di programmazione e di
progettualità, nella ricchezza dei contributi derivanti dalla varietà dei soggetti pastorali,
nelle risposte ai moltiplicati bisogni del malato e del mondo sanitario. Ambedue gli
organismi offrono la possibilità di tracciare nuovi sentieri di presenza e di azione nel
mondo della sofferenza e di sperimentare la ricchezza delle nuove figure pastorali quali
quella del diacono, della religiosa, dei laici e delle donne col loro specifico carisma23.
Della Cappellania ospedaliera potrei dare una testimonianza diretta, giacché da 8 anni
sono il coordinatore di quella del Policlinico di Bari. Aggiungo soltanto che
recentemente ho individuato otto elementi che possono caratterizzare una Cappellania
ospedaliera, intesa come una comunità dell’impegno stabile, della comunione fraterna,
della formazione permanente, della programmazione e della progettualità, della
umanizzazione e della evangelizzazione, della ricerca e della creatività, della costruzione
dei ponti24.

 
Non va sottaciuto anche il “fenomeno” positivo del ministero straordinario della
Santa Comunione, che ha trovato un ampio radicamento nelle comunità parrocchiali.
Certo è necessario assicurare loro una solida formazione di base e permanente, perché
non si riducano a semplici distributori del SS. Sacramento, ma siano capaci di
rispondere ai bisogni dei malati e dei loro familiari, oltre che essere promotori di salute,
nel territorio. Si inizia pertanto a ipotizzare l’istituzione di un nuovo ministero, quello
della Consolazione, che permetterà agli operatori pastorali sanitari di crescere nella
propria identità in seno alla comunità cristiana e di svolgere servizi consoni al mandato
ricevuto, secondo le indicazioni del papa Giovanni Paolo II e dei nostri vescovi25.
22 Cfr DI TARANTO N. L., La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, o.c., pp. 73-91.
23 Cfr DI TARANTO N. L., La Cappellania ospedaliera mista – Una novità ecclesiale nelle istituzioni sanitarie,
Camilliane, Torino 1999.
24 Cfr DI TARANTO N. L., La cappellania ospedaliera – modello di collaborazione tra cappellani e volontari
pastorali (testo policopiato del novembre 2005).
25 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio Ineunte; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario
delle parrocchie in un mondo che cambia, Nota pastorale, Roma, 30 maggio 2004, Paoline, Milano 2004, n.12, pag.55.
12
Merita almeno un cenno l’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria (A.I.Pa.S.),
nata a metà degli anni ottanta (precisamente il 13 novembre 1986), grazie alla
collaborazione di quattro Famiglie Religiose impegnate nell’ambito ospedaliero: i
Fatebenefratelli, i Ministri degli Infermi (meglio conosciuti come Camilliani), i Frati
Minori e i Frati Minori Cappuccini. Partita come Associazione Nazionale Cappellani e
Religiosi Ospedalieri (A.N.C.R.O.), nel corso degli anni si è aperta a tutte le componenti
del popolo di Dio ed ha offerto e continua ad offrire un prezioso servizio di animazione
e di formazione attraverso i convegni annuali, la propria rivista “Insieme per servire” e,
recentemente, l’impegno di coordinamento nazionale per aree pastorali.

5. Le lentezze ed i ritardi che generano preoccupazione
Nonostante l’evidente cammino percorso dalla Chiesa italiana nel periodo postconciliare, come abbiamo tentato di fare a volo di uccello, possiamo affermare che la situazione della pastorale della salute a livello nazionale non è affatto rosea, anzi è costellata da molte ombre. Diversi fattori sono espressione di lentezze e di ritardi in questo settore.
Si avverte ancora una evidente resistenza ad affrontare le problematiche della pastorale della salute da parte dei vescovi.

Come ebbe ad affermare L. Sandrin, dieci anni or sono: “La Chiesa italiana è una Chiesa ancora giovane, con tutti i pro e i contro di questa situazione: una Chiesa che preferisce il Cantico dei Cantici al libro di Giobbe, una Chiesa che non accetta in pieno la dimensione notturna della vita, parti meno piacevoli della propria esperienza di vita, e non esprime quindi, ancora, la piena saggezza della maturità”26. La giornata di studio dell’intera CEI riservata ai problemi del mondo sanitario sarà un segnale di inversione di tendenza ed un segno di inizio di maturità?

Non mancano giovani sacerdoti che vengono destinati dai superiori al servizio nella
pastorale della salute o che scelgono di impegnarsi nella pastorale sanitaria, ma la
stragrande maggioranza dei cappellani ospedalieri hanno una età media molto elevata.
Già nel 1990 i dati di un’inchiesta nazionale erano preoccupanti; presumibilmente oggi
la situazione dovrebbe essere peggiorata27!
26 SANDRIN L., La pastorale sanitaria in Italia: analisi e prospettive, in Insieme per servire, o.c., 27 – anno X – n. 1 –
gennaio marzo 1996, pp. 38 – 53.
27Cfr FASANELLA G., SGRECCIA E., Indagine sui cappellani ospedalieri, in <Medicina e Morale>, 5 (1991), p.
864.
13
Un altro segno preoccupante è il ritiro lento ma progressivo dei religiosi e delle
religiose dagli ospedali, dovuto senz’altro al calo del numero delle vocazioni. Però non
riesco a comprendere come alcuni ordini religiosi, come quello dei Frati Minori
Cappuccini, preferisce conservare il ministero pastorale della responsabilità delle
comunità parrocchiali e abbandonare le presenze pastorali tradizionalmente più
consone al carisma francescano. Evidentemente ci sono alla base altre e più complesse
ragioni che andrebbero analizzate più a fondo.
Poco conosciuto nella comunità cristiana risulta il nuovo volto della pastorale della
salute con gli svariati ambiti in cui essa può essere incarnata. I cappellani ospedalieri
non riescono a scrollarsi di dosso una patina di vecchiume e di vecchiaia: ai sacerdoti
giovani in genere non appare per nulla appetibile il ministero pastorale nel campo della
salute. Il Camillianum non registra un numero soddisfacente di alunni, provenienti
dalle diverse diocesi italiane.
Anche l’esperienza delle Cappellanie ospedaliere, nonostante le affermazioni di
principio nei documenti ecclesiali ed il plauso esplicito di Giovanni Paolo II, sta
trovando resistenza sia da parte dei vescovi che da parte degli stessi cappellani: sarebbe
interessante conoscerne e analizzarne le cause. Eppure i frutti positivi sono evidenti nei
casi della loro attuazione. Si fa fatica infine a dare spazio alla presenza e all’azione della
donna nell’ambito della pastorale della salute: le esperienze pastorali in atto sono
incoraggianti, ma hanno bisogno di una riflessione teologica più sistematica e più
approfondita.
6. Gli orizzonti della speranza del prossimo futuro
Quali possono essere i possibili e nuovi sentieri della pastorale della salute per i
prossimi anni?
Al termine del convegno nazionale di Fiuggi nel 2001 il direttore dell’Ufficio CEI per
la pastorale della Sanità così sintetizzava le prospettive di una pastorale sanitaria
rinnovata e progettuale: “superamento di una pastorale di semplice conservazione, per
una pastorale missionaria e di evangelizzazione, che tenga conto del clima religioso
cambiato; una pastorale non isolata o episodica, ma integrata e centro evangelizzante
della pastorale ordinaria nelle nostre comunità; una pastorale più progettuale che
prenda coscienza e interpreti la realtà, individui esigenze, stabilisca mete e obiettivi,
passi da compiere e strategie, coordinamenti necessari; un piano diocesano di pastorale
14
sanitaria; un referente diocesano o delegato e un gruppo di riferimento, di animazione,
di coordinamento diocesano”28.
A me sembra che tra questi notevoli impegni le esigenze prioritarie per “una ripresa e
un rilancio” della pastorale della salute possano essere: a) la definizione dei requisiti
standard dei cappellani ospedalieri e la promozione concreta delle Cappellanie
ospedaliere; b) l’elaborazione di progetti di pastorale della salute nelle comunità
parrocchiali sia a livello di catechesi che a livello di liturgia e di carità; c) la promozione
della formazione di tutti gli operatori pastorali di pastorale sanitaria a vari livelli
(parroci, cappellani ospedalieri, volontari pastorali, ministri straordinari della Santa
Comunione, associazioni ecclesiali di e per i malati,…) e della riflessione teologica
accompagnata dalla ricerca scientifica.
7. Abbiamo bisogno di persone contempl-attive!
Narra un’antica leggenda che, durante la creazione del mondo, si avvicinarono a Dio
quattro angeli. Il primo chiese: “Come lo fai?” Il secondo: “Perché lo fai?” Il terzo: “Ti
posso aiutare?” Il quarto: “Quanto vale?” Il primo era uno scienziato; il secondo un
filosofo; il terzo un altruista e il quarto un agente immobiliare. Un quinto angelo stava a
guardare, colmo di meraviglia, e si mise ad applaudire estasiato. Costui era un
mistico29.
Oggi la pastorale sanitaria ha bisogno certamente di persone che abbiano intelletto,
ragione, generosità e risorse. Ma soprattutto ha bisogno di persone mistiche, che
sappiano contemplare con gratitudine la meraviglia della vita che è stata donata da Dio
e guardare con stupore l’Uomo della Croce, che ha saputo ricreare l’uomo, dando un
nuovo significato alla salute e alla malattia, alla gioia e alla sofferenza con la luce della
risurrezione. Queste persone possiamo anche chiamarle con un neologismo “contemplattive”,
coniato dal compianto vescovo don Tonino Bello, perché sanno coniugare
contemporaneamente l’azione e la contemplazione.
Roma, 15 novembre ’05
Leonardo N. DI TARANTO
28 PINTOR S., Come tradurre il Convegno nella vita delle notte Chiese, in CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
– UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, La Chiesa italiana nel mondo della salute –
Identità e percorsi, Atti del convegno nazionale, Fiuggi, 10-12 maggio 2001, Notiziario dell’Ufficio Nazionale per la
pastorale della Sanità, 1 novembre 2001, Quaderni della Segreteria Generale della CEI, anno V – n. 29, novembre 2001,
p. 133.
29 DE MELLO A., La preghiera della rana – Saggezza popolare dell’Oriente, volume II, Paoline, Milano 1990, pag. 17.

 

 

 

 

 

  
  
 
 
 
LA PASTORALE DELLA
 
SALUTE NELLA CHIESA ITALIANA

Consulta nazionale per la pastorale della sanità – Roma, 30/03/1989

 

 

INDICE

 

PRESENTAZIONE pag. 1

PREMESSA pag. 2

 

I. FONDAMENTO E MOTIVAZIONE

DELLA PASTORALE SANITARIA

Persona – salute &emdash; malattia pag. 3

Rilevanza della pastorale sanitaria pag. 4

La pastorale della sanità pag. 5

 

II. I SOGGETTI DELLA PASTORALE SANITARIA

La comunità cristiana pag. 7

L’ammalato pag. 7

La famiglia pag. 9

L’assistente religioso delle istituzioni sanitarie pag. 9

I religiosi pag. 10

Le associazioni professionali sanitarie cattoliche pag. 11

Le istituzioni sanitarie cattoliche pag. 12

Il volontariato sanitario pag. 13

 

III. LE STRUTTURE DELLA PASTORALE DELLA SANITÀ

La consulta nazionale pag. 14

La consulta regionale pag. 14

La consulta diocesana pag. 15

La cappellania ospedaliera pag. 15

CONCLUSIONE pag. 16  

 

PRESENTAZIONE  

1480

La consulta nazionale per la pastorale della sanità fin dai suoi primi incontri ha ritenuto opportuno stendere una nota con delle linee operative per un cammino. I contributi sono venuti dai suoi membri, anche tramite le consulte regionali. Dico grazie a quanti hanno collaborato in spirito di servizio. Due motivazioni sono state alla base degli orientamenti: ricordare all’intera Chiesa italiana la sua missione verso chi è nel dolore e dare umile testimonianza del valore della vita anche quando è provata dalla sofferenza.

Nella lettera sul dolore il Papa afferma che “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a fare del bene con la sofferenza e a fare del bene a chi soffre” (SD 30) (V9/683). E nel motu proprio Dolentium hominum (V9/1410-1418), con il quale istituisce la Commissione pontificia per la pastorale degli operatori sanitari – ora, in virtù della costituzione apostolica Pastor bonus, Pontificio consiglio – ricorda che la Chiesa, sull’esempio di Cristo, “nel corso dei secoli, ha fortemente avvertito il servizio ai malati come parte integrante della sua missione” (n. 1) (V9/1410). 

1481

Chiamata e mandata a servire l’uomo, la Chiesa lo incontra in modo particolare nella via del dolore, e questa è “una delle vie più importanti” (SD 3) (V9/622). Ma non solo per fare del bene, anche per riceverne! La sofferenza nasconde e svela una vocazione e una missione di amore, per quanto difficile e misteriosa: “completa la passione di Cristo” e partecipa della sua redenzione fino a condurre alla gioia (Col 1,24).

In questa luce la pastorale della Chiesa deve rinnovarsi e prendere nuovo slancio, perché va fatta “con e per i malati e i sofferenti”, riscoprendo con verità che il malato non va considerato “semplicemente come termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (CfL 54) (V11/1846). 

1482

Questa missione che la Chiesa ha sempre cercato di vivere pare ancor più urgente e significativa in questo nostro tempo nel quale la mentalità secolarizzata non valorizza la vita e ne ha come paura, avendone perduto il senso. Molto sembra dovuto al timore della malattia e della morte. Lo stesso progresso medico, scientifico e tecnico, staccato da una morale e da una sapienza, rischia di porsi contro l’uomo e il suo valore. Così anche le riforme sanitarie, che pur contengono aspetti positivi, hanno bisogno di una “umanizzazione” che metta al centro l’uomo, la sua integrità. Più la Chiesa annuncia e testimonia il Vangelo della sofferenza e della speranza e più favorisce la promozione umana, diventa servizio alla vita e collaborazione alla pace.  

1483

La nota, semplice e breve, intende essere un punto di riferimento per la pastorale della Chiesa: può diventare anche invito e richiamo a chiunque serve l’uomo nella stagione del dolore, perché mai venga meno il rispetto alla dignità umana. È anche proposta di collaborazione tra quanti hanno buona volontà, perché il dolore ha sempre la forza di sprigionare amore e unire le forze per difendere e sostenere la vita.

La consegna della nota alle comunità cristiane, ai malati, alle famiglie, a quanti per consacrazione, per professione, per volontariato e per solidarietà si dedicano al servizio della salute è atto di profonda fiducia e invito a rinnovata responsabilità e generosità.  

1484

È risposta all’impegno che la Chiesa si è più volte assunto in questi anni di mettere al centro i poveri: a Loreto in particolare, riscoprendosi Chiesa in comunione e missione, la nostra comunità ecclesiale ha fatto sua l’icona del buon samaritano nel “chinarsi sulle piaghe di questa umanità e nel far dono dell’eterna riconciliazione del Padre a tutti gli uomini, soprattutto ai più poveri, agli abbandonati, agli oppressi” (CdL 59) (C3/2703).

Un giorno va ricordato come giorno che testimonia questa solidarietà e illumina gli altri giorni della settimana: quello della domenica: l’incontro con Gesù nella Parola e nell’eucaristia non può staccarsi dalla testimonianza di carità verso l’uomo che attende: per accompagnarlo in Chiesa, se è possibile, per portargli la comunione, per visitarlo e renderlo partecipe della festa e della speranza…  

1485

È certo che dal mistero del dolore viene saggezza e amore: c’è da ravvivare questa convinzione e renderla operativa.

Accanto alla croce di Gesù la Chiesa ricorda e trova Maria che è madre di misericordia: accanto alle tante croci umane non possono mancare cuori che sanno essere materni per chiedere che coloro che soffrono diventino “sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità” (CfL 54) (V11/1846).  

Roma, 30 marzo 1989.

 

mons. Ugo Donato Bianchipresidente della Consulta nazionale per la pastorale della sanità.  

 

PREMESSA  

1486

1. Numerosi sono i motivi che consigliano di offrire alla comunità cristiana, agli operatori e alle istituzioni sanitarie cattoliche alcune considerazioni e orientamenti sulla pastorale nel mondo della sanità. I profondi cambiamenti avvenuti in questo settore della vita sociale, in cui si riflettono le speranze e le contraddizioni del mondo contemporaneo, sollecitano nuove risposte da parte della comunità ecclesiale per un servizio efficace agli uomini con i quali essa è intimamente solidale (cf. GS 1) (V1/1319).  

1487

2. È vero che la Chiesa non ha l’esclusiva dei problemi della salute; essa però è chiamata a offrire il suo specifico contributo perché le trasformazioni in atto nel mondo della sanità si risolvano in autentico progresso, nel rispetto della dignità dell’uomo “prima e fondamentale via della Chiesa” (RH 14) (V6/1209).

Alla comunità ecclesiale, infatti, spetta il compito d’impegnarsi affinché i valori della vita e della salute siano rispettati e orientati verso la salvezza e il momento della malattia e della morte possano ricevere oltre il sostegno della scienza e della solidarietà umana anche quello della grazia del Signore.  

1488

3. Se i problemi del mondo sanitario sono vasti e complessi, insufficienti si dimostrano risposte parziali e disarticolate. Come ha affermato il Santo Padre, “è necessario delineare un progetto unitario di pastorale della salute, disponendo l’intera comunità cristiana a tale tipo di apostolato” (OR 29.11.1981, p. 2).  

1489

4. Ancor dall’inizio di questa nota pastorale, desideriamo esprimere sincero apprezzamento a quanti operano nel mondo della sanità – siano essi sacerdoti, diaconi, religiosi o laici -, invitandoli a continuare con impegno nella loro opera, verso la quale il Signore ha mostrato una predilezione particolare e che sta tanto a cuore alla Chiesa.  

I. FONDAMENTO E MOTIVAZIONE

DELLA PASTORALE SANITARIA  

Persona – salute – malattia  

1490

5. Nel mondo sanitario italiano è in corso una profonda evoluzione, dovuta a fattori culturali e al progresso della scienza e tecnologia medica. Notevoli conquiste e forti squilibri caratterizzano questo periodo di trasformazioni.  

1491

6. Il concetto di salute ha acquistato nuove e importanti connotazioni. Non si rapporta, infatti, unicamente a fattori fisici e organici, ma coinvolge le dimensioni psichiche e spirituali della persona, estendendosi all’ambiente fisico, affettivo, sociale e morale in cui la persona vive e opera. Un rapporto profondo viene avvertito tra salute, qualità della vita e benessere dell’uomo.  

1492

7. In corrispondenza a quello di salute, anche il concetto di malattia è cambiato. Non più configurabile come semplice patologia, rilevabile attraverso analisi di laboratorio, la malattia è intesa anche come malessere esistenziale, conseguenza di determinate scelte di vita, di spostamenti di valori e di errate gestioni dell’ambiente materiale umano.  

1493

8. Il binomio salute-malattia si configura in maniera diversa dal passato. Grazie alle acquisizioni delle scienze biologiche o mediche e alla tecnica applicata alla medicina, la malattia non viene più accolta come una calamità da accettarsi quasi passivamente o come una fatalità che porta alla morte. Molte malattie una volta fatali possono essere ora guarite; ad ogni malessere, la medicina può offrire cura o sollievo.

L’ospedale, a sua volta, tende ad essere considerato non come “il luogo della morte”, ma come luogo di speranza e di vita.  

1494

9. Alla luce di queste mutate maniere di pensare la malattia e la salute, prende risalto il momento preventivo degli interventi sanitari, e appare evidente che alla tutela della salute debbano contribuire tutte le forze operanti nella società, dalla famiglia alla scuola, dalla politica alla religione.  

1495

10. Se, da un lato, è cresciuto l’impegno dello stato verso la salute, attraverso numerosi interventi legislativi e grandi investimenti di risorse, dall’altro è aumentata nei cittadini la consapevolezza del proprio diritto alla difesa e promozione della salute, bene da assicurare a tutti attraverso strutture territorialmente vicine alla popolazione.

Accanto ai diritti emergono anche le responsabilità dei cittadini nel campo sanitario; in modo particolare si fa luce il dovere della partecipazione attiva all’elaborazione delle leggi, dei programmi e delle strategie concernenti la tutela e la promozione della salute. È in questa linea di partecipazione che s’inserisce il volontariato.  

1496

11. Gli aspetti positivi indicati non nascondono le carenze presenti nel mondo sanitario.

I principi che stanno alla base delle riforme sono spesso mortificati dalle lentezze burocratiche, i contrasti politici e l’inefficienza organizzativa, causando una diffusa insoddisfazione tra i cittadini.

I criteri che guidano le scelte assistenziali rischiano di emarginare i malati più poveri e bisognosi: gli anziani disabili, gli handicappati fisici gravi e psichici, i morenti… I fenomeni della disumanizzazione della medicina e dell’assistenza sanitaria e le sue implicanze etiche derivanti dalla scienza e dalle sue applicazioni suscitano gravi interrogativi sul destino della persona e sulla salvaguardia della sua dignità.  

1497

12. È a questo mondo della sanità che la Chiesa, in forza della sua missione, è chiamata ad aprirsi, animata da speranza, da spirito di collaborazione e dalla volontà di rendere un contributo essenziale alla salvezza dell’uomo. 

Rilevanza della pastorale sanitaria  

1498

13. L’attività svolta dalla Chiesa nel settore della sanità è espressione specifica della sua missione e manifesta la tenerezza di Dio verso l’umanità sofferente.  

1499

14. Nella persona e nell’azione di Cristo, Dio si avvicina a chi soffre e ne redime la sofferenza.

Tale movimento dell’iniziativa di Gesù rivive nella Chiesa, nel compito affidatole di evangelizzazione, santificazione e servizio fraterno prestato ai sofferenti.

Nel Vangelo, infatti, è posto espressamente in luce il rapporto tra il compito missionario di evangelizzazione e il potere di guarire i malati (Mt 10,1; Mc 6,13; Lc 9,1-6; 10,9).  

1500

15. Gli Atti degli apostoli, poi riferiscono l’azione di questi a favore dei malati (3, 1-11; 9, 32ss; 14, 8ss; 19, 11ss), e Paolo annovera il carisma della guarigione tra quelli della Chiesa primitiva (1Cor 12,28-30).  

1501

16. Lungo tutto il cammino, la Chiesa ha manifestato la sua fedeltà all’insegnamento di Cristo e degli apostoli, garantendo una presenza significativa nel mondo della sofferenza, con istituzioni religiose dedicate a questo scopo, con opere di assistenza nelle aree più difficili e delicate della sanità, con significativi apporti nella stessa promozione legislativa dello Stato (cf. Pontificio consiglio “Cor unum”, Le attività della Chiesa nell’ambito della sanità 1.2) (V7/970).  

1502

17. Il Santo Padre, nei suoi viaggi pastorali, richiama frequentemente questa verità: “L’assistenza agli infermi fa parte della missione della Chiesa… La Chiesa, come Gesù suo redentore, vuol essere sempre vicina a coloro che soffrono. Essa li eleva al Signore con la preghiera. Offre loro consolazione e speranza. Li aiuta a trovare un senso nelle apprensioni e nel dolore, insegnando loro che la sofferenza non è una punizione divina…” (OR 9.5.1984, p. 3).  

  1503

18. Il cristianesimo ha un messaggio di vita da annunciare non solo a coloro che soffrono, ma anche a quanti scelgono di assistere e accompagnare i malati. Il loro servizio prestato con spirito di fede assume un valore autenticamente evangelico; la solidarietà umana e l’altruismo sociale si trasformano in espressione di religiosità. Il Signore, infatti, ha voluto costituire quasi un’identità morale e spirituale tra la persona che soffre e lui stesso, quando ha asserito: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).  

La pastorale della sanità  

1504

19. La pastorale della sanità è stata variamente intesa e realizzata dalla comunità cristiana lungo i secoli, in sintonia con l’evoluzione della cultura e della medicina e lo sviluppo della riflessione teologica sulla prassi ecclesiale.

Essa può essere descritta come la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti ne prendono cura.

Non viene rivolta solo ai malati, ma anche ai sani, ispirando una cultura più sensibile alla sofferenza, all’emarginazione e ai valori della vita e della salute.  

1505

20. La pastorale della sanità persegue i seguenti obiettivi generali:

- illuminare con la fede i problemi del mondo della sanità, sottesi alla ricerca, alle acquisizioni scientifiche e alle tecniche di intervento, e in cui sono implicate la natura e la dignità della persona umana;

- svolgere opera di educazione sanitaria e morale nella prospettiva del valore inestimabile e sacro della vita, per promuovere e costruire nella società “una cultura della vita”, dalla nascita alla morte;

- contribuire all’umanizzazione delle strutture ospedaliere, delle istituzioni erogatrici di servizi socio-sanitari, delle prestazioni sanitarie e dei rapporti interpersonali tra utenti e personale socio-sanitario;

- sollevare moralmente il malato, aiutandolo ad accettare e valorizzare la situazione di sofferenza in cui versa e accompagnandolo con la forza della preghiera e la grazia dei sacramenti;

- aiutare coloro che si trovano in una situazione di disabilità e di handicap a recuperare il senso della vita anche in condizioni di minorazione, scoprendo il superiore valore dell’”essere” rispetto a quello del “fare”;

- aiutare la famiglia e i familiari a vivere senza traumi e con spirito di fede la prova della malattia dei propri cari;

- favorire la formazione degli operatori sanitari ad un senso di professionalità basato sulla competenza, sul servizio e sui valori fondamentali della persona del sofferente;

- sensibilizzare le istituzioni e gli organismi pastorali presenti nel territorio (parrocchie, consigli pastorali) alle problematiche della salute e dell’assistenza agli infermi, indicando piste operative per un responsabile coinvolgimento nei progetti socio-sanitari.  

1506

21. Nella pastorale della sanità emergono alcune esigenze di fondo che meritano particolare attenzione:

- Priorità dell’evangelizzazione e della catechesi. La frattura fra Vangelo e cultura esistente nella società italiana si riflette anche nel mondo della sanità. Il processo di secolarizzazione ha attutito la sensibilità spirituale e morale anche di non pochi credenti, ponendoli in atteggiamento di difesa se non di rifiuto verso la trascendenza e i valori spirituali e morali. Ne sono state investite alcune realtà tipiche del mondo sanitario: la presenza e la finalità del dolore nella vita umana, il significato della morte, il valore del servizio verso chi soffre.

“Occorre, quindi, por mano ad un’opera d’inculturazione che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero, i modelli di vita, in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza” (AcL, 4:).

La preoccupazione della comunità ecclesiale d’immettere elementi evangelici nel vasto settore della sanità e dell’assistenza deve tradursi in progetti di catechesi e di formazione, raggiungendo non solo gli ammalati e gli operatori sanitari, ma anche le famiglie e le istituzioni educative.  

1507

- La celebrazione dei sacramenti. La pastorale sanitaria, sia nelle parrocchie come nelle strutture di ricovero, trova uno dei suoi cardini fondamentali nella celebrazione dei sacramenti. Il nuovo rituale romano Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi (V4/1858-1901) e il documento della Conferenza episcopale italiana: Evangelizzazione e sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermiC2/1351-1550) hanno sapientemente illustrato l’importanza dell’incontro dei malati con Cristo nei sacramenti e nella preghiera, offrendo preziose indicazioni pastorali. (

Il sacramento della riconciliazione libera il malato dai peccati e lo rende disponibile ad unire le sue pene alla passione di Cristo (cf. EvSPU 107) (C2/1479).

Memoriale della passione del Signore, l’eucaristia è il centro del ministero pastorale e della vita spirituale del sofferente. Partecipando alla celebrazione eucaristica o nutrendosi del corpo di Cristo portato dal sacerdote, dal diacono o dai ministri straordinari dell’eucaristia nelle corsie delle istituzioni sanitarie o nelle abitazioni domestiche o ricevendo la comunione sotto forma di viatico, il malato è fortificato e munito del pegno della risurrezione (cf. Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, 26) (V4/1885).  

1508

L’unzione degli infermi è la “forma propria e più tipica dell’attenzione del Cristo totale (di Cristo e della Chiesa)” verso la difficile e fondamentale esperienza umana della sofferenza (Giacomo card. Biffi, I malati nella comunità ecclesiale, nota pastorale, Bologna 1987, n. 25). Dalla riscoperta di questo sacramento – attraverso un’opportuna catechesi e significative celebrazioni individuali e comunitarie, atte a creare una nuova mentalità – conseguiranno grandi vantaggi spirituali, consolazione e conforto per coloro il cui stato di salute è gravemente compromesso dalla malattia o dalla vecchiaia (cf. EvSPU 137-140) (C2/1511-1514).

È attraverso un’illuminata celebrazione che i segni sacramentali possono essere compresi e vissuti in tutto il loro senso profondo. Molti sono i fattori che contribuiscono a rendere significativa la celebrazione dei sacramenti nelle famiglie e nelle istituzioni sanitarie: le condizioni ambientali favorevoli, il sereno rapporto tra malati e quanti li assistono, la partecipazione dei familiari, degli operatori sanitari e dei volontari, la scelta di testi liturgici appropriati e di riflessioni adatte alla situazione vissuta dal malato.  

1509

- L’umanizzazione della medicina e dell’assistenza ai malati. La denuncia d’un degrado d’umanità nel mondo sanitario raccoglie consensi generali e trova espressione in un diffuso disagio da parte dei malati e degli stessi operatori sanitari. Le cause invocate per spiegare tale fenomeno sono molteplici: interessi politici ed economici, eccessiva burocratizzazione del sistema assistenziale, inadeguata efficienza amministrativa, conflitti contrattuali, deterioramento della scala dei valori che rende più ardua la considerazione del malato come persona…

Per la sua valenza evangelizzatrice, l’umanizzazione entra tra le sue funzioni specifiche della pastorale. Promuovendo progetti intesi a rendere più umani gli ambienti di salute o cooperando a quelli già in atto, gli operatori sanitari e pastorali sono chiamati a offrirvi il contributo specifico della loro visione cristiana dell’uomo.  

1510

- Rilevanza dei problemi morali. Il progresso scientifico e tecnico verificatosi nel mondo della sanità ha sollevato gravi problemi di ordine morale, che riguardano il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi: fecondazione in vitro, manipolazioni genetiche, nuove pratiche abortive, sterilizzazione, sperimentazione clinica e trapianti, “accanimento terapeutico” e eutanasia… Anche l’insorgere di nuove malattie (alcoolismo, tossicodipendenza, AIDS…), la cui propagazione è collegata con il comportamento e la cultura dominante, pone delicati interrogativi morali.

Per un’efficace proposta di valori nel mondo sanitario, è necessario che la comunità cristiana si doti di strumenti idonei a formare eticamente gli operatori sanitari (scuole di etica, centri di ricerca…) e partecipi, con competenza e responsabilità, a quelle iniziative o strutture già presenti e operanti nel settore della sanità (insegnamento dell’etica nelle scuole per operatori sanitari, comitati etici…).  

1511

- L’estensione della pastorale dell’ospedale al territorio. Il raggio di azione della pastorale sanitaria non può esaurirsi nell’area delle strutture di ricovero, ma deve estendersi a tutto il territorio nel quale si svolge la vita del cittadino, riscoprendo il rapporto naturale tra ammalato e famiglia, famiglia e comunità civile ed ecclesiale.

L’ospedale infatti si configura ormai come un servizio integrato con altre strutture sanitarie e aperte alla partecipazione dei cittadini e non più l’unico punto di riferimento per essere curati e guariti.

Le concrete implicazioni pastorali di questo spostamento d’accento dall’ospedale al territorio sono numerose e investono di nuove responsabilità sia gli operatori pastorali impegnati nelle strutture di ricovero che quelli operanti nelle comunità parrocchiali. È esigito un modo nuovo di impostare la pastorale sanitaria, che domanda rinnovamento tempestivo e creativo.  

II. I SOGGETTI DELLA PASTORALE SANITARIA  

1512

22. Gli sviluppi ecclesiologici conseguenti al concilio Vaticano II hanno precisato e arricchito l’identità e i compiti dei soggetti della pastorale sanitaria.  

La comunità cristiana  

1513

23. Soggetto primario della pastorale sanitaria è la comunità cristiana, popolo santo di Dio, adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo sotto la guida dei pastori (cf. LG 1) (V1/284).

Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole verso i malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti. Il concilio Vaticano II raccomanda ai vescovi di circondare “di una carità paterna gli ammalati” (CD 30) (V1/658); ai sacerdoti di avere “cura dei malati e dei moribondi, visitandoli a confortandoli nel Signore” (PO 6) (V1/1259); ai religiosi di esercitare “al massimo grado” il ministero della riconciliazione in loro favore e di mantenere la fedeltà al carisma della misericordia verso gli ammalati (cf. PO 10) (V1/1279); ai laici di praticare “la misericordia verso i poveri e gli infermi”, ricordando che la “carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto” (AA 8) (V1/945).  

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24. Pertanto, è compito della comunità cristiana – da quella universale a quella particolare – prendere coscienza dei problemi della sanità, della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore nei riguardi degli ammalati e della loro assistenza, offrendo loro ogni aiuto e conforto – dalla parola di Dio, ai sacramenti e all’interessamento fraterno.

L’assistenza amorevole agli ammalati raggiungerà più efficacemente il suo scopo, se si eviteranno facili deleghe a pochi individui o gruppi e se si organizzeranno sapientemente gli interventi della comunità.

 

 

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25. Rivolta a tutti i sofferenti, la sollecitudine pastorale della comunità cristiana si dirige con particolare predilezione verso i più poveri, gli ultimi, per farsi loro voce e difenderne la dignità e i diritti.  

L’ammalato  

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26. L’uomo sofferente è “soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (CfLV11/1846). Questa affermazione del Santo Padre indica il riconoscimento del carisma dei sofferenti, del loro apporto creativo nella Chiesa e nel mondo. “Anche i malati sono mandati (dal Signore) come operai nella sua vigna” (CfL 53) (V11/1842). Il cristiano, infatti, attraverso la viva partecipazione al mistero pasquale di Cristo, può trasformare la sua condizione di sofferente in un momento di grazia per sé e per gli altri, trovando nel dolore e nella malattia “una vocazione ad amare di più, una chiamata a partecipare all’infinito amore di Dio per l’umanità” (OR 24.5.1987, p. 4). 54) (

Gli eventi negativi della vita – non esclusi la malattia, l’handicap, la morte – sono “realtà redenta” da Cristo (SD 19) (V9/653) e da lui assunta come “mezzo di redenzione” (SD 26) (V9/671).  

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Spetta alla comunità cristiana valorizzare la presenza dei malati, la loro testimonianza nella Chiesa e il contributo specifico che essi possono dare alla salvezza del mondo. Il concilio raccomanda ai vescovi di “suscitare tra gli infermi… la coscienza di offrire a Dio preghiere e opere di penitenza con cuore generoso per l’evangelizzazione del mondo” (AG 38) (V1/1222).

A questo scopo possono offrire un valido contributo le associazioni di malati, per le risorse di mutuo aiuto che sono in grado di sviluppare. È bene anche che i malati vengano inseriti negli organismi ecclesiali e che siano promosse iniziative specialmente rivolte a loro: esercizi spirituali, incontri formativi, stampa, audiovisivi…  

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27. Difficilmente però l’ammalato potrà svolgere il suo ruolo di soggetto attivo nella comunità ecclesiale se non sarà prima “termine dell’amore e del servizio della Chiesa” (CfL 54) (V11/1846), trovando in essa sostegno umano, spirituale e morale.

La malattia, infatti, è un’esperienza traumatica che attenta l’integrità fisica e psichica dell’uomo; comporta un brusco arresto d’interessi; fa percepire esistenzialmente la fragilità della natura umana; determina una diversa immagine di se stessi e del mondo circostante. Chi soffre è facilmente soggetto a sentimenti di timore, di dipendenza e di scoraggiamento. “A causa della malattia e della sofferenza sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre” (CfLV11/1845). 54) ( 

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28. Primo impegno della comunità sociale e cristiana è quello di lottare con il malato contro la malattia “senza tralasciare nulla di quanto può essere fatto, tentato, sperimentato per recare sollievo al corpo e allo spirito di chi soffre” (Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse, 4) (V4/1862).

Sia nelle situazioni in cui è possibile il ricupero come in quelle in cui non si è in grado di arrestare il male, è di vitale importanza che il malato non si senta emarginato dalla famiglia e dalla comunità. Malgrado la devastazione del male fisico e psichico, l’handicap e le minorazioni, il malato in quanto “icona di Dio” resta un essere umano nella pienezza della sua dignità e dei suoi diritti, degno di ogni rispetto e considerazione.  

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29. È soprattutto in occasione del ricovero nelle istituzioni sanitarie che i diritti dell’ammalato devono essere salvaguardati. L’ammalato, infatti, è la ragion d’essere dell’ordinamento sanitario, il primo destinatario dei suoi servizi e il motivo centrale delle prestazioni. L’attenzione che gli è dovuta non è benevola concessione, ma un suo diritto inalienabile.

Persona la cui dignità non è scalfita dal male di cui è vittima, l’ammalato non deve soffrire di discriminazioni, né essere privato della sua autonomia e del diritto di partecipare responsabilmente alle cure che gli sono somministrate; egli infatti non è mai solo oggetto delle prestazioni sanitarie. Il suo “consenso informato” è necessario prima di ogni intervento e sperimentazione. Per questo egli deve ricevere una sufficiente informazione su quanto lo riguarda: sul suo stato di salute, sulle cure che gli vengono somministrate e sui relativi effetti.  

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30. La comunicazione della verità al malato grave o morente pone problemi difficili a quanti lo assistono, dai familiari agli operatori sanitari e pastorali.

Se non vi sono dubbi sull’inderogabilità del diritto del malato a sapere, le modalità di risposta a tale diritto devono però tenere in considerazione numerose variabili, tra cui le esigenze emotive, spirituali e morali dell’infermo.  

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Inadeguate, quindi, si rivelano sia la “falsificazione sistematica della verità”, sia il “dire la verità ad ogni costo” (cf. Problemi etici posti oggi dalla morte e dal morire, Documento del segretariato della Conferenza episcopale francese, in Umanizzare la malattia e la morte, Roma 1980, pp. 37ss). Solo una relazione amorevole e attenta può permettere al malato di poter esprimere liberamente le proprie domande e a coloro che lo assistono di rispondervi appropriatamente, garantendo un accompagnamento adeguato.

L’esperienza e la ricerca testimoniano che una comunicazione “personalizzata” della verità è fonte di notevoli vantaggi sia per i malati che per coloro che li assistono, liberando la comunicazione da incresciose reticenze e menzogne.  

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31. Una particolare attenzione va rivolta agli ammalati in fase terminale, creando intorno ad essi un clima di solidarietà, di fiducia e di speranza. Da questo clima, infatti, l’accompagnamento spirituale del morente, che raggiunge la sua espressione più significativa nella preghiera e nei sacramenti, trae credibilità ed efficacia.  

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32. La comunità cristiana è chiamata ad offrire appoggio anche ai familiari del morente sia prima che dopo la morte del loro congiunto, aiutandoli nel difficile periodo del lutto.  

La famiglia  

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33. Il comando del Signore di visitare gli infermi (cf. Mt 25,26) è da ritenersi rivolto innanzitutto ai membri della famiglia dell’ammalato.

Entro le mura domestiche come nelle istituzioni sanitarie, la loro presenza riveste importanza particolare.  

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34. È necessario che la famiglia si educhi a tenere presso di sé i congiunti in difficoltà, collaborando ai progetti elaborati dai vari organismi sanitari nazionali e regionali. Il calore dell’ambiente familiare, potenziato dai sussidi della comunità è, infatti, strumento terapeutico insostituibile.  

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35. Nei casi in cui il malato debba essere ricoverato nelle istituzioni socio-sanitarie, il contributo dei familiari è indispensabile per ridurre il senso di estraneità e di solitudine vissuto dall’infermo e per mediare i rapporti con i sanitari e la comunità.  

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36. Anche l’accompagnamento spirituale del malato entra tra le responsabilità dei familiari, come espressione profonda del loro amore verso il congiunto che soffre. Alla preghiera assidua deve accompagnarsi la sollecita richiesta del ministro di Dio e la partecipazione attiva alla celebrazione dei sacramenti dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi (cf. Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse 34) (V4/1893). 

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37. A loro volta, i familiari hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso imposto dalla malattia di un loro congiunto. Un accompagnamento premuroso, che trova uno dei luoghi più propizi nella visita a domicilio o all’ospedale, può aiutarli a scoprire nella dolorosa stagione della sofferenza, preziosi valori umani e spirituali.  

L’assistente religioso delle istituzioni sanitarie  

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38. Tra i sacerdoti che, a nome del vescovo, hanno il compito di guidare la comunità cristiana ad aprirsi a forme creative di pastorale sanitaria, occupa un posto speciale l’assistente religioso o cappellano delle istituzioni sanitarie.

A lui viene affidato in modo stabile la cura pastorale di quel particolare gruppo di fedeli, costituito dai malati e loro familiari e dagli operatori sanitari.

Il suo compito principale è di annunciare la buona novella e di comunicare l’amore redentivo di Cristo a quanti soffrono nel corpo e nello spirito le conseguenze della condizione finita dell’uomo, accompagnandoli con amore solidale.  

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39. La presenza e l’azione del cappellano s’iscrivono in quella visione globale dell’uomo che caratterizza significative correnti della moderna medicina. In tale prospettiva la dimensione spirituale e morale della persona umana ha un ruolo insostituibile nella conservazione e nel ricupero della salute.

Ne consegue che l’intervento dell’operatore pastorale risponde a dei bisogni specifici del malato e s’inserisce, così, legittimamente nell’orchestrazione delle cure prestate ai pazienti.

In questa linea si muove il riconoscimento giuridico dell’assistente religioso da parte dello Stato.  

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40. Per uno svolgimento adeguato della sua missione accanto ai malati, oltre a una profonda spiritualità il cappellano deve possedere una competenza e preparazione professionali che gli permettano sia di conoscere adeguatamente la psicologia del malato e di stabilire con lui una relazione significativa, sia di praticare una valida collaborazione interdisciplinare.

È sulla base di una calda umanità che trova il suo primo appoggio l’accompagnamento pastorale del malato. Rispettando i bisogni e i tempi del paziente, il cappellano saprà anche essere propositivo di un conforto e di una speranza che vengono dalla parola di Dio, la preghiera e i sacramenti.  

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41. Per raggiungere lo scopo primario della sua presenza nell’istituzione sanitaria – l’assistenza pastorale ai malati – il cappellano deve farsi centro e propulsore di un’azione tesa a risvegliare e sintonizzare tutte le forze cristiane presenti nell’ospedale, anche quelle potenziali e latenti.

Assumono grande importanza, in quest’ottica, la cura pastorale del personale, il coinvolgimento nei progetti tesi a rendere più umano il clima dell’istituzione (comitato etico…), l’insegnamento dell’etica professionale, l’animazione della pastorale sanitaria nel territorio, la promozione e formazione del volontariato.  

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42. Uno degli strumenti più efficaci per esprimere la comune responsabilità nella pastorale di un’istituzione sanitaria è il “consiglio pastorale ospedaliero”.

Le finalità generali del consiglio possono essere così sintetizzate:

- programmare un’efficace evangelizzazione e umanizzazione a tutti i livelli;

- promuovere un’accurata preparazione della vita sacramentale e liturgica;

- favorire la formazione di una fraternità cristiana nella vita ospedaliera;

- collaborare con le vicarie e i consigli pastorali parrocchiali.  

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Fanno parte del consiglio rappresentanti di tutte le categorie operanti in ospedale: oltre i cappellani, saranno rappresentate le suore, i medici, gli infermieri, personale della scuola, tecnici, rappresentanti delle associazioni di volontariato e di categoria (ACOS, AMCI, …). Non mancheranno alcuni rappresentanti dei malati. La presenza, anche se non stabile, di questi ultimi, mette in rilievo il ruolo di “soggetti attivi” nel campo della pastorale sanitaria.  

I religiosi

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43. Numerose e varie sono le famiglie religiose maschili e femminili: ordini, congregazioni, istituti secolari che, lungo l’arco della storia della Chiesa italiana, hanno ricevuto da Dio il dono di testimoniare la compassione di Cristo verso gli infermi e i sofferenti.

Svolgendo spesso una preziosa opera di supplenza nella società quando l’intervento pubblico era inadeguato, hanno aperto nuove strade all’assistenza dei malati e nel ricupero degli handicappati, educando il popolo di Dio a una evangelica sensibilità verso nuovi e disattesi bisogni sociali.  

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44. Le profonde trasformazioni avvenute nel mondo socio-sanitario e nella cultura che l’orienta domandano ai religiosi una vigile attenzione e un’adeguata capacità di adattamento affinché la loro presenza sia sempre “una testimonianza di fede e di speranza in un mondo sempre più tecnicista e materialista” (Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, 37).  

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45. Nella linea della tradizione e di un costante aggiornamento, i religiosi sono chiamati a far beneficiare del loro carisma di misericordia verso gli infermi tutta la comunità ecclesiale, in uno spirito di apertura e di collaborazione con le Chiese particolari.  

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46. Attenti alle mutate condizioni socio-culturali del mondo contemporaneo, sappiano privilegiare, nelle loro scelte, i settori e le categorie di malati maggiormente trascurati dall’assistenza pubblica, tenendo in particolare considerazione le nuove malattie sociali, quali la tossicodipendenza, l’AIDS… (cf. Pontificio consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, I religiosi nel mondo della sofferenza e della salute, Roma 1987).  

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47. L’impegno dei religiosi trovi sbocchi creativi anche nel delicato campo della formazione sanitaria e pastorale, potenziando le preziose iniziative già in atto e creandone di nuove.  

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48. Alle religiose che, prestando il loro servizio negli ospedali e nelle case di riposo, hanno contribuito a sostanziare di spirito evangelico la cura degli infermi, rivolgiamo un invito a rimanere fedeli a questa presenza accanto a chi soffre, nonostante le gravi difficoltà dovute sia alla decrescita numerica sia ai cambiamenti avvenuti nel settore socio-sanitario.  

Le associazioni professionali sanitarie cattoliche  

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49. Il laico cristiano impegnato nel settore della sanità partecipa all’edificazione della Chiesa e alla santificazione del mondo individualmente o in forma associata (cf. AA 16) (V1/970ss).

Infatti, “la comunione ecclesiale già presente e operante nell’azione della singola persona, trova una specifica espressione nell’operare associato dei laici, ossia nell’azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e missione della Chiesa” (CfL 29) (V11/1720).  

1543

50. Vari sono i gruppi, le associazioni e i movimenti che operano nel settore della sanità. Accanto alle associazioni di ammalati (a titolo esemplificativo ricordiamo: Movimento apostolico ciechi, Unione cattolica malati, Centro volontari della sofferenza…), che danno un notevole contributo e una pastorale che vede l’ammalato animatore del mondo della sofferenza, vi sono associazioni per i malati. Di queste alcune sono costituite da volontari (per esempio: UNITALSI, OFTAL, UAL…), altre invece da operatori sanitari (per esempio: ACOS, AMCI…). A queste ultime si riferisce il presente paragrafo.  

1544

51. L’apostolato associato dei laici nel mondo della salute, “esercitato sempre e solo nella comunione della Chiesa” (CfL 29) (V11/1725), riveste una particolare importanza. Esso, infatti, permette la realizzazione di obiettivi in cui non è sufficiente l’azione individuale, ma “si richiede un lavoro d’insieme, intelligente, programmato, costante e generoso” (CfL 29) (V11/1722).

In forza della loro condizione di battezzati che li rende partecipi della stessa missione di Cristo, gli operatori sanitari cattolici sono chiamati a cooperare alla promozione del Regno attraverso l’esercizio della loro professione.

In particolare è loro compito promuovere il rispetto dei valori fondamentali dell’uomo – la sua dignità, i suoi diritti, la sua trascendenza – sia nella ricerca scientifica sia nella prassi terapeutica, imprimendo al rapporto con il paziente quell’attenzione e calore umano che riflettono l’atteggiamento di Cristo verso i malati.  

1545

52. Se ogni operatore sanitario deve considerare l’esercizio della professione come un “servizio” prestato alla persona che soffre, a maggior ragione sono chiamati a fare propria questa convinzione coloro che sono mossi nel loro operare dall’esempio di Cristo (cf. Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, I laici nel mondo della sofferenza e della salute, Roma 1987).  

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53. È compito, quindi, delle associazioni professionali cattoliche, operanti nel mondo della sanità, aiutare i propri associati:

- a riscoprire, gustare e vivere il senso umano, sociale e cristiano della professione, che ha per centro la persona nel difficile momento della sofferenza;

- a vivere la professione come “vocazione” e “missione”, riservata ad essi dalla benevolenza del Padre, nel settore della sanità e nell’assistenza dei malati;

- a fare della deontologia professionale e dell’etica, ispirata ai valori autentici dell’uomo e nella fedeltà al magistero della Chiesa, un punto costante di riferimento;

- ad acquisire la più ampia e profonda capacità professionale, nella convinzione che “l’onestà e la competenza professionale (…) difficilmente possono essere sostituite da un altro tipo di zelo apostolico” (EvSPU 57);

- a cooperare con gli assistenti religiosi per assicurare un cammino di fede ai malati che lo richiedono;

- a collaborare con le altre associazioni professionali sanitarie.  

Le istituzioni sanitarie cattoliche  

1547

54. Le istituzioni sanitarie cattoliche costituiscono una specifica modalità con cui la comunità ecclesiale mette in pratica il mandato di “curare gli infermi”.

Esse, pertanto, sono da considerarsi non solo utili ma necessarie alla missione della Chiesa, dando consistenza e continuità all’azione caritativa e di promozione umana della comunità cristiana.  

1548

55. Opere di Chiesa, le istituzioni sanitarie cattoliche, hanno il dovere di lasciarsi guidare dalla loro finalità evangelizzatrice, evitando di porsi in concorrenza o in contrapposizione a quelle pubbliche. Inserendosi, nella misura del possibile, nella programmazione sanitaria del territorio, scelgano di rispondere con preferenza ai bisogni ancora disattesi dall’intervento pubblico.

Quando non corrispondano più alle finalità sociali per cui sono sorte, vengano abbandonate o riconvertite.  

1549

56. Per la loro finalità e i valori cui si ispirano, le istituzioni sanitarie cattoliche sono chiamate a distinguersi per alcune connotazioni che ne configurano l’identità e lo stile di servizio:

- assistenza integrale all’ammalato, con attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica, psicologica, sociale, spirituale e trascendente, creata a immagine di Dio, redenta da Cristo e chiamata all’eternità;

- difesa e promozione della vita nascente, impegno per la riabilitazione dei disabili, assistenza qualificata degli ammalati morenti;

- formazione del personale, a livello umano, cristiano e professionale;

- presenza profetica nelle aree più difficili e nuove della medicina;

- qualità ed efficienza del ministero dell’accompagnamento spirituale e religioso del malato e dei suoi familiari;

- salvaguardia dell’umanità delle cure e delle prestazioni, umanizzando la tecnica e garantendo un clima nel quale gli ammalati si sentano accettati e tutelati nei loro diritti;

- promozione, nelle aree in cui operano, di una cultura sanitaria ispirata ad autentici valori umani e cristiani;

- sana trasparenza amministrativa.  

1550

57. È opportuno che nelle istituzioni sanitarie cattoliche vengano istituiti dei comitati etici finalizzati ad affrontare le complesse questioni morali che caratterizzano il mondo della salute.  

1551

58. Riunite in associazioni, le istituzioni sanitarie cattoliche possono svolgere con più efficacia il loro ruolo di esemplarità e di evangelizzazione, offrendo significativi contributi alla filosofia che guida la sanità a livello nazionale e regionale.

L’associazione delle opere sanitarie cattoliche non deve mai, però, trasformarsi in un’assemblea a carattere prettamente sindacale, come se gli associati fossero solo dei datori di lavoro e le loro istituzioni imprese a scopo di lucro: ne soffrirebbero la loro identità e i motivi per cui sono nate.  

Il volontariato sanitario  

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59. Il fenomeno del volontariato, che tanta affermazione ha avuto in questi anni nel nostro Paese, può essere considerato un vero e proprio “segno dei tempi”, indice di una presa di coscienza più profonda e viva della solidarietà che lega reciprocamente gli esseri umani.

Sul piano sociale e civico, il volontariato realizza l’esigenza di partecipazione dei cittadini alla gestione dei servizi dei quali sono i destinatari; attenua il distacco dalle istituzioni e conferisce spazio al primato della componente sociale nell’organizzazione della società in un momento di crisi dei servizi e delle prestazioni sociali; offre quel “supplemento d’anima” che contribuisce a mantenere umane le istituzioni.

Svolto nelle famiglie o nelle istituzioni per i malati, anziani, handicappati, tossicodipendenti e ammalati di AIDS il volontariato risponde ad un bisogno profondo di “attivo scambio tra la comunità dei sani e comunità dei malati” che “non potrà mancare di dimostrarsi un potente incentivo ad una generale crescita nella carità” (Giovanni Paolo II, in OR 4-5.10.1982, p. 3).  

1553

60. La solidarietà umana, iscritta nella vita e nel destino degli esseri umani, diviene più evidente ed assume un maggiore spessore in una visione di fede (cf. GS 32) (V1/1418ss).

Alla luce della rivelazione, infatti, emerge evidente il compito dei cristiani a farsi carico dei fratelli, ritrascrivendo la parabola del buon samaritano nella comunicazione ai sofferenti dell’”amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo” (CfL 53) (V11/1844).

Oltre ad inserire più direttamente i cristiani nel contesto sociale, il volontariato svolge implicitamente opera di preevangelizzazione e di evangelizzazione.  

1554

61. Note distintive del volontariato sono: la gratuità nelle prestazioni, la disponibilità verso gli ammalati, lo spirito di servizio, il rispetto della professionalità, l’inserimento armonico nell’organizzazione dei servizi sanitari con l’esclusione di ogni concorrenza nei riguardi dei ruoli professionali, la continuità nelle prestazioni. Queste caratteristiche che contribuiscono a fare del volontario un “esperto in umanità” vanno potenziate da una valida formazione a livello di “sapere” e “saper fare”.  

1555

62. La comunità cristiana, i sacerdoti, l’assistente religioso e le istituzioni ospedaliere hanno il compito di scoprire ed educare vocazioni di servizio per gli ammalati e per gli handicappati, aiutando i volontari ad approfondire le motivazioni del loro impegno.

Non si deve però dimenticare che lo spirito del volontariato non è prerogativa di alcuni individui o gruppi, ma deve pervadere tutta la comunità, contribuendo a promuovere una cultura basata sui valori della solidarietà e fraternità.  

1556

63. Se è opportuno che i volontari si uniscano in gruppi, è bene però che il volontariato non associativo trovi stimoli e incoraggiamenti (cf. SD 29) (V9/679ss).  

1557

64. Il collegamento dei gruppi e delle associazioni dei volontari d’ispirazione cattolica da parte di vescovi o dei loro delegati non solo favorisce la comunione ecclesiale ma è anche garanzia di continuità ed efficacia.  

III. LE STRUTTURE DELLA PASTORALE DELLA SANITÀ  

1558

65. Le strutture principali della pastorale sanitaria sono: la consulta nazionale, la consulta regionale, la consulta diocesana e la cappellania ospedaliera. Esse sono a servizio degli operatori pastorali, delle associazioni e delle istituzioni, quale strumento di comunione e di animazione per il proseguimento delle comuni finalità pastorali nel mondo della salute.  

La consulta nazionale  

1559

66. È l’organismo che esprime la sollecitudine della Chiesa italiana verso i sofferenti e quanti li assistono, e costituisce lo strumento operativo per la realizzazione di una pastorale d’insieme da parte di tutte le forze cristiane impegnate nel settore sanitario della penisola.  

1560

67. Le finalità, l’organizzazione e l’attività della consulta nazionale sono indicate in un regolamento approvato dalla CEI (V4/318-334).  

1561

68. È presieduta da tre vescovi, designati dal consiglio permanente della CEI, uno dei quali funge da presidente nell’intento di assicurare un rapporto organico e diretto con la segreteria della CEI.  

1562

69. Fanno parte della consulta nazionale: gli incaricati regionali della pastorale sanitaria, i rappresentanti degli ordini religiosi ospedalieri, dei cappellani degli ospedali, delle associazioni cattoliche del settore e alcuni esperti.  

1563

70. Il lavoro della consulta nazionale si articola in un insieme di progetti e di iniziative che hanno i seguenti scopi:

- approfondire la conoscenza dei problemi che agitano il mondo della sanità;

- concordare proposte cristiane sull’erogazione dell’assistenza sanitaria ai cittadini, sul funzionamento dei servizi sanitari e sulle scelte legislative più opportune;

- favorire un dialogo e uno scambio di esperienze con altri organismi pubblici o ecclesiali impegnati nel campo dell’assistenza e della carità;

- stimolare e coordinare le attività delle consulte regionali.  

La consulta regionale  

1564

71. È l’espressione della conferenza episcopale regionale e fa da collegamento tra le consulte nazionale e diocesane.  

1565

72. È guidata da un incaricato regionale, designato dalla conferenza episcopale della regione. Egli opera d’intesa con il vescovo delegato alla pastorale della stessa conferenza episcopale.  

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73. Fanno parte della consulta: i delegati diocesani della pastorale sanitaria, i rappresentanti di organismi e gruppi implicati nel settore (cappellani, associazioni, movimenti) e alcuni esperti.  

1567

74. I compiti della consulta regionale possono essere così sintetizzati:

- promuovere e coordinare le attività delle consulte diocesane;

- favorire iniziative a livello regionale (convegni, discorsi…) tese a sensibilizzare la popolazione ai problemi della salute e dell’assistenza e a formare gli operatori sanitari e pastorali;

- operare opportuni collegamenti con gli organismi regionali civili preposti all’assistenza sanitaria, contribuendo a rendere più consoni ai valori umani e cristiani gli eventuali interventi legislativi regionali.  

La consulta diocesana  

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75. È l’organismo che esprime l’impegno della Chiesa particolare nella pastorale sanitaria; opera in sintonia con le consulte regionali e nazionale.  

1569

76. È presieduta da un incaricato, designato dal vescovo.  

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77. Fanno parte della consulta diocesana i rappresentanti delle parrocchie, degli organismi ecclesiali e delle associazioni operanti nel mondo della sanità.

Qualora, per esigenze operative, la competenza del settore pastorale della sanità fosse demandata ad altri uffici diocesani di pastorale, è necessario salvaguardare, nei modi più opportuni, l’identità e specificità del settore.  

1571

78. I compiti della consulta diocesana sono i seguenti:

- animare e coordinare la pastorale sanitaria delle vicarie e delle parrocchie, favorendo un’azione comune e condivisa fra le varie associazioni, gruppi e organismi caritativi operanti nella diocesi (Caritas, cappellani, volontari…);

- favorire la presenza di ammalati e operatori sanitari negli organismi ecclesiali diocesani;

- assumere iniziative di formazione e di aggiornamento nel settore.

 

 

La cappellania ospedaliera 

 

1572

79. La cappellania ospedaliera è espressione del servizio religioso prestato dalla comunità cristiana nelle istituzioni sanitarie.

 

 

1573

80. È composta da uno o più sacerdoti cui possono essere aggregati anche diaconi, religiosi e laici.

 

 

1574

81. Gli obiettivi principali della cappellania ospedaliera sono i seguenti:

- fare esistere nell’istituzione sanitaria un segno ecclesiale reperibile, che renda possibile un’azione missionaria;

- essere un luogo dove, attraverso delle persone, delle attitudini e dei gesti, compresi quelli sacramentali, Dio rivela la sua tenerezza e si mette al servizio dell’uomo per accompagnarlo nella prova, aiutandolo a vivere fino alla fine;

- promuovere e coordinare tutte le forze presenti nella comunità ospedaliera, attraverso idonei strumenti e iniziative (consiglio pastorale…);

- contribuire al coinvolgimento dei cristiani, presenti nel territorio, nella promozione della salute e nell’assistenza dei malati.

  CONCLUSIONE

  1575

82. Al termine di questa nota, amiamo rivolgere il pensiero alla vergine Maria. A lei, “madre di misericordia”, “salute degli infermi”, “consolatrice degli afflitti”, in ogni tempo si sono rivolti i cristiani con incessante e fiduciosa preghiera. In lei, quanti assistono gli ammalati trovano un modello di premurosa attenzione e di amore materno.

La sua protezione accompagni il difficile cammino di quanti portano il peso della sofferenza e faccia crescere nella comunità cristiana quella sensibilità per cui “se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono con lui” (1Cor 12,26).

  Roma, 30 marzo 1989. 


 LORENZO CANTONI, Cristianità n. 239 (1995)

 

La “Carta degli Operatori sanitari”.

Una presentazione

 

Il contesto culturale

Le nuove possibilità d’intervento offerte dalle conoscenze tecnico-scientifiche alla medicina contemporanea hanno creato — e stanno creando — condizioni per un grande disorientamento fra gli operatori sanitari, che sono chiamati a discernere e a decidere, a volta a volta, quali interventi praticare e quali no. Tale disorientamento riguarda però anche i ricercatori, chiamati ad aprire, ad approfondire o ad abbandonare vaste aree di ricerca; i politici, chiamati a distribuire le risorse fra le diverse attività “sanitarie” — interventi e ricerche —, e ciascuna persona che — come paziente o prossimo a un paziente o semplice curioso — si accosta alla medicina con pregiudizi, aspettative e timori nuovi.

La ricerca delle cause culturali che hanno predisposto a questo disorientamento incontra, come nodo cruciale di un itinerario invero assai complesso, un duplice riduzionismo: della persona al suo corpo e del corpo a una semplice cosa-macchina; si tratta di un cammino che ha, fra le sue tappe principali, la scissione operata da Cartesio all’interno dell’uomo, come composto di res cogitans e di res extensa, di pensiero e di estensione radicalmente separati, e la lettura materialistica di questo homo duplex, che ha ridotto il pensiero ad attività del corpo, guardando poi all’uomo come a una macchina, anche se altamente sofisticata. Non è difficile intravedere, in questo secondo passaggio, sia l’opera dell’illuminismo — L’Homme machine è il titolo di un testo di Julien Offroy de La Mettrie, pubblicato nel 1748 —, sia l’itinerario dell’ideologia evoluzionistica, secondo cui quella umana sarebbe semplicemente — non sarebbe null’altro che — una specie animale (1).

In questo contesto culturale la conoscenza medica non può che essere pensata sull’esempio delle scienze naturali, che hanno avuto come proprio modello epistemologico la fisica newtoniana, e l’attività sanitaria sull’esempio della tecnica, che ha come propri “attori” tipici l’ingegnere e il meccanico (2). E come i tecnici — ingegneri e meccanici — costruiscono, aggiustano, migliorano e distruggono, così gli operatori sanitari devono fare altrettanto rispetto alla macchina-uomo: questa è la coscienza di sé consentita da un tale contesto culturale, così come l’aspettativa sociale che si è venuta a creare. Quest’aspettativa sociale, poi, ha caricato gli operatori sanitari di pesi veramente gravosi, fino a teorizzare un “diritto alla salute”, che essi avrebbero il dovere di garantire. In una società secolarizzata, che considera la macchina-corpo come il tutto della persona umana, chi si interessa della sua efficienza — costruzione, riparazione, miglioramento ed eventuale distruzione — non può che vestire i panni di sommo e unico sacerdote.

La concettualizzazione di cui ho detto e le pratiche che ne conseguono si scontrano direttamente con l’esperienza degli operatori sanitari, che vivono la loro attività — conoscenza e pratica terapeutica — come servizio alla persona nascente, malata e morente; essi incontrano e sperimentano in questa loro vocazione molto più che una semplice attività scientifica e tecnica. Di fronte al mistero della vita, della sofferenza e della morte il medico è chiamato a diventare egli stesso un grande problema a cui una cultura secolarizzata non può che offrire risposte monche, una magna quaestio (3) a cui solo la verità totale sull’uomo può rispondere. Solo Dio può rispondere pienamente a questa domanda: l’uomo — anche l’operatore sanitario — è sempre e solo un “chirurgo ferito” (4).

 

Gli interventi del Magistero della Chiesa cattolica

Come è chiaro anche dai rapidi cenni precedenti, la posizione della Chiesa cattolica — il suo Magistero e la prassi che da essa è stata promossa e sviluppata — è in netto contrasto con le coordinate ideologiche di cui la società secolarizzata si è servita e si serve per pensare le attività connesse con la salute e con la malattia. Non è un caso che un’istituzione ora così “ovvia” come quella ospedaliera sia nata e si sia sviluppata in ambito cristiano (5); per una facile verifica empirica si possono leggere gli elenchi telefonici e le Pagine Gialle alle voci Ospedale, Casa di Cura e Casa di Riposo: i nomi non saranno avari di suggerimenti in tal senso.

Se dunque la Chiesa, sposa di Colui che si è chiamato medico (6), ha da sempre risposto con i fatti e con le parole alle sfide costituite da modelli culturali incompatibili con il cattolicesimo, negli ultimi anni — e proprio in presenza di un accrescersi quantitativo e di un approfondirsi qualitativo di tali sfide — ha dedicato un’attenzione crescente del suo Magistero all’ambito biomedico.

Le nuove tecniche analgesiche e rianimatorie, il settore della trapiantologia, contraccezione, metodiche di pianificazione familiare, aborto, fecondazione artificiale, ingegneria genetica ed eutanasia hanno, a volta a volta, suscitato negli operatori sanitari nuovi interrogativi sulla loro valutazione morale alla luce della verità integrale sull’uomo, interrogativi cui il Magistero cattolico non ha mai tardato a rispondere autorevolmente, riannodando ogni volta la risposta a tutto l’insegnamento della fede (7). A questi insegnamenti si è accompagnata una ricca riflessione filosofica e teologica, intesa a indagare l’eticità delle varie attività sanitarie in generale, e di quelle consentite dalle nuove tecnologie in particolare, costituendo così un ampio corpus di bioetica cattolica (8).

Papa Giovanni Paolo II ha dedicato un’attenzione tutta particolare al mondo della sanità (9), pubblicando sul tema della sofferenza la lettera apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza umana, dell’11 febbraio 1984 (10), istituendo il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari con il motu proprio “Dolentium hominum”, dell’11 febbraio 1985, e — l’11 febbraio 1994 — la Pontificia Accademia Pro Vita con il motu proprio “Vitae mysterium”. Il ricorrere della stessa data, l’11 febbraio, non è casuale: vi si celebra la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e, dal 1993, è la Giornata Mondiale del Malato.

A questi interventi straordinari vanno aggiunti numerosi discorsi dedicati al tema della sofferenza e delle pratiche sanitarie, gli interventi di Congregazioni e di organismi vaticani su temi specifici e, di fondamentale importanza per chi voglia ricostruire l’insegnamento della Chiesa su questo ambito, la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui, anche se non compare mai il termine “bioetica”, ne vengono affrontati partitamente i temi principali (11).

L’ampiezza e la vastità dei testi magisteriali a disposizione degli operatori sanitari ha fatto sentire a molti l’utilità — se non la necessità — di poter disporre di un’esposizione del Magistero cattolico che presentasse, oltre a quella dell’autorevolezza, le caratteristiche della completezza e della brevità, offrendo così insieme una sintesi della posizione della Chiesa e indicazioni per eventuali percorsi di approfondimento. Per corrispondere a tale esigenza, alla fine del 1994 il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari ha pubblicato la Carta degli Operatori sanitari (12).

 

La “Carta degli Operatori sanitari”

Nella Prefazione (pp. 5-6) S. Em. il card. Fiorenzo Angelini — presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari —, dopo aver segnalato che “[...] non può che considerarsi lusinghiero che la Congregazione per la Dottrina della Fede abbia approvato e confermato integralmente e tempestivamente il testo della Carta ad essa sottoposto: una ragione di più per riconoscere ad essa piena validità e sicura autorevolezza” (p. 5), indica nella Carta una risposta all’esigenza “di offrire una sintesi organica ed esauriente della posizione della Chiesa su tutto quanto attiene all’affermazione, in campo sanitario, del valore primario ed assoluto della vita: di tutta la vita e della vita di ciascun essere umano” (p. 5). Da qui l’organizzazione stessa del testo: “Perciò, premessa una introduzione sulla figura e sui compiti essenziali degli operatori sanitari, o meglio, dei “ministri della vita”, la Carta riunisce le sue direttive intorno al triplice tema del generare, del vivere e del morire” (p. 6). Il metodo scelto per la redazione di questo “codice deontologico” (p. 5) è quasi sempre quello di “cedere direttamente la parola agli interventi dei sommi pontefici o di testi autorevoli pubblicati dai Dicasteri della Curia Romana” (p. 6).

L’Introduzione, dal significativo titolo Ministri della vita (nn. 1-10, pp. 7-18), indica nel servizio alla vita umana la natura dell’attività degli operatori sanitari, esso costituisce una forma di testimonianza cristiana: “Modalità primaria ed emblematica di “questo prendersi cura” è la loro presenza vigile e premurosa accanto agli ammalati. In essa l’attività medica e infermieristica esprime il suo alto valore umano e cristiano” (n. 1). L’attività dell’operatore sanitario si fonda su una relazione interpersonale, egli “[...] è il buon samaritano della parabola, che si ferma accanto all’uomo ferito, facendosi suo “prossimo” nella carità (cf. Lc 10, 29-37)” (n. 3).

Viene poi rilevato che “il servizio alla vita è tale solo nella fedeltà alla legge morale, che ne esprime esigentemente il valore e i compiti” (n. 6); l’operatore sanitario “[...] attinge le sue direttive di comportamento a quel particolare campo dell’etica normativa che oggi viene denominato bioetica. In esso, con vigile e premurosa attenzione, si è pronunciato il magistero della Chiesa, in riferimento a questioni e conflitti sollevati dal progresso biomedico e dal mutevole ethos culturale. Questo magistero bioetico costituisce per l’operatore sanitario, cattolico e non, una fonte di principi e norme di comportamento che ne illumina la coscienza e la orienta — specialmente nella complessità delle odierne possibilità biotecnologiche — a scelte sempre rispettose della vita e della sua dignità” (n. 6).

Il primo capitolo, Il generare (nn. 11-34, pp. 19-33), analizza partitamente La manipolazione genetica (nn. 12-14), La regolazione della fertilità (nn. 15-20) e La procreazione artificiale (pp. 21-34).

Relativamente al tema della manipolazione genetica vengono distinti con precisione gli interventi veramente e direttamente curativi, moralmente leciti, da quelli alterativi del patrimonio genetico, che “[...] sono contrari alla dignità personale dell’essere umano, alla sua integrità e alla sua identità” (n. 13). Dopo aver richiamato i criteri per una valutazione morale dei metodi di regolazione della fertilità, e in particolare la natura insieme e inscindibilmente unitiva e procreativa dell’atto coniugale, il documento afferma che “[...] mentre è lecito, per gravi motivi, avvalersi delle conoscenze della fertilità della donna, rinunciando all’uso del matrimonio nei periodi di fecondità, risulta illecito il ricorso ai mezzi contraccettivi” (n. 17). Il problema non è tanto quello di “[...] una distinzione a livello semplicemente di tecniche o di metodi, in cui l’elemento decisivo sarebbe costituito dal carattere artificiale o naturale del procedimento. [...]

“[...] la ragione ultima di ogni metodo naturale non è semplicemente la sua efficacia o attendibilità biologica, ma la sua coerenza con la visione cristiana della sessualità espressiva dell’amore coniugale” (n. 18).

Quanto alla procreazione artificiale, la Carta sottolinea che “il desiderio del figlio, per quanto sincero e intenso, da parte dei coniugi, non legittima il ricorso a tecniche contrarie alla verità del generare umano e alla dignità del nuovo essere umano” (n. 25). In particolare, sono moralmente leciti esclusivamente quei “mezzi artificiali destinati unicamente sia a facilitare l’atto naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all’atto naturale normalmente compiuto” (n. 23): è il caso dell’inseminazione artificiale omologa.

Il vivere è il tema del secondo capitolo (nn. 35-113, pp. 35-83), a sua volta articolato in sedici paragrafi (13) che affrontano le molteplici questioni legate alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. Si tratta, come è chiaro, di un’area tematica che non consente alcuna prospettazione riassuntiva, ma che trova i suoi momenti unificatori nella dichiarazione che “dal momento in cui l’ovulo è fecondato si inaugura una nuova vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto” (n. 35), e nell’affermazione che “ogni intervento sul corpo umano “non raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le loro funzioni, ma coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona”.

“L’attività sanitaria non deve mai perdere di vista “l’unità profonda dell’essere umano, nell’evidente interazione di tutte le sue funzioni corporali, ma anche nell’unità delle sue dimensioni corporale, affettiva, intellettuale e spirituale”. Non si può isolare “il problema tecnico posto dal trattamento di una determinata malattia dall’attenzione che deve essere offerta alla persona del malato in tutte le sue dimensioni. È bene ricordarlo, proprio quando la scienza medica tende alla specializzazione di ciascuna disciplina”" (n. 40).

Il terzo e ultimo capitolo, Il morire (nn. 114-150, pp. 85-111) (14), richiama con forza che “servire la vita significa per l’operatore sanitario assisterla fino al compimento naturale.

“La vita è nelle mani di Dio: Lui ne è il Signore, Lui solo stabilisce il momento finale. Ogni fedele servitore vigila su questo compiersi della volontà di Dio nella vita di ogni uomo affidato alle sue cure. Egli non si ritiene arbitro della morte, come e perché non si ritiene arbitro della vita di alcuno” (n. 114).

Si tratta di un tema — quello dell’assistenza al morente — che richiede un’attenzione rinnovata e costante (15): il contesto culturale sopra tratteggiato, infatti, tende a rifuggire la morte e il morente perché questi pongono alla medicina e agli operatori sanitari domande cui essi — se sono semplici tecnici della salute — non sanno affatto rispondere. Il morente è allora illuso sulla gravità del suo stato, o emarginato, oppure si cerca di far rientrare la morte nell’ambito degli eventi che si determinano tecnicamente, producendoli: è il caso dell’eutanasia, o rimandandoli: è il caso dell’accanimento terapeutico; “per il medico e i suoi collaboratori non si tratta di decidere della vita o della morte di un individuo. Si tratta semplicemente di essere medico, ossia d’interrogarsi e decidere in scienza e coscienza, la cura rispettosa del vivere e morire dell’ammalato a lui affidato” (n. 121).

Bisogna, in particolare, “[...] evangelizzare la morte: annunciare il Vangelo al morente” (n. 131), evangelizzazione che ha “[...] nella carità, nella preghiera e nei sacramenti le forme espressive e attuative privilegiate” (n. 131).

La Carta si chiude con un prezioso Indice analitico delle materie (pp. 115-119) e con l’Indice generale (pp. 121-122).

 

La “Carta degli Operatori Sanitari” e la “nuova evangelizzazione”

Compito dei pochi cenni fatti è stato quello di indicare la vastità e la completezza di questo prezioso documento, proponendo piuttosto un invito alla lettura che un impossibile riassunto. Si tratta certamente di un documento fondamentale per quella formazione “[...] in materia morale e nella bioetica” di “tutti gli operatori sanitari” (n. 7) invocata dall’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi nel 1991 (16), e di una pietra miliare nel cammino della nuova evangelizzazione.

Nelle parole del card. Fiorenzo Angelini: “In apertura della Carta è detto che l’attività dell’operatore sanitario è “una forma di testimonianza cristiana”.

“Con umiltà, ma anche con fierezza, possiamo quindi ritenere che questa Carta degli Operatori sanitari si iscrive nell’impegno della “nuova evangelizzazione” che, nel servizio alla vita, particolarmente in coloro che soffrono, ha, sull’esempio del ministero di Cristo, il suo momento qualificante.

“L’auspicio, quindi, è che questo strumento di lavoro diventi parte integrante della formazione iniziale e permanente degli operatori sanitari, così che la loro testimonianza sia dimostrazione che la Chiesa, nella difesa della vita, apre il suo cuore e le sue braccia a tutti gli uomini, perché a tutti gli uomini si rivolge il messaggio di Cristo” (p. 6).

Lorenzo Cantoni

***

(1) Cfr. Ermanno Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1994.

(2) Cfr. Hans-Georg Gadamer, Apologia dell’arte medica, in Idem, Dove si nasconde la salute, trad. it., Cortina, Milano 1994, p. 47: “L’immagine primaria che la moderna scienza naturale possiede della natura non è quella di una totalità che si autoequilibra. Alla sua base non si trovano né l’esperienza della vita, né quella dell’equilibrio, bensì quella della produzione e della costruzione pianificata. La scienza moderna, ben al di là del suo valore specifico, nella sua essenza è meccanica pura, mechané, ossia creazione artificiale di effetti che non sopraggiungono da soli. [...] Le nostre riflessioni dimostrano tuttavia che la situazione della medicina resta inevitabilmente legata al presupposto dell’antica idea di natura. Tra le scienze che studiano la natura la medicina è l’unica che non va mai interamente concepita come tecnica, poiché identifica sempre la sua capacità pratica con il ripristino di quanto è naturale. Nell’ambito delle scienze moderne la medicina rappresenta una singolare unità di conoscenza teoretica e di sapere pratico, una coesione che non può essere intesa come applicazione della scienza alla prassi. Dunque consiste in un genere speciale di scienza pratica di cui nel pensiero moderno si è smarrito il concetto”. Cfr. anche il mio Il segno del corpo. Alcuni appunti fra semeiotica medica, polizia scientifica e semiotica linguistica, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 3, luglio-settembre 1994, pp. 92-99.

(3) Cfr. Stanis~aw Grygiel, La salvezza e la salute, in E. Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, cit., p. 23: “In linea di massima al medico viene affidato l’uomo [...] che sta affrontando lo sfacelo del corpo e la propria morte. Il medico, quindi, affronta il dramma [...] dell’essere dell’uomo.

“Ed è proprio ciò che viene spesso purtroppo dimenticato e trascurato dal medico. In tal caso egli limita la cura del malato al funzionamento del suo corpo, cercando di aiutare l’uomo che è diventato magna quaestio a ricuperare la salute intesa in termini del possesso”; e p. 28: “La magna quaestio alla quale l’uomo non è capace di rispondere è lanciata verso l’aldilà. Solo Dio può dire la Parola che è un’adeguata Risposta all’uomo che è diventato tale quaestio”.

(4) Cfr. Thomas S. Eliot, Quattro quartetti, trad. it., Garzanti, Milano 1989, East Coker, IV: “Il chirurgo ferito maneggia l’acciaio / Che indaga la parte malata; / Sotto le mani insanguinate sentiamo / L’arte pungente e pietosa di chi guarisce / E scioglie l’enigma del diagramma della febbre”.

(5) Cfr. Heinrich Schipperges, Il giardino della salute. La medicina nel medioevo, trad. it., Garzanti, Milano 1988; cfr. anche Luciano Sterpellone, I santi e la medicina. Medici, taumaturghi, protettori, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.

(6) Cfr. Mc. 2, 17; e Lc. 5, 31.

(7) Cfr. un’antologia di interventi a partire dal 1949 in Patrick Verspieren S.J. (a cura di), Biologia, medicina ed etica. Testi del Magistero cattolico raccolti e presentati da Patrick Verspieren S.J., trad. it., Queriniana, Brescia 1990.

(8) Non è possibile indicare neppure per sommi capi l’estensione di tale corpus: cfr. — per tutti — Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1994, 3a ed., in 2 voll., e la bibliografia ivi indicata.

(9) Cfr. Dionigi Tettamanzi (a cura di), Chiesa e bioetica. Giovanni Paolo II ai medici e agli operatori sanitari, Massimo, Milano 1988.

(10) Cfr. Il Nuovo Areopago, anno 4, n. 1 (13), primavera 1985, numero monografico sul tema L’uomo e il dolore pubblicato in occasione della promulgazione di tale documento.

(11) Cfr. un’analisi del Catechismo della Chiesa Cattolica da questa prospettiva, in Giovanni Russo, La bioetica nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, in Medicina e Morale. Rivista Internazionale bimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale Medica, nuova serie, anno XLIV, gennaio-febbraio 1994, pp. 91-120.

(12) Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori sanitari, Città del Vaticano 1994. Il documento, pubblicato in prima edizione nell’ottobre del 1994, è giunto alla terza nel dicembre dello stesso anno. Tutti i riferimenti nel testo senza diversa indicazione rimandano a questo documento; là dove — come perlopiù accade — esso cita altri testi, questi non saranno espressamente indicati.

(13) Origine e nascita della vita (nn. 35-37), Il valore della vita: unità di corpo ed anima (nn. 38-41), Indisponibilità e inviolabilità della vita (nn. 42-45), Il diritto alla vita (nn. 46-49), La prevenzione (nn. 50-52), La malattia (nn. 53-55), La diagnosi (nn. 56-58), La diagnosi prenatale (nn. 59-61), Terapia e riabilitazione (nn. 62-67), Analgesia e Anestesia (nn. 68-71), Il consenso informato del paziente (nn. 72-74), Ricerca e sperimentazione (nn. 75-82), Donazione e trapianto di organi (nn. 83-91), Le dipendenze (nn. 92-103), Psicologia e psicoterapia (nn. 104-107), Cura pastorale e sacramento dell’Unzione degli infermi (nn. 108-113).

(14) È articolato nei seguenti paragrafi: I malati terminali (nn. 115-118), Morire con dignità (nn. 119-121), L’uso degli analgesici nei malati terminali (nn. 122-124), La verità al morente (nn. 125-127), Il momento della morte (nn. 128-129), L’assistenza religiosa al morente (nn. 130-135), La soppressione della vita (nn. 136-138), L’aborto (nn. 139-146), L’eutanasia (nn. 147-150).

(15) Cfr. Elio Sgreccia, Antonio G. Spagnolo e Maria Luisa Di Pietro, L’assistenza al morente. Aspetti socio-culturali, medico-assistenziali e pastorali. Atti del Congresso Internazionale. Roma, 15-18 marzo 1992, Vita e Pensiero, Milano 1994.

(16) Cfr. Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l’Europa, Dichiarazione conclusiva, in L’Osservatore Romano, 20-12-1991, n. 10.

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