UOMINI MANDATI DA DIO – Don Enrico Ghezzi

UOMINI MANDATI DA DIO

di  don Enrico Ghezzi, 

 

Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questo è stato lo scopo di tutta la vita di san Paolo, al quale abbiamo rivolto la nostra attenzione durante l’Anno Paolino dello scorso anno; questa è stata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d’Ars, che invocheremo particolarmente durante l’Anno Sacerdotale; questo sia anche l’obiettivo principale di ognuno di noi.

Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella “scienza dell’amore” che si apprende solo nel “cuore a cuore” con Cristo.

È Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell’Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.

Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso “disegno del Padre” che consiste nel “fare di Cristo il cuore del mondo”

 23 novembre 2009

 

GIOVANNI XXIII

 

Introduzione.

Un Papa lo si può capire  a partire da due momenti della sua vita: il tempo dell’infanzia e della fanciullezza, e dal Testamento, conclusivo della sua esperienza di vita.

Per Papa Giovanni XXIII, proclamato dal popolo il ‘Papa Buono’, seguirò una traccia di vita da lui stesso indicata a partire dalla sua giovanissima età di 14, con quello che sarà chiamato ‘Il giornale dell’anima’. La storia di un’anima, non molto diversa da quella assai nota di S.Teresa del Bambino Gesù. In questi trent’otto quadernetti di scuola, il giovanissimo Roncalli, scrive tutti i suoi sentimenti umani e religiosi: segnando le preghiere, i propositi, i fioretti, le difficoltà, le gioie che una vita purissima e piena di innocenza gli veniva suggerendo di giorno in giorno.

Così mentre siamo soliti giudicare, per la storia, gli anni di pontificato dei successori di S.Pietro, con i loro interventi e gesti più solenni, in realtà io penso che uno diventi Papa prima, a partire già dalla loro fanciullezza e giovinezza, quando nella loro anima è stato seminato quel germe di fuoco e di amore con la parola del Signore, che avrebbe poi infiammato il cammino della loro vita, così da renderli idonei, con la grazia dello Spirito Santo, a diventare sommi sacerdoti della chiesa di Cristo. Senza questa attenzione allo sviluppo e alla formazione della loro anima negli anni della giovinezza, ci sarebbe difficile capire l’attività dei Pontefici, e daremmo spesso giudizi superficiali, dipendenti soltanto da scarse conoscenze storiche o da  sentimenti vaghi.

La grandezza dei pontefici del XX secolo, da Leone XIII, a S. Pio X, a Benedetto XV, papa della prima tragica guerra mondiale, fino a Pio XI e Pio XII, e ai due Papi che vogliamo ricordare Papa Giovanni XXIII e Paolo VI, Papa Montini, per coglierne almeno alcune dimensioni, bisognerà conoscere l’anima ardente della loro vita che precede la salita al soglio di Pietro.

Diventare Papa non è raggiungere una carriera, come spesso è banalmente creduto, ma significa essere scelti da Dio per portare con  Gesù la croce del sacrificio e l’oblazione totale dell’amore, secondo le parole di Gesù, prima della sua passione: “Avendo amato i suoi li amò sino alla fine”, secondo le parole di Giovanni 13,1.

Il Papa esprime l’intensità della sua identità spirituale, aderendo con pienezza alla vocazione a cui il Signore lo ha chiamato, come è ricordato dalla lettera gli Ebrei, a proposito del ‘sommo sacerdote’: “Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto tra gli uomini e per gli  uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati “>(Eb.5,1).

 

L’anima di Papa Giovanni

Oggi, noi veneriamo la memoria di Papa Giovanni, riconoscendo la sua santità: egli è stato già proclamato ‘beato’. Ma cosa significa essere ‘beato’ cos’è questa ‘beatitudine’ che ha sempre colmato e consolato l’anima di Papa Giovanni?

In Papa Giovanni la ‘beatitudine’ ha significato di ‘pienezza di benedizione’, di luce, vita di amore, di sentimenti teneri e generosi verso Gesù  che questo Papa ha poi profuso sul mondo e nella chiesa, durante i cinque anni del suo pontificato.

In lui, beatitudine, era innocenza, purezza, bonomia, luminosità serena, santità continuamente irradiata dalla sua vita semplice e povera. L’amore manifestato con ingenuità e pudore ha guidato il nostro Papa in qualunque momento del suo apostolato nei vari servizi alla chiesa, in Bulgaria, in Turchia, a Parigi, a Venezia e poi a Roma come successore di Pietro.

Desiderava comunicare alle nostre anime la tenerezza divina con lo stesso amore con cui il Signore aveva riempito e consolato il suo cuore dai giorni della sua fanciullezza fino alla croce delle ore finali, durante la sua malattia (un cancro allo stomaco), nella morte avvenuta il 3 Giugno 1963 alle 19,49.

In Piazza San Pietro, in quel momento, il card. Traglia suo vicario, concludeva la messa e all’ ite missa est, la stanza del ‘Papa buono’ si illuminava.

Un’altra fonte per comprendere  la vita di un Papa, è leggere il suo Testamento scritto meditando e pensando al momento della morte che mette fine alla propria esistenza e a ogni grandezza.

Dal Testamento di Giovanni XXIII, scritto mentre era ancora a Patriarca di Venezia, e dove pensava certamente di concludere la sua vita leggiamo: “Nato povero, da umile gente, sono lieto di morire povero, avendo distribuito a servizio dei poveri e della Santa Chiesa …quanto mi venne fra mano durante gli anni del mio sacerdozio ed episcopato…Alla mia diletta famiglia da cui non ho ricevuto nessuna ricchezza materiale, non posso lasciare che una grande benedizione, con l’invito a mantenere quel timore di Dio. .. semplice e modesto”.

La povertà  vissuta con  dolcezza e gioia evangelica ha caratterizzato tutta la sua vita: questa condizione non è mai stata percepita con umiliazione o sofferenza: era semplicemente l’espressione più congeniale che lo teneva unito alla sua famiglia di contadini poveri ma pieni di dignità e che ha sempre caratterizzato l’indole evangelica di Giuseppe Angelo Roncalli, da sempre disponibile alla imitazione di Gesù-povero, da testimoniare come sacerdote nella  Chiesa.

Uno dei libri semplici che papa Giovanni ha continuamente letto fin da giovane seminarista, come si trova nel suo ‘Giornale dell’anima’, è proprio il libretto di Tommaso da Kempis, ‘L’imitazione di Cristo’.

 

L’INFANZIA

Nessuno può comprendere il ‘Papa Buono’, senza rileggere la sua infanzia a Sotto il Monte.

Famiglia di contadini e mezzadri; lavoro nei campi, polenta fumante alla sera condivisa con qualche mendicante che bussava alla porta; carne solo alla domenica, e dolci nelle feste principali.

Questo modello di vita, in quegli anni, era comune alla stragrande maggioranza delle famiglie contadine e operaie: una vita che trasmetteva un profondo senso di dignità, di onestà e faceva crescere la sensibilità verso un profondo bisogno di giustizia e di uguaglianza che presto si diffonderà nella società contadina e operaia, dando origine poi all’inizio del secolo XX a manifestazione e a creazione di cooperative diverse.

Nella famiglia Roncalli, il lavoro della terra era accompagnato sempre da una intensa devozione religiosa; santo rosario intero ogni sera, qualche lettura della Bibbia. Lavoro, preghiera, miseria,  e grande fierezza.

Intanto, il piccolo Angelo  leggeva con avidità e manifestò subito a 10 anni, il desiderio del sacerdozio, ma la famiglia non aveva soldi per pagare il seminario.

Aiutato da un canonico, entra in seminario nel 1892 a ottobre, all’età di 11 anni. Studio e preghiera: a 14 anni incomincia a scrivere i suoi pensieri, un diario che sarà chiamato ‘Il giornale dell’anima’ (38 quaderni).

E’ un vero ‘diario’, che annota tutti i piccoli sentimenti, i desideri del giovanissimo Angelo, ma soprattutto elenca una lunga serie di doveri a cui non vuole mai venire meno.

Oggi noi forse facciamo un po’ fatica a comprendere la minuziosità e l’impegno di un ragazzo già così teso ad essere fedele alla sua formazione spirituale, fin dalle cose più piccole: penseremmo che non c’era abbastanza libertà interiore, e che le regole sembravano una gabbia che limitava la sua libertà.

In realtà, Angelo Roncalli, fin da questa giovinezza, era guidato dal desiderio della perfezione e della santità; tuttavia, crescendo negli anni, il ‘diario’ si fa più robusto e concreto, manifestando meglio l’ardore e la purezza di costumi del giovane prete.

Tipo di vita descritto: preghiera, propositi, confessione settimanale, esercizi spirituali, visite al sacramento, giaculatorie, assoluta purezza di gesti e comportamenti, umiltà, studio. Devozione al Sacro cuore di Gesù, alla Madonna e a S: Giuseppe, all’angelo custode.

Nel 1901, a Roma da un ritiro: ‘O Signore, il mio cuore voi lo vedete…preghiera e santa letizia’.

Studio di teologia con successo. Tornando per le vacanze a casa scrive in anticipo alla mamma: ‘Vedete io sono quello di prima…non dovete mantenermi come un signorino…’.

In quegli anni, i genitori circondavano i figli chierici di grandi attenzione: di ritorno a casa, pur continuando a collaborare un po’ nei campi, era però necessario che i chierici potessero aver una vita raccolta e serena.

1902: Esperienza militare, e trascrive con inquietudine: <quante bestemmie…devo ringraziare il Signore della tenerezza che mi hai  usato…Gesù ti ringrazio, ti amo>

Negli anni di studio a Roma, avendo particolare capacità di apprendimento, doveva però constatare: <sono schiavo del mio amor proprio>, perché si sentiva bravo negli studi.

 

1904: Prete ordinato a Roma: < se voglio essere un grande sacerdote, mi devo spogliare di tutto, come Gesù in croce>.L’antica disciplina a cui si era sottoposto, ora deve portare frutti nel suo lavoro di sacerdote. Essere sempre più vicino a Gesù, tenere sempre il vangelo come modello di vità

 

1905-1914: Segretario del grande vescovo Radini Tedeschi a Bergamo, suo maestro di vita; da lui imparerà ad essere pastore donato al servizio del popolo, dei poveri e della Chiesa. (Insegna in Seminario e inizia a scrivere la Storia delle visite di S. Carlo Borromeo a Bergamo. Nel 1914, in ottobre, assiste alla morte del Vescovo, raccogliendo le sue ultime parole sulla ‘pace’: stava scoppiando la prima tragica guerra mondiale.

 

1915-18: Richiamato cappellano militare. Incontra  migliaia di ragazzi militari feriti e moribondi che riempivano il seminario di Bergamo diventato ospedale militare; conosce gli orrori della guerra con la morte di tanti ragazzi e il dolore di tante giovani famiglie.

 

Nel 1925 a Roma è fatto vescovo. E’ un giorno  importante della sua vita, che, improvvisamente, cambierà corso.

La dignità episcopale lo rende cosciente dei suoi carismi, ma subito annota: <Non ho cercato o desiderato questo nuovo ministero…Quale motivo per tenermi umile! Voglio essere solo di Dio, splendente di carità verso la Chiesa e le anime>.

Il suo motto episcopale  è: <Oboedientia et pax>, a cui cercherà di essere fedele per tutta la vita.

 

1925-34 (in Bulgaria)- 1934-44 ( in Turchia).

Il primo decennio in Bulgaria: carità e disponibilità con tutti, in un paese di forte presenza della chiesa ortodossa. I cattolici sono una minoranza abbandonata ai margini della cristianità. A dorso di mulo raggiunge i più sperduti villaggi cattolici, ai confini della Tracia e della Macedonia.

 1834-1944: in Turchia, pochi cattolici e ortodossi, prevalenza mussulmana.

 Anni difficili di silenzio, di carità, di preghiera. Scrive nel suo diario < con cattolici e ortodossi cercherò di esprimere sempre bontà, bontà luminosa, dignità amabile>.

Avverte però di essere dimenticato da Roma e scrive: < Non farò mai un passo per provocare cambiamenti nella mia situazione…lasciando passare davanti a me chi vuole>.

<O Gesù ti ringrazio di questa solitudine >.

Sempre in questo ritiro parla di <pene…angustie.. vita da perfetto eremita>.

2Negli anni della Turchia, parlando ancora delle difficoltà con Roma, annota nei suoi quaderni con amarezza: <ciò mi fa male, è la sola mia vera croce. Voglio portarla con umiltà . Dirò sempre la verità, ma con mitezza…>. (La vera diplomazia è la verità).

 

6 Dic. 1944: finita la guerra, è promosso, con sua grande meraviglia e incredulità, a Parigi come Nunzio; incarico prestigioso . Incontro con il generale De Gaule, rigido e severo che si scioglie davanti alla semplicità di questo diplomatico sorridente, affabile e sereno.

Riuscirà a conquistare la simpatia del socialista Auriol, o del radicale e  anticlericale Herriot, mentre il cattolico Schuman dirà <E’ il solo uomo a Parigi in compagnia del quale si abbia una sensazione di pace >.

 Ci sono grossi problemi tra la Chiesa di Francia e Roma: conosce il grande Card. Suhard, vescovo di Parigi, e con lui partecipa alla  ‘Mission de Paris’: la situazione cristiana del proletariato è quella di lavoratori e operai ormai lontani dalla Chiesa e dalla fede.

Scoppia il problema dei ‘preti operai’ a cui Roncalli mostrò particolare attenzione e riguardo, riuscendo a convincere Roma della opportunità di quella esperienza. Ripeteva il futuro Papa del Concilio: <Senza un po’ di follia, la chiesa non ha mai allargato i suoi padiglioni>.

1953-1958 Patriarca a Venezia e cardinale.

Era il traguardo finale del Pastore sempre in cerca di un popolo a cui donare amore e carità evangelica. di una-

A nov. 1952, il Sostituto di Stato, Mons. G.B. Montini, gli comunica l’intenzione di Pio XII di mandarlo a Venezia:

<il Papa disponga della mia umile persona, in piena libertà> è la risposta di Roncalli. A gennaio 1953 ancora Montini, gli fa sapere che sarebbe stato nominato cardinale. A Parigi lascia il ricordo di <un prete leale e pacifico>.

Salutando Parigi dirà; < Spero che direte di me: era un prete leale e pacifico…>.

 A Venezia giunge con queste parole:

  •  < Vengo con una  disposizione all’amore degli uomini che mi tiene fedele al Vangelo…mi impedisce di fare del male a chicchesia: mi incoraggia a fare del bene a tutti>

  • <Vengo dall’umiltà e fui educato ad una povertà costante e benedetta>.

Popolo e sacerdoti trovarono in lui un amico e un padre. Qui incontra don Loris Capovilla che gli sarà fedele segretario fino agli ultimi istanti della sua vita.

9 Ott.1958 muore Pio XII.

25 Ott. 1958 si apre il Conclave e il 28 Ottobre diventa Papa col nome di Giovanni XXIII.

Giovanni dirà, perché è il nome del mio papà, della chiesa parrocchiale dove sono stato battezzato, ed  è il nome di S. Giovanni in Laterano. (Aggiungerà con l’ironia che spesso lo accompagnava: <Ci sono 22 papi eletti regolarmente col nome di Giovanni…Quasi tutti ebbero un breve pontificato>.

IL Concilio

Tutta la vita di Papa Giovanni XXIII fu una testimonianza dell’amore del vangelo.  Questo amore volle portare nella Chiesa con il Con. Vat. II, appena tre mesi dopo la sua elezione, che sorprese la Chiesa e il mondo: mostrò la sua personalità energica e sicura di sé, lucida e capace.

Improvvisamente, la domenica 25 Genn.1959, accompagnato dai cardinali di curia (17 in tutto), ignari di quello che sia stava svolgendo, dalla Basilica di S. Paolo, varcato il convento e venuto nella sala dove erano convenuti i cardinali, tirò fuori dalla tasca della sottana un foglietto, messi gli occhiali,  con voce emozionata, proclamò: <Per venire incontro alle presenti necessità del popolo annunciamo la celebrazione di un Concilio Ecumenico, per la Chiesa universale…in cerca dell’unità >.

Tutto il mondo fu preso da  stupore: se ne parlò nei bar, sui tram, in fabbrica, al mercato ecc., con un certo silenzio da parte di cardinali di curia, imbarazzati da quell’improvviso annuncio.

Ma il Papa era convinto che il suggerimento veniva dallo Spirito Santo.

 11 Ott. 1962: Inizia il Concilio; 2400 padri da Oriente a Occidente, da tutto il mondo: cattolici, ortodossi, protestanti; <Oggi  –dirà- la santa madre Chiesa gioisce…>.

Inaspettatamente, la sera si raduna  a S. Pietro, sotto la finestra del Papa  una folla di circa 500.000 persone. In un discorso non preparato, il Papa appare alla finestra, e parlando col cuore dirà parole che hanno una freschezza evangelica anche oggi:

<Cari figlioli, cari fedeli…

Sento la vostra voce!… Si direbbe che perfino la luna si è affrettata stasera. Guardate la luna, figlioli, osservatela in  alto a guardare questo spettacolo.

Figlioli la mia persona non conta niente, è un fratello che vi parla, un fratello diventato padre per volontà del Signore. Continuiamo a volerci bene. Guardiamoci così, nell’incontro, per cogliere quello che ci unisce tralasciando quello che ci divide…

E ora figlioli, vi do la mia benedizione…E tornando a casa  troverete i bambini. Allora date loro una carezza e dite. Questa è la carezza del Papa>.

E’ stata la comunicazione più alta e più umana che mai un Papa aveva usato nel rivolgendosi ai fedeli: con quel figliuoli, ripetuto più volte, a parlare era  un padre e un fratello che voleva raggiungere e  penetrare il cuore di tutti. Come Gesù.

25 Ottobre 1962: crisi terribile tra Russia e America per la Baia dei Porci a Cuba. Possibile terza guerra mondiale. Il 25 ottobre il Papa fa un accorato appello al mondo: <I potenti ascoltinoil grido di angoscia che sale da ogni parte  della terra. Pace, pace…>.

Passò due notti a pregare: il 28 Ott. ‘62  Kruscev toglie le basi missilistiche da Cuba. Dirà più tardi lo stesso Kruscev: <l’appello del Papa è stato per noi un raggio di luce…>. 

Il Papa buono verso la morte.

Ritiro spirituale del 1959: <Tutto il mondo è la mia famiglia>.

 La sua vita spirituale come Papa raccoglie nella sua semplice preghiera tutti gli uomini: <la mia costante e ininterotta preghiera quotidiana: breviario, santa messa, rosario completo, visita a Gesù nel tabernacolo, unione con Gesù  familiare  e confidente>.

Ritiro 1960. <Devo tenermi pronto a morire anche subito. Alla porta dei miei 80 anni devo tenermi pronto a morire o a vivere e provvedere alla mia santificazione>.

< La santa confessione  ben preparata, ripetuta ogni settimana, il venerdì o il sabato, resta sempre un bene solido della santificazione >

Negli ultimi giorni della sua vita, davanti al crocifisso: <Questo letto è un altare. L’altare vuole una vittima. Offro la mia vita per la Chiesa, la continuazione del Concilio Ecumenico, la pace nel mondo, l’unione dei cristiani> .

Qui dobbiamo necessariamente ricordare le parole di Gesù e della sua ‘consacrazione’ prima della sua morte: offerta del suo sacrificio, Gesù è il ‘sacerdote’, è colui che offre al Padre, come ogni sacerdote, il sacrificio di sé:  ‘Per loro io consacro me stesso’Gv.19,19).

E’ iniziato il Concilio, intanto però il Papa comincia a stare male. Si notano sul suo viso smorfie di dolore intenso, e bruciori allo stomaco. I primi sintomi si fecero sentire già nel’61: il Papa si offre per la riuscita del Concilio, ma in quei mesi fine ’62  inizio 1963, il Papa è conscio della sua malattia.

Un giorno, impressionato dal volto segnato dal dolore, il segretario mons. Capovilla gli chiede: <si ente male, Santo Padre?>.  Il Papa mortificato per essere stato sorpreso in quell’atteggiamento rispose: <Mi sento come san Lorenzo sulla graticola: sono tutto un bruciore>.

Volge alla fine: il 30 maggio 1963, nella notte, un dolorosissimo attacco emorragico ne affrettò la fine. Ricevette i sacramenti e dirà : “voglio morire da vescovo, con semplicità. Aiutatemi a morire come si deve a un Papa”.

Sera  del 3 giugno ’63: grande veglia di preghiera in Piazza S: Pietro, celebrata dal card. Traglia, vicario del Papa per la diocesi di Roma: conclude la messa con le parole tradizionali: ‘la messa è finita’. Nello stesso momento la finestra lassù si illuminata e si spalanca eloquentemente: Papa Giovanni è volato in Paradiso! Sono le 19,49.

 Come scrive l’Apocalisse 21,23: <Et lucerna eius est Agnus> <la sua lampada è l’Agnello>.  Il ‘sommo sacerdote’ ha offerto il suo sacrificio, come Gesù per amore del mondo e della Chiesa.  

Conclusione.

Subito il popolo chiamerà Giovanni XXIII, il Papa Buono. E’ entrato nelle famiglie come un fratello e un padre. La sua bonomia, la sua sapienza antica, la dolcezza calda e modesta ha saputo trasmettere l’idea di Chiesa umile, madre, dove si può vivere al vertice del potere religioso, ma da ‘servo, da fratello di tutti.

L’amore delicato, casto, pudico, dell’animo di Papa Giovanni sapeva suscitare in tutti, anche nei lontani e non-credenti, il senso della pacatezza e dell’armonia.

Ha vissuto fin da bambino nel fuoco dell’amor del cuore di Gesù e dello Spirito santo, e la sua vita ha ripercorso  le strade della santa famiglia di Nazaret, nella completa fiducia al Padre, come Maria e Giuseppe e Gesù. Così alla fine poteva sperimentare nell’agonia e nella morte, le parole dell’evangelista più amato: <..amò sino alla fine>(Gv.13,1).

Papa Giovanni, è  stato questa luce delicata di amore che illumina e conforta la nostra umanità e rinnova la nostra speranza.’

GIOVANNI BATTISTA MONTINI

 PAOLO VI

 

Papa bresciano, non lontano da Bergamo, città di Papa Giovanni XXIII.

Se Papa Giovanni ha seguito una ispirazione interiore dettata dallo Spirito Santo, fin dalla sua fanciullezza, esprimendo la grazia di Dio nella bonomia, semplicità, dolcezza e umiltà, tali da comunicare al mondo intero un profondo senso di fiducia, di pace e di consolazione, Papa Paolo VI, G.B. Montini, vive e comunica una passione spirituale irripetibile, in un tempo della storia che lo vedrà assoluto protagonista del Concilio Vat.II, lasciato aperto da Papa Giovanni, e che il nuovo Papa porterà a compimento con straordinaria luminosità intellettuale, coraggio e amore per la Chiesa.

Montini intellettuale e di animo sensibilissimo, di estrazione familiare borghese, lo troviamo fin da giovane sacerdote, servitore della Chiesa, accanto ai Papi Pio XI e Pio XII, durante il secondo conflitto mondiale, che porterà milioni di morti e vedrà l’Europa distrutta.

Se Papa Giovanni comunicava una specie di ‘tenerezza divina’ di cui il Signore lo aveva gratificato, Paolo VI ha vissuto il vangelo con la stessa ‘passione e urgenza’ dell’apostolo Paolo.

Sembrava voler prendere su di sè il mondo e la Chiesa, volendo come ‘cristificare’ l’intero cosmo trasmettendogli la passione e l’energia divina della salvezza, così cara a Theillard de Chardin, l’antropologo gesuita che vedeva nel cuore del mondo, l’amore infuocato del cuore di Cristo.

E’ un Papa che, con Giovanni XXIII, ho sentito particolarmente vicino, in quella primavera della Chiesa degli anni ‘60|’80 dove la forza rinnovatrice del Concilio nella Chiesa voleva essere una energia  cristica piena di speranza  da comunicare al mondo intero.

Indicato da alcune critiche, come un ‘papa enigmatico’ (così anche Pio XII), indeciso, sofferente, in realtà <la sua segreta angoscia nasce dal constatare il disordine, il dolore, la cecità umana> (Guitton), da cui spesso la nostra umanità è in preda.

 Da qui il suo impegno assiduo e quotidiano  rivolto <specialmente ai lontani, agli apatici, ai dubbiosi >(14 dic.1975, alla fine dell’Anno santo1975).

Una tensione interiore che lo rivelava come il papa che vuole incontrare e annunciare il vangelo a tutti gli uomini, nella dimensione universale dei continenti: da qui i suoi viaggi intensi e impegnativi che lo vedevano parlare, incontrare le popolazioni più lontane e più povere; voleva far comprendere a tutti il ‘riscatto’ civile della dignità e della bellezza della vita, attraverso la persona di Gesù Cristo e del suo < vangelo, che è potenza di Dio>( Rm.1,16), come ha scritto l’apostolo Paolo presentandosi ai cristiani e ai cittadini di Roma.

Con la stessa forza interiore dell’apostolo delle genti, anche Paolo VI sentiva di essere <Apostolo per vocazione, scelto ad annunciare il vangelo di Dio> (Rm.1,1), e ancora, come Paolo,  di dover essere <in debito verso i Greci, come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti>(v.14) per indicare l’ampiezza della sua missione di Pastore del mondo.

E’ in questa forza interiore radicata nella fede in Cristo, una fede attinta e convinta già dalle radici della famiglia nella testimonianza cristiana del padre e della dolcissima madre, che  Paolo VI riuscirà, con grande coraggio e senza incertezza o dubbio, a trasmettere  nei documenti del Concilio che portano il sigillo della sua sapienza: la costituzione sulla Chiesa la ‘Lumen Gentium’ (Chiesa Luce dei popoli), e la costituzione del dialogo permanente della Chiesa col mondo, la ‘Gaudium et spes’.

Sembrano descrivere perfettamente l’anima e il carattere di Papa Montini le parole che aprono la costituzione sul mondo della Gaudium et spes: <Gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, son pure le gioie e le speranze, le angosce e le sofferenze dei discepoli di Cristo>(GS,1).

Anche oggi, rilette e meditate, basterebbero queste semplici parole per ridare alla nostra Chiesa un entusiasmo rinnovato e una passione missionaria che forse si è spenta.

Tutti i documenti del Concilio, che avrebbero dato nuovo impulso all’apostolato dei cristiani nel mondo, questi documenti portano impresso il sigillo dell’amore per la carità e la verità di PaoloVI.

Ricordiamone solo alcuni: la costituzione Dei Verbum (la Parola di Dio), guida illuminata e lungamente attesa dagli studiosi della Scrittura, principio di apertura scientifica che darà grandi frutti sulla conoscenza della Parola di Dio, arricchendo la spiritualità di ogni cristiano attento a percepire il ‘linguaggio’ di Dio. Così tutti i documenti che riguardano la vita religiosa e sacerdotale, la partecipazione attiva dei laici alla missione della Chiesa, la vocazione missionaria della Chiesa verso tutte le genti, i documenti sulla libertà religiosa, il dialogo con i fratelli separati mediante l’ecumenismo, il riconoscimento delle religioni non cristiane, i problemi riguardanti l’educazione cristiana dei giovani fino ai temi, divenuti inseguito essenziali, come l’uso dei mezzi di comunicazione.

Nulla è sfuggito alla Chiesa conciliare, nel tentativo di riallacciare il mondo al dialogo con Dio-Padre nostro. In questo sforzo, i Padri presenti al Concilio, hanno riconosciuto l’intelligenza illuminata e l’anima ardente del Papa che li guidava. Alla sua morte, molti riconobbero la sua grandezza accostandolo ai grandi pontefici della Chiesa, come San Leone magno e S. Gregorio magno. Grandezza e santità  che gli fu riconosciuta dai successori come il santo papa Giovanni Paolo I, il Papa dei 33 giorni, e Giovanni Paolo II, il polacco che durò a lungo.

Per cogliere la grandezza di Papa Montini, occorre, anche per lui, ritornare agli anni della sua formazione giovanile, nella sua città di Brescia.

 

La sua storia.

G,.B. Montini nasce a Brescia nel 1897, il 27 Sett., da Giorgio e Giuditta Alghisi. Famiglia, borghese, radici cattoliche profonde, colte. Il padre medico e parlamentare popolare, agli inizi del secolo scorso. Il giovane  Montini ha una grande stima e ammirazione verso il padre, e una dolcissima venerazione verso la madre, dedita in casa, alla educazione dei tre figli. Donna di delicati sentimenti e di viva pietà, che univa alle opere di carità. Dirà il futuro papa della madre: <devo a mia madre il senso del raccoglimento>.

 La famiglia incide profondamente sull’anima sensibilissima di  G.Battista e sulla sua straordinaria intelligenza.

Studia a Brescia nel Liceo dei gesuiti Cesare Alici.  Frequenta la chiesa di S Maria della Pace, dove i pp. Filippini Caresana e Bevilacqua cureranno la sua formazione religiosa e culturale. P. Bevilacqua, sacerdote discepolo di S. Filippo Neri, e uomo di eccellenti doti intellettuali e spirituali, seguirà praticamente per tutta la vita, lo sviluppo e il cammino del futuro Paolo VI.

Diploma liceale nel 1916, ordinato sacerdote nel 1920, studi ecclesiastici a Roma tra il 1920-24; a ottobre del 1924 entra nella Segreteria di Stato in Vaticano, dove nel 1937 diventa Sostituto della stessa Segreteria con Pio XI e poi nel 1939 con Pio XII.

 

1939-45: seconda guerra mondiale: anni intensi di lavoro per Montini, nell’Ufficio di Informazioni del Vaticano <per lo scambio e la ricerca di molti soldati prigionieri e  civili>.

Nel 1952 Pio XII lo promuove Segretario di Stato; nel 1954 è Arcivescovo di Milano: sceglie come programma della nuova missione il motto ‘In nomine Domini’ a indicare la sua radicale dedizione al popolo di Dio. Il Signore, nel cuore di Montini, ‘è la  roccia’ su cui fonda il suo impetuoso slancio missionario, il Signore è la certezza che ogni giorno lo conduce e lo conforta nell’immenso lavoro che lo attenderà nella grande chiesa ambrosiana.

Nel 1958 programmò la ‘Missione di Milano’ con il tema ‘Dio è Padre’, <per richiamare alla vita religiosa sincera e autentica una intera città>. Fabbriche, operai, imprenditori, intellettuali, parrocchie urbane e suburbane. A Milano incontra la collettività, l’umanità ammassata nella grande periferia dove arrivavano immigrati dal sud in cerca di lavoro, incontra il mondo moderno che ha abbandonato la fede. Descrive questo mondo con accenti di un profeta di Israele:< la nostra città sta diventando atea…ieri intellettuali atei…oggi diventa una malattia diffusa…il peccato moderno è l’apostasia, l’abbandono della fede..>(1959). Si parla di indifferenza e di ateismo collettivo: l’indifferenza non combatte la fede, non la contesta, perché ormai sembra vuota…senza significato.

In questi anni, negli incontri quotidiani, usò parole ‘insolite sulla bocca di un vescovo’: una commovente umiltà che si ritroverà nel Con Vat.II, parole alte e nobili, mai prima pronunciate da un  capo religioso: <Quale solitudine nella casa di Dio! Vi chiedo perdono, figli lontani. Perché questo fratello è lontano? Perché non è stato amato! Per i nostri difetti ha imparato ad odiare la religione…Ebbene fratelli lontani, perdonateci! Se non siamo stati capaci di parlarvi di Dio…ma ascoltateci!>(1958)

Questa passione per il vangelo nuovamente portato ai poveri, ai giovani agli operai, ai carcerati, agli ultimi, ai lontani, bruciava l’anima religiosa di Montini, vescovo di Milano.

Nel dicembre 1958, Papa Giovanni lo crea cardinale.

Il 3 Giugno 1963 muore il Papa buono, Papa Giovanni XXIII; lo sguardo del mondo intero è puntato sull’Arcivescovo di Milano;   il 21 giugno G.B.  Montini, al quarto scrutinio,  viene eletto Pontefice col nome di Paolo VI.

 

Papa Paolo VI 21 Giugno.1963- 6 Agosto 1978.

 

La scelta del nome dell’apostolo Paolo indica chiaramente gli intenti del nuovo Papa: ardore e passione evangelica; santità di vita  spesa per Cristo e il vangelo; equilibrio tra le varie posizioni contrastanti all’interno della chiesa.

Per spiegare quest’anima ardente di Cristo e di amore alla Chiesa che ha guidato il nuovo Papa negli anni del Concilio, bisogna ricordare l’affermazione che troviamo all’inizio della Costituzione sulla Chiesa la ‘Lumen Gentium’ dove, ricorrendo ad una antica espressione del vescovo di Lione S. Ireneo,  si dice : <  Lo Spirito Santo, con la forza del vangelo, fa ringiovanire (iuvenescere)  la Chiesa e la rinnova continuamente e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo> (LG.4).

Qui trovo tutta l’anima e l’intenzione di Papa Montini per la Chiesa spese nel Concilio: rendere ‘giovane’ la Chiesa, renderla cioè sempre capace di annunciare con modernità ed efficacia il vangelo di Gesù Cristo, restando fedele alla ‘tradizione’ della sua Parola. I poveri, i lontani, gli esclusi da ogni speranza, gli uomini di scienza, gli artisti, tutti devono poter sentire l’amore dello Chiesa e dell’avvento nel mondo della persona di Gesù.

 

I viaggi.

A Concilio aperto, il Papa iniziò una serie di viaggi, assolutamente nuovi, proprio sulle orme di quel fuoco missionario che aveva guidato l’apostolo Paolo.

E’ il Primo Papa dopo S: Pietro, a ritornare in Palestina nei primi giorni di gennaio 1964, il paese di Gesù: Gerusalemme, Nazareth, Betlemme, l’Israele di Gesù, la Palestina, a lungo percorsa nella sua vita pubblica. Viaggio carico di significato simbolico e spirituale: come riportare nel mondo le beatitudini, l’esempio di Gesù, la sua vita, la memoria della sua passione, e l’annuncio carico di speranza che è la sua risurrezione. Il ritorno al dialogo, dopo il dolore delle morti e dei campi di concentramento, con il popolo di Gesù, gli ebrei, gli ortodossi delle chiese orientali e le diverse culture religiose.

 

Dicembre 1964, in India conosce la sofferenza per la povertà, delle sterminate popolazioni non cristiane dell’Asia, venute ad acclamarlo; in attesa di riscatto sociale e civile.

  •  Ottobre 1965. Parla al’ONU:  il grido di speranza : <Mai più la guerra, mai più!>

  • Luglio 1967  viaggio in Turchia.

  • Agosto 1969  in Colombia.

  • Dic. 1970  viaggio in Africa.

In pochi anni visita popoli e nazioni e contempla le miserie della povertà di molti e della ricchezza di pochi e dell’uso del danaro in armamenti invece del pane e dell’istruzione.

Carattere e spiritualità

Alla semplicità e carità comunicativa di Papa Giovanni, rispondeva un altro modo di essere di Papa Montini: Riscontra J. Guitton:

  • tendenza alla solitudine,

  • interiorità profonda,

  • rispetto per ogni persona,

  •  intelligenza intuitiva e artistica,

  •  emozioni intense e controllate,

  •  colloqui della interiorità,

  •  rispetto per ogni persona: < vive in lui un tormento generato dal bisogno di perfezione e percezione viva delle condizioni degli altri coi quali intesse un dialogo pieno di rispetto.

  •  Conosce la ‘complessità’ dei problemi che sono la complessità dell’uomo moderno> (Guitton).

  • Silenzio unito a una memoria intelligente che lo rende partecipe al destino di ogni uomo: come un padre silenzioso, che ascolta la storia del figlio.

Sul piano umano la chiave di comunicazione è il dialogo: come Gesù ascoltava e interrogava.

  • Mettere in luce ciò che si nasconde nel cuore dell’uomo: con i suoi occhi verdi e chiari, Papa Montini sapeva penetrare nell’anima dell’interlocutore.

  • C’era in lui un ‘quid’ di candore, di audacia, di utopia: bisogno di prendere parte al dolore, alle pene e alle difficoltà degli uomini, andando al centro delle lotte dove si grida.

  • Rivela un’anima nobile con cui raggiunge i malati, il candore dei bambini che ricorda forse la fragilità della sua salute che lo aveva segnato dall’età della sua infanzia, protetto  dalla dolcezza della  madre.

Nella memoria di questa età che accompagna anche ciascuno di noi, nella sua vita, anche il Papa  confessa il bisogno di affetto e di tenerezza; nel 1965 dice: “anche il papa ha bisogno di conforto: nonostante il conforto spirituale che al Papa gli viene da  Dio, il papa ha le sue pene…”.

 Personaggio somigliante a S. Paolo che si sentiva lacerato, tentato, debole: per questo ha una profonda analogia con l’uomo  moderno: ne ha le aspirazioni e i tormenti.

Quale spiritualità?

Papa Montini  non avrebbe mai potuto portare il peso per tanti anni di pontificato (15), se non fosse stato realmente sostenuto dal fuoco di amore donato dallo Spirito Santo; è stato un pastore carismatico nel senso genuino del termine: ha vissuto in sé il carisma dello Spirito ricevuto nel battesimo.

Da secoli, la Chiesa non aveva mai ricevuto tante spinte al rinnovamento, come in questi anni del Concilio. Questo lavoro di fatica, di attenzione e di equilibrio, richiedeva anche la presenza di una guida assolutamente immersa nella grazia dello Spirito.

Così testimonia l’arcivescovo di Rabat (Marocco) nell’incontro col Papa del 26 Ott. 1976, appena due anni prima della morte del Papa:  “Una mezz’ora passata con lui, parlando dei problemi della Chiesa in Marocco. Fummo pervasi da una vera effusione dello Spirito della quale ricordo la forza, la dolcezza il fuoco… Offerta di due vite per la Chiesa e il mondo”

“Il passaggio dello Spirito  aveva bruciato le nostre parole nella fiamma dell’Amore puro e ci sentimmo invasi da una tenerezza inesprimibile”.  (Jean Chabbert, arciv. Di Rabat).

Papa dello Spirito; nessun Papa si è rivelato come Paolo VI il Papa dello Spirito: nessuno ne ha parlato come lui. E’ stato maestro di fede “che sapeva presentare in maniera attraente le rivelazioni di Dio” dirà Papa Luciani. Il suo è un profondo equilibrio teologico fondato sulla persona di Cristo.

Alcuni temi della sua spiritualità.

Aveva un volto cesellato dal Fuoco: fuoco di sofferenza, fuoco d’amore, fuoco dello Spirito.

Dal suo Testamento affiora questa interiorità accesa di amore: “Sento il dovere di celebrare il dono, la felicità la bellezza di questa esistenza fugace “(Testamento).

Una vita piena del valore dell’amicizia: poco prima di morire, il 26 aprile 1978 : “amicizia sublimata in Gesù nell’amore fraterno, consumata nell’amore trinitario”.

Sente in sé l’ardente desiderio di ‘vedere’ il volto di Dio, nel volto di Gesù: “vedere Gesù… se lo potessimo vedere, noi immersi nella ‘civiltà dell’immagine’, vorremmo riempire i nostri occhi dell’aspetto fisico del nostro Salvatore…” ( 13 genn.1971).

Volto di Cristo che si ritrova nei poveri e dirà a circa 2000 carcerati di Regina Coeli : ” Vedo in voi  l’immagine che vado cercando…voi producete davanti a me Gesù Cristo: per questo sono venuto, per mettermi in ginocchio davanti a voi…”.

Ai campesinos della Colombia il 23 Ag. 1968: “voi siete un segno, siete un’immagine, voi siete un mistero della presenza di Cristo…siete un’immagine sacra del Signore…Voi siete, fratelli carissimi, il Cristo per noi…”.

Paolo VI ha avuto particolare attenzione e affetto per i ‘bambini malati’, chiedendosi spesso il ‘senso’ del mistero del dolore: “Il dolore innocente…Cristo era il perfetto innocente, l’Agnello di Dio… Questi sono come gli agnelli di Dio…”

Il mistero del dolore che spesso appare insolubile pensando all’Amore di Dio, riceve in Paolo VI il tentativo di una risposta nella persona di Gesù, innocente e in croce.

Stesso intenso amore e comprensione il Papa aveva parlando ai giovani: “gemito esistenziale della loro innata volontà di vivere”(23 Ott.1974).   

Ciò che colpisce e impressiona nelle parole di Papa Montini, è questo suo linguaggio fortemente ‘personalizzato’ che imprime in ogni discorso. La potenza e la grazia del vangelo hanno realmente attraversato il cuore e la mente di questo pontefice, e bruciano le sue labbra.

Papa Montini, non racconta, non descrive, ma vive, sperimenta e trasmette ciò che viene dal cuore e dalla mente, sotto l’azione dello Spirito Santo che nella Pentecoste si manifesta con l’immagine del fuoco ( At. 2,3).

A quanti nei mass-media volevano descrivere Paolo VI come un uomo triste,  diceva ai cardinali : “siamo felici di rispondere alla volontà di Dio che ci ha scelti per annunciare il suo regno”, e denunciando una presenza de male che c’è anche nella Chiesa, soggiungeva: “la beatitudine è il nostro vangelo”.

Il suo amore alla Chiesa, nel linguaggio e nel cuore di Paolo VI, è pressocchè perenne e si sviluppa spesso come un canto, un inno: “La Chiesa ha bisogno di una perenne Pentecoste. Ha bisogno del fuoco nel cuore e sulle labbra, di profezia nello sguardo. Ha bisogno dello Spirito Santo in noi tutti insieme, in noi-Chiesa” (29 novembre 1972), potendo dire di sè di  aver gustato “le sorprese della gioia date dallo Spirito” (Ag.1976).

I  maestri più ricordati nella formazione teologica di Papa Montini possono essere indicati in S. Agostino, Ambrogio, Caterina da Siena, e nella modernità Bossuet, Newman, Maritain, ben sapendo però che si illuminava ai Padri della Chiesa, alla teologia medioevale con Bernardo, Tommaso, Bonaventura, Teresa d’Avila, avendo poi una profonda conoscenza di Dante che spesso citava a memoria, di Sakespeare, Dostojevski, e della letteratura francese. Il teologo moderno, Yves Congar, amico del Papa, potrà indicarlo come “un dottore e un poeta”.

Da ultimo ricorderemo le sue grandi encicliche:

  • Ecclesiam suam (1964): visione programmatica della Chiesa nel mondo;

  • la Populorum Progressio (1967), una grande enciclica sociale;

  • la Humanae vitae  (1968) che tanto fece discutere sul sistema di difesa della vita;

  • l’esortazione sulla gioia cristiana con la Gaudete in Domino (1975)

  • e infine il gioiello sulla evangelizzazione con la Evangelii nuntiandi (8dic.1975).

La morte è avvenuta nella festa della trasfigurazione di Gesù il 6 Agosto 1978, verso le 21,30.

Scriverà mons. Macchi, suo segretario, sulla morte di Paolo VI. “E’ morto in una tensione di amore (una morte rapida) e di fiducia in Dio”.  

Ricevette la comunione nella festa della Trasfigurazione e l’unzione dei malati: ripete le preghiere Pater noster, Ave, Salve regina, Magnificat, Anima Christi.

Nelle ultime ore, verso il tramonto di un giorno estivo d’Agosto, a Castel Gandolfo, il Papa morente, ripeteva continuamente ‘Pater noster..’, Pater noster…qui es in coelis…la preghiera che lo consegna nelle braccia del Padre.

Dio Padre era stato il tema della grande missione di Milano del 1958. 

Testamento e Pensiero sulla morte.

Paolo VI aveva  già scritto un Testamento per la sua morte e una lunga meditazione sul Pensiero della morte ( 30-6-1965 con aggiunte 16 sett.1972 e 14 luglio 1973).

E’ una ‘contemplazione’ sul senso della vita e il suo mistero e sulla fugacità di ogni illusione o ricchezza.   

In questi due testi, capolavori di ogni letteratura, da confrontare con le pagine più alte delle Confessioni di S. Agostino, le sue parole e i suoi pensieri si rincorrono quasi come un inno tra lo stupore innocente della vita e l’immagine della morte che mette fine a questa esperienza della nostra esistenza.

Scrive: “Ora la giornata tramonta e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena;  come ancora ringrazio Te, o Signore, per il dono della vita, della fede e della grazia di essere stato inserito nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica, iniziato al sacerdozio di Cristo ed aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio…

A te, Roma…dilettissima la mia ultima benedizione perché tu sia sempre memore della tua misteriosa vocazione…spirituale e universale…

Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la benedizione della divina Bontà!”.

 Con questa ultima riflessione sulla grandezza della vita e la certezza della fede cristiana, nel Signore risorto, conclude  il cammino umano di Papa Paolo VI: il suo ritorno nel cuore del Padre, ardentemente desiderato.  


Sito gestito dalla Parrocchia Santa Melania.

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