03 – SAMARITANI O ALBERGATORI ? – Votati all’ospitalità – A. Nocent

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VOTATI ALL’OSPITALITA’

Il Dr. Nahon nell’articolo riportato in fondo, si fa portatore di una proposta, non so fino a che punto condivisibile da religiosi che impegnano la loro vita.

Così egli scrive: “Nell’organizzazione anche “aziendale” dell’ospedale esistono in maniera informale delle cariche di volontariato, a volte solo delle incrostazioni residue o sorgenti, entro le professioni, che provengono dall’antica mentalità ospitaliera e che rappresentano una sostanziale “mission” ben prima che si affermasse la nomeclatura aziendalistica.

Questo elemento vocazionale, di chiamata, è una delle peculiarità maggiori della professione sanitaria e s’intreccia con la vocazione del luogo in cui essa s’invera, suo contenitore e spargitore. L’Ospedale del Medioevo nasce come casa della carità e del controllo ed è retto da personale che tra i religiosi scelgono di dedicarsi alla cura fisica dei più deboli. La struttura giustifica e sorregge automaticamente la motivazione individuale.

Nel laicato tecnologico e a volte tecnocratico della medicina attuale questo sostegno e giustificazione non sono più scontate; ne discende la necessità sempre più cogente di mettere al centro dell’organizzazione ospedaliera la valorizzazione della scelta originaria del compito accuditivo.

È questa scelta originaria dell’operatore che arriva come nutrimento rasserenante al malato, e che ritorna all’operatore come fondamento della propria soddisfazione; è questa che in sanità può configurarsi (forse similmente solo alla creazione artistica) come vera e propria felicità Professionale.

Al di là di ogni retorica missionaristica e ribadita l’importanza assoluta di una giusta retribuzione in denaro per lo sforzo lavorativo, questo appagamento profondo proveniente per l’operatore dall’utente e per l’utente dall’operatore, si presenta come una un sorta di accoppiamento sociale alto che può realizzare i desideri e le aspettative delle due parti”.

Fare leva sul “compito accuditivo” può essere utile e doveroso, ma per me, che ho da sempre in mente la comunità terapeutica evangelica, non può bastare.

Ciò che accade sotto i nostri occhi è che la cultura dominante in sanità si muove nella logica direzione indicata da una premessa equivoca che ha originato lo scientismo tecnologico: se l’uomo è manipolatore di tutto, ciò che è tecnicamente fattibile è per ciò stesso ammissibile. Solo che in questo modo non si risponde alla domanda fondamentale: chi è l’uomo?

I credenti si rifanno alla Bibbia:

“ Dio creò l’uomo simile a sé, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò… E Dio vide che tutto quel che aveva fatto era davvero molto bello” (Gen 1, 27-31).

Per chi si pone davanti all’a Rivelazione, dell’uomo si può costruire una sola idea: è l’immagine di Dio: “maschio e femmina li creò a sua immagine”. Nella sua integrale unitaria realtà, l’uomo (carne-cuore-anima/corpo-psiche-spirito) non può mai essere separato o contrapposto e chi va contro la verità della persona non fa che nuocerle. Ogni volta che alla comunità terapeutica viene meno questa visione integrale della persona, essa inevitabilmente cade nella visione meccanicistica, fisicista e vitalista dell’uomo e del suo corpo. Dimenticare o sacrificare gli aspetti psicologici, relazionali, affettivi, morali, spirituali e religiosi della persona, vuol dire che la medicina, la sanità, le istituzioni non stanno camminando sulla strada che da Gerusalemme va a Gerico ma hanno preso un’altra direzione, dove non s’incontrano uomini ma illusioni ottiche ad alti costi.

Prima di inoltrarci nella parabola evangelica del Samaritano, è utile cogliere la mentalità dominante in sanità ed i messaggi che vengono posti in circolazione. Non tutto è male, non sempre sono negativi. Quasi sempre necessitano di essere precisati, integrati.

Gli uomini di scienza sono in difficoltà perché chiamati a difendere posizioni sempre più difficili. Il progresso tecnologico, la fulminea rapidità applicativa dell’informatica, delle telecomunicazioni, delle biotecnologie, li sta spiazzando perché, essi per primi, non riescono a collocarlo in un disegno prevedibile e coerente. A tutti capita di affermare con molta onestà e saggezza che, talvolta, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma oggi noi assistiamo al totale capovolgimento del proverbio: il dire, il capire, lo spiegare, vengono dopo il fare che viene per primo e che procede in modo indipendente e senza binari. Il mare che sta in mezzo vorrei che fosse Dio, l’unico che può dettare il “codice epistemologico” per la navigazione in sanità.

Gli uomini di scienza ribadiscono anche oggi che i fattori sociali in grado di influire pesantemente e negativamente su di essi non sono solo il potere politico-economico e i movimenti popolari ma anche la fede religiosa. Tralasciando i primi due, quello religioso è condizionante sul progresso del pensiero scientifico per il semplice motivo che la scienza si sviluppa all’interno di un orizzonte razionale, mentre le religioni sono costruite all’interno di un orizzonte di fede, cioè irrazionale.

La risposta che viene dalla fede è scritta in Romani 11,33-36 nell’inno alla sapienza di Dio:

“O Dio, come è immensa la tua ricchezza, come è grande la tua scienza e la tua saggezza! Davvero nessuno potrebbe conoscere le tue decisioni, né capire le vie da te scelte verso la salvezza.

Chi ha mai potuto conoscere il tu pensiero, o Signore? E chi ha mai saputo darti un consiglio? Chi ti ha dato qualche cosa per ricevere il contraccambio?

Tutto viene da te , tutto esiste grazie a te e tutto tende verso di te. A te sale, o Dio, il nostro inno di lode per sempre. Amen “.

Epperò, anche in campo sanitario numerose persone qualificate e benemerite, davanti a un’ipotesi di ricompensa finale da parte di Dio, “venite benedetti dal padre mio, perché avevo…e mi avete…”, sostengono come di recente ha scritto il prof. Veronesi nel suo ultimo libro: “io non avrò ricompensa [nei cieli] perché non credo”. Di persone per bene come lui il mondo della sanità è strapopolato; sono molti a condividere anche la sua etica che, guarda caso, potrebbe essere letteralmente riportata in un’enciclica papale:

“una carezza vale più di un lungo discorso. Il bravo medico non deve mai dimenticarsi di mettere il paziente al centro della sua attenzione, di instaurare con lui un rapporto prima di tutto umano e allacciare un legame di fiducia”.

Tanti come lui, credenti compresi, condividono l’idea che il famoso oncologo auspica: “E’ arrivato il tempo per tutti di recuperare una visione globale della persona. E’ importante conoscere nei dettagli la condizione degli organi di un individuo, il suo stato di malattia, ma è altrettanto importante conoscere la sua condizione psicologica. Purtroppo, oggi, tra il paziente e il medico si è creato uno spazio troppo ampio, asettico. E’ una distanza che va colmata al più presto e tocca proprio alla classe medica fare dei passi per ricreare un rapporto di empatia. Empatia vuol dire immedesimazione, fare propri i bisogni del malato, i suoi problemi, la sua sofferenza. Naturalmente vuol dire anche soffrire e gioire con lui, in rapporto alle varie evoluzioni della malattia…”

Mi sembra proprio il caso di affermare con stupore: guarda da che pulpito viene la predica! Il prof. Veronesi è lo stesso che afferma in altra parte del libro: “io non avrò ricompensa, perché non credo”. Questo medico forse non sa o non può credere che in una pagina del Vangelo, definita laica, proprio perché non ci sono accenni alla fede, alla preghiera, al culto, è detto che lo aspettano piacevoli sorprese: “Ero malato e mi hai curato…” E lui garbatamente a dirGli: “Guardi che si confonde, non l’ho mai incontrata…” E Lui a insistere: “Ogni volta che l’hai fatto… l’hai fatto a me” (Mt. Cap.25).

Che bastino dei gesti materiali? Per alcuni certamente sì. Scrive il Card. Martini: “Va tenuto presente che Matteo scrisse il suo vangelo per una comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi superficiali, senza impegnarsi seriamente nelle opere di carità. Di qui l’invito a non accontentarsi di dire “Signore, Signore”, ma a fare concretamente la volontà del Padre e a mettere in pratica la parola del Signore. Anche la pagina del giudizio finale va letta in questa prospettiva di realismo, di operosa concretezza.

…Spesso i credenti si riempiono la bocca di parole, ma non fanno la volontà del Padre, mentre è possibile trovare realismo, concretezza, impegno fraterno, implicita corrispondenza ai desideri di Dio in chi non ha esplicitamente con Dio un rapporto di fede e di culto“.

Dove sta il vero problema? Che la fede nasce dall’annuncio di Cristo: “Ma come potranno invocare il Signore, se non hanno creduto? E come potranno credere in lui, se non hanno sentito parlare? E come ne sentiranno parlare, se nessuno lo annunzia? E chi lo annunzierà se nessuno è inviato a questo scopo?” (Rom 10,14).

Nella stessa lettera, l’Apostolo non parla solo ai cristiani di Roma ma si riferisce anche ai Fatebenefratelli: “ Anche nel presente, vi è un certo numero di israeliti che Dio ha scelto per grazia. E se ha agito per grazia non è a causa delle opere, altrimenti la grazia non sarebbe grazia” (Rom.11,5-6) Nella sanità voi siete gli israeliti mandati ad evangelizzare, a riempire i vuoti dei ragionamenti pieni di buon senso ma carenti di prospettiva: “La fede dipende dall’ascolto della predicazione, ma l’ascolto è possibile se c’è chi predica Cristo” (Rom 10,17).

Siamo attorniati da persone che si dichiarano atee, agnostiche, credenti non praticanti…Cosa dice l’Apostolo? “Accogliete chi è debole nella fede, senza criticare le sue opinioni” (Rom 14,1).

Bisogna fare due cose:

  • non erigersi mai a giudici;

  • avere la pazienza di Dio.

Il suggerimento di Paolo aiuta a discernere perché ogni uomo cela dentro sé l’ebreo al quale Dio ha promesso di aprire gl’occhi. “Gli Ebrei hanno inciampato – constata l’Apostolo – ma io mi domando: la loro caduta è definitiva? Non di certo!” (Rom.11,11).

Alla domanda iniziale, sulla differenza tra ospedale pubblico e religioso, forse ora si può già tentare una primissima risposta: non si nota nessuna differenza. Ma la differenza c’è, eccome: “ Se nel tuo cuore credi che Dio ha resuscitato Gesù dai morti e, con la tua voce, dichiari che Gesù è il Signore, sarai salvato. Chi crede veramente, Dio lo accoglie; chi dichiara la propria fede sarà salvato. Infatti la Bibbia dice: ‘Chi crede in lui non sarà deluso. Non vi è perciò differenza fra chi è Ebreo e chi non lo è, perché il Signore è lo stesso per tutti, immensamente generoso verso tutti quelli che lo invocano. Afferma infatti la Bibbia: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”.

Come si vede, il mondo della sanità, senza esclusioni, va aiutato ad identificarsi nel Nome che, invocato, garantisce salvezza.

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