“HANS URS VON BALTHASAR E MARIA, ICONA DELLA CHIESA”

“HANS URS VON BALTHASAR

E MARIA, ICONA DELLA CHIESA

(Conferenza 6 febbraio 2010 – Centro Culturale Mariano Mater Ecclesiæ)

 

Luca di Girolamo

 

INTRODUZIONE

1. BREVE CENNO BIOGRAFICO

2. LE DIMENSIONI DEL «FIAT» MARIANO

3. IL POSTO DI MARIA NELLA COMMUNIO SANCTORUM

4. MARIA TIPO E MODELLO ORIGINARIO CONCLUSIONE …………………….

INTRODUZIONE

Non poche volte in questi incontri dei sabati mariani ci siamo soffermati sulla figura di H. URS VON BALTHASAR (1905‐1988), teologo svizzero di lingua tedesca (anche se ha scritto, talvolta, in francese) forte di una cultura enciclopedica che ha condensato tutta la sua visione nella Trilogia (Gloria, Teodrammatica e Teologica) nonché in piccoli saggi e volumi nei quali ha affrontato non solo temi teologici, ma anche argomenti relativi alla struttura della Chiesa in rapporto con il mondo in un momento di rinnovamento come è stato il Concilio. Non è, diciamo subito, un teologo semplice da leggere e ciò per almeno tre motivi: ‐ non è sistematico nel senso comune del termine; ‐ ha una grande e varia cultura che presuppone anche nel lettore; ‐ da buon linguista egli conia addirittura alcune parole tedesche rendendo così ardua un’eventuale traduzione. Per questa nostra riflessione su alcuni temi mariani presenti in questo autore, tenendo conto dell’anno sacerdotale, ho pensato di attingere non tanto ai suoi densi volumi teologici, quanto piuttosto a tutta una sua attività di predicatore che egli ha esercitato anche in occasioni di trasmissioni alla radio svizzera e a quella vaticana, a raccolte di meditazioni sulla Parola di Dio distribuita lungo l’anno liturgico, nonché a piccole operette di meditazione in cui la densa teologia del grande pensatore svizzero si veste di un linguaggio a noi più vicino ed immediato.

I. BREVE CENNO BIOGRAFICO

Nato a Lucerna il 12 agosto 1905 da nobile famiglia,1 von Balthasar ha una formazione iniziale segnata da due esperienze religiose/educative molto diverse tra loro, dapprima quella benedettina ad Engelberg che gli fa scoprire le lettere, le arti e la musica (von Balthasar sarà anche un valente pianista e un conoscitore di musica sinfonica ed operistica e drammaturgia) quindi quella dei gesuiti a Vienna dove si laurea in filosofia e germanistica nel 1928. Nel 1929 entra nella Compagnia di Gesù. Pur dotato di una immensa cultura, formatasi alla scuola di Guardini e De Lubac, la sua esistenza è contrassegnata da un’impronta pastorale molto forte. Difatti pur venendogli offerta, alla fine degli anni ’30, la cattedra di teologia alla Gregoriana egli preferisce l’assistenza spirituale degli universitari a Basilea in quanto giudicava molto più importante la cura d’anime che l’insegnamento. Ma è chiaro che quest’ultima attività non viene del tutto disertata.

Numerose sono le sue presenze a conferenze ed incontri. Difatti essere assistente spirituale degli 1 Per questa sezione ci siamo rifatti alle preziose notazioni di P. HENRICI, Primo sguardo su von Von Balthasar, in K. LEHMANN‐W. KASPER (a cura di), Hans Urs von Von Balthasar, Figura e opera, Piemme, Casale Monferrato 1991, 25‐85. 2 universitari significava attorno al 1940 un lavoro culturale cattolico molto forte in una terra come la Svizzera culla di alcuni riformatori protestanti.

I due grandi personaggi che dominano la vita di von Balthasar sono H. De Lubac, grande teologo e patrologo e A. von Speyr, dottoressa protestante poi convertita al cattolicesimo nel 1940 e dotata di doni mistici. Con la von Speyr, von Balthasar inizia un sodalizio spirituale molto forte in cui proponeva una visione trinitaria della vita cristiana nonché un’attiva presenza nel mondo. Von Balthasar è fondatore di iniziative culturali ed editoriali come le edizioni Johannes Verlag e l’Istituto secolare S. Giovanni che, alla fine della guerra, vide il sorgere del ramo femminile. Proprio questa nuova famiglia religiosa determina l’uscita di von Balthasar dalla Compagnia di Gesù avvenuta nel 1950.

Si tratta di un passo sofferto motivato dal fatto che i Gesuiti rifiutarono di accogliere nel loro statuto la nuova forma di vita consacrata fondata da von Balthasar. Tale uscita pone von Balthasar in stato di grave indigenza aggravata da certa insofferenza in quanto il Vescovo di Basilea non ne tollerava la presenza in città.

Si tratta di un periodo abbastanza tormentato durato 6 anni in cui a von Balthasar solo gradualmente viene dato il permesso di celebrar Messa e confessare. Si mantiene perciò tenendo corsi di esercizi spirituali; finalmente nel 1956 viene incardinato a Coira. Da tener conto che von Balthasar doveva far fronte anche alle spese della sua casa editrice.

In virtù dell’uscita dalla Compagnia, von Balthasar si ritrova nel mondo e senza strutture. Pur dotato di un’enorme cultura nella quale convergevano i Padri della Chiesa, la letteratura mondiale e alcuni filosofi, von Balthasar non viene invitato al Concilio per almeno due motivi: per la sua uscita dalla Compagnia di Gesù e per il suo pensiero giudicato, al tempo, troppo avanguardista e non estraneo a elementi modernisti.

Sta di fatto che da teologo progressista in un primo tempo, von Balthasar è passato, nel giudizio di certa parte di Chiesa, ad essere reazionario. In realtà egli ha avuto il pregio (e non il torto) di mettere in guardia da un’interpretazione libera e non rispettosa della tradizione del portato del Concilio. Questo gli ha provocato non poche antipatie ed insofferenze.2

Accanto alle fondazioni di vita consacrata, von Balthasar fonda la rivista Communio che viene pubblicata a partire dal 1973. Questo ci porta a considerare la notevole produzione teologica di von Balthasar che comprende circa 85 volumi, oltre 500 articoli e quasi 100 traduzioni accanto a moltissime note e lavori minori. Questo, senza contare i 60 volumi della von Speyr ai quali ha collaborato attivamente. Nonostante le critiche di cui era oggetto, proprio per questo amore e servizio alla Chiesa, come era avvenuto per il suo maestro De Lubac, Giovanni Paolo II nel 1988 lo ha creato cardinale, ma il Signore ha disposto diversamente. Due giorni prima dell’elevazione cardinalizia, a S. Pietro nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, von Balthasar muore: era il 26 giugno 1988.

Sullo scrittoio, nota Mons. P. Henrici, era pronto l’annuale dono natalizio per i suoi amici: il volumetto “Se non diventerete come bambini”, ancora una volta una riflessione sul mistero dell’Incarnazione al quale il nostro autore ha dedicato tanto spazio nella sua teologia.

Proprio da questo mistero occorre partire per tracciare un ritratto non completo, ma esauriente della Madre del Signore.

2. LE DIMENSIONI DEL «FIAT» MARIANO

Il ritratto che von Balthasar ci offre della Madre del Signore si caratterizza per un ritorno costante al centro costituito dalla persona di Cristo nel suo farsi uomo. In questo grande evento si esige la collaborazione dell’uomo che Maria offre al piano di Dio con la prontezza di quell’«Eccomi 2 Su questo tema si veda la lunga intervista fatta a von Balthasar da Mons. Angelo Scola, attuale patriarca di Venezia, nel 1985 dal titolo Viaggio nel post‐Concilio e pubblicata nel volume La realtà e la gloria. Hans Urs von Balthasar.

Articoli e interviste 1978‐1988, ed. EDIT, Milano 1988, 163‐184. 3 sono la Serva del Signore» che sappiamo essere dal testo originale di S. Luca una manifestazione gioiosa. Un Sì – quello della Madre del Signore – illimitato, ci dice von Balthasar in un’omelia nella festa dell’Immacolata Concezione che ne determina il suo statuto. Il Sì a Dio che Maria pronuncia nell’evento dell’Incarnazione è il medesimo Sì senza barriera costituita da quel peccato che segna l’uomo dalla sua nascita.

Scrive il nostro autore: Cosa significa «concepita senza peccato» o come pure si dice «concepita senza macchia di peccato originale»? Significa, con parole brevi ed essenziali, che quella persona in cui venne al mondo il Figlio di Dio ha accolto in sé questo dono del Cielo con (…) un Sì senza alcuna limitazione, nemmeno nascosta, senza quel «Si, però…», «Si, se…», «Si a condizione che…», «Si, vedremo…». Si potrebbe chiamare questa festa anche la festa del Sì a Dio senza macchia.3

La macchia è quella del peccato originale. Ma cosa è questa realtà ? Alla domanda, trattandosi di un’omelia, von Balthasar non fa speculazioni, ma preferisce toccare l’uomo da vicino: Cos’è il peccato originale ? L’insufficienza morale di ogni uomo che viene al mondo come membro della razza umana. Ognuno ne sa qualcosa: sa che non è come dovrebbe e potrebbe essere. Egli assolve forse i suoi doveri alla meno peggio, ma appunto: in parte bene, in parte male. (…) Ora egli si consolerà perlopiù dicendo «Sbagliare è umano, e non si può nemmeno pretendere più dagli altri, ed io faccio in effetti quello che posso». Ma proprio così dicendo, sente che dovrebbe potere di più. La carenza personale che ognuno avverte nel suo più intimo è allo stesso tempo una carenza universale, sociale.4

Tornando all’Incarnazione, è importante e significativa la precisazione che il nostro autore fa circa il termine tedesco impiegato Empfangen che significa accogliere, ma anche concepire. Tali verbi non denotano passività: «davanti a Dio, se compiuti con fede, sono sempre la massima attività. Se nel Sì di Maria – prosegue von Balthasar – ci fosse stata anche solo l’ombra di un’esitazione (…) alla sua fede sarebbe rimasta attaccata una macchia e il bambino non avrebbe potuto prendere possesso dell’intera umanità».5 Questo atteggiamento è vero e proprio insegnamento che ci aiuta a riaffermare l’unità esistente tra azione e contemplazione che solo in epoca moderna è stato drasticamente scisso, ma che S. Tommaso († 1274) affermava con un paradosso secondo il quale la creatura, quanto più riceve da Dio, tanto più partecipa del suo fare.6 Tale Sì mariano va a toccare perciò una incondizionatezza che affonda le sue radici nella libertà propria della Vergine; una verginità, nota ancora il nostro autore, in funzione della maternità. Tutto ciò tocca da vicino l’identità del Bambino che dev’essere concepito e deve nascere. Se Egli prende la totalità dell’umanità, il Sì di Maria deve comprendere tutta la sua integrità psico‐fisica.

Perché questo ? Il motivo è da ricercarsi nella missione che questo Bambino deve portare avanti e che può solo Lui portare a compimento. L’uomo pronuncia il suo “Si però…”, ecc., ma Dio vuole eliminare quest’oscillazione: il suo Sì all’umanità è la ragione di fondo per cui Maria può pronunciare un’analoga risposta positiva al piano di Dio, senza oscillazioni. È vero – potremmo aggiungere – che Maria è esente dal peccato che fa inclinare pericolosamente verso l’abisso, ma 3 H. U. VON BALTHASAR, Tu coroni l’anno con la tua grazia (Salmo 65,12), Jaca Book, Milano 1990 (or. ted. 1988), 205. 4 Ibidem. 5 H. U. VON BALTHASAR, Maria icona della Chiesa, S. Paolo, Cinisello Balsamo 1998, 12. 6 Cf. TOMMASO D’AQUINO, De Veritate 22, 4. Testo citato da von Balthasar nel suo saggio Azione e contemplazione, (risalente al 1946) contenuto nel volume Verbum Caro, Morcelliana, Brescia 1970,253. 4 ciò non ci deve dispensare dal notare come, attraverso di lei, troviamo la manifestazione del Dio uno e trino diversa – ma non opposta – a quella sul Sinai dove ci si fermava alla enunciazione verbale della Legge. Ora la realizzazione è esistenziale in un essere umano che si colloca nella scia dei grandi dell’AT a partire da Abramo: È proprio la fede veterotestamentaria da Abramo in poi – nota ancora von Balthasar – a prendere parte (…) a questa esperienza trinitaria che necessariamente dovrà diventare punto di partenza per un’esistenza di fede neotestamentaria ed ecclesiale. (…) Per cui c’è parallelamente alla vita di Gesù anche una vita di Maria in cui tramite suo Figlio ella viene educata (…) al ruolo che dovrà esserle affidato ai piedi della Croce: essere il prototipo della Chiesa.7 Ma parlare di Trinità significa risospingersi all’interno della scena lucana dell’Annunciazione dove appunto viene proclamata la venuta di un Figlio che come la Madre è sotto l’egida dell’obbedienza: «la traiettoria dal seno del Padre eterno al grembo della Madre temporale – nota ancora il nostro autore – è un cammino nell’obbedienza, il più difficile e ricco di conseguenze, ma che viene percorso nella missione da parte del Padre: «Ecco io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,7). Chi porta e lo sospinge è lo Spirito. Lo Spirito del Padre, che manda, e del Figlio, che obbedisce, e quindi lo Spirito che nel portare e nel sospingere, è tanto attivo quanto obbediente».8 Perché allora, potremmo chiederci, sussiste questo sì dell’uomo a Dio pronunciato da Maria ? Potremmo rispondere facilmente citando il titolo di una piccola operina che è un commento all’enciclica Redemptoris Mater scritta da von Balthasar insieme ad un altro grande autore, oggi particolarmente noto, cioè J. Ratzinger: perché Maria è il Sì di Dio all’uomo.9 Un Sì che passa per l’umanità e la coinvolge (del resto è lo statuto più profondo della Rivelazione nella sua duplice dimensione di manifestazione divina e coinvolgimento dell’uomo10) e che dall’Annunciazione si estende fino ai minimi dettagli della vita comune che Maria intrattiene con il Figlio. Citiamo qui due eventi: lo smarrimento nel Tempio dove le parole di Gesù spingono l’umanità ad un oltre («Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio»), ad un’apertura totale. In secondo luogo: la vicenda nuziale di Cana: il «Fate quello che vi dirà» assume per von Balthasar una valenza eucaristica («Fate questo in memoria di me») che passa anche per la moltiplicazione dei pani.11 In entrambi i casi abbiamo la richiesta dell’uomo nei confronti di un Dio che, in Cristo, dà risposte che disorientano e generano non comprensione. Riprendiamo le scene: al «Tuo padre ed io ti cercavamo angosciati» corrisponde il «Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio», in secondo luogo: al «Non hanno più vino» segue il «Che ho da fare con te o Donna. Non è ancora giunta la mia ora». Proprio in questo contesto di apparente confusione, ancora una volta si staglia l’atteggiamento sapienziale di Maria che nulla getta e tutto conserva (cf. Lc 2,19.51), fa memoria, è Ella stessa memoria della Chiesa secondo una felice immagine di Giovanni Paolo II che von Balthasar commenta,12 rilevando come la comprensione graduale alla quale Maria perviene è un lavoro instancabile che inizia proprio da quell’evento incarnatorio in cui è presente 7 Ibidem, 14. 8 H. U. VON BALTHASAR, Il Rosario, Jaca Book, Milano 1984 (or. ted. 1977), 17. 9 J. RATZINGER‐H. U. VON BALTHASAR, Maria il Sì di Dio all’uomo. Introduzione e Commento all’Enciclica Redemptoris Mater, Queriniana, Brescia 1987 (or. ted. 1987). 10 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum nn. 2.4. in Enchiridion Vaticanum (= EV), EDB, Bologna 1981, 1/873.875. 11 H. U. VON BALTHASAR, Maria icona della Chiesa, cit., 15. 12 H. U. VON BALTHASAR, Maria memoria della Chiesa, in La realtà e la gloria, cit., 101‐105. 5 l’intera Trinità. «La Trinità – dice il nostro autore – è all’interno dell’evento che le capita».13 E potremmo aggiungere all’interno della vita stessa di Maria muovendo proprio da quel custodire e mantenere in sé stessi parole ed opere. In merito, von Balthasar osserva che Maria: ha spazio sufficiente per nascondere in se stessa tutte le parole di Dio: le parole che l’angelo le disse, poi le parole dette ai pastori i quali d’ora in poi raccontano quanto è stato detto loro a riguardo del Bambino. Le parole si accordano tra loro sono tutte in fondo parole di Dio, ricapitolantisi nel Bambino che Maria ha portato nel suo grembo e che adesso è posato davanti a lei senza ancora poter parlare. Le parole di Dio che ella custodisce nel suo cuore fanno tutt’uno con la Parola di Dio che lei ha portato al mondo.14 Maria quale luogo della memoria prende forza proprio da quel Sì assoluto tanto della Madre quanto del Figlio che servono, ognuno per la propria specificità, ad abbattere ogni divisione tra terra e cielo, per accogliere il cielo in terra.15 Tutto questo dice fecondità tanto per Maria quanto per la Chiesa, fecondità che non è solo il generare figli (il Cristo carnalmente e i fratelli del Figlio a livello spirituale), ma permettere all’eternità e all’assolutezza del Dio trascendente di entrare nel limitato e nel contingente e trasfigurarlo. In merito von Balthasar nota che il Sì di Maria, che la rende Sede della Sapienza in forza dell’accoglienza della Parola e con l’illuminazione dello Spirito Santo, si viene a completare nel mistero della gloriosa Assunzione dove «ella ha consegnato questa conoscenza ai credenti».16 Ma che tipo di conoscenza è, potremmo chiederci, quella che Maria affida ai cristiani ? La risposta di von Balthasar è molto precisa: «Ciò che Maria desidera lungo le epoche della Chiesa non è che noi la onoriamo come singola persona, ma che riconosciamo la profondità dell’amore di Dio nell’opera della sua incarnazione e liberazione».17 Da tutto questo scaturisce perciò un vero e proprio percorso di santità che Maria indica nella sua umiltà che non è quella della peccatrice pentita, ma quella di una persona che considera tutto ciò che le capita come dono di Dio.18 Santità che è riconoscersi dono di Dio e, come tali, adeguati recipienti della grazia di Dio per poter compiere esattamente il nostro ruolo nella Chiesa.19 3. IL POSTO DI MARIA NELLA COMMUNIO SANCTORUM Più volte von Balthasar nella sua opera teologica si sofferma sul tema della santità e lo fa con un ampio ventaglio di specificazioni e sfumature. Possiamo dire che tutta la sua teologia è inclusa in questo status di santità e che il teologo, proprio perché è tramite e esegeta della Rivelazione, deve essere santo. Tale aspetto singolare emerge soprattutto nel commento a Gv 15 dove troviamo la nota figurazione della vite e dei tralci contrassegnata da quella famosa frase del v. 5: «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» che von Balthasar applica alla teologia in nome di una semplicità che coincide con l’inclusione paolina “en 13 Ibidem, 102. 14 H. U. VON BALTHASAR, Tu hai parole di vita eterna (Gv 6,68), Jaca Book, Milano 1992 (or. ted. 1989), 79. 15 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Tu coroni l’anno con la tua grazia, cit., 208. 16 H. U. VON BALTHASAR, Maria memoria della Chiesa, cit., 104. 17 Ibidem. 18 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Maria icona della Chiesa, cit., 28. 19 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Maria memoria della Chiesa, cit., 105. 6 Christo” (cf. Gal 1,16. 2,19‐20; II Cor 12,9).20 Non è possibile far teologia se non si torna al centro che è il Cristo giovanneo, Rivelatore del Padre (cf. Gv 1,18). Solo in tal inserimento è possibile rendersi conto in modo concreto del fatto che tale santità che è una forma di fecondità antropologica (che riguarda cioè tutto l’uomo) attuata in una missione possiede un principio sempre divino, non umano. Per questo motivo, osserva von Balthasar: La santità cristiana qualificata comincia con il libero sì dell’uomo alla sua elezione e con la sua fedeltà nell’esecuzione del compito. In nessun caso si può dire il sì sia in tutti i chiamati egualmente debole e impotente; al contrario alcuni dicono un sì pieno, altri un chiaro no, altri un «forse» un «adesso no, ma dopo»… (…) Quelli che dicono un sì pieno talvolta incespicheranno o esiteranno o rimarranno indietro rispetto al loro primo ideale, ma la grazia li aiuta. (…) Non solo loro a possedere una missione, ma è la missione a possederli. Non importa quale essa sia (…) importante è che l’uomo le rimanga fedele.21 Accanto a questo tratto dell’accoglienza di una specifica missione bisogna aggiungercene un altro non meno importante, quello che von Balthasar chiama anonimità proprio della fecondità. Ma anonimità non è un tratto dispregiativo quanto piuttosto rinvia all’universalità: Ogni uomo che si lascia espropriare da Dio e dal suo incarico – nota ancora von Balthasar – è una pietra d’angolo di comunione, uno spazio in cui gli altri possono prosperare, crescere e procurarsi materiale per costruire se stessi. Ogni santo è essenzialmente tale non per se stesso, ma per Dio e per i fratelli. Un santo che lavorasse all’edificazione della propria santità sarebbe una contraddizione in sé. Egli non sarebbe acceso e reso incandescente dal fuoco di Dio, che è sempre amore purificante, ma brucerebbe nel proprio fuoco, che ultimamente può soltanto essere preso a prestito dall’inferno.22 Come si colloca la Madre del Signore in tutto questo contesto apparentemente lontano e diciamo pure al plurale rispetto ad un’esistenza singola come la sua ? La risposta va ricercata proprio nell’entità stessa della missione che non viene solo posseduta dal credente, ma possiede il credente. Questo lo vediamo in Maria e nella Visitazione: ricevuta e concepita la Parola, Maria la porta all’anziana parente, ma in realtà è portata da questa Parola, vive l’espropriazione (cioè l’esser fatta cosa propria da Dio) ma essa si veste di gioia perché sa di essere glorificata da Colui che in lei si sta formando. Tutto questo senza paura: nel momento in cui ha accolto la missione è Serva della Parola, ma ne è anche portatrice. «Nel suo Magnificat – ci dice ancora von Balthasar – questi due elementi si unificano: tutte le genti la loderanno e non cesseranno di guardare a lei, ma, da parte sua, ella guarda solo a Colui «che ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e a tutta la sua discendenza».23 Sempre nel contesto dell’Immacolata Concezione, von Balthasar è memore del nome che la Chiesa orientale dà alla Madre del Signore, la Panaghia (= Tutta Santa): è chiaro che questo derivi dal suo particolare statuto creaturale di estraneità personale dal peccato. Ma von Balthasar non 20 Cf. H. U. VON BALTHASAR, La semplicità del cristiano, Jaca Book, Milano 1987 (or. ted. 1983), 85. 21 H. U. VON BALTHASAR, Tu coroni l’anno, cit., 158. 22 Ibidem, 159. 23 H. U. VON BALTHASAR, Il Rosario, cit., 22. 7 esita a dire che, pur Immacolata, Maria vede il peccato nella società ebraica di cui fa parte, sperimentandone gli effetti altrui in sé stessa, in quanto è parte di quegli uomini che non possono sussistere chiusi in se stessi e proprio perché aperta come ogni essere umano all’altro dinanzi a questo male ne soffre, ma non cerca rivalsa.24 Ancora una volta, il porgere l’altra guancia (cf. Mt 5,39) non è limitabile ad una regoletta di buona condotta, ma rinvia a quell’amore che contraddistingue il Servo Sofferente (cf. Is 50,5‐6; 53,7 e I Pt 2,23) che vedrà in Cristo il compimento: tutto questo dice conformazione che se per Maria è totale, per il credente può tradursi con disponibilità ad una totalità donata. Proprio tenendo conto di questo legame il ritratto di Maria viene a precisarsi come segue: La madre Maria non pretese altro che di essere «Ancella del Signore». Suo figlio, sebbene nostro Signore e Maestro, non volle essere altro che un servo fra noi. Egli infatti si presenta al Padre stando dalla parte degli uomini, cioè dei servi. Inoltre nella sua funzione di «servo di Dio», egli si addossa tutte le colpe del mondo.25 C’è una profonda diversità tra Maria e noi, ma non separazione che von Balthasar illustra in un’omelia della Solennità di Tutti i Santi non partendo da Maria, ma dalla Trinità, nei seguenti termini, attuali e realistici: Sostenere il mondo e le sue contraddizioni fino alla fine (e anche oltre), sopportare e resistere fino in fondo, lo può soltanto Dio e quell’Unico nel cui cuore il Padre ha infuso tutto il suo amore e al quale ha affidato il suo Spirito. Ma l’uomo finito, limitato, ha però ricevuto dal Signore crocifisso (…) una dote infinita, che si esprime nella frase della Vergine e Madre «Ecco, io sono l’ancella del Signore; avvenga di me secondo la tua Parola», secondo la sua «parola di croce», la sua Parola crocifissa. L’intera prestazione è impossibile all’uomo, ma la disponibilità, senza porre barriere o scuse, questo gli è possibile. E quando lo Spirito stende la sua ombra sulla Vergine, e geme nel cuore dell’Ancella e con lei grida nelle doglie del parto, allora diventa certamente visibile che la sua prontezza a soffrire tutto val di più ed è più divina di ogni capacità operativa dell’uomo che se la vuole cavare in fretta. Dio stesso si comporta nei confronti del mondo non solo in modo maschile come Deus faber, ma anche in modo maternamente femminile soffrendo le doglie per la redenzione dell’universo intero.26 Attraverso la Vergine Santa abbiamo perciò manifesta una maternità universale nei confronti dell’umanità che la Chiesa è chiamata a testimoniare. In tal senso, il discepolo può ispirarsi alla Madre del Signore che conserva e fa collegamento solido degli eventi salvifici facendone una memoria e perciò simile al mercante evangelico che estrae dal suo tesoro cose nuove ed antiche (cf. Mt 13,52). Il Concilio ha ritradotto in termini dottrinali questo aspetto al n. 65 della Lumen gentium affermando che Maria «entrata intimamente nella storia della salvezza, riunisce in sé e in qualche modo riverbera i massimi dati della fede».27 Di qui l’ultimo passo verso ciò che per la Chiesa rappresenta la Madre del Signore. 24 H. U. VON BALTHASAR, Tu coroni l’anno, cit., 210. 25 H. U. VON BALTHASAR, Il principio mariano, in ID., Punti fermi, Rusconi, Milano 1972, 126. 26 H. U. VON BALTHASAR, Tu coroni l’anno, cit., 171‐72. I corsivi sono nel testo. 27 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium n. 65, in EV 1/441. 8 4. MARIA TIPO E MODELLO ORIGINARIO Ciò che si nota nel capitolo VIII della Lumen gentium è un forte equilibrio nell’uso di aggettivi e sostantivi riferiti alla Madonna. Uno di essi è typus (modello) che compare al n. 63 e al n. 65. Tale aggettivo si è costituito nel corso del tempo come vera e propria categoria teologica che non si è potuta sottrarre a critiche di coloro che ne hanno visto il limite soprattutto perché categoria sotto la corrosione della storia. Però occorre ricordare che se, da un lato, questa storia effettivamente va a toccare le coordinate teologiche che si esprimono attraverso un linguaggio ed una cultura, per altro verso, il modello rinvia ad un Assoluto al quale non soltanto ci si cerca di avvicinare, ma si partecipa. Resta sempre valido, in tal senso l’asserto di Gaudium et spes n. 62: altro è il depositum fidei che resta inalterato, altro i modi con i quali esso viene espresso. Per von Balthasar – uomo che non partecipa al Concilio, ma che di esso respira l’aria innovatrice – la trattazione di Maria quale modello parte da molto lontano e si colloca nel campo della grazia, così come essa rappresenta un tipo di fecondità parallela a quella matrimoniale tra uomo e donna modellata su Ef 5,21ss. Proprio da questo testo paolino, nota il nostro autore sono sorte due linee di pensiero, due filoni teologici: anzitutto il tema della nuova Eva senza la quale non poteva darsi il nuovo Adamo; concetto che troviamo nel II secolo con Giustino ed Ireneo. Successivamente, quello dell’anima ecclesiastica modellato su quel bellissimo poema d’amore biblico che è il Cantico dei Cantici commentato con questo taglio da Origene (al quale von Balthasar ha dedicato non pochi scritti). Se il primo tema quello della nuova Eva è di facile comprensione, il secondo va a toccare in profondità l’uomo in quanto consiste in un’elevazione della sua anima (e chiaramente di tutta la sua persona) ad una dimensione ecclesiale e comunitaria. Appare chiaro come il rapporto tra Maria e la Chiesa si colloca su questo terreno. Al centro ritroviamo Cristo in comunione con la Madre, ma anche con la Sposa‐Chiesa. Un Cristo che esprime un grazie ad entrambe ma in modo diversificato: ma «qui – nota von Balthasar ponendosi sulla scia di Agostino – Maria sembra possedere una priorità insuperabile non a motivo di una maternità fisiologica, ma a motivo del suo atteggiamento profondamente personale di una fede perfettamente servizievole».28 Tale servizio esplicato da Maria, che è una vera e propria mediazione all’interno di quella potente del Figlio, si colloca per la Chiesa come modello. Von Balthasar qui tiene a precisare come nella scena della donna anonima di Lc 11,27‐28 che alza la voce per proclamare la beatitudine della madre, la risposta è al plurale: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica». Il motivo è molto profondo e ci conduce al modello che Maria rappresenta e a quella priorità che non può essere ristretta solo alla sfera fisica della maternità, poiché la fede è connessa indissolubilmente al dato fisiologico. Un doppio volto di un unico evento e che forma l’identità unica della persona Maria. Riecheggiando il testo lucano: Nessuno come lei ha ascoltato e messo in pratica la parola di Dio, fin nelle ultime fibre del corpo, cosicché in lei la fede‐di‐Abramo nella promessa divina fu portata a compimento: la sua fede compì l’incarnazione della parola di una promessa: naturalmente solo perché Dio stesso, nella sua sovrana libertà, volle diventare uomo in lei, l’umile serva.29 28 H. U. VON BALTHASAR, Maria icona della Chiesa, cit., 45. 29 Ibidem, 46 9 A questo punto ci si potrebbe chiedere con un’espressione immediata: e la Chiesa quale vantaggio trae da tale rete di rapporti? Il rapporto è analogico (unisce cioè somiglianza a diversità): da un lato Maria è livellata, all’interno del corpo ecclesiale perché ognuno, in forza dell’ascolto, dell’obbedienza e della prassi, può divenire Madre di Gesù permettendo alla Parola una successiva incarnazione, per altro verso, però Maria si distacca dai credenti in quanto lei sola è madre corporea di Cristo e perciò redenta anticipatamente, realizzazione della Chiesa senza macchia e senza ruga.30 È quindi tipo della Sposa, ossia di quel «popolo di Dio» che per largo tratto manifesta ma in ciò non si distingue dalla Sinagoga. La distinzione ha inizio con Maria, nella quale il Verbo si fa carne, con l’Eucaristia, carne e sangue di Gesù donatie offerti per unirci alla sua sostanza, con lo Sprito Santo, che viene spirato nell’armonia ecclesiale dal Figlio dell’uomo risorto.31 Si è dinanzi ad un modello femminile che, tuttavia, ingloba quello maschile, laddove ricettività ed iniziativa vengono a coesistere. Qui von Balthasar inserisce il famoso principio mariano che vive in tensione positiva con quello petrino (del governo) e quello giovanneo (dell’amore) in quanto saldamente connesso con Cristo e con la Chiesa. Ma anche qui i concetti di matriarcato e patriarcato, osserva il teologo svizzero, sono da prendere con molta attenzione, perché si tratta pur sempre di categorie sociologiche che portate all’estremo rischiano di eliminare il mistero della reciprocità dei sessi invece di portarlo alla fecondità completa. Per questo motivo il teologo svizzero è contrario al conferimento del sacerdozio ministeriale alle donne. In sintesi questa è la sua posizione articolata in 4 punti: a) essendo Cristo il rappresentante più eloquente del Dio nel mondo è anche l’origine del principio maschile e del principio femminile; b) da Cristo, Maria viene pre‐redenta e Pietro e i suoi discepoli vengono costituiti nel loro ministero; c) essendo Cristo uomo egli rappresenta l’origine in quanto la fecondità della donna è sempre rinviata ad una fecondazione originaria. d) La polarità uomo‐donna non può però essere relativizzata al pari della rappresentazione dell’origine ad opera del ministero ecclesiastico. Questi i punti, ma a partire da essi Balthasar fa un’affermazione molto forte: una donna che volesse appropriarsi del ministero, si approprierebbe di funzioni specificatamente maschili, ma dimenticherebbe quale preminenza ha l’aspetto femminile della chiesa rispetto a quello maschile (…) Ogni invasione di un sesso nel ruolo dell’altro riduce l’estensione e la dinamica dell’amore umanamente possibile anche quando questa estensione oltrepassa la sfera della sessualità, della nascita e della morte nel campo dei rapporti verginali tra Cristo e la sua chiesa, che non si realizzano nei singoli atti distinti di particolari organi, bensì nella donazione totale di tutto il suo essere».32 30 Cf. Ibidem. 31 H. U. VON BALTHASAR, Sponsa Verbi, Morcelliana Brescia 1985, 7. 32 H. U. VON BALTHASAR, Nuovi punti fermi, Milano 1980, 110‐11. 10 E conclude con il riferimento a Maria: «l’elemento mariano nella Chiesa abbraccia il petrino senza pretenderlo per sé. Maria è “Regina degli Apostoli” senza pretendere per sé poteri apostolici. Essa ha altro e di più»33 Il modello che ne emerge è di accoglienza della Rivelazione e parte integrante di essa: Maria, nella visione balthasariana, non soffre riduttivismi, perché con essi si rompe l’unità e la varietà della Rivelazione e si rischia anche di deformare l’identità e la vocazione specifica di ogni cristiano. CONCLUSIONE A conclusione di questa serie di riflessioni possiamo sottoporre il titolo Maria icona della Chiesa ad un interrogativo. Perché ? La risposta la troviamo proprio nell’articolazione dei dogmi mariani fatta dallo stesso von Balthasar: Maria è creatura in relazione, potremmo dire, dottrinale con i capisaldi di quella fede definita e proclamata dalla Chiesa nel tempo: ‐ La sua maternità è affermazione cristologica; ‐ La sua esenzione dal peccato è affermazione antropologica che riguarda l’uomo e la redenzione data per grazia; ‐ La sua verginità è affermazione essenzialmente ecclesiologica che porta a compimento la teologia dell’Alleanza; ‐ La sua assunzione è affermazione escatologica che va a toccare cioè gli ultimi eventi.34 Questo non è senza conseguenze: commentando il pensiero mariano di von Balthasar, Mons. R. Fisichella in modo diretto osserva: «Maria o resta all’interno del mistero di suo Figlio o si autodistrugge. Non è possibile alcuna scappatoia. Per la teologia si impone la stessa prospettiva: o la mariologia si concepisce e sviluppa organicamente all’interno della cristologia e dell’ecclesiologia oppure perde significato. Per la pietà e la prassi di fede vale la stessa regola: o Maria è pregata come madre che conduce al Figlio e a lui si indirizza per la mediazione di grazia da parte del Padre oppure la preghiera non è fatta «secondo lo Spirito» e resta senza risposta».35 Icona della Chiesa e luogo del tutto umano dove la Rivelazione, nel suo svolgersi, si ri‐propone e manifesta quella che è la sua finalità che coincide, in ultima analisi, nella volontà di Dio, lungo la storia. Volontà che è essenzialmente dono che come costitutivo essenziale passa da Dio alla Vergine: non privilegi personali – nota von Balthasar – ma qualità che «tornano a beneficio di tutti i suoi figli nella Chiesa».36 Su questa nota il nostro autore ci dona una ritratto della Madre modellato però sul Figlio: «ogni figlio – egli scrive – prende dalla propria madre. La madre Maria non pretese altro che di essere «ancella del Signore». Suo figlio sebbene nostro Signore e Maestro, non volle altro che essere un servo fra noi. Egli, infatti si presenta al Padre stando dalla parte degli uomini, cioè dei servi. Inoltre nella sua funzione di «servo di Dio», egli si addossa tutte le colpe del mondo».37 Tenendo conto di tale rete di rapporti, al di là del pensiero di von Balthasar, appare chiaro come tanti concetti di passività e remissività che vengono attribuiti alla Vergine non hanno motivo di essere ripresi. Maria come modello ci insegna davvero – come ricorda S. Paolo – a combattere la buona battaglia della fede (Cf. I Tm 6, 12) e questa lotta non è certo indice di debolezza. 33 Ibidem, 112. Si tratta di un testo rifluito nell’enciclica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II al n. 27, ma errato al numero di pagina. 34 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Il principio mariano, cit., 121. 35 R. FISICHELLA, Maria nella teologia di von Von Balthasar, in Communio 189 (mag.‐giu. 2003), 62‐63. 36 H. U. VON BALTHASAR, Il principio mariano, cit., 129. 37 H. U. VON BALTHASAR, Punti fermi, Rusconi, Milano 1972, 127.

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