10 – PADRE NOSTRO – LA RICONCILIAZIONE FRATERNA – Luca Beato oh

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LA RICONCILIAZIONE FRATERNA

( Rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori )

 

La grazia di Dio

 

Dio è amore infinito, gratuito, creativo, redentivo, sanante, santificante, immortalizzante. L’uomo è colui che riceve tutto da Dio, la vita fisica, la salute, la felicità, la vita dello spirito, la promessa della vita eterna come partecipazione alla vita immortale di Dio stesso. Quello che Dio chiede all’uomo è il riconoscimento di questo rapporto creaturale e filiale nei suoi confronti. L’amore di Dio verso l’uomo, amore di benevolenza infinita, diventa amore di amicizia soltanto quando l’uomo ricambia con il suo amore, elevato al di sopra di tutte le cose del mondo, l’amore di Dio. “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”( Mc 12,29-30 che cita Dt 6,4-5). Questo veniva insegnato anche nell’A.T. e si pensa che queste famose parole del Deuteronomio siano state ispirate dal profeta Osea.

 

Gesù conferma che questo è il primo e il più importante dei comandamenti però vi aggiunge subito il secondo comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”( Mc 12,30 che cita Lv 19,18 ), aggiungendo: “Non c’è altro comandamento più importante di questi”, come dire che i due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo sono strettamente legati tra di loro da costituire una unità perfetta. Questa è la novità portata da Gesù: non si può pensare di amare Dio se non si amano gli uomini nostri fratelli perché sono anch’essi figli di Dio, oggetto del suo amore paterno.

 

Religione e morale, secondo Gesù, non possono stare disgiunte, come invece avveniva di frequente. Non si può essere graditi a Dio con l’offerta di qualche sacrificio nel Tempio di Gerusalemme, se si hanno dei conti in sospeso con qualche fratello. “Se dunque presenti la tua afferta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” ( Mt.5,23-24 ).

 

La giustizia migliore predicata da Gesù nel discorso della montagna ha delle esigenze molto forti riguardo all’amore del prossimo. Non basta non uccidere, come impone il comandamento di Mosè; non basta quindi rispettare la vita fisica del prossimo, ma occorre avere un atteggiamento fondamentalmente benevolo verso di lui che ci fa evitare anche quelle parole offensive che facilmente ci escono di bocca quando siamo arrabbiati e che rappresentano una scarica della nostra aggressività nei suoi confronti. “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” ( Mt 5,21-22 ).

 

Anche la ricerca della giustizia nei confronti di chi ci fa del male, secondo Gesù non deve basarsi sui codici penali e civili, cioè non si deve rendere male per male ( occhio per occhio e dente per dente ). “…ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” ( Mt 5,38-42 ). E’ la regola della non violenza, del rendere bene per male. E questo comporta la capacità di rinunciare non solo alla vendetta, cioè al farsi giustizia da solo, ma anche al diritto di esigere la giustizia sancita nei codici civili e penali: la pena proporzionata alla colpa o il risarcimento del danno subito.

 

La misericordia deve prevalere sul diritto. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia ( Mt 5,7. Cfr.6,14). Non giudicate e non sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita…”( Mt 7,1ss ).

 

Ma le esigenze della giustizia migliore non si fermano qui. Gesù supera il particolarismo ebraico ed estende i confini dell’amore anche a quelli che non appartengono al popolo ebreo. L’amore del prossimo deve essere esteso anche ai nemici, ai persecutori, a quelli che ci fanno del male, perché Dio ama anche loro e noi dobbiamo essere imitatori di Dio. “…ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” ( Mt 5,45 ; Lc 6,27-38).

 

Il peccato

 

Il misconoscimento del nostro rapporto filiale con Dio e fraterno con gli altri figli di Dio, è il peccato. Ma Dio, che precede sempre l’uomo nell’amore, continua ad amarlo anche quando egli sbaglia allontanandosi da Lui. Dio chiama continuamente l’uomo alla conversione, al ritorno alla sua amicizia. Egli offre continuamente il suo perdono ai peccatori ed ogni volta che uno si converte si fa festa in cielo. Purtroppo, l’uomo può rimanere sordo all’invito di Dio. Questo è il peccato contro lo Spirito Santo ( Mc 3,29 ) quello che Gesù dice essere l’unico veramente imperdonabile da parte di Dio. E’ il rifiuto ostinato del perdono di Dio. Dio ti ha creato senza di te, ma non ti può salvare senza di te ( S. Agostino ).

 

La conversione

 

La predicazione di Gesù, che riguarda l’avvento del Regno di Dio e che esige dall’uomo la fede e la conversione ( Mc 1,14-15 ), si aggancia a quella del Battista e i primi discepoli di Gesù vengono dai seguaci di Giovanni.

L’annuncio del Regno di Dio si colloca in un orizzonte apocalittico, perché la tensione apocalittica giudaica raggiunge il culmine con la predicazione di Giovanni Battista. Egli predica l’avvento di Dio come giudizio per il popolo d’Israele. Per salvarsi non basta essere figli di Abramo e praticare una giustizia legale e formale. Occorre fare una penitenza diversa da quella delle pratiche ascetiche e cultuali. Occorre la conversione del cuore e la consacrazione totale della propria vita a Dio.

 

Caratteristico è il suo Battesimo di penitenza, amministrato una volta sola e offerto a tutto il popolo. Il Battesimo nel Giordano diventa il segno escatologico della purificazione ed elezione in vista dell’imminente giudizio di Dio. Anche Gesù si sottopone al Battesimo di Giovanni. Il fatto, dogmaticamente scomodo, è ritenuto, proprio per questo, veramente storico.

Ma la predicazione di Gesù si differenzia totalmente da quella del Battista per il suo contenuto. Il Regno di Dio predicato da Gesù non è un giudizio tremendo per il popolo, ma una grazia per tutti. Esso si realizza come eliminazione delle forze del male, non solo della malattia, della sofferenza e della morte, ma anche della povertà e dell’oppressione. E’ un messaggio di liberazione per i poveri, i tribolati e coloro su cui grava il peso di una colpa commessa; un messaggio di perdono, di giustizia, di libertà, di fraternità, di amore.

 

Lo sguardo di Gesù non è rivolto al passato, ma al futuro: un futuro migliore per il mondo e per l’uomo. Egli attendeva una radicale e imminente trasformazione della situazione. Credeva, come molti uomini religiosi del suo tempo, in un dominio universale di Dio che, instaurandosi in un futuro non lontano, avrebbe comportato il finale e definitivo compimento del mondo: la sovranità “ escatologica” ( = finale ) di Dio, il Regno di Dio nel tempo finale. Questo avrebbe dovuto succedere durante la sua generazione ( Mc 9,1; 13,30; Mt 10,23 ), mediante la “rivelazione” definitiva di Dio (apocalypsis, apocalisse = rivelazione ).

 

Gesù è stato un rivoluzionario, ma non come i movimenti rivoluzionari del suo tempo. Non fu un guerrigliero, un golpista, un agitatore del popolo. Non predica la violenza o il ricorso alle armi. Non fomenta gli umori antiromani. Vince le “tentazioni” di un regno umano, fugge quando vogliono farlo re. L’ingresso in Gerusalemme non è un fatto militare, ma un gesto pacifico, simbolico.

 

Gesù fu il più rivoluzionario dei rivoluzionari in questo senso: anzichè annientamento dei nemici, amore dei nemici; anzichè ritorsione, perdono incondizionato; anzichè ricorso alla violenza, disponibilità a soffrire; anzichè canti di odio e di vendetta, esaltazione dei pacifici. La lotta deve essere fatta non contro gli uomini, ma contro le forze del male: odio, ingiustizia, discordia, violenza, falsità, egoismi umani in genere; inoltre contro: dolore, malattia e morte. Per fare ciò occorre convertirsi ( metànoia = conversione), proiettarsi lontano dai propri egoismi, nella duplice direzione, verticale e orizzontale, di Dio e del prossimo.

 

Gesù e i peccatori

 

I peccatori pubblici erano segnati a dito come maledetti da Dio. Incontrandoli, non solo non si dovevano salutare, ma bisognava lanciare contro di loro una serie di scongiuri per evitare il pericolo di contrarre la loro maledizione. Chi infatti entra in contatto con una persona impura contrae la sua impurità, partecipa della maledizione divina che grava su di lei.

 

Nessun fariseo sarebbe mai andato a cena in casa di un pubblicano o di un peccatore pubblico ( Mt 9,11; Lc 19,7 ). E quando per Legge si doveva ammazzare qualcuno, lo si faceva con la lapidazione, cioè con il lancio di sassi per non toccare il condannato ( Gv 8, 5 ss ).

 

Gesù invece conduce la sua vita in mezzo al popolo, non ha paura di essere toccato da gente impura, si lascia circondare dai bambini, ha un seguito di donne quando va in giro a predicare, tocca i malati e perfino i lebbrosi, va a cena in casa di pubblicani e peccatori, si lascia toccare anche dalle prostitute. Non ha paura di diventare impuro e di cadere sotto la maledizione di Dio. Anzi, come iniziatore del Regno di Dio, Egli è portatore della grande benedizione del Padre che si traduce in forza liberatrice dell’uomo da tutte le forme di oppressione gravanti su di lui.

 

Gesù non solo si è occupato dei poveri, dei malati, degli ossessi; non solo ha avuto attenzione per le donne, i bambini e la gente semplice; ma ha avuto anche contatti con persone moralmente inadempienti, palesemente irreligiose e immorali. Questo fu il vero e autentico motivo di scandalo per le autorità religiose del suo tempo.

 

A Gesù non solo fu applicato l’epiteto ingiurioso di mangione e beone, ma anche quello più pesante di amico dei pubblicani e peccatori. Gesù ha frequentato con assiduità provocatoria individui moralmente trasgressivi.

Il vangelo attesta espressamente dei casi di peccatori pubblici, citando anche i nomi: pubblicani ( Matteo e Zaccheo ), prostitute (Lc 7,36-50), adultere (Gv 7,53- 8,11). E le sentenze di Gesù che accompagnano quegli episodi sono rimaste famose: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”; “le sono perdonati i suoi molti peccati perchè ha molto amato”; “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

 

Il predicatore del Regno di Dio non ha recitato la parte del pio asceta che evita i banchetti e soprattutto determinate persone. Gesù, contro tutti i pregiudizi e le discriminazioni sociali, si oppose a che determinati gruppi o infelici minoranze venissero squalificati socialmente. Gesù non tentò di solidarizzare a tutti i costi. Non si abbassò al livello dei peccatori, ma li innalzò al proprio.

 

Gesù inoltre non si limitò a discutere con loro, ma si sedette a tavola con loro. Essere seduti insieme a tavola non vuol dire soltanto gentilezza e affabilità, ma pace, fiducia, conciliazione, fraternità. Il capofamiglia ebreo spezza il pane all’inizio del pasto e recita una benedizione. Chi partecipa al pane partecipa alla benedizione di Dio. Gesù spartiva la mensa al cospetto di Dio con uomini peccatori. Così Egli intendeva offrire pace e riconciliazione anche ai moralmente inadempienti, che i pii ebrei invece emarginavano.

 

Il diritto della grazia

 

Anche il Giudaismo conosceva il perdono dei peccati. Ma il perdono si concedeva a chi si pentiva, faceva penitenza, dimostrava di essersi ravveduto. Si seguiva la trafila giuridica seguente: 1 ) Dichiarazione di pentimento; 2 ) Prestazioni penitenziali; 3 ) Concessione del perdono.

Ma il Dio di Gesù Cristo perdona proprio ai peccatori, gratuitamente, senza richiedere prima delle prestazioni di carattere penitenziale dimostrative del pentimento.

E’ questo modo nuovo e rivoluzionario di rimettere i peccati che genera scandalo.

 

Un tale Dio sarebbe un Dio dei peccatori, non dei giusti!

E’ la religione stessa che viene stravolta dal comportamento di Gesù.

Si dà ragione ai peccatori a scapito dei giusti ( Lc 18,10-14: pubblicano e fariseo ). Si privilegia il figlio fuggitivo a quello che resta in casa ( Lc 15,11-32 ); lo straniero eretico rispetto alla popolazione locale pia e devota ( Lc 13,30-37: buon samaritano ); finiranno poi tutti col ricevere la stessa ricompensa ( Mt 20,l-l6 ).

 

Che si faccia più festa in cielo per un peccatore pentito che per novantanove giusti, non è scandaloso ( Lc 15,7 )?

Chi si è macchiato di una colpa è forse più vicino a Dio di chi si è conservato innocente?

Che le prostitute e i truffatori precedano la gente per bene nel Regno di Dio, non è offensivo?

E che dire dei pagani che precederanno i figli del Regno ( Mt 8,11-12 )?

Non è una follia sovvertire i criteri più sacri di priorità e affermare che gli ultimi saranno i primi ( Mc 10,31 )?

 

Il perdono viene offerto a tutti, non solo agli Ebrei. Quindi cadono tutte le barriere sociali, razziali, politiche e religiose. Anzi, ognuno è già accolto prima ancora di convertirsi! Infatti, prima c’è la grazia di Dio e dopo la prestazione dell’uomo. Viene graziato il peccatore che ha meritato ogni sorta di castigo, basta che riconosca l’azione di grazia del Signore. Gli è donato il perdono: basta che lo accetti e si converta. Gli viene concessa una vera e propria amnistia gratuitamente: basta che ne tragga lo spunto per vivere pieno di fiducia. La grazia prevale sul diritto. O meglio, vale il diritto della grazia. Solo così diventa possibile la nuova giustizia migliore. L’universalità del perdono di Dio è bene illustrata nella parabola del banchetto, imbandito per tutti: accattoni, storpi, zoppi della città e della campagna ( Lc 14,15-24; Mt 22,1-10 ). E meglio ancora nei pasti consumati da Gesù con pubblicani e peccatori.

 

Dio concede il perdono senza riserve. Unica condizione richiesta all’uomo è la fede sorretta dalla fiducia in Dio, Padre misericordioso. Unica conseguenza attesa è una generosa trasmissione del perdono. Chi deve al grande perdono di Dio la possibilità di vivere, non deve rifiutare agli altri il piccolo perdono ( Mt 18,21-35 ) e questo lo deve fare non una volta, non tre volte ( Mt 18,15-18 ), nemmeno sette volte, ma settanta volte sette ( Mt 18,21-22 ), cioè sempre, senza alcun limite ( Cfr Lc 17,4 ).

 

Di fronte all’offerta generosa di Dio occorre decidersi senza dilazioni e senza mezze misure. E’ in gioco la nostra vita: occorre quindi agire con coraggio, risolutezza e intelligenza, talvolta anche in modo spregiudicato, come l’amministratore infedele che sfrutta l’ultima chance ( Lc 16,1-9 ). Chi vuole guadagnare la sua vita la perderà e chi la perde per Dio, la guadagnerà per la vita eterna ( Mt 10,39 ). La porta è stretta (Mt 7,13). Molti sono i chiamati e pochi gli eletti ( Lc14,15-24). La sa1vezza dell’uomo resta un miracolo della grazia di Dio, al quale tutto è possibile ( Mt 19,26 ).

 

Ma come si giustifica questo comportamento di Dio?

 

Risposta ad hoc: ” i giusti ” che non hanno bisogno di penitenza, sono davvero senza peccato ? Anche soltanto il fatto di essere spietatamente insensibili nei confronti degli inadempienti, li fa diventare peccatori come gli altri. Il fatto poi di ritenersi giusti impedisce loro di aprirsi alla chiamata di Dio. Ciò li pone in uno stato di ipocrisia. C’è una colpa dei giusti: credere di non essere in debito con Dio. C’è una innocenza dei colpevoli: affidarsi completamente a Dio nella consapevolezza della propria perdizione. E allora i peccatori sono più veritieri dei pii, perchè non dissimulano la propria condizione. In questo senso Gesù dà ragione a loro e torto agli altri.

 

Risposta più completa di Gesù. Bisogna perdonare, invece di condannare, perchè è Dio che agisce così: Dio non condanna, ma perdona: la grazia viene prima del diritto. Molte parabole indicano questo: il re generoso ( Mt 18,23-27 ), la pecora smarrita, la dracma perduta, il figlio prodigo ( Lc 15,1-32 ), il giudice che ascolta il pubblicano ( Lc 18,9-14 ). Ne risulta un’immagine di Dio dalla misericordia sconfinata ( Mt 20,1-15 ), che l’uomo deve imitare. Così va intesa la supplica del Padre nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” ( Mt 6,12 ss ). Siccome Dio ha perdonato a noi, allora noi, a nostra volta, perdoniamo ai fratelli.

 

Gesù non sviluppa una teologia della grazia. Questa parola non compare neppure nei sinottici. Ma Gesù la mostra in atto, nella sua azione di perdono dei peccatori, azione che è illustrativa del comportamento di Dio verso gli uomini.

Per questo Gesù viene accusato di bestemmia ( = attribuirsi un potere che appartiene solo a Dio ) ( Mc 2,7 ). Egli si discolpa dicendo che è proprio Dio che perdona ( la forma passiva: “ sono perdonati” suppone Dio come agente ). Ma i suoi avversari non ne sono rimasti convinti ed hanno deciso di eliminarlo ( Mc 3,6 ).

 

Il perdono dei peccati nella Chiesa

 

Gli Apostoli hanno coscienza di aver ricevuto il mandato di continuare l’opera della salvezza iniziata da Gesù. Le apparizioni del Cristo risorto culminano nel conferimento della missione di annunciare il Vangelo, di rimettere i peccati e di battezzare tutti i credenti ( Mt 28,16-20; Mc 16,15-16; Lc 24,47; Gv 14,18-21 ).

Il perdono dei peccati, gratuito e generoso, senza penitenze e senza confessione dei peccati né pubblica né privata, viene concesso mediate il Battesimo a partire dal giorno della Pentecoste ( At 2,38 ). Questo è l’unico modo di rimettere i peccati nella Chiesa primitiva. Ma ben presto sorge una “seconda penitenza” ( Pastore di Erma , sec II ), per i peccatori pubblici, penitenza gravosa e da concedersi una volta sola.

 

Al tempo di San Cipriano è sorto un problema nuovo. Diversi cristiani durante una persecuzione avevano defezionato dalla Chiesa, ma cessato il pericolo chiedevano di essere riammessi. I “lapsi”(=quelli che erano scivolati ) furono riammessi nella Chiesa, alla comunione eucaristica, dopo un periodo di penitenza pubblica. Qui la Chiesa riprende la trafila ebraica per la riammissione alla Sinagoga: richiesta di perdono, penitenza, riammissione. Questa viene chiamata penitenza gravosa nei confronti della penitenza gioiosa del Battesimo. Talmente gravosa che i peccatori dei secoli posteriori la rimandavano alla fine della vita.

Ben presto ( sec. VI ) i monaci irlandesi, inventarono la penitenza privata, che si poteva anche ripetere, per secoli deprecata dai Vescovi ( dal 3° Concilio di Toledo del 589 al Concilio di Chalon dell’813 ), ma alla fine fu riconosciuta ufficialmente, mentre quella pubblica pian piano fu abbandonata.

 

Questa penitenza è detta tariffaria perché ad ogni peccato corrisponde una penitenza, secondo una tabella stabilita nel libro penitenziale. La trafila è la solita: confessione dei peccati, imposizione della penitenza, soddisfazione della penitenza e riconciliazione. Questa penitenza ebbe un grande successo.

 

Verso il Mille si ebbe un altro cambiamento: si cominciò a concedere la riconciliazione prima che il penitente avesse soddisfatto la penitenza. In questo modo la Penitenza, riconosciuta come uno dei sette Sacramenti, prima dalla Teologia Scolastica e poi ufficialmente dal Concilio di Trento, è arrivata fino a noi. Infatti la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II non tocca l’essenza di questo Sacramento ma ne caldeggia la celebrazione in modo che davvero aiuti il penitente a mettersi nelle condizioni indispensabili per ricevere fruttuosamente questo Sacramento.

 

Il perdono dei peccati nel Giubileo del 2.000

 

Etimologicamente il termine giubileo si richiama al giubilo ( jubilum ): la gioia che una persona esprime canticchiando o fischiettando senza pronunciare parole precise, ma facendo capire a tutti che il suo cuore è pieno di gioia. Ne sono un esempio certi alleluia gregoriani, che…non finiscono mai.

 

Biblicamente il giubileo fa riferimento all’anno sabbatico, che ricorreva ogni 50 anni ( Lv 25 ), nel quale gli ebrei si condonavano tra loro i debiti, concedevano la libertà agli schiavi e chi aveva dovuto vendere case e campi ne rientrava in possesso. Il Servo di YHWH descrive in questo modo la sua missione: proclamare un lieto annuncio per Gerusalemme, a favore dei poveri, degli schiavi e dei malati, proclamare cioè l’anno della misericordia del Signore ( Is 61, 1-2 ). A questo passo del profeta Isaia si è ispirato Gesù quando ha inaugurato la sua missione nella sinagoga di Nazaret ( Lc 4, 16-19 ): predicare un anno di grazia del Signore. E la missione di Gesù si è svolta proprio su questa linea, perché passò facendo del bene a tutti e liberando tutti quelli che erano oppressi dal diavolo ( At 10, 38 ).

 

Storicamente il primo giubileo, o anno santo, fu indetto nel 1.300 dal Papa Bonifacio VIII ed era rivolto a tutti i cristiani, con esclusione dei Siciliani e dei Colonna. Questo Papa è stato il più grande assertore dell’assolutismo papale: sosteneva essere di diritto divino “omnes subesse romano pontifici”( tutti gli uomini sono soggetti al romano pontefice ): il Papa sarebbe come il Dio in terra. E tutto questo veniva inteso in senso giuridico. E quindi anche il giubileo veniva inteso così. Ecco in che modo.

 

Quando un condannato a morte viene graziato, non viene messo immediatamente in libertà, ma deve scontare la pena che viene subito dopo per gravità cioè l’ergastolo o moltissimi anni di prigione. Il peccatore, reo di colpa grave, sarebbe per sè condannato alla morte eterna nell’inferno, ma Dio nella sua bontà infinita gli fa grazia mediante il Sacramento della penitenza, però gli resta da scontare una pena temporanea molto lunga, mediante le penitenze: quelle inflitte dai confessori, secondo i tariffari di allora: lunghi anni di digiuno e di astinenza, nutrirsi solo di pane e acqua, astinenza dall’uso del matrimonio per tutta la vita, pellegrinaggi ai santuari della Madonna e dei Santi, a Roma sulla tomba degli Apostoli, al sepolcro di Cristo in terra santa, a S. Giacomo di Compostela, ecc. Tutte cose molto gravose.

 

Però il Diritto ammette due possibilità alternative: la procura e la sostituzione della pena. I ricchi non facevano mica le penitenze: pagavano un povero che le facesse al posto loro. E con le oblazioni in denaro si poteva ottenere la sostituzione di una pena molto severa, con una più mite.

 

Il giubileo, in questa mentalità giuridica, è la remissione totale della pena temporanea dovuta ai peccati già perdonati in confessione. Ma non viene concessa gratuitamente, bensì a fronte di determinate prestazioni: pellegrinaggio a Roma, preghiere e offerte stabilite dal Papa. Lo stesso criterio vale per le indulgenze, il cui enorme sviluppo nel tempo ha portato a delle conseguenze tremende: afflusso di grossi capitali a Roma da ogni parte del mondo, invidia degli Stati emergenti contro la potenza finanziaria del Papato, denuncia del sistema da parte di Lutero, ecc.

 

Noi, oggi, dei tempi medioevali dobbiamo imitare la fede dei cristiani, che era grande e il senso spirituale del pellegrinaggio a Roma che aveva lo scopo di andare a pregare sulla tomba Santi Apostoli Pietro e Paolo per ravvivare la fede apostolica.

Questo bisogna dirlo perché dal Concilio Vaticano I in poi, dopo la proclamazione dell’infallibilità del Papa, questi è stato posto al centro dell’attenzione dei cristiani, perciò si va a Roma “per vedere il Papa” e si dimentica troppo facilmente la fede degli Apostoli.

 

Ma dobbiamo abbandonare tutta la mentalità giuridica per far posto a quella teologica, quella evangelica, che tentiamo di illustrare brevemente qui di seguito.

La remissione dei peccati è l’aspetto negativo della vita cristiana, mentre l’aspetto positivo, quello più importante è la vita di grazia. La grazia poi non è un detersivo che toglie le macchie del peccato, ma viene intesa dalla Teologia come amicizia con Dio e con i fratelli. Nella remissione dei peccati si guarda al passato, si pensa in negativo, come punire le colpe, infliggendo pene proporzionate. La gravità della colpa poi è misurata sulla maestà della persona offesa, Dio, Maestà infinita, perciò la pena inflitta non può essere che eterna, cioè l’inferno.

 

Il Vangelo, appunto perché è una buona notizia, non parla così, ma tutto all’incontrario. E’ Dio che ci ha amati per primo, quando eravamo ancora peccatori, ed ha mandato tra noi suo Figlio, non perché venisse a giudicare e condannare il mondo, ma per salvarlo. E per questo scopo l’ha perfino sacrificato sulla croce. Gesù stesso nel proclamare l’avvento del Regno di Dio ha chiamato gli uomini ad aprirsi alla fiducia in Dio, Padre premuroso e misericordioso, sempre pronto ad accogliere il peccatore pentito, a concedere il perdono gratuito, che genera gioia e spalanca davanti un futuro pieno di fiducia e di speranza.

 

Ma come avviene la salvezza, per essere più precisi?

 

All’annuncio del Vangelo, l’uomo si apre alla fede, nel senso di fiducia in Dio e allora riceve l’effusione dello Spirito Santo, che lo rende una nuova creatura, un figlio di Dio per adozione e membro del suo popolo, la Chiesa. La grazia santificante è l’effetto che produce in noi l’azione santificatrice dello Spirito santo: l’essere cioè nuove creature.

 

Tutto questo in forza del Sacrifico di Cristo sulla croce e in linea ordinaria mediante il Sacramento del Battesimo ( e della Cresima ). Dal momento che Dio ci rende suoi figli e ci ama come figli suoi, non c’è più nulla in noi che sia odioso a Dio ( = peccato ).

All’uomo che si accinge a ricevere il Battesimo, viene chiesta la conversione, l’orientamento della propria vita verso Dio, l’abbandono del male e la scelta del bene, l’impegno di amare Dio e il prossimo, una scelta di fondo, detta perciò opzione fondamentale. Cioè si pensa in positivo, si guarda al futuro, a vivere una vita in pace con Dio e con i fratelli, a raggiungere la salvezza escatologica.

 

Ma il cristiano non è impeccabile: è sempre soggetto al limite, alla fragilità, alla tentazione di:

- vivere come se Dio non esistesse: materialismo pratico, consumismo, edonismo;

- chiudersi egoisticamente in se stesso, chiudendo gli occhi e il cuore di fronte ai fratelli che sono nella sofferenza e nel bisogno;

- o peggio ancora coltivare l’odio, la vendetta, prevaricando sugli altri, calpestandone i diritti fondamentali, ecc.

Abbiamo bisogno, quindi, di fare ogni tanto delle verifiche confrontandoci con la parola di Dio, per rinsaldare la nostra scelta di fondo, o per convertirci nuovamente, se ci accorgiamo di essere andati fuori strada.

 

Il Giubileo allora diventa un momento di grazia, in greco un cairòs, un tempo favorevole, che ci offre degli stimoli per la ripresa della nostra vita cristiana, animata da fede viva, speranza certa e carità operosa.

Giustamente il Papa ha esortato tutta la Chiesa a prepararsi spiritualmente al Giubileo in maniera positiva per tre anni, meditando:

  1. sull’azione santificatrice dello Spirito Santo
  2. sull’opera della redenzione compiuta da Gesù Cristo
  3. sull’amore misericordioso del Padre verso tutti gli uomini.

Già San Tommaso d’Aquino, pur essendo ancora nel Medioevo, insegnava che la remissione dei peccati, anche nel Sacramento della Penitenza, avviene quando il peccatore “ex attrito fit contritus”: solo se c’è l’amore di carità il peccato viene perdonato. Questo avviene sempre, sia nel Sacramento che fuori del Sacramento e quindi anche nel giubileo.

Allora vuol dire che dobbiamo usufruire dei pellegrinaggi, delle visite alle Chiese, delle cerimonie sacre, ecc. del giubileo, per conseguire una crescita della nostra fede e per un impegno autentico di vita cristiana.

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