CANTICO DEI CANTICI

Posted on Dicembre 13th, 2008 di Angelo | 

dodî lî wa’anî lô…

‘anî ledôdî wedôdî lî,

il mio amato è mio e io sono sua…

io sono del mio amato e il mio amato è mio

 ”…La professione d’amore della donna del Cantico dei cantici è affidata al filo musicale del suono «i» che indica la personalità dell’io e dell’ «ò» che rimanda al «lui» dell’amato: dodî lî wa’anî lô… ‘anî ledôdî wedôdî lî, «il mio amato è mio e io sono sua… io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2,16; 6, 3). La Parola è, dunque, voce che parla il linguaggio di Dio” (G.Ravasi).

  

    

Roberto Benigni – Il Cantico Dei Cantici
20/feb/2007  

 

claudia-koll-2004-05-24_bg_a [La Bibbia Giorno E Notte] Lettura di Claudia Koll  

09:59 – 09/ott/2008 – 2 mesi fa – Antico Testamento, Cantico dei Cantici 1; 2; 3 (8 ottobre 2008) … La Bibbia Giorno Notte Lettura di Claudia Koll … Antico Testamento, Cantico dei Cantici 1; 2; 3 (8 ottobre …

 

 

   “IL CANTICO DEI CANTICI” IN MUSICA   

     

Cantico dei Cantici

 

 Milleduecentocinquanta parole ebraiche sono divenute il “Cantico dei cantici”, cioè il ‘cantico sublime’, il cantico per eccellenza dell’amore e della vita. Un poemetto tutto intarsiato di simboli, percorso dalla gioia, capace di trasformare in primavera anche l’arido e assolato panorama palestinese. Al centro di questo giardino ci sono Lui e Lei, l’eterna coppia che appare ogni giorno sulla faccia della terra per cantare che “forte come la Morte è l’Amore” (8,6). Questo commento, che si basa su una nuova versione del testo biblico, dopo aver affrontato i segreti letterari di questa stupenda miniatura poetica, segue le pagine nel loro svolgersi attraverso scene sorprendenti ed esaltanti. Finito il viaggio nel testo biblico, si intraprende un nuovo itinerario nell’interno dei ‘mille Cantici’, seguendo il filo d’oro che il Cantico ha lasciato nella letteratura, nella pittura, nella musica, nell’arte di tutti i tempi. E alla fine si approda al suo segreto ultimo, quello della sua teologia originale e ‘giovane’, celebrazione dell’amore umano ma anche di quello mistico: “Il mio amato è mio e io sono sua… Dodi li wa’ani lo!”.   

I. Il “Cantico dei cantici” in ambiente giudaico. Il Cantico dei cantici si presenta a chi legge come un poema d’amore in lingua ebraica, espresso dai due protagonisti in canti alterni di tono fortemente erotico e ambientato prevalentemente in una cornice pastorale di maniera. Il Cantico si apre con “Cantico dei cantici, che è di Salomone”, e la tradizione sia giudaica sia cristiana, unanime, attribuisce la paternità dell’opera a questo famoso re d’Israele, vissuto nel X secolo a.C.: ma la critica moderna esclude l’attendibilità di tale attribuzione e considera lo scritto ben più tardo, anche se, come vedremo or ora, è tutt’altro che concorde sulla datazione da proporre.

 

Anche a interpretarlo in senso rigorosamente letterale, il Cantico presenta notevole difficoltà, perché non appare chiara la linea di svolgimento che collega uno con l’altro i vari canti, e diventa perciò spesso difficile distinguerli plausibilmente uno dall’altro e ripartirli con esattezza tra i due protagonisti. Quello femminile si presenta con caratteri non sempre coerenti e perciò sotto diversi aspetti; e, oltre ai due protagonisti, pare doversi ammettere almeno un altro personaggio di contorno, rappresentato da un coro di fanciulle, ma – come vedremo – Origene ritenne di poter individuare, accanto a questo, anche un coro di giovani. Per altro, tutte queste difficoltà appaiono, in definitiva, di modesto spessore di fronte al problema fondamentale che presenta l’opera e che divide tuttora gli studiosi, vale a dire, quale significato si debba attribuire a questo poema, o meglio, a questo insieme di canti d’amore: se letterale ovvero allegorico.

Le più antiche testimonianze giudaiche sul Cantico, che risalgono all’inizio de) III secolo d.C. (Mishna), attestano con sicurezza che l’opera era stata compresa nel canone dei libri divinamente ispirati, cioè faceva parte della Sacra Scrittura, e più esattamente della terza parte, dopo la Legge e i Profeti, quella dei cosiddetti Ketubim, Agiografi. Ma nel contempo queste stesse testimonianze danno a vedere che l’inserimento del Cantico nel canone scritturistico aveva suscitato, alla pari di quello dell’Ecclestaste, contestazioni e difficoltà. Se il famoso Rabbi Aqiba, attivo agli inizi del II secolo, giunse ad affermare che tutto il corso del tempo (o il mondo intero) non è degno del giorno in cui questo libro fu dato a Israele, l’iperbolica affermazione induce facilmente a ipotizzare un contesto polemico, tanto più che lo stesso Aqiba ebbe occasione di maledire chi adibiva il Cantico a uso profano, cantandolo in un banchetto (o in un’osteria).

E evidente che il contenuto del Cantico, completamente profano, e il suo linguaggio fortemente erotico avevano suscitato perplessità di fronte alla proposta di considerarlo ispirato alla pari degli altri libri della Scrittura: per arrivare a tanto, infatti, era necessario apprezzare il contenuto dell’opera come completamente allegorico, identificando cioè nei due personaggi principali Dio e Israele, e perciò contestualizzando i canti d’amore, che essi si scambiano, nella trama del tema, largamente attestato nella tradizione profetica, del rapporto sponsale che lega Israele al suo Dio. Ma per fondare questo significato era necessario interpretare il Cantico in modo da escluderne del tutto il significato meramente letterale, e anche questo momento decisivo per la fortuna dell’opera ci è testimoniato: “Abba Saul diceva: “All’inizio dicevano che Proverbi, Cantico dei cantici ed Ecclesiaste non erano canonici; poi dissero che erano soltanto scritti sapienziali e che non appartenevano alle Scritture. Li hanno alzati e abbassati, finché non vennero gli uomini della Grande Sinagoga e li interpretarono” “.

Una volta assodato che l’inserimento del Cantico nel novero degli scritti ispirati fu reso possibile dall’interpretazione completamente allegorica del suo contenuto, resta aperto l’interrogativo primario, se cioè nell’intenzione dell’ignoto autore i suoi canti d’amore avessero già un valore simbolico di significato religioso ovvero fossero da intendere letteralmente, cioè soltanto per quello che si presentano a immediata lettura, canti d’amore profano. La questione è controversa, in quanto ambedue le soluzioni trovano tuttora convinti sostenitori: ai fini dello specifico discorso che andiamo svolgendo, è sufficiente precisare che Robert ha sostenuto il significato già originariamente allegorico del Cantico, mentre di recente Garbini ha riproposto la tesi opposta. Quanto alla prima tesi, basterà rilevare che, secondo i suoi sostenitori, il significato allegorico dell’opera, espressione dell’amore che lega tra loro Dio e Israele, viene riportato, al di là dell’interpretazione che ne permise l’inserimento nel canone scritturistico, all’intenzione stessa dell’autore, che, secondo Robert (p. 2.0), avrebbe composto il suo poemetto verso la fine del V secolo.

 Quanto all’altra tesi, Garbini (p. n sgg.) l’ha nuovamente proposta facendosi forte di svariati riscontri che, già a partire da Grozio, sono stati messi in luce tra il Cantico da una parte e Teocrito dall’altra: riscontri che i sostenitori dell’originario valore simbolico dell’opera considerano nel complesso casuali e di scarso significato, e ai quali invece Garbini attribuisce valore decisivo ai fini di una ricostruzione radicale del Cantico: l’opera sarebbe costituita da una serie di epigrammi, tra loro collegati, che hanno per oggetto un amore quanto mai fisico e che sarebbero stati composti, più o meno, nel I secolo a.C., da un giudeo fortemente ellenizzato, in dichiarata polemica con la letteratura d’intonazione sapienziale. L’interpretazione in senso religioso dell’opera, che fu proposta per tempo, avrebbe anche spinto a modificare il testo. “La mancanza della notazione vocalica rendeva molto facile il cambiamento del senso, senza nemmeno toccare il testo scritto [...] ma quando ciò non bastava, si interveniva sul testo, con qualche paroletta aggiunta o tolta o, più spesso, con minuti mutamenti grafici (uno o due segni) sufficienti a cambiare totalmente il senso di una parola o di una frase”, col risultato di alleggerire alquanto l’originariamente più insistito tono erotico del poemetto.

 

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.