I COLLABORATORI DI S. GIOVANNI DI DIO – Donatus Forkan o.h.

  

  

  

I COLLABORATORI

 

DI SAN GIOVANNI DI DIO

 

 

Donatus Forkan

Priore Generale o.h.

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Relazione presentata da fra Donatus Forkan al Capitolo Generale, quando era il Consigliere incaricato dei laici.

 

Il titolo sottolinea il fatto che tutti noi, confratelli e collaboratori insieme, siamo dei collaboratori privilegiati di San Giovanni di Dio, e che cooperiamo reciprocamente tra di noi. In seguito esamineremo il modo in cui è andato sviluppandosi nel tempo il coinvolgimento dei collaboratori laici nella missione dell’Ordine per diventare ciò che è attualmente, oltre ad analizzare alcuni fattori che hanno portato a questa situazione, e i risultati positivi di questa evoluzione degli eventi per quanto riguarda la missione dell’Ordine.

 

Le persone erano attratte da Juan Ciudad

 

La gente di Granada era affascinata da quest’uomo, Juan Ciudad, che aveva conosciuto prima nella veste di libraio, poi nelle sue manifestazioni di pazzia, ma che in seguito avevano identificato con la figura del Buon Samaritano. La forza della personalità di Giovanni, più di quanto egli dicesse o facesse, toccava le persone nel profondo e le spronava non soltanto ad osservare, ma ad ascoltare quanto egli diceva e riflettendo su ciò che faceva, ponendosi questa domanda: chi è quest’uomo?

 

Nella ricerca della risposta, scoprirono un uomo che aveva raggiunto la libertà interiore; un uomo in pace

con se stesso e con Dio; un uomo che aveva capito quale fosse la propria missione nella vita. Non lo vedevano più come il libraio, il portoghese, il ‘pazzo’, ma come il ‘nuovo Giovanni’ che si prendeva cura dei poveri, dei malati, dei moribondi e degli emarginati di Granada, come mai nessuno aveva fatto prima. Pur desiderando prendere parte a ciò che egli stava facendo, all’inizio i cittadini di Granada erano confusi e turbati. Man mano che il tempo passava, però, si sentivano fortemente chiamati in causa da Giovanni; qualcuno forse era arrivato perfino a desiderare che questa ‘pazzia’ finisse e che le cose tornassero com’erano prima. Poco a poco, la ‘testimonianza silenziosa’ di Giovanni conquistò la loro fiducia, ed

alcuni decisero di impegnarsi attivamente ed aiutarlo in questo lavoro. A seconda delle loro possibilità, scelsero di aiutarlo da un punto di vista economico e materiale, di lavorare con lui ricevendo in cambio un salario, o di condividere la sua stessa vita ad un livello spirituale più profondo, come fratelli. Nessuno però rimase indifferente di fronte alla straordinaria influenza che egli stava esercitando sulla loro vita e su quella della loro città. In seguito i Granadini vollero ‘canonizzare’ Giovanni conferendogli l’appellativo di ‘Giovanni di Dio’.

 

Giovanni di Dio e Angulo.

 

Il Concilio Vaticano II ci ricorda che i mezzi per rinnovare la vita religiosa sono il ritorno alle Sacre Scritture e all’ispirazione originale del Fondatore. È interessante notare che quando il nostro Ordine ha iniziato a riflettere su Giovanni di Dio, la sua vita, la sua missione e la sua spiritualità, ci è diventata familiare un’altra figura: quella di Giovanni d’Avila [non il santo ndr], che Giovanni di Dio chiamava Angulo, una persona che vediamo spesso al fianco del Santo. Sembrerebbe che Giovanni di Dio sentisse il bisogno di avere qualcuno “relativamente libero dalla routine quotidiana dell’ospedale da poterlo accompagnare quando si recava fuori città e fuori dai confini della regione, ed altre volte farne le veci quando rimaneva solo in ospedale, quasi una sorta di maggiordomo; per questo Giovanni di Dio volle un uomo che conosceva per la sua predisposizione pratica e per la santa vita che conduceva” (cfr. fra Brian O’Donnell, John of God Father of the Poor). Il suo

primo biografo, Francisco de Castro, ci parla di Angulo definendolo “uomo prudente e di buona vita”  Castro, cap. XIII), un uomo che accompagnava Giovanni di Dio in tutti i suoi viaggi, e che era molto

simile a lui nello spirito. Se dev’essere difficile vivere con un santo, lo è ancora di più lavorare per un santo, specialmente quando si cerca di gestire quanto si ha a disposizione! (ciò potrebbe suonare familiare a coloro che lavorano in campo amministrativo).

 

Da un punto di vista umano, anche tra grandi amici possono esserci diversità di opinioni, e vediamo che la

stessa cosa accadde a Giovanni e ad Angulo per la strada che li conduceva a Toledo, mentre cercavano di far cambiare vita a quattro prostitute. La stessa cosa accade ancora oggi: i confratelli e i collaboratori lavorano insieme, cercando di rispondere ai bisogni di tante persone sofferenti o emarginate, e talvolta con mezzi

piuttosto limitati. Le differenze si superano attraverso il dialogo aperto e sincero con un ‘cuore che ascolta’, e ciò può portare a una maggiore comprensione e può unire ancora di più le persone, così come era accaduto a Giovanni e Angulo.

 

Quella che ad Angulo sembrava una ‘follia’, per Giovanni era una missione di misericordia, motivata solo dal fatto che queste donne (le prostitute) potessero avere una possibilità nella vita. Giovanni era fermamente convinto che chiunque avesse la possibilità di cambiare la propria vita grazie al potere di Dio che abita in

ogni persona: nessuno è così legato al male da non poter cambiare. La missione di Giovanni nella vita, così come la intendeva lui, era quella di liberare e sciogliere le persone dai legami della povertà, della malattia, dell’emarginazione, ma anche dalla bramosia di benessere e di potere, per fare in modo che queste stesse

persone potessero diventare ciò cui erano destinate veramente: sentirsi figli di Dio per poter vivere secondo questa nobile vocazione. Essere amico di un uomo come Giovanni di Dio era di certo un rapporto molto speciale. Angulo apprezzava questa amicizia perché amava e rispettava Giovanni. Un’indicazione di quanto i due fossero amici ci viene dal fatto che Angulo si era sposato, con un permesso speciale del Vicario  dell’Arcidiocesi, nella cappella dell’ospedale di Giovanni di Dio, con Beatriz de Ayvar. Poco tempo

dopo la morte di Giovanni di Dio, Angulo e Beatriz ebbero un figlio, cui ovviamente diedero il nome di Giovanni.

 

In che modo l’Ordine e la sua missione si sono evoluti

 

Se prendiamo in esame le più importanti ragioni storiche, per vedere in che modo l’Ordine e la sua missione sono andati evolvendo lungo i secoli, dopo la morte di Giovanni di Dio avvenuta l’8 marzo del 1550, vediamo che la prima è stata la costituzione delle opere allora presenti in Spagna in istituto religioso (Bolla di San Pio V del 1572). Ciò ha avuto un forte impatto sulla missione, in quanto la struttura canonica ha determinato il modo in cui i confratelli dovevano vivere e dove operare. In questo tipo di vita ‘monastico’,

ogni laico che veniva a lavorare ‘per’ i confratelli era considerato parte del ‘personale’. Gli veniva assegnato un lavoro specifico e ci aspettava che facesse del suo meglio, ovviamente secondo le proprie possibilità. Il personale doveva aiutare i confratelli a portare avanti la missione, in alcune strutture, dove di solito l’ambiente era di tipo istituzionale.

 

C’erano molti confratelli e pochi collaboratori laici, e i rapporti tra di loro riflettevano questa situazione. Anche se venivano trattati con grande rispetto e il loro contributo era apprezzato, i lavoratori laici non venivano considerati sotto la veste di collaboratori, o addirittura di seguaci di San Giovanni di Dio allo stesso modo dei confratelli. La nuova visione iniziò a venir fuori con il processo di rinnovamento iniziato

dal Concilio Vaticano II. Per alcuni potrebbero essere soltanto parole, ma termini come ‘collaborazione’, ‘lavoro in équipe’, ‘famiglia ospedaliera’, ‘missione condivisa’, ‘condivisione del futuro della missione’ o ‘spiritualità condivisa’, sono importantissimi per considerare il rapporto tra confratelli e collaboratori come

un unico insieme, quello dei collaboratori di Giovanni di Dio, ciascuno con le proprie responsabilità, con la propria vocazione nella vita, eccetera, ma tutti uniti nella stessa missione, che è poi quella di Giovanni di Dio. “confratelli e collaboratori insieme per promuovere e servire la missione”: questa affermazione può

avere un senso se tutti ci dedichiamo con impegno a portare avanti l’operato di Giovanni di Dio.

 

La creatività dell’Ospitalità

 

Un’altra intuizione che abbiamo avuto è che noi confratelli, e il nostro Ordine, non abbiamo l’esclusività, il possesso o il controllo su Giovanni di Dio. Egli appartiene alla società e alla chiesa (cfr. fra Pascual Piles, Lasciatevi guidare dallo Spirito,24 ottobre 1996). La notevole creatività e la ‘ricchezza del carisma  dell’Ospitalità’ (cfr. Carta d’Identità dell’Ordine 3.2.3), hanno spinto tante persone ad unirsi a Giovanni

di Dio nel suo operato, e lungo i secoli i suoi seguaci hanno portato avanti la sua missione in vari modi, ispirati dal suo esempio, in diversi istituti religiosi, associazioni laicali, ecc., per il bene di tanti malati, bisognosi ed emarginati. Nell’ambito dell’Ordine, inoltre, tanti operatori professionali hanno lavorato per molti anni a fianco dei confratelli nei nostri ospedali e centri, mentre tante altre persone hanno offerto il proprio contributo in termini di lavoro volontario o di sostegno finanziario. Tutto ciò dimostra che

né Giovanni, né l’ospitalità da lui vissuta appartengono in modo esclusivo ai confratelli.

 

Entrambi (Giovanni e la sua ospitalità) vanno oltre il possesso o la responsabilità dei confratelli, mentre rivolgono a questi ultimi la sfida di abbracciare il mondo della sofferenza e di lavorare insieme a coloro che si impegnano per eliminare le cause che portano a questa sofferenza: povertà, condizioni di vita disumane,

sottosviluppo, eccetera.

 

La storia ci mostra come, oltre ai ‘Fratelli d’abito’, ci fossero molte altre persone che “si univano a Giovanni nel servizio, benefattori anonimi e personaggi appartenenti alla nobiltà che lo sostenevano con i loro beni, presbiteri che collaboravano con lui nell’assistenza spirituale di coloro che vivevano nell’ospedale e molti

altri: volontari, medici e gente di servizio che assieme a lui e ai confratelli si occupavano dei malati” (Il cammino di ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio, 32).

 

Angulo, modello di collaboratore

 

Il numero dei confratelli attualmente è di poco superiore alle 1300 unità, mentre ci sono circa 45.000 collaboratori (tra impiegati e volontari che lavorano in 300 servizi) ed oltre 350.000 benefattori-sostenitori.

Dal Vaticano II, il ruolo dei collaboratori è andato acquisendo sempre maggiore enfasi, ed è stato  riconosciuto il loro insostituibile contributo alla missione dai Capitoli Generali dell’Ordine, attraverso

le lettere circolari dei Priori Generali, e con altri documenti emessi dalla Curia Generalizia (cfr. Il cammino di ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio, 5, nota n. 4). La partecipazione alla missione, l’assunzione di responsabilità in vari aspetti della missione dell’Ordine da parte dei collaboratori, in campo amministrativo, dirigenziale, della programmazione, della ricerca, eccetera sono aumentate drasticamente da quando è iniziato, oltre 40 anni fa, il processo di rinnovamento post-Vaticano II.

 

Per quanto riguarda i rapporti tra confratello e collaboratore, Angulo è diventato il modello del  collaboratore laico. Lo spirito ospedaliero è stato affidato ai collaboratori che hanno preso parte alla missione condividendone lo spirito carismatico, e non soltanto ai confratelli (cfr. Il cammino di ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio). L’Ordine ritiene che i confratelli e i collaboratori costituiscano

il ‘capitale’ più importante per la realizzazione della missione (Carta d’Identità dell’Ordine, 1.1).

 

Confratelli e collaboratori uniti nella missione

 

Questo nuovo modo in intendere il ruolo insostituibile dei collaboratori laici nella realizzazione della missione ha portato all’elaborazione di nuove strutture, politiche e procedure, ad affrontare il futuro in modo nuovo, con la condivisione della missione tra confratelli e collaboratori. Questo movimento ha portato nuove

energie all’ospitalità di Giovanni di Dio. Il grande protagonista di questo nuovo modo di vedere le cose è stato il compianto fra Pierluigi Marchesi che ha ispirato, guidato e dato grande slancio al processo di rinnovamento che è stato avviato nell’Ordine. Il documento storico di P. Marchesi, Umanizzazione, costituisce un’autentica svolta rispetto al passato.

 

Non possiamo tralasciare altri fattori che hanno fatto la loro comparsa nell’Ordine, riflettendo ciò che stava accadendo nella Chiesa: la diminuzione radicale delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa e l’aumento dell’età media dei religiosi; tutto ciò richiedeva un cambiamento. Il numero dei confratelli  disponibili per il servizio attivo ha obbligato i responsabili dell’Ordine a pensare a nuovi modi per portare avanti la missione, o a ritirarsi da centri e servizi. Grazie al processo di rinnovamento, i confratelli hanno scoperto di possedere un tesoro nascosto: i collaboratori. Questa scoperta ha portato a un nuovo modo di vedere e apprezzare il contributo dei collaboratori alla missione, e pertanto invece di ritirarsi e limitarsi

a fare ciò che potevano contando soltanto sulle proprie forze, i confratelli si sono rivolti ai collaboratori che erano pronti e desiderosi di lavorare con loro per portare avanti la missione di Giovanni di Dio.

 

L’attrattiva che Giovanni di Dio esercita ancora oggi

 

Nel mondo moderno i giovani, in particolare, sono costantemente influenzati e ‘bombardati’ dagli imperativi imposti dal consumismo, dal materialismo, dal raggiungimento immediato della soddisfazione e del piacere personali, attraverso droga, sesso, ecc., il che ha come risultato uno stile di vita molto egoista e chiuso

al mondo esterno, come se la vita terrena fosse l’unica e definitiva esistenza. Il messaggio che viene rivolto costantemente ai giovani è: “divertiti fintanto che puoi”. Ovviamente non tutti i giovani si lasciano sedurre da questi condizionamenti ideologici, anche se la pressione esercitata su di loro è enorme, e lancia delle sfide non soltanto a loro stessi ma anche ai loro genitori e al mondo degli adulti che li circonda, come ad esempio gli insegnanti, i sacerdoti, eccetera. La Chiesa, persino in alcuni paesi ‘tradizionalmente cattolici’, sta assumendo un ruolo sempre più emarginato, e in molti altri si trova addirittura in una posizione di minoranza.

 

In questo ‘clima’ non ci si aspetterebbe che un uomo vissuto 500 anni fa eserciti ancora un’attrattiva sulle persone, ma quando esse conoscono Giovanni di Dio, la sua vita e la sua missione, rimangono affascinate, impressionate e incoraggiate dal suo esempio, così come era accaduto alla popolazione di Granada. Lavorando con i collaboratori, si scopre il magnetismo che Giovanni di Dio esercita sulle persone, e la bontà innata di ogni essere umano che esige rispetto, fiducia e spirito di apertura. Ciò ha spinto diverse Province a investire molte energie e risorse materiali per la formazione dei collaboratori e dei confratelli, organizzando

seminari e corsi di formazione permanente.

 

L’Ordine ha realizzato un autentico ‘salto di qualità’, motivato dal desiderio di perpetuare la missione di San Giovanni di Dio, ed essendosi convinto, attraverso un esame dei segni dei tempi, che è proprio ciò che Dio si aspetta da noi in questo momento. In un’epoca in cui numerosi istituti religiosi si ritirano dall’apostolato o dai loro servizi, la strada intrapresa dal nostro Ordine ci ha permesso di fornire una grande varietà di servizi, e di prenderci cura di un numero notevole di persone che si trovano nel bisogno, come non era mai successo prima. I servizi che vengono prestati dal nostro Ordine in tutto il mondo hanno acquisito uno standard di eccellenza che è riconosciuto a livello generale, da parte della Chiesa e dei governi locali. In alcuni paesi il ‘marchio di Giovanni di Dio’ è sinonimo di qualità, il che significa che in tanti luoghi ‘Giovanni di Dio fa le cose per bene’. Ciò non può che renderci orgogliosi, ma la cosa più importante è riconoscere che questa situazione positiva è il frutto del lavoro congiunto di confratelli e collaboratori per portare avanti

la stessa missione.

 

L’influenza e l’impatto sulla società in cui l’Ordine realizza la sua missione di ospitalità, il modo in cui gestisce le proprie strutture, sempre focalizzato al raggiungimento della missione, è riconosciuto dallo

Stato, dagli enti privati, dalle autorità della Chiesa, molti dei quali vogliono lavorare con noi. Questo tipo di rete operativa e di cooperazione negli ultimi anni è andato espandendosi, in quanto noi confratelli abbiamo acquisito maggiore fiducia, coscienti del potenziale di bontà che esiste nel mondo quando si esercita l’Ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio.

 

Papa Paolo VI diceva: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, n. 41). Dobbiamo renderci conto che, per evangelizzare dobbiamo essere dei testimoni, e che per essere al passo coi tempi ed efficienti, in

un mondo in continuo cambiamento e che è sempre più globalizzato, dobbiamo cooperare, non soltanto a livello interno (cioè confratelli e collaboratori insieme), ma anche esternamente, con altre organizzazioni che operano nel settore del volontariato e in quello pubblico, in modo particolare nei settori in cui sono carenti,

fermo restando il fatto che devono rispettare i nostri principi (cfr. Il cammino di ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio).

 

L’esperienza degli ultimi sei anni

 

Durante lo scorso sessennio i membri del Governo Generale, durante le loro visite alle Province dell’Ordine per partecipare a vari eventi di tipo religioso, sociale o istituzionale, hanno osservato come il rapporto

tra confratelli e collaboratori fosse in continua crescita. Molti confratelli ora vedono i collaboratori come compagni del ‘viaggio ospedaliero’ che affrontano insieme ogni giorno, come veri amici, ciascuno con la propria vocazione e il proprio stile di vita, ma uniti nel continuare la missione di Giovanni di Dio.

 

Dall’altra parte, molti nostri collaboratori sono sempre più interessati alla vita dell’Ordine, alla sua missione, al suo futuro, facendo proprie le preoccupazioni dei confratelli, così come è stato affermato durante il Capitolo Generale del 1994 nel messaggio dei collaboratori al Capitolo: “molti dei problemi dei confratelli sono anche i nostri problemi… il vostro desiderio per il futuro della missione dell’Ordine è anche il nostro… ribadiamo la nostra disponibilità per trovare insieme delle soluzioni, nella convinzione che San

Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” (cfr. Dichiarazioni dei collaboratori al Capitolo Generale del 1994). Molti nostri collaboratori sono strettamente identificati con ‘l’anima dell’Ordine’, e vogliono conoscere in modo più profondo perché l’Ordine esiste, la sua storia, la sua missione di ospitalità, Giovanni di Dio e la sua spiritualità, e l’impatto che l’Ordine continua ad avere nella società. Essi vogliono sentirsi parte di questa grande ‘Famiglia Ospedaliera’ e dare il proprio contributo affinché sia riconosciuta ed apprezzata da tutti.

 

Come ho già detto, bisogna comprendere che diverse categorie di persone, tutte chiamate collaboratori, lavorano nell’Ordine (cfr. Fatebenefratelli e collaboratori insieme per servire e promuovere la vita, n. 6).

Sebbene tutti siano invitati a condividere con i confratelli dei rapporti più profondi, non tutti desiderano né devono farlo per poter lavorare nell’ambito del nostro Ordine o in partnership con noi. Ciò che ci unisce è la missione, la figura del nostro fondatore e l’esempio che egli ci ha lasciato. Giovanni di Dio ha mostrato a

chiunque voglia perpetuare il suo sogno, indipendentemente dalla propria storia personale, professione, religione o dal ruolo che ricopre nell’Ordine, come deve comportarsi, entrando in relazione con gli altri e servendoli con sollecitudine, soprattutto quando sono più vulnerabili a causa della malattia, della povertà o dell’emarginazione.

 

L’integrazione totale dei collaboratori nella missione dell’Ordine sembra costituire una delle sfide più grandi che l’Ordine deve affrontare al giorno d’oggi. Non possiamo dimenticare che esistono anche delle ‘sacche di resistenza’ tra i nostri confratelli così come tra i collaboratori, che non vogliono cambiare i vecchi modi di agire

 

Conclusione

 

Come afferma la Carta d’Identità dell’Ordine, al punto 8.1, “oggi, noi confratelli e collaboratori abbiamo il compito di essere profeti di speranza, di dignità del sofferente, di amore che viene spento dalla tecnica e dalle leggi del mercato che hanno penetrato il mondo della sanità e dell’assistenza”.

L’esperienza degli ultimi tempi ci ha mostrato che sono stati fatti dei grandi passi avanti nella ‘integrazione’ di confratelli e collaboratori nella missione. Ovviamente ciò non accade dappertutto in ugual misura, ma questa disparità è giustificata da molte ragioni; possiamo dire però che in tutti i nostri centri ci si sta adoperando in tal senso.

 

In generale, i confratelli stanno acquisendo sempre maggiore consapevolezza, ed è proprio a livello dei confratelli che il cambiamento e il rinnovamento devono avere luogo. Se vogliamo che l’Ordine continui ad esercitare un forte impatto sulla società, dobbiamo aprirci al mondo e vederlo per ciò che è realmente. Inoltre, affinché la nostra missione sia un’autentica missione della Chiesa, fedele all’ispirazione e all’esempio del suo fondatore, San Giovanni di Dio, dobbiamo continuare a sviluppare uno spirito di collaborazione, di fiducia reciproca, il rispetto e l’amicizia tra confratelli e collaboratori.

 

Se comprenderemo appieno il vero significato dell’Ospitalità per il nostro fondatore, riusciremo a far sì che il nostro operato si tramuti in “Passione per l’ospitalità di San Giovanni di Dio oggi nel mondo”, e la vivremo con l’entusiasmo e l’impegno che ne derivano.

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