AFFETTIVITA’ – Raffaella Iafrate

Posted on Febbraio 14th, 2009 di Angelo |
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Foto di Riccardo Revello
1. locandina (cliccare sopra ogni foto per ingrandire)
2. La dott.ssa Raffaella Iafrate con mons. Piero Pigollo – direttore dell’Ufficio per la Famiglia e la Vita dell’Arcidiocesi di Genova
3.  La dott.ssa Raffaella Iafrate con Aldo Delfino – Presidente dell’Associazione Aiuto Famiglia Onlus
4.  La dott.ssa Raffaella Lafrate con una parte di pubblico

Sintesi della serata

di Graziella Merlatti – Riproduzione parziale da “Il Cittadino” del 9 dicembre 2007
(…) Una conferenza intrigante, tenuta di fronte a un pubblico attento e partecipe da Raffaela Iafrate, psicologa e docente di Psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, già relatrice al Convegno Ecclesiale di Verona per l’ambito “Vita affettiva”.

Accolta dal saluto di mons. Piero Pigollo, direttore dell’ufficio Diocesano per la Famiglia e la Vita, è stata introdotta da Aldo Delfino (…). Avuta la parola, l’illustre Relatrice, esperta in “legami familiari” si subito è addentrata nel tema, con parole semplici e profonde, offrendo una chiara indicazione di percorso, umano ed educativo. I genitori si preoccupano spesso di “come dire”, ma – ha ribadito – più importante, è “ciò che si vive” e “come si vive”.Ciò che è essenziale non è l’informazione, ma la relazione: è la sua “alta qualità” quella che permette alle persone di crescere, di maturare, di vivere in maniera armoniosa e adulta. Ha invitato i genitori a esprimere il loro affetto reciproco con gesti di tenerezza davanti ai figli, icona di un amore/sacramento che dura e che edifica.

Quattro i passaggi del suo dire incisivo: il primo, su “la sfida dell’individualismo”, in una cultura che gli da molto spazio, con una “mentalità un po’ narcisistica e un po’ predatoria”; il secondo, sulla “perdita dell’orizzonte escatologico”, con un generale appiattimento sul qui e ora, senza progettualità. Terzo passaggio affrontato, quello su “una tendenza diffusa ad opporre l’affettività alla norma, con la frequente riduzione dell’uomo a passione, solo a ciò che sente”, come appare dalla frequente risposta dei giovani, “non me la sento”, che “non è una risposta di ragione e di volontà, per soddisfare il bisogno del mondo”. “Viene a mancare l’idea della persona, dove le due realtà hanno importanza pari: corpo/passione e volontà/ragione.

E’ una sfida alle relazioni”. A relazioni autentiche, talora faticose, ma necessarie. Quarto passaggio toccato, “l’analfabetismo relazionale”. Per educare i sentimenti occorre progettualità. Invece “all’ educo si oppone il seduco”, invece di uscire da sé per andare verso l’altro, si tenta di catturare l’altro solo per sé. “La persona però nasce psicologicamente quando entra in relazione con l’altro, e cresce nelle relazioni lungo tutta la vita, anzi, è relazione”.
Se è vero che “per soddisfare la parte di sé mancante, in tutte le relazioni c’è una dimensione affettiva e passionale, emotiva e sentimentale, una relazione che si riduca all’emotività al qui e ora, è senza speranza”: non può avere futuro. “Oggi impera la dimensione matrifocale senza norme”, mentre urge una dimensione etica capace di dare una direzione.

I giovani vanno aiutati a superare l’analfabetismo educativo in cui sono immersi, perché possano indirizzare positi­vamente le loro pulsioni affettive, sapendo che, come canta Nicolò Fabi, “non tutte le strade sono un percorso”.
La coppia, e la famiglia, educa semplicemente esistendo. E’ questo il suo primo compito, con la sua stabilità è oggi una vera profezia. Nella certezza che ogni istante della vita familiare è un tacito atto di fiducia, un piccolo tratto di un disegno che sovrasta.
Dopo l’intervento della Lafrate vi è stato ampio spazio per condividere esperienze, di genitori o di educatori, di approfondire il delicato e importante argomento, di avere dei suggerimenti in merito.

Appunti della relazione


  1. Sfide attuali alle relazioni affettive
Nel nostro clima culturale ci troviamo di fronte a diverse sfide che mettono alla prova la speranza nelle relazioni affettive.
  1. Abbiamo a che fare con una cultura dell’individualismo  senza spazio per l’incontro con l’altro, che diviene così qualcosa di minaccioso da cui difendersi o del quale appropriarsi per non esserne a propria volta fagocitato
  2. b. Osserviamo inoltre la perdita di un orizzonte escatologico, espressa da un generalizzato appiattimento sul “qui ed ora”, il tramontare dell’idea che la storia abbia una direzione, un senso .
  3. c. Assistiamo  ad una tendenza a contrapporre affetto e norma, passione (patos) e ragione (logos) e a ridurre a pura emotività l’esperienza di relazione. Tale dicotomia ci parla di un vero e proprio stravolgimento a livello antropologico. In evidenza c’è una concezione di uomo che nel campo delle relazioni tende sempre più a diventare “ciò che si sente”, frutto di una separazione tra corpo e mente; una concezione dalla quale ciò che viene a mancare è l’idea stessa di Persona.
  4. d. A fronte di tale “analfabetismo relazionale”  domina inoltre paradossalmente la convinzione che gli affetti non siano educabili, che non ci sia bisogno di una formazione e di una crescita sul piano relazionale.
Vediamo come è possibile rispondere a tali sfide
  1. La cultura contemporanea sembra incapace  di pensare la “relazione”, ossia di pensare a ciò che lega le persone tra loro. E’ come se oggi -al contrario- si affermasse che dove c’è relazione con l’altro  non ci può essere spazio per il soggetto ed i suoi diritti individuali. In nome della libertà individuale pare venga sacrificato ogni significato che riconduca al legame con l’altro, con il diverso da sè. Ciò che questa concezione individualistica non considera, è che  in realtà tra identità individuale e relazione con l’altro esiste un legame indissolubile, al punto che si può affermare che la capacità di relazione non è un’abilità, ma l’abilità che definisce l’essere umano.
Anche la psicologia lo conferma. L’essere umano nasce -per così dire- “psicologicamente”  nel rapporto con l’altro (la madre) e cresce grazie alla sua capacità di stabilire altre relazioni adeguate con le persone che costituiscono il suo ambiente familiare e sociale.  Francoise Dolto ci ricorda (e chi ha vissuto l’esperienza della maternità può’ solo confermarlo) che il bambino è da subito, fin da quando è nel ventre materno, un soggetto capace di comunicazione e relazione. Studi recenti hanno inoltre mostrato come il neonato sia già “socialmente competente”, possieda cioè  una grande conoscenza delle regole del dialogo e dello scambio con gli altri.

Ma spingiamoci ancora oltre: la persona non può neppure definirsi se non in relazione agli altri: anche quando si tratta di dare una definizione di sé, rispondendo alla domanda  “chi sono io ?”, ci accorgiamo che tale definizione (figlio/figlia, moglie/marito, madre padre, fratello, amico, professionista…)  è fondata su relazioni e legami con l’altro.  La dimensione relazionale è connaturata con l’umano e anche l’individuo più isolato e solitario porta i segni di un’appartenenza sociale che è prima di tutto familiare (già presente nel nostro nome e cognome). La relazione con l’altro è dunque una parte inevitabile dell’esperienza umana: gli esseri umani sono “esseri relazionali” e questa è una profonda verità  peculiare dell’essere umano, che non si spiega  dentro ad una prospettiva individualistica.

  1. A fronte dell’appiattimento attuale sul “qui ed ora”, occorre ribadire che la relazione sia nei suoi aspetti di  vincolo  (re-ligo), sia di riferimento di senso (re-fero-latum) non è pura interazione con l’altro, ma rimanda ad altro rispetto a ciò che si osserva, rimanda ad un legame che precede l’interazione in atto e ne costituisce il contesto significativo. Le numerose interazioni e scambi che costellano la vita quotidiana delle persone che si amano, si possono comprendere appieno solo se si considera che i  soggetti sono profondamente legati a monte, hanno una storia comune. Caratteristica della relazione,  a differenza della interazione contestualizzata nel qui ed ora, sono dunque i tempi lunghi o meglio la connessione tra i tempi, è la storia personale e sociale che lega un uomo  e una donna, due amici, un genitore e un figlio, un educatore e un discepolo. Parlare di relazionalità dell’umano significa pertanto uscire da una visione egocentrata e  proiettarsi in una prospettiva che non può essere esaurita nell’istante dell’interazione di scambi immediati e di bilanci frettolosi,  come quello che giudica la bontà di una relazione in base alla gratificazione immediata o da ciò che se ne ricava.
  2. A proposito della dicotomia tra affetto e norma riconducibile alla dissipazione antropologica di cui si è detto, osserviamo che oggi le relazioni appaiono fragili perché, fuori da un orizzonte etico e religioso, esse sono ridotte a sentimentalismo ed edonismo relativistico.
La relazione ha certamente un profondo significato affettivo-emotivo e porta con sé una componente di piacevolezza e appagamento, ma senza una dimensione etica, senza una direzione verso cui tendere si riduce a puro sentimentalismo  ed emotività. (ma una relazione senza obiettivo e direzione verso cui tendere è una relazione senza speranza). La struttura portante di tutte le relazioni è dunque una combinazione di qualità  etico-affettive.  E ciò ha a che fare  con gli aspetti fondativi  dell’umano. Il prototipo della qualità affettiva è la fiducia-speranza, il matris-munus, il dono della madre che dà la vita, la protegge e la contiene; il prototipo della qualità etica è la lealtà-giustizia, il patris-munus, il dono del padre, che guida,  dà coraggio, regola, apre al mondo.

Va certamente riconosciuto al nostro tempo una valorizzazione degli aspetti affettivi ed espressivi del legame, rispetto ad una società del passato certamente più restia a riconoscere la bontà di queste dimensioni e maggiormente orientata a sottolineare gli aspetti vincolanti e normativi delle relazioni interpersonali e sociali, con rigidità che condizionavano fortemente anche le relazioni affettive e  familiari.
Pensiamo ad esempio  ai matrimoni combinati dalle famiglie di origine o dalle comunità di appartenenza che correvano il rischio di una polarizzazione sull’aspetto normativo e esitavano spesso in forme contrattualistiche e formali di pattuizione; o  al rapporto   genitori-figli delle generazioni  del passato in cui le manifestazioni affettive erano molto contenute (si diceva: “i bambini vanno baciati solo quando dormono”!),  soprattutto nella relazione padre-figlio spesso  lontana e autoritaria. Positiva è dunque la conquista del nostro tempo che ha saputo ridare spazio alla dimensione affettiva dell’uomo, al riconoscimento delle potenzialità del suo cuore.

Ma noi sappiamo che il cuore dell’uomo, con tutta la ricchezza e la profondità di cui è ricolmo, se non è  educato da un ethos che gli indichi una direzione  che ne finalizzi le potenzialità, si corrompe. Occorre infatti sottolineare che  fiducia/speranza da una parte e lealtà/giustizia dall’altra, in una certa misura, convivono con il loro opposto: nessuna relazione umana  è infatti perfetta (occorre fare i conti con il limite) e una certa quota di mancanza di fiducia e di prevaricazione vive nelle nostre relazioni affettive. Nelle relazioni circola la speranza di bene con la sua forza unitiva, di passione e di compassione e circola il male con la sua forza disgregante, di sfruttamento dell’altro e di dominio su di lui. Nessuna relazione ne è immune; per questo motivo i legami affettivi possono essere la sede del benessere della persona, ma anche la sede della grave patologia e della sofferenza psichica (come molti  fatti di cronaca di questi ultimi anni stanno dimostrando drammaticamente).

Occorre dunque ribadire che la vocazione etica delle relazioni non si aggiunge dall’esterno all’esperienza umana, non è un insieme di divieti o di precetti moralistici, ma risponde al “grido inesauribile del cuore” e ne costituisce l’orientamento profondo. Come è stato detto a Verona : “pri­ma ancora di una questione etica si pone l’urgenza della questione antropologica”.

  1. Ricorrente nei gruppi di lavoro di Verona è stata  l’espressione “analfabetismo affettivo” per significare lo stato di immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani o adulti, in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono compiere scelte che richiamano il “per sempre”, peraltro elemento costitutivo dell’amore. La condizione di immaturità affettiva emerge anche nelle stesse comunità cristiane, spesso caratterizzate da relazioni formali e che faticano a pensarsi come luoghi di relazione affettiva e di condivisione delle responsabilità e a volte anche tra quanti aspirano alla vita religiosa e al presbiterato.
Noi  oggi ci troviamo davanti ad un grave rischio: assistiamo su tutti i fronti ad una sorta di “ipertrofia” dell’affetto, uno sbilanciamento a favore degli aspetti emozionali a discapito di quella valoriale con un’affettività  sradicata  dall’ethos, da una prospettiva di senso, percepita come pura saturazione di un bisogno, senza direzione e scopo, ridotta a puro sentimentalismo, a  “ciò che si sente”, si prova.
Anche a livello educativo  si osserva tale equivoco sbilanciamento: gli affetti e le relazioni paiono non bisognosi di educazione. Già nelle prime relazioni con i bambini piccoli, si educano i bambini sul piano cognitivo e –al limite- comportamentale, ma si ritiene l’affettività come “non educabile”, a favore di uno spontaneismo che si risolve in un puro soddisfacimento dei bisogni immediati.  E tale atteggiamento viene poi mantenuto anche lungo il percorso di crescita, dalla scuola che si occupa di educare cognitivamente e culturalmente, ma che riserva poco spazio alle dimensioni affettive e relazionali, alla formazione degli adolescenti, sempre più seguiti ed emancipati sul piano intellettuale e sempre più disorientati  e in balia delle proprie dirompenti emozioni sul fronte relazionale ed affettivo.

Sintomatica -a questo proposito- la percezione di anacronismo che suscita oggi la parola “fidanzamento”. Il tempo dell’affetto messo alla prova, della verifica, orientato ad un futuro attraverso una promessa di impegno, fiduciosa nei confronti dell’altro, ha lasciato spazio ad esperienze  “usa e getta” o tutt’al più a reiterati tentativi per “prove ed errori”, vissuti sostanzialmente  come sperimentazioni narcisistiche della propria capacità di  seduzione o  come conquiste per confermare la propria identità e  soddisfare i propri bisogni.  Tutto ciò mette a dura prova la tenuta delle relazioni affettive e ancora di più la loro forza generativa e benefica.

E’ quantomeno curioso, se non inquietante,  osservare come il mondo moderno, così attento a promuovere la crescita intellettuale delle nuove generazioni, così aperto all’investimento di energie sul piano culturale, si accontenti di  formare personalità che pur essendo cognitivamente evolute, sono affettivamente incistate in uno stadio evolutivo infantile, in un’affettività primordiale e incontrollata, spesso fonte di sofferenza se non di vera e propria patologia relazionale.

Il mondo relazionale chiede dunque di essere formato e per così dire “raffinato” da un lavoro educativo, non meno lungo e impegnativo di quello richiesto per la formazione delle menti  e delle cognizioni.
A fronte di questi aspetti problematici della vita di relazione, si registra però un profondo bisogno di relazioni autentiche e una volontà e desiderio di vivere legami e amicizie significative. C’è l’esigenza ineludibile di ritrovare il senso delle relazioni che si vivono.

  1. Il Legame di coppia ed il suo itinerario educativo
Cerchiamo allora di rispondere a questa ricerca di senso, riflettendo oggi in particolare sul legame di coppia e sul suo itinerario educativo.
La reciprocità originaria dell’uomo e della donna e la loro potenzialità generativa, rendono il legame di coppia il “paradigma” delle relazioni orizzontali paritetiche. Nel “mistero grande” della comunione tra uomo e donna (“non più due, ma una sola carne”) si rivela la persona come segno, immagine di Dio. La sfida all’impoverimento degli affetti e del valore della relazione a favore di un solitario quanto inesistente astratto individuo, ha dunque nella relazione di coppia l’espressione più alta ed impegnativa.

Per questo l’educazione alla vita di coppia è un lavoro di accompagnamento che deve partire da lontano: noi facciamo fatica a parlare di matrimonio ai ragazzi e ai giovani; anche l’educazione sessuale è spesso trattata come un problema di tipo puramente tecnico o in un’ottica di conoscenza e controllo individuale. La coppia rimane una questione da adulti.

Sfugge troppo spesso la portata educativamente rivoluzionaria dell’esperienza dell’amore coniugale che testimonia al mondo la possibilità di realizzare sulla terra un legame che ha qualcosa di divino, che parla di eternità in un mondo dominato dalla precarietà, di fiducia e speranza alle nuove generazioni così spesso diffidenti, scoraggiate e rassegnate; di futuro e di generatività ad una società schiava dell’immediato e spaventata dal domani.
Educare all’affettività e alla vocazione matrimoniale è educare alla formazione della Persona nella sua interezza; è educare al senso del limite e della propria finitezza: l’altro ci aiuta a superare l’illusione di onnipotenza narcisistica di cui oggi il mondo è malato. E’ educazione al dono gratuito, alla capacità di sacrificio e alla riconoscenza per il dono dell’altro non dovuto, ma liberamente elargito: tutti atteggiamenti oggi tanto rari quanti necessari alla nostra convivenza sociale.

E’ educare a puntare in alto e a non bruciare le tappe sprecando esperienze di vita fondamentali per la crescita: in questo senso, l’educazione alla gestione ordinata e finalizzata della propria sessualità e dei propri desideri, liberati dalla prigione individualistica e riconosciuti nella loro natura relazionale e generativa, è una garanzia di formazione di persone autentiche, capaci di coniugare sentimento e volontà, passione e ragione e di dare un senso alle proprie scelte.

L’educazione alla relazione di coppia consente dunque un percorso di crescita vocazionale che può guidare i giovani a scelte più consapevoli sia verso l’esperienza generativa della coniugalità e della famiglia, sia nella complementare, e non meno generativa scelta vocazionale verginale e di speciale consacrazione.

La vita di relazione rientra dunque in un percorso di scoperta della propria vocazione, di risposta ad una chiamata da parte di un Padre a realizzare un disegno personale pensato per ciascuno di noi. Questa è l’origine della vera speranza: la sicurezza che la risposta a tale chiamata è un destino buono, prepensato da una paternità che ci precede e ci ama da sempre.  Questa è anche la forza che sorregge i percorsi vocazionali più incerti ed accidentati e gli itinerari più difficili.

Nella confusione antropologica attuale, dove la libertà individuale pare essere l’unico criterio guida nelle scelte, dove si arriva anche a confondere i modelli di identificazione sessuale, mettendo sullo stesso piano le scelte eterosessuali e quelle omosessuali, sganciando quindi l’affettività dalla sua portata relazionale, sociale  e generativa, porre l’educazione affettiva al di fuori degli aspetti valoriali e vocazionali può condurre a gravi difficoltà, specie per gli adolescenti ed i giovani sempre più disorientati nelle loro scelte affettive e nel loro percorso di costruzione dell’identità.

A fronte di tali problemi, la scelta di sposarsi oggi è sottoposta a innumerevoli ostacoli.
La diminuzione dei matrimoni, l’aumento delle unioni libere, le separazioni e divorzi ne sono chiara testimonianza. Alla fragilità del legame coniugale pare contribuire, da una parte, quella che potremmo chiamare la “tirannia dell’intimità”, che teorizza una fusionalità senza incrinature tra i due partner, spesso abbagliati da aspettative reciproche troppo elevate e pertanto facilmente soggette a delusione; dall’altra parte, la perdita dell’aspetto sociale del vincolo coniugale, che va sempre più sullo sfondo, lasciando in primo piano una coppia autoreferenziale che si vive in uno spazio totalmente privato, svincolato da appartenenze familiari e sociali: in altre parole una coppia sola.

Tuttavia, nonostante questi segnali allarmanti, il matrimonio rimane, soprattutto per i giovani, secondo quanto evidenziato da diverse ricerche, una meta ideale altamente desiderabile.  E’ dunque su questo desiderio di felicità che occorre puntare per lanciare senza remore alle nuove generazioni il messaggio di speranza e di gioia insito nell’amore tra l’uomo e la donna. Occorre pertanto rintracciare gli aspetti fondanti dell’identità di coppia per individuare ciò che in questo panorama socio-culturale necessita di maggior cura e sostegno.

La relazione coniugale è fondata su un patto fiduciario, su base affettiva (attrazione, soddisfacimento dei bisogni reciproci) ed etico-valoriale (impegno e promessa –in presenza di testimoni- di coltivare e mantenere nel tempo il legame “nella buona e nella cattiva sorte”). Ciò significa che gli ingredienti di un rapporto di coppia soddisfacente e stabile saranno al tempo stesso
  • l’intimità,
  • la comprensione,
  • una buona capacità di comunicazione e in generale tutte le dimensioni affettivo-sessuali,
  • ma anche le componenti “etiche”, quali l’impegno e la fedeltà verso il legame,
  • la dedizione e il supporto reciproco,
  • la capacità di accettare e perdonare anche i limiti dell’altro,
  • lo spirito di sacrificio,
  • la forza di affrontare insieme le prove della vita.
Lo sbilanciamento sul versante emozionale dei legami, a scapito di un riconoscimento della loro ineludibile valenza etico-sociale di cui si è detto, affida completamente alla discrezionalità dei partner la libertà di decidere l’ufficialità, la durata, la possibile interruzione o frattura del patto. E’ su questo aspetto che pare pertanto urgente supportare e educare la coppia, spesso legata da patti fragili, senza progetto, contingenti ed emozionali, in cui la scelta reciproca è priva di impegno. In particolare, il salto critico è quello che va dall’innamoramento all’amore, ma la coppia abbisogna di supporto non solo nella fase della sua costituzione, ma anche nel tempo.

Aver cura del patto coniugale comporta, infatti, non tanto il costruire una volta per tutte un armonico equilibrio tra aspetti etici ed affettivi, ma attuare un rilancio continuo del legame di coppia: la costruzione del patto è un processo costante, continuamente modificato e messo alla prova dagli eventi della vita, intrinsecamente esigente per la sfida implicita che porta dentro di sé nel tendere a fare di due persone “una cosa sola”, ossia nel ricondurre ad unità due differenze.

D’altra parte non ci sarebbe bisogno di un patto (la cui radice etimologica rimanda a pax-pacis) se non ci fosse nulla da “pacificare” se nella relazione coniugale l’accordo fosse “automatico” e “spontaneo”. Infrangere il mito del “naturalismo” dell’amore coniugale (se due non stanno bene insieme “naturalmente” senza sforzi, significa che non si amano), superare la visione idealizzata della relazione tra partner (l’altro deve essere a tutti i costi colui che soddisfa ogni mio bisogno in ogni momento della vita), per approdare ad una consapevolezza realistica e serena del diritto di ogni persona (anche del proprio partner!) di avere dei limiti, di poter cambiare, di non vivere ogni evento allo stesso modo, si pone allora come una delle sfide più intriganti del percorso di una coppia che decida di investire sul futuro del proprio legame.

Prendersi cura reciprocamente implica dunque un riconoscimento ed una legittimazione dell’altro, amato per ciò che è, riconosciuto nella sua unicità, rispettato nella sua differenza. Non a caso l’esito più evidente del buon funzionamento di una coppia si esprime nella generatività (sia essa biologica o sociale), che si realizza proprio grazie all’incontro di differenze e rappresenta ciò che di più vitale ed appagante l’essere umano adulto possa sperimentare.

Da : Enciclica Deus caritas est (Benedetto XVI)

“Tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.

Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere umano, che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. L’epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a Cartesio col saluto: « O Anima! ».

E Cartesio replicava dicendo: « O Carne! ».Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore — l’eros — può maturare fino alla sua vera grandezza.

Impressioni su questo incontro rilasciate a fine della serata

  • Relatrice bravissima, ha saputo trattare l’argomento usando termini appropriati.
  • Questo incontro mi ha dato la possibilità di ricevere una risposta esauriente a molti degli interrogativi sulla coppia che mi ero posta.
  • Serata mondiale!
  • Utilissimo – Bravissima la relatrice – Peccato non aver fatto più pubblicità ai giovani.
  • Molto stimolante, riesce a farti mettere in discussione. … (non si legge chiaramente il resto)
  • Veramente istruttivo. Ho compreso molto su di me e su quelle persone a cui voglio un mondo di bene. Fate + spesso di questi incontri !!!!
  • Coinvolgente. Attento ai nostri tempi. Grazie.
  • La tematica è stata molto interessante e affrontata con semplicità e profondità.
  • Molto interessante. E’ stata una conferma x noi come sposi che stiamo camminando bene ed un aiuto per cambiare quello che ci manca. Ci piace tanto quell’idea di dare aiuto (prevenzione) alle coppie “normali” nel loro cammino, non solo a quelli con problemi.
  • Molto interessante ed incoraggiante. Sarebbe interessante riprendere il tema dell’enrichment coniugale. Grazie.
  • Molto positivo. Relatore eccezionale. Argomento molto interessante. Grazie.
  • Bello!
  • Sono molto soddisfatta. Forse sarebbe bello avere del materiale da portare a casa, come una fotocopia sunto, per ricordare, meditare, condividere. Grazie.
  • Molto positivo ed efficace per la mia persona e relazione con l’altro. Ringrazio la dott.ssa Iafrate per il suo prezioso contributo e tutti coloro che hanno organizzato tale serata.
  • E’ stato molto di aiuto sotto tutti gli argomenti trattati. Credo che sia sempre importantissima la testimonianza seguita dalla crescita interiore rapportata sempre e comunque di fronte a Gesù e Maria.
  • Ricco di spunti, riflessioni.
  • Relatrice molto preparata, che ha utilizzato un linguaggio adatto a tutti e che ha espresso diversi concetti nuovi con esempi e, talvolta, soluzioni concrete ed attuali. Grazie.
  • Interessante. L’ideale sarebbe una frequenza maggiore ed una pubblicità anche alle zone limitrofe.

http://www.aiutofamiglia.it/affettivit%C3%A0.htm

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