Il cardinale Martini “Un Concilio sul divorzio” – Eugenio Scalfari

Martini - Mediaset

Il cardinale Martini

“Un Concilio sul divorzio”

Intervista con EUGENIO SCALFARI

(da “Repubblica” del 18 giugno 2009)

Il volto è dimagrito ma gli occhi d´un azzurro intenso lo illuminano ancora di più. Mi guarda fisso, come per riconoscermi. Sono molti anni che non ci incontriamo anche se ci siamo sentiti spesso scambiandoci a distanza sentimenti e pensieri. Sono passati tredici anni da quel dibattito a due voci organizzato da don Vincenzo Paglia, allora assistente ecclesiastico della comunità di Sant´Egidio, nel grande salone di palazzo della Cancelleria a Roma, dinanzi ad una platea gremita di sacerdoti d´ogni provenienza con i loro variopinti costumi: vescovi e cardinali di Santa Romana Chiesa in talare e zucchetto rosso, copti, patriarchi della Chiesa orientale, pastori protestanti, anglicani. C´erano anche, ricordo, quattro monaci buddisti. Molti i gesuiti, in veste nera e fascia alla vita, venuti ad ascoltare lui, il loro compagno di seminario e di religione diventato poi cardinale e arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini.

Quel dibattito aveva come tema: «La pace è il nome di Dio» con un sottotitolo: «Che cosa può unire oggi cattolici e laici». Lui fece una premessa (fare premesse è una sua abitudine per meglio definire l´argomento). Disse: «Non sono qui per fare proselitismo, perciò non parleremo di fede e di teologia ma di etica e di convinzioni». A mia volta lo ringraziai e la discussione cominciò, ma ci accorgemmo subito che eravamo d´accordo su tutto, la sua etica era anche la mia, lui la riceveva dall´alto, io dall´autonomia della mia coscienza, tutti e due ci ponevamo il problema dell´incontro tra il sentimento religioso e una modernità laica e relativista.

Da allora la figura dell´arcivescovo di Milano è stata per me un punto di riferimento, ho seguito la sua opera pastorale diretta ai credenti e il suo dialogo costante con i non credenti, il suo rapporto con il cardinal Silvestrini, con Pietro Scoppola, con la comunità di Sant´Egidio, con le varie anime della Compagnia di Gesù. Ho letto i suoi libri e in particolare le Conversazioni notturne a Gerusalemme. Ed ora quello appena uscito Siamo tutti nella stessa barca, un lungo dialogo con don Luigi Verzè, fondatore dell´ospedale di San Raffaele a Milano e dell´Università che porta lo stesso nome. Quel binomio Martini-Verzè ha stupito molti amici del cardinale. Il fondatore del San Raffaele è un personaggio di notevole intraprendenza che ha ben poco in comune con Martini.

Perché ha scelto proprio lui come interlocutore?

Il cardinale risponde così: «Io e don Luigi siamo molto diversi sia per temperamento sia per formazione; sono diverse le nostre biografie ed anche le nostre visioni politiche e sociali. Non so se don Luigi ed io abbiamo le stesse soluzioni di fronte a scelte sempre più difficili. Ma siamo insieme sulla stessa barca, la barca della Chiesa, pur con tutte le nostre diversità. Ci accomuna un grande amore verso la Chiesa, un´ardente passione per il Verbo Incarnato Gesù Cristo e il desiderio che la Chiesa incontri e comprenda la società moderna».

La spiegazione è chiara, le differenze tra i due emergono dal libro ma l´obiettivo comune è quello di porre all´attenzione dei cristiani cattolici problemi non più oltre rinviabili. Domando a Martini quale siano quei problemi in ordine di importanza. «Anzitutto l´atteggiamento della Chiesa verso i divorziati, poi la nomina o l´elezione dei Vescovi, il celibato dei preti, il ruolo del laicato cattolico, i rapporti tra la gerarchia ecclesiastica e la politica. Le sembrano problemi di facile soluzione? Possono interessare anche un laico non credente come lei?».

Mi guarda sorridente e si riassesta sulla sedia che scricchiola e mi viene il timore che sia malferma ma lui mi rassicura: «E´ solida, stia tranquillo, sono io che mi muovo troppo». Ci troviamo in una stanza molto sobria, un tavolo lungo e qualche sedia, nella casa di riposo dei gesuiti a Gallarate.

Il cardinale, prima di ricevermi, ha incontrato una cinquantina di preti venuti dal dintorno milanese. Volevano ascoltare le sue parole di fede e di speranza in una società sempre meno cristiana e sempre più indifferente.

Indifferente verso che cosa? gli chiedo.

 «Non c´è più una visione del bene comune. Il sentimento dominante è di difendere il proprio interesse particolare e quello del proprio gruppo. Magari pensano di essere buoni cristiani perché qualche volta vanno a messa e fanno avvicinare i loro figli ai sacramenti. Ma il cristianesimo non è quello, non soltanto quello.

I sacramenti sono importanti se coronano una vita cristiana.

La fede è importante se procede insieme alla carità.

Senza la carità la fede è cieca.

Senza la carità non c´è speranza e non c´è giustizia».

Lei, cardinal Martini, ha affermato in molte occasioni l´importanza della carità, ma forse bisogna definire con esattezza che cosa lei intenda con questa parola. Non credo che si limiti al far del bene al prossimo.

«Far del bene, aiutare il prossimo è certamente un aspetto importante ma non è l´essenza della carità. Bisogna ascoltare gli altri, comprenderli, includerli nel nostro affetto, riconoscerli, rompere la loro solitudine ed esser loro compagni. Insomma amarli. La carità non è elemosina. La carità predicata da Gesù è partecipazione piena alla sorte degli altri. Comunione degli spiriti, lotta contro l´ingiustizia».

Nel suo libro Conversazioni notturne lei dice che i peccati sono numerosi e la Chiesa ne enumera molti ma, a suo parere, il vero peccato del mondo – lei dice proprio così se ben ricordo – il vero peccato del mondo è l´ingiustizia e la diseguaglianza. Se ho ben capito le sue parole, la carità è lottare contro l´ingiustizia?

«Gesù disse che il regno di Dio sarà dei poveri, dei deboli, degli esclusi. Disse che la Chiesa avrebbe avuto come missione di essere vicina a loro. Questa è la carità del popolo di Dio predicata dal suo Figlio fatto uomo per la nostra salvezza».

Cardinale, che cosa intende per popolo di Dio? E´ il laicato cattolico il popolo Dio?

«Tutta la Chiesa è popolo di Dio, la gerarchia, il clero, i fedeli».

I fedeli hanno un ruolo attivo nel governo della Chiesa, nella partecipazione, nell´amministrazione dei sacramenti, nella scelta dei loro pastori?

«Hanno certamente un ruolo ma dovrebbero esercitarlo con molta più pienezza. Troppo spesso è un ruolo passivo. Ci sono state epoche nella storia della Chiesa nelle quali la partecipazione attiva delle comunità cristiane era molto più intensa. Quando prima ho parlato d´una dilagante indifferenza pensavo proprio a questo aspetto della vita cristiana. Qui c´è una lacuna, una defezione silenziosa specie nella società europea e in quella italiana».

Pensa alla scarsa frequenza dei sacramenti, della messa, delle vocazioni?

«Questi sono aspetti esterni, non sostanziali. La sostanza è la carità, la visione del bene comune e della comune felicità. Felicità non solo per noi ma per gli altri e non solo nel presente qui e subito ma per i figli e i nipoti, le generazioni che verranno».

La chiesa istituzionale fa abbastanza in questa direzione?

«Fa molto, ma dovrebbe fare molto di più». Cardinal Martini, vorrei porle una questione piuttosto delicata. Un noto scrittore cattolico, Vittorio Messori, ha scritto recentemente che la Chiesa istituzionale, cioè il Vaticano con la sua Segreteria di Stato i suoi Nunzi sparsi in tutto il mondo, le sue strutture di Curia, non può sanzionare i vizi privati dei potenti. Il suo compito è stipulare accordi, Concordati, affrontare problemi concreti da potere a potere. Fece accordi con Hitler, con Mussolini, con Pinochet, con Franco, con Craxi. Se li avesse pubblicamente giudicati sui loro comportamenti, sulla loro moralità, non avrebbe potuto operare politicamente come è suo compito. Il problema semmai – secondo Messori – riguarda il confessore, ammesso che qualcuno di quei potenti si confessi. Comunque il tema della salvezza riguarda il clero pastorale, i parroci e i vescovi con cura di anime.

Lei è d´accordo con questa distinzione tra istituzioni vaticane e clero con funzioni pastorali?

«In verità non sono molto d´accordo, la distinzione che fa Messori ci richiama ad una fase in cui esisteva ancora il potere temporale e il Papa era anzitutto un sovrano; ma quel potere grazie a Dio è finito e non può essere restaurato. E´ una fortuna che sia finito. Certo esiste una struttura diplomatica della Santa Sede, ma composta pur sempre di sacerdoti il cui fine ultimo è quello di testimoniare la predicazione evangelica ed il suo contenuto profetico.

Aggiungo che la struttura diplomatica, secondo me, è fin troppo ridondante e impegna fin troppo le energie della Chiesa. Non è stato sempre così. Nella storia della Chiesa per molti e molti secoli questa struttura non è neppure esistita e potrebbe in futuro essere fortemente ridotta se non addirittura smantellata.

Il compito della Chiesa è di testimoniare la parola di Dio, il Verbo Incarnato, il mondo dei giusti che verrà. Tutto il resto è secondario».

Le Chiese protestanti non hanno anch´esse strutture consimili?

Non sono necessarie per tutelare la libertà religiosa e lo spazio pubblico di cui la Chiesa ha bisogno per diffondere i suoi valori? «Le Chiese protestanti non hanno strutture accentrate e potenti come la nostra. Hanno assetti molto diversi. Sono, da questo punto di vista, più deboli della Chiesa cattolica ma per altri aspetti più coese con i fedeli».

 Il problema che lei solleva indubbiamente esiste. Riguarda i Vescovi? Forse la figura del Papa, che esiste soltanto nella Chiesa cattolica, ha come conseguenza un certo temporalismo che è sopravvissuto al potere temporale propriamente detto.

«Il Papa è innanzitutto il Vescovo di Roma. Per noi cattolici è il vicario di Cristo in terra e gli dobbiamo amore, rispetto e obbedienza senza però dimenticare che la chiesa apostolica si regge su due pilastri: il Papa e la sua comunione con i Vescovi. Ricordo che nel Concistoro che precedette l´ultimo Conclave, ci fu un dibattito preliminare per individuare una sorta di identikit del futuro pontefice. Quando toccò a me di parlare dissi che noi dovevamo eleggere il vescovo di Roma. Volevo dire con ciò che è sempre comunque prevalente la capacità e la vocazione pastorale rispetto a quella diplomatica o teologica».

Lei disse questo? Che voi, il Conclave, dovevate eleggere il Vescovo di Roma?

«Le sembra un´eresia? Invece questo è il mandato costante secondo la dottrina e la tradizione evangelica».

Il tempo passava e di argomenti che avrei voluto discutere con il cardinal Martini ce n´erano ancora molti, ma temevo di affaticarlo troppo. Glielo dissi, ma mi rispose che potevamo continuare. C´era un tema che mi stava a cuore. Gli dissi che leggendo il suo ultimo libro, quello scritto con don Verzè, m´era parso di capire una sua propensione a proporre un altro Concilio, una sorta di Vaticano III.

La spinta del Vaticano II si era indebolita? Non bisognava riprendere il discorso e portarlo più avanti? La risposta che ne ebbi a me è sembrata molto innovatrice e anche imprevista.

«Non penso ad un Vaticano III. E´ vero che il Vaticano II ha perso una parte della sua spinta. Voleva che la Chiesa si confrontasse con la società moderna e con la scienza, ma questo confronto è stato marginale. Noi siamo ancora lontani dall´aver affrontato questo problema e sembra quasi che abbiamo rivolto il nostro sguardo più all´indietro che non in avanti. Bisogna riprendere lo slancio ma per far questo non è necessario un Vaticano III.

Ciò detto io sono favorevole ad un altro Concilio, anzi lo ritengo necessario, ma su temi specifici e concreti. Ritengo anzi che bisognerebbe attuare ciò che fu suggerito anzi decretato dal Concilio di Costanza, cioè convocare un Concilio ogni venti o trent´anni ma con un solo argomento o due al massimo».

Questa sarebbe una rivoluzione nel governo della Chiesa.

«A me non pare. La Chiesa di Roma, non a caso, si chiama apostolica. Ha una struttura verticale ma al tempo stesso anche orizzontale. La comunione dei vescovi con il papa è un organo fondamentale della Chiesa».

E quale sarebbe il tema del Concilio che lei auspica?

«Il rapporto della Chiesa con i divorziati. Riguarda moltissime persone e famiglie e purtroppo il numero delle famiglie coinvolte aumenterà. Va dunque affrontato con saggezza e preveggenza.

Ma c´è anche un altro argomento che un prossimo Concilio dovrebbe affrontare: quello del percorso penitenziale della propria vita. Vede, la confessione è un sacramento estremamente importante ma ormai esangue. Sono sempre meno le persone che lo praticano ma soprattutto il suo esercizio è diventato quasi meccanico: si confessa qualche peccato, si ottiene il perdono, si recita qualche preghiera e tutto finisce così. Nel nulla o poco più.

Bisogna ridare alla confessione una sostanza che sia veramente sacramentale, un percorso di pentimento e un programma di vita, un confronto costante con il proprio confessore, insomma una direzione spirituale».

Ci alzammo. Mi disse di aver letto il mio ultimo libro L´uomo che non credeva in Dio e di averci trovato alcune assonanze con la sua visione del bene comune. Lo ringraziai. Io le sono molto vicino, gli dissi, ma non credo in Dio e lo dico con piena tranquillità di spirito.

«Lo so, ma non sono preoccupato per lei. A volte i non credenti sono più vicini a noi di tanti finti devoti. Lei non lo sa, ma il Signore sì».

Fui tentato di abbracciarlo, ma siamo un po´ tremolanti tutti e due ed avremmo rischiato di finir per terra. Ci siamo stretti la mano promettendoci di rivederci presto.

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