UN RICORDO DI GIORGIO LA PIRA – Carlo Maria Martini

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UN RICORDO DI GIORGIO LA PIRA

 

HA ABBATTUTO I MURI E COSTRUITO I PONTI 

 

Ci sembra giusto ricordare la figura di Giorgio La Pira a 100 anni dalla nascita, poiché rappresenta per tutti noi la figura di un credente adulto che ha saputo maturare nel suo animo la vocazione cristiana attraverso le esigenze della fede in tutto ciò che compiva.

 Insegnando, facendo politica, amministrando Firenze come sindaco, ha tenuto davanti agli occhi, come modello e sogno, l’impegno della pace.

Sembrò a volte ingenuo, eppure il suo impegno passò attraverso i bisogni veri della gente (lavoro e casa) perché diventassero diritti e responsabilità di tutta la comunità civile e passò quindi a tessere, in tutti i modi, reti di speranza attraverso contatti e dialoghi con interlocutori impensati negli anni ’50 e ’60. 

Oltre ad una breve biografia, pubblichiamo l’intervento del Card. Martini, a Roma, per la commemorazione di La Pira nel centenario della sua nascita.

 

LA VITA 

Giorgio La Pira nasce il 9 gennaio 1904 a Pozzallo (RG), in Sicilia. Primogenito di una famiglia di umili condizioni, a prezzo di grandi sacrifici, riesce a diplomarsi in Ragioneria e poi a laurearsi in Giurisprudenza.  

Trasferitosi a Firenze con il suo maestro, diventa docente di Diritto romano. Tra il 1929 ed il 1939 svolge un’intensa attività di studioso che lo mette in contatto con l’Università Cattolica di Milano: entra cosí in amicizia con figure come padre Gemelli e Giuseppe Lazzati. 

Si impegna a fondo nell’Azione Cattolica giovanile e nella pubblicistica cattolica, scrivendo in numerose riviste, tra cui il famoso “Frontespizio”. Alla vigilia della guerra (1939) fonda e dirige la rivista “Principi” nella quale – in pieno regime fascista – pone le premesse cristiane per un’autentica democrazia. Il regime ne vieta la pubblicazione. Tra il 15 luglio e l’8 settembre 1943 crea il foglio clandestino “San Marco”. Il 23 settembre sfugge alla polizia segreta che lo cerca per arrestarlo. Raggiunta Roma, nel 1944 tiene all’Ateneo Lateranense – su iniziativa dell’Istituto Cattolico Attività Sociali – un corso di lezioni che riscuote molto successo. L’anno successivo le lezioni vengono pubblicate sotto il titolo “Le premesse della politica”.

 

Liberata Firenze l’11 agosto 1944, La Pira torna ad insegnare all’Università e collabora al quotidiano del Comitato di Liberazione Nazionale toscano “La nazione del popolo”. Nel frattempo arricchisce il suo pensiero approfondendo la cultura cattolica francese e l’economia anglosassone. Sostiene il diritto universale al lavoro e l’accesso generalizzato alla proprietà. Frutto di questa riflessione sono alcuni noti volumi come “La nostra vocazione sociale: Valore della persona umana”.

 

Nel 1946 viene eletto all’Assemblea Costituente. Nel 1947, insieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati, dà vita a “Cronache sociali”, la rivista che meglio ha espresso la presenza cristiana nel difficile processo di rinascita della democrazia in Italia. Alla Costituente svolge un’opera di grande rilievo, e da tutti apprezzata, nella Commissione dei 75, in particolare per la formulazione dei principi fondamentali che dovranno reggere la nuova Repubblica Italiana. Nel 1948 è nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro; nel 1950 scrive in Cronache Sociali il famoso saggio L’attesa della povera gente, nel quale dimostra la necessità e la concreta possibilità del lavoro e della casa per tutti.

 

Nel 1951 interviene presso Stalin in favore della pace in Corea. Il 6 luglio è eletto Sindaco di Firenze (1951-1958; 1961-1965). La sua opera di sindaco è punteggiata da notevoli realizzazioni amministrative e da straordinarie iniziative di carattere politico e sociale. Sotto la sua amministrazione, vengono ricostruiti i ponti Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinità distrutti dalla guerra; viene creato il quartiere-satellite dell’Isolotto; si gettano le basi per il quartiere di Sorgane; si costruiscono, in varie zone della periferia, moltissime case popolari; si riedifica il nuovo Teatro Comunale; si realizza la Centrale del Latte; viene nuovamente pavimentato il Centro Storico. Con la collaborazione dell’on. Nicola Pistelli, Firenze viene dotata di un numero di scuole tale da ritardare di almeno vent’anni la crisi dell’edilizia scolastica in città. Nello stesso tempo, La Pira conduce una coraggiosa lotta in favore dei lavoratori. Famosa la strenua difesa dell’occupazione per i duemila operai delle officine Pignone, poi della Galileo e della Cure.

 

Nel 1952 organizza in piena guerra fredda il primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana. Da esso ha inizio un’attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti vivi, profondi, sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi. Nel 1955 i sindaci delle capitali del mondo siglano a Palazzo Vecchio un patto di amicizia. Nel 1958 hanno luogo a Firenze i Colloqui Mediterranei cui partecipano rappresentanti arabi ed israeliani. Nel 1959 La Pira, invitato a Mosca, parla addirittura al Soviet Supremo in difesa della distensione e del disarmo. Rivolge anche un ammonimento ai capi del Cremlino: «Come avete rimosso dal Mausoleo al Cremlino il cadavere di Stalin, cosí dovete liberarvi dal cadavere dell’ateismo. È una ideologia che appartiene al passato ed è ormai irrimediabilmente superata».

 

Nel 1965 incontra ad Hanoi Ho Chi-Minh con il quale mette a punto una serie di proposte che, se non fossero state osteggiate da esponenti occidentali ostili alla pace, avrebbero anticipato di un decennio la fine della tragica guerra vietnamita. In parallelo a questi contatti diplomatici, avvengono i gemellaggi di Firenze con Filadelfia, Kiev, Kioto, Fez e Reims; nonché il conferimento della cittadinanza onoraria di Firenze al segretario dell’ONU U Thant e al grande architetto Le Corbusier. Nel capoluogo toscano La Pira promuove il Comitato internazionale per le ricerche spaziali; una tavola rotonda sul disarmo; iniziative tese a mettere in luce il valore e l’importanza del terzo mondo e degli emergenti Stati africani (tra l’altro, invita a Firenze il presidente del Senegal Léopold Senghor, uno dei piú prestigiosi leaders cristiani dei movimenti di liberazione). È ancora lui che, per primo, lancia l’idea dell’Università Europea da istituire a Firenze.

 

Dal 1966 comincia a ritirarsi dall’attività pubblica, ma continua a mantenere contatti internazionali quale presidente della Federazione mondiale delle città unite. In questa veste, tiene colloqui e conferenze in vari paesi d’Europa, in preparazione alla Conferenza di Helsinki. Nel 1967 ha colloqui con Nasser in Egitto ed Abba Eban in Israele, per collaborare alla pace tra i due grandi gruppi umani usciti dall’unico progenitore Abramo.

 

Trova un inaspettato interesse per questa impostazione di discorso politico fondato sulla tradizione religiosa. Nel 1973 a Houston (USA) parla al Convegno internazionale “I progetti per il futuro” e delinea i compiti delle nuove generazioni. Famoso l’inizio del suo discorso: “I giovani sono come le rondini, annunciano la primavera”. Nel contesto di queste molteplici iniziative svolge un’intensa attività pubblicistica. Scrive a Capi di Stato, a personalità di ogni continente, ai monasteri di clausura, ai vecchi e ai bambini di Firenze, tiene discorsi, conversazioni, incontri, soprattutto con giovani, che lo seguono con entusiasmo avvertendo la grande forza della sua fede e la purezza dei suoi ideali.

 

Instancabile proclamatore della profezia di Isaia, ne esalta spesso la sua attualità: «Avverrà che nei tempi futuri il monte della casa del Signore sarà stabilito in cima ai monti e si ergerà al di sopra dei colli. Tutte le genti affluiranno ad esso, e verranno molti popoli dicendo: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché c’istruisca nelle sue vie e camminiamo nei suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice tra le genti e arbitro di popoli numerosi. Muteranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci; una nazione non alzerà la spada contro un’altra e non praticheranno più la guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore!».

 

È questo ideale che lo sostiene negli ultimi anni, resi difficili da una grave malattia e da un penoso isolamento. Il 5 novembre 1977 in un “sabato senza vespri” come aveva desiderato, conclude il suo pellegrinaggio terreno. È in corso la causa di beatificazione. 

 

Martini Carlo Mariai - Fiaccola

Commemorazione di Giorgio La Pira

nel centenario della nascita

 

Roma, 25 febbraio 2004  

Carlo Maria card. Martini

 

Giorgio La Pira in una lettera del 1954 scriveva: ” Non ho mai voluto essere né deputato né sindaco: mi ci hanno violentemente posto…Io non ho nessuna vocazione sociale, non desidero riformare niente: non ho nessuna dottrina sociale o metafisica da annunciare. Se un desiderio io possiedo è quello soltanto di stare col Signore nella pace benedetta dell’orazione e della riflessione. “

 

Così io ricordo Giorgio La Pira, come l’uomo che lasciava trasparire una grande spiritualità e insieme una grande capacità di accoglienza, di affetto, di attenzione verso ogni persona che aveva davanti.

 

Non ci si poteva sottrarre al fascino che emanava dalla sua carica di umanità e di entusiasmo. Colpivano la sua sicurezza, la sua certezza profetica, il suo sguardo sicuro e ottimista sull’avvenire. Egli fondava le sue convinzioni su alcuni pochi testi tratti dalla Scrittura (Isaia 11): “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà” (Is 11,6); e ancora: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia 2,4, cfr. Michea 4,3); il Salmo 45,15: “Farà cessare le guerre fino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance, brucerà con il fuoco gli scudi”; e ancora un testo dal libro dell’Apocalisse: “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (21,3).

 

Giorgio La Pira, nella sua visione profetica, vedeva queste cose avvenire nella nostra storia, malgrado tutte le apparenze contrarie (predisse ad esempio molti anni prima la fine dell’Impero Sovietico), e sapeva scorgerne i segni anche più esili e incoraggiare l’azione che avrebbe aperto la strada a queste prospettive.

 

Uno dei simboli ricorrenti in cui inquadrava la sua visione del futuro è l’immagine della città. In una lettera scritta probabilmente nell’estate del 1944 e pubblicata solo qualche anno fa sotto il titolo: “Ordine della grazia e ordine sociale” esprimeva la sua tesi fondamentale: “come l’ordine naturale personale non si ricompone che nella grazia di Cristo, così l’ordine naturale collettivo (cioè la società) non si può ricomporre che nella grazia di Cristo”.

 

Di qui il compito che egli ne traeva e che esprimeva così: “Rigenerare in Cristo la società civile: riparare, nella grazia, l’ordine umano collettivo; rifare le cattedrali centro della città!”. E aggiungeva “lo so: sembra un sogno!”. Ma egli guardava con fiducia a questo sogno, senza alcun accenno di integrismo o di fondamentalismo, ma con un pieno rispetto per la libertà di coscienza e per tutte le religioni tale da permettere all’opera di Dio di svilupparsi in pieno accordo con la dignità e la libertà di ogni persona.

 

Volendo esprimere alcune coordinate di questo sogno di Giorgio La Pira, ricorderei le seguenti:

 

1. l’unità del genere umano, che tende sempre più irresistibilmente a manifestarsi;

2. il carattere conflittuale di questo sviluppo;

3. la centralità della città;

4. il concetto di tempi privilegiati e di mediatori storici.

 

1. L’unità del genere umano come fatto irreversibile e irresistibile

Le profezie bibliche di pace e di speranza, che già abbiamo ricordato, danno a La Pira una percezione della direzione della storia presente e futura. Esse mostrano che la storia cammina su quello che egli chiamava il “crinale apocalittico” ed è entrata in un’era radicalmente nuova di pace e di unità della famiglia umana, che esige una profonda riforma dell’economia e della politica. All’umanità non sta di fronte che l’autodistruzione o la pace universale profetizzata da Isaia e richiamata dalle guide illuminate nelle nazioni, guide che egli amava riconoscere in tante parti del mondo.

 

Il 24 ottobre 1963, parlando in occasione delle celebrazioni del diciottesimo anniversario dell’Onu e della giornata della FAO, diceva: “Noi siamo consapevoli… della radicale novità, sempre più crescente, della storia del mondo. La tesi che ci fa luce nell’azione è così elementare e così vera! E’ la tesi, tanto semplice e tanto vera, dell’unità – a tutti i livelli, ricca di articolazioni – della famiglia umana: un Padre celeste comune, una terra comune, una famiglia comune, una redenzione comune, una storia comune, una destinazione temporale ed eterna comune”.

 

Qualche anno prima aveva detto: “In un momento storico, come questo, occorre più che mai fare nostra la divisa audace e operosa di san Paolo: spes contra spem”. E spiegava che la speranza teologale, quanto all’oggetto, è la città celeste intesa quale polo magnetico anche della città terrestre, protesa a farsi suo specchio e prefigurazione, nella tensione dialettica e organica di tutte le speranze umane e dei loro simboli visibili: cattedrale, casa, officina, scuola, ospedale. Era tracciato così un chiaro itinerario verso una pace vera e stabile e verso l’unità degli uomini: itinerario che comportava una pacificazione con Dio e con le idee madri che formano il tessuto universale della civiltà umana e cristiana (libertà e lavoro). Si domandava: “É ingenuità?” No, rispondeva: è fede nella capacità di Dio di compiere ciò che non sa compiere la furbizia degli uomini! È tutto nella profezia di Isaia il nostro ideale.

 

  1. Il carattere conflittuale di questo cammino

     

La Pira era consapevole del fatto che l’itinerario di pace da lui intravisto passava attraverso contestazioni e rischi mortali. Non per niente usava l’espressione di “crinale apocalittico”, sul quale – diceva – sono presenti quattro potenziali esplosivi di terrificante potenza distruttiva: la minaccia nucleare, la fame, lo sviluppo demografico, la collera dei poveri, quella che – mutuando il linguaggio dell’encicliche sociali – chiamava anche “la collera di Dio e dei poveri”.

 

  1. La funzione centrale della città

     

In questo cammino necessario e insieme conflittuale, che consente l’accesso a una stagione storica nuova, vi è un punto di riferimento culturale e geografico preciso. Esso è la città. La “città” è intesa, da La Pira, come metafora, trascrizione, documento vivente della storia e della civiltà umana, nonché come “casa”, domicilio, humus della persona umana e non già museo di reliquie. In questo senso, assumono valore di simbolo la casa, l’officina, l’ospedale, la scuola e la cattedrale.

La città gli appare come lo spaccato esemplare della più vasta comunità umana e civile, ove i problemi tecnici, economici e politici prendono contorni più elementari e umani, dove si deve assicurare un posto a tutti, ove si prefigura in sintesi la città di Dio, dando un’anima alla moderna civiltà meccanica.

 

  1. Tempi privilegiati e mediatori storici

     

Vi sono “tornanti” nella storia, cioè tempi privilegiati, eventi favorevoli (“kairoi” secondo la terminologia biblica), in cui si gioca il destino di molti uomini. In questi tempi privilegiati emergono alcuni luoghi o situazioni o persone in funzione di mediatori, di antenne, di catalizzatori di un processo. Tra questi, per La Pira, si staglia certamente Firenze. Firenze, la “seconda Gerusalemme” – come amava chiamarla riprendendo l’espressione di Savona – “miniatura luminosa”, città in cui è esemplarmente trascritta la teologia cristiana e che si fa misura della civiltà cristiana integralmente umana.

 

Egli ci tiene a sottolineare che non si tratta semplicemente di un’opera di “restauro” delle vestigia di un glorioso passato. Al centro dell’attenzione sono i pressanti e concreti problemi umani dell’oggi: il pane, il lavoro, la casa. Si tratta di cogliere il nesso vitale tra città umana e divina, tra speranza teologale e speranze umane, si tratta di compiere l’opera di trascrizione della rivelazione di Dio nella città dell’uomo, che abbraccia la cattedrale e l’officina. Queste prospettive teologiche, storiche e culturali hanno fatto di questo contemplativo, di questo uomo semplice e povero, di questo studioso, un ambasciatore di pace nel mondo, un sindaco appassionato, competente e tenace. A partire da un certo semplicismo delle formule egli si è fatto sempre più consapevole della complessità del vivere civile contemporaneo e dei diversi livelli e strumenti di realizzazione degli ideali intravisti.

 

Ma tutto questo veniva macerato interiormente nella contemplazione, nel silenzio e anche nelle prove interiori. Per questo, ancora oggi, La Pira rimane, anche in tempi assai diversi dai suoi, attualissimo maestro di penetrante discernimento spirituale: ci insegna a decifrare l’anima del tempo, la direzione e i movimenti profondi della storia, quella che egli chiamava la storiografia del profondo. Ci insegna a osservare il divenire storico con la sensibilità di chi bada soprattutto ai moti della coscienza dentro l’orizzonte del disegno d’amore di Dio, di chi sa quindi porre l’accento sulle dinamiche di lungo periodo, oltre le increspature contingenti della storia, di chi sa interpretare il tempo nella luce della speranza, attento a cogli ere i segni dello Spirito contro i profeti di sventura. In questo La Pira ci è maestro di discernimento, nell’esercizio di una lucida e conseguente razionalità, sorretta dalla luce della fede e della speranza cristiana.

 

Voglio concludere citando un suo testo del 1967, che ha un sapore di profetica e bruciante attualità: “Perché non dare al mondo presente, – egli si domanda – una prova del grande fatto che specifica già l’attuale età storica: del fatto cioè, che la guerra anche “locale” non risolve, ma aggrava i problemi umani; che essa è ormai uno strumento per sempre finito; e che solo l’accordo , il negoziato, l’edificazione comune, l’azione e la missione comune per l’elevazione comune di tutti i popoli, sono gli strumenti che la Provvidenza pone nelle mani degli uomini per costruire una storia nuova e una civiltà nuova?

 

Quindi abbattere i muri e costruire i ponti: l’inizio simbolico della pace che viene!

 

E questa pace venga, tra i due figli dello stesso Patriarca Abramo. Essa sarà non solo la pace fra i figli di Abramo, ma sarà altresì l’arcoba leno che annuncia per sempre, per il mondo intero, la fine del diluvio (la guerra) e l’inizio definitivo della nuova età storica del mondo”.

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