MI DIVINIZZO PER UMANIZZARE – Angelo Nocent

 

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VUOI UMANIZZARE?

 

Allora lasciati divinizzare

 

 

Prendo spunto dalla Giornata Mondiale della Gioventù: da Toronto a Colonia

Roma 10-13 aprile 2003

 

Carissimi Padri e Fratelli che vi accingete a vivere il Capitolo Generale Straordinario, “Dio sopra tutte le cose del mondo. Amen Gesù!” (San Giovanni di Dio).

 

Siete nella Chiesa di Cristo che cinque secoli fa ha visto nascere, suscitata dallo Spirito, una nuova famiglia religiosa, per imprimerle una svolta storica: la presenza attiva, corresponsabile e con pari dignità dei Christifideles laici, da sempre collaboratori ma, dopo il Concilio Vaticano II, con la presa di coscienza del ruolo di co-attori sulle scene del mondo della salute; ognuno nel suo ruolo ma “insieme” convergenti nella realizzazione del disegno di Dio sulla storia.

 

Ciò avviene dopo anni di crisi vocazionali nella duplice direzione:

- sempre più rare le nuove vocazioni;

- sempre più numerose le richieste di esclaustrazione.

 

Il fenomeno ha scosso la Chiesa e le coscienze. Così ha sollevato interrogativi che hanno fatto prendere coscienza a tutti i livelli sulla necessità di comunicare nella fede e rendere ragione della speranza che è in ciascuno.

 

Di rendita non si può più vivere. La vigna che il Signore ci ha affidato è la Verità da estendere nel mondo: la buona notizia che il Crocifisso-Risorto vive ed è in mezzo a noi, compagno di viaggio e delle nostre disavventure.

 

Alla situazione attuale, spesso motivo per molti di vero sconforto, non si è giunti improvvisamente come dopo un terremoto od uno tsunami ma progressivamente, per gradi, con l’apporto un po’ di tutti. Ci si è soffermati a denunciare la crisi ma, forse, non si è cercato in egual misura di comprenderne le ragioni, di interrogare gli avvenimenti, di ascoltare le persone, specie le più sensibili e, pertanto, le prime vittime delle umane incomprensioni, dentro e fuori le mura del convento.

 

Oggi sarebbe un grave errore voltare pagina con disinvoltura, quasi non fosse successo nulla e voler ripartire da zero con progetti più fantastici che realistici. Meglio un po’ in ritardo per approfondita riflessione che di fretta per l’orgoglio di mettere la firma di protagonisti della svolta storica. Sotto ogni tornante esiste un precipizio ed un’uscita di strada sarebbe fatale.

 

Se non si ha né tempo né voglia di ritornare sui propri passi per capire cos’è accaduto per segnare così profondamente e dolorosamente la storia dell’Ordine nel nostro secolo, ci si sforzi almeno di leggere la realtà che ci circonda “con gli occhi di Dio”.

Da parte mia, non essendo in grado di leggere la vita religiosa che state vivendo, proverò a leggere quella parte di mondo che mi è più accessibile.

 

I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa

 

Premesso che non appartengo al movimento di Comunione e Liberazione, devo ammettere che non ho trovato una descrizione più sintetica e immaginativa della situazione dei giovani d’oggi che quella emersa in un dialogo di don Giussani con un gruppo di universitari. Se mi seguirete, scevri da futili pregiudizi, finirete per condividere. Egli dice:

” E’ come se tutti i giovani d’oggi fossero stati investiti da una sorta di Cernobyl, di un’ enorme esplosione nucleare: il loro organismo strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non lo è più; vi è stato come un plagio fisiologico, operato dalla mentalità dominante. E’ come se oggi non vi fosse più alcuna evidenza reale se non la moda – che è un concetto e uno strumento del potere. Mai come oggi l’ambiente, inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione delle coscienze.

 

Oggi più che mai l’educatore, o il diseducatore sovrano è l’ambiente con tutte le sue forme espressive. Così anche l’annuncio cristiano stenta monto di più a diventare vita convinta, a diventar vita e convinzione. Quello che si ascolta e si vede non è assimilato veramente: ciò che ci circonda, la mentalità dominante, la cultura onniinvandente, il potere, realizzano in noi una estraneità rispetto a noi stessi, si rimane cioè, da una parte, astratti nel rapporto con sé stessi e affettivamente scarichi (come pile che invece di durare ore durano minuti); e, dall’altra, per contrasto, ci si rifugia nella comunità come protezione”.

 

Si può non essere d’accordo su questa diagnosi che coglie nel segno?

 

Parliamo dei giovani ma ci siamo dentro un po’ tutti:

- è come se noi fossimo una estraneità rispetto a noi stessi, degli emarginati, astratti nel rapporto con noi stessi.

 

Perché si è sostituita

 

E’ avvenuto che lo strumento di conoscenza della realtà che è la ragione, ossia quell’esigenza di esperienza in tutti i fattori, è stata sostituita con il sentimento. Vale a dire: io persona non sono quello che sono ma sono ciò che mi sento. La ragione allora si riduce a capacità di giustificazione di questa reazione: “Và dove ti porta il sentimento”. E così ciò che prevale è l’opinione, non il giudizio.

 

Se tolgo l’evidenza di una debolezza originale in cui vive la persona, sono poi costretto a inventarmi un dogma di supporto. Ci hanno pensato i mezzi di comunicazione sociale a far passare l’affermazione di di Rousseau: “Fa’ quello che vuoi perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi”. La conseguenza logica è questa: la fatica, il sacrificio, sono diventati una obiezione e non più la condizione del vivere.

 

- Il passo successivo è che ci si ritrova “affettivamente scarichi”, come pile che invece di durare ore durano minuti.

L’affezione, la predilezione, non è più l’attrattiva del vero ma diventa la soddisfazione di un piacere. Di conseguenza, tutto è volubile, insicuro e le pile scariche fanno diventare la vita non un cammino verso qualcosa ma un vagabondaggio, una intermittenza invece di un albore sempre più luminoso.

Anche la religiosità giovanile – non dissimile a quella di tanti adulti – spesso è il fluttuare del sentimento di Dio più che il suo riconoscimento per cui tutte le religioni sono uguali perché corrispondono alla propria spontaneità e non perché realizzano di più la propria natura.

 

- Ma per contrasto, si finisce col rifugiarsi nel gruppo o comunità come protezione.

Così le aggregazioni giovanili nascono per una prossimità di sensazioni e mode più che per un aiuto al crescere della persona. Ne consegue così una nuova forma di ideologia, ossia la cinghia di trasmissione della moda e della mentalità dominante.

In “PORTA LA SPERANZA” – ed. Marietti – l’educatore Don Giussani scrive un capitolo che merita di essere conosciuto, anche perché cita un passo estremamente lucido dell’allora Card. Ratzingher che è una messa in guardia di una certa mentalità dominante in ogni ambiente:

“Ma per il luogo che occupa nella cronologia di ogni vita, in tutti i tempi la gioventù avrà presentato spettacolo di crisi. Perciò, se ora si parla di una crisi dei giovani, particolare ed eccezionale, questa, in ultima analisi, deve essere ricercata in una crisi dell’educazione, dei fattori educativi.

La crisi degli educatori si profila:

 

- in primo luogo come inconsapevolezza che rende gli educatori stessi collaboratori magari incoscienti delle deficienze dell’ambiente

 

C’è una perdita del significato personale del fatto cristiano che è il costituirsi di un soggetto nuovo nella storia e non uno come gli altri con qualche impegno in più come ha detto il Cardinal Ratzinger al Meeting di Rimini del 1990:

- “E’ diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l’idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell’attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all’interno della Chiesa.

 

- (…) Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto cristiano.

- (…) La Chiesa non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna”.

 

All’interno della società  contemporanea spesso il cristianesimo appare legato a delle strutture.

Non essendo sempre queste strutture vivificate da una testimonianza personale, il rifiuto o l’indifferenza nei confronti di queste strutture coincidono col rifiuto o l’indifferenza nei confronti del fatto cristiano, come se la partecipazione ad esse bastasse a giustificare il proprio essere cristiani.

Manca in molti cristiani la testimonianza della soggettività nuova che è il cristianesimo così da rendere occasione di vita queste strutture: si è persa la coscienza del significato personale del richiamo cristiano, come corrispondente all’umano. Così il fatto cristiano rimane astratto, estraneo alla vita, al mondo normale.

E, in secondo luogo, come mancata vitalità nell’atteggiamento educativo che non li fa combattere con sufficiente energia la negatività dell’ambiente, in quanto li attesta su posizioni schematicamente tradizionali, formalistiche, invece che portarli a rinnovare l’eterno Verbo redentore nello spirito della nuova lotta”.

 

Si favorisce la frattura fra cristianesimo e vita.

La società tende a rifiutare o a relegare nell’ambito di una dimensione privata il cristianesimo: cioè un distacco da Dio come origine e senso della vita, quindi dall’esperienza.

Come se Dio rispondesse alla “religiosità” e non alle esigenze della vita. Così, inconsapevolmente, si accetta il ruolo che la società vorrebbe riservare ai cristiani che è quello di essere il supplemento religioso, l’anima per la realizzazione del proprio progetto invece di essere giudizio e quindi collaboratori originali dell’aspirazione comune degli uomini alla loro felicità.

 

Le difficoltà dei figli sono un interrogativo drammatico per i padri; per questo dobbiamo domandarci con T.S. Eliot:

  • “E’ l’umanità che ha abbandonato la Chiesa ?”

 

  • o “E’ la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?” (T.S. Eliot – I cori de la Rocca)

 

CRISTO E LA CHIESA

 

Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento

Il Cristianesimo è un evento; una persona è entrata nella storia: Gesù Cristo, che alcuni hanno incontrato ed accettato.

E la Chiesa è la possibilità di ripetere oggi questo incontro, la possibilità che si ripeta per tutti, come ha detto il Santo Padre per la XVIII°  Giornata Mondiale della Gioventù:

“Cari giovani, lo sapete: il Cristianesimo non è un opinione e non consiste in parole vane. Il Cristianesimo è Cristo! E’ una Persona, è il Vivente”.

Non dunque una teoria, ma un fatto che ci riguarda, un fatto la cui portata è data da una Presenza personale, la Presenza di Cristo: dell’ Emmanuele, “Dio-con-noi”, di Dio che si è fatto Compagno, amico dell’uomo.

Come scriveva Fedor Dostoevskij ne’ “I Demoni” “Molti credono che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiani; non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo ma precisamente questo: che il Verbo si è fatto carne”.

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L’ avvenimento è il metodo

L’ “Avvenimento” non è solo il momento in cui questo fatto si è posto ma indica un metodo, il metodo scelto e usato da Dio per salvare l’uomo: nell’Incarnazione, Dio salva l’uomo attraverso l’umano.

Il Cristianesimo non è la rivelazione dell’esistenza di Dio ma lo stupore che Dio è un Uomo, lo stupore di Kafka: “Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto” (F. Kafka – Il Castello)

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La salvezza non ci sarà: c’è, il valore del presente

- Se Dio è con noi, la salvezza c’è; e non solo c’è, ma é tra noi.

Perciò è utilizzabile, é sperimentabile già adesso, perché Dio che é salvezza, si compromette con l’uomo, con tutta la sua vita e con la storia. La salvezza é una compagnia: la compagnia di Dio all’uomo, nella quale l’uomo trova la possibilità della sua realizzazione, la consistenza della sua vita e di sé stesso, la sua vera fisionomia, l’unità della sua persona.

La nostra realizzazione, redenzione, non é il risultato del nostro sforzo di coerenza umana, ma é conseguenza dell’ accettazione di quella compagnia.

“Salvare” vuol dire che l’uomo capisca chi è, capisca il suo destino, sappia come condurre i passi verso il suo destino e vi possa camminare.

E’ incontrando questa Presenza che la persona incomincia a capire se stessa, a capire qual’ è il suo destino, a capire come andare al suo destino e con quale energia camminare.

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- Aderire al fatto cristiano, procedere in esso ha come modalità quella della   conversione. Convertirsi non è analizzare l’annuncio, ma compromettersi con esso, cioè con un Fatto, un avvenimento.

La consistenza dell’annuncio è tutta nel fatto che esso penetri nell’ esistenza e la  cambi. L’esperienza di un rinnovamento della vita, di una fisionomia personale imprevista è la prova esistenziale che l’opera della salvezza si sta compiendo, è il centuplo quaggiù.

Così ancora ricordava il Santo Padre ai giovani per la prossima giornata mondiale della gioventù:

“Cari giovani, solo Gesù conosce il vostro cuore, i vostri desideri  più profondi. Solo Lui, che vi ha amati fino alla morte (cfr. Gv 13, 1), è capace di colmare le vostre aspirazioni. Le sue sono parole di vita eterna, parole che danno senso alla vita. Nessuno all’infuori di Cristo potrà darvi la vera felicità.”

O come diceva il Cardinale Giacomo Biffi ad un convegno di teologi a Bologna:

 

  • “Noi non siamo il “popolo del libro”, a rigore non siamo neppure il “popolo della parola”: siamo il “popolo dell’Avvenimento” (…)

  • “Sventurato quel teologo, quel esegeta, quel lettore della sacra pagina per il quale Gesù è primariamente un personaggio letterario, e perciò egli parla del Cristo dei sinottici, del Cristo paolino, del Cristo giovanneo, e non del suo Salvatore”.

Non esiste possibilità di capire il cristianesimo se non si intuisce che il cristianesimo nasce interamente come passione per l’uomo, per il singolo uomo, meglio dalla passione per il destino del singolo uomo.

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LA PERSONA RINASCE DA UN INCONTRO

- Se Dio si è fatto un uomo, è entrato nella storia, il metodo per conoscerlo non può più essere quello di prima della sua venuta, quello di tutte le altre religioni fondate sulla ricerca, sul tentativo dell’uomo.

Prima era poggiato tutto sullo sforzo, lo studio, la genialità, il sentimento religioso, ora è Qualcuno da incontrare, non esige particolari capacità ma la semplicità di un incontro.

Come ha scritto il Santo Padre a don Giussani per i vent’anni della Fraternità di Comunione e Liberazione:

“Il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è l’”avvenimento” di un incontro . E’ questa l’intuizione e l’esperienza che Ella ha trasmesso in questi anni a tante persone che hanno aderito al movimento di Comunione e Liberazione, più che ad offrire cose nuove, mira a far riscoprire la Tradizione e la storia della Chiesa, per riesprimerla in modi capaci di parlare e di interpellare gli uomini del nostro tempo”.

- L’io ritrova se stesso nell’incontro con una presenza che porta con sé questa affermazione: “Esiste quello di cui è fatto il tuo cuore! Vedi, in me, per esempio esiste”.

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L’incontro con una presenza non costituisce ontologicamente la persona nella sua soggettività:

- l’incontro risveglia qualcosa che era oscuro,

- qualcosa che era esistenzialmente impensato ed impensabile.

L’uomo riscopre la propria identità originale imbattendosi in una presenza che suscita un’attrattiva e provoca un ridestarsi delle esigenze costitutive della sua natura, un sommovimento pieno di ragionevolezza, in quanto realizza una corrispondenza alle esigenze della vita secondo la totalità delle sue dimensioni – dalla nascita alla morte.

Paradossalmente, l’originalità del proprio io emerge quando ci si accorge di avere in sé qualcosa che è in tutti gli uomini.

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- Quindi si tratta di una esperienza da fare. Ha detto il grande biblista Ignace de la Potterie: “La fede cristiana è un cammino dello sguardo” .

 

Senza l’impegno esperienziale non si può capire cos’è il cammino dello sguardo. La cosa più difficile da accettare è che ciò che ci risveglia a noi stessi, ciò che ci risveglia alla verità della nostra vita, al nostro destino, alla speranza, alla moralità sia un avvenimento.

Perché la parola avvenimento, di cui l’incontro è la forma, indica una “coincidenza” fra il reale sperimentabile e il soprannaturale.

Il più grande fatto non è l’esistere ma l’incontro: quel frangente unico da cui tutta una storia dipende, un momento nel tempo, in cui un essere dice “Io sono Tu che mi fai”.

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- La nostra responsabilità è rendere possibile l’incontro con Cristo presente nella nostra testimonianza.

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Occorre dunque immedesimarsi bene con il valore dell’affermazione che il cristianesimo “è” un avvenimento, non “fu” un avvenimento; non “è stato” un avvenimento ma “è”; adesso.

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E’ una presenza paterna che genera un Incontro, cioè l’ impatto con un Avvenimento che ti comunica una vita, perché la vera paternità e quando si comunica una proposta per la vita. E’ una paternità e perciò incontro se è proposta di una risposta a quello che l’altro è.

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- L’incontro si dilata in una compagnia: l’incontro genera una compagnia come certezza affettiva, una famiglia, un luogo in cui ci sia una speranza per la vita. Questa certezza affettiva per i giovani sta negli adulti.

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Come ha affermato il Papa due anni fa: “L’incontro con certe persone genera affinità e quest’affinità genera una compagnia, una comunione, un movimento. Vivere questa comunione è partecipare al Mistero dello Spirito”.

Dall’incontro con queste persone noi ci sentiamo sollecitati ed attratti, e ad esse spinti ad unirci.

L’incontro permane dunque come compagnia. Essa è il luogo dell’umano, è il luogo geografico e sociale in cui siamo richiamati a Ciò cui ci ha ridestato l’incontro: Cristo, il destino fatto uomo.

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La compagnia è il luogo di un’amicizia che nasce dal presentimento del destino e sostiene nel cammino del destino che è Cristo. Questa amicizia è aiuto nell’itinerario che porta alla realizzazione di sé e non alienazione di sé.

Questo è quello che noi dobbiamo provocare, altrimenti è inutile: facciamo solo riunioni. E’ l’esperienza di un Qualcosa che portiamo dentro, cui apparteniamo così profondamente che investe la vita con proposte, che già come parole, come organizzazione del tempo, come iniziative che si prendono e soprattutto come rapporti che si stabiliscono, così che l’altro si può accorgere che non ha mai trovato cose in cui l’umanità è più umana.

Vale a dire, lì si sperimenta, in senso analogico il miracolo.

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Pressappoco quello che avveniva con Gesù quando Egli faceva i miracoli. Lui non è venuto per fare i miracoli, ma ha fatto miracoli per far capire ciò per cui era venuto e chi era Lui, così il nostro scopo è di vivere questa Presenza per diventare la Presenza che prenda tutti gli uomini.

Il metodo è un incontro esistenziale come ha detto Giovanni Paolo I “il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole

 

L’AMBIENTE

 

Una presenza non può che essere nell’ambiente.

Così lo descriveva don Giussani già all’inizio di Comunione e Liberazione ne’ “Il cammino al vero è un’esperienza” ed SEI:

- “Il nostro richiamo non può andare direttamente alla coscienza: per giungere all’io genuino deve perforare una mentalità che ne è come l’involucro. Tale soprastruttura è costruita in gran parte dall’esasperazione dell’influenza ambientale odierna attraverso i modernissimi mezzi di invasione della persona: propaganda, scuola, televisione ecc.

- Pretendere di resistere o neutralizzare questa influenza è vana cosa se non si riesce a raggiungere la persona proprio là dove essa è più influenzata, cioè nel suo ambiente.

- Tale “ambiente” non coincide evidentemente con un “luogo” nel senso materiale della parola: assai più che un luogo è un ambito, cioè tutto un modo di vivere, una trama di condizioni dell’esistenza.

- Pure nella società attuale tale ambito di vita ha il suo fulcro proprio in un luogo materiale, fisico, che diventa come il punto di riferimento o il crocevia obbligato di tutto quell’insorgere di rapporti e il conseguente prorompere di idee e di sentimenti. I luoghi di riferimento sono la scuola e, secondo proporzioni diverse, il lavoro.

- La capacità educativa è in crisi, quando non crea ambiente e non passa attraverso il confronto con l’ambiente. Non è una capacità educativa quella di far discorsi e di organizzare, ma è il confronto con l’ambiente, cioè la trama di problemi umani che la convivenza pone, come riflesso della società.

- l’impegno con l’ambiente, cioè l’incontro , è generatore di cultura, cioè fa giudicare la realtà alla luce della fede, di un orizzonte totale che avvalora il particolare e manifesta la menzogna della pretesa totalizzante dell’ideologia.

- Come diceva il Papa al congresso del MEIC nel 1982 “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.

- e fa crescere la convinzione attraverso la verifica, cioè accorgersi della corrispondenza fra la proposta di Cristo e le esigenze della persona.

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Perché che Dio sia Dio si manifesta come capacità di rispondere all’uomo più che come spiegazione della dottrina.

E’ il centuplo quaggiù, che non è quello che inventa l’uomo ma è la vita vissuta con la coscienza della grande Presenza come fu per Pietro: “Signore, dove andremo, solo tu hai parole che spiegano la vita”.

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DA DOVE PARTIRE

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- Un cristiano, uno che vive i problemi di tutti, che soffre dell’ingiustizia di tutti, che è implicato nelle contraddizioni di tutta la società e che sperimenta in questa esperienza una corrispondenza alla sua umanità, chiedersi che cosa può fare per il mondo?

- Può fare qualcosa di diverso che vivere e rendere presente ciò che ha incontrato ?

Il cristianesimo autentico è l’annuncio dell’Incarnazione: il mistero e l’infinito si incontra in una realtà spazio-temporale precisa: la persona.

Per poter cominciare non servono altri elementi: non serve un’analisi già compiuta, non serve raggiungere una determinata forza e capacità, non serve essere sicuri che si verrà ascoltati e che l’intrapresa andrà a buon fine.

Allora la prima condizione è che questa coscienza dell’avvenimento deve produrre un cambiamento di noi: devono accorgersi i compagni di scuola, la gente che incontriamo, gli amici e i colleghi, cioè che anche noi siamo personalmente coinvolti in questo cammino di realizzazione di sé: educa chi si lascia educare.

Se non si parte da qui il resto rotola nel nulla: può aver qualche momento di efficacia se c’è una personalità umanamente affascinante e attivamente costruttiva, ma passata lei, passato l’inganno.

- I giovani hanno bisogno di uomini che abbiano la statura delle loro esigenze umane sapendo dare ragione della fede che è in loro.

Ci sono due sintomi che ci segnalano se siamo con loro in questa posizione:

- che i ragazzi stessi diventino partecipi di questa esperienza, cioè missionari.

Una volta che si scopre per sé come l’intensità della vita cristiana coincide con l’intensità della passione per sé stessi, in quanto esseri che camminano verso il proprio destino, una volta scoperto questo sé, ci si accorge che questa coincidenza vale per qualunque persona che si incontri, fosse anche per il proprio nemico e non si può non comunicarla.

- che noi impariamo da loro.

Perché il rapporto educativo è una reciprocità: non fare per, MA FARE CON, così che l’adulto è chiamato a verificare lui quello che propone all’altro.

La scoperta più grande che ho fatto e faccio tutti i giorni è che insegnando si cresce, ci si accorge di imparare anzitutto noi e si vorrebbe che quello che si impara diventasse trasparente e persuasivo anche per coloro che sono con noi.

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Come diceva Pier Paolo Pasolini “Se qualcuno ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare” (da Gennariello in Lettere Luterane).

 

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