08 – PADRE NOSTRO – LA SOLIDARIETA’ – Luca Beato o.h.

VIII

LA SOLIDARIETA’

( Dacci oggi il nostro pane quotidiano )

 

Gesù non ha simpatizzato con i detentori del potere politico, economico e religioso. Spesso lo troviamo in polemica con i Sadducei, i principi del popolo, i dottori della Legge e i Farisei. Ignora il monachesimo degli Esseni e di Qumran e non predica ascetismo di sorta. Vive una vita normale e ama anche stare a tavola. Non ha alimentato alcun movimento di rivolta contro i Romani, ma è venuto a portare nel mondo la rivoluzione dell’amore. Ha preso le difese degli svantaggiati: la gente semplice e ignorante, i poveri, i bambini, le donne, i malati e i peccatori, con grande scandalo dei devoti e degli osservanti della Legge.

 

Dalla parte degli svantaggiati

 

Gesù ha inteso realizzare la sua Missione tra il popolo come uno straordinario giubileo, un anno di grazia del Signore a favore dei più sfortunati: liberazione degli schiavi, restituzione delle terre ai proprietari d’origine, condono dei debiti, guarigione dei malati ( Discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret: Lc 4,16 ss. Cfr. Is 61,1-2: la missione del Servo di Dio ).

Gesù rivolge la sua parola e la sua azione ai deboli, ai malati, ai negletti. Gesù così facendo offre una possibilità di essere uomo a chi la società riteneva ignobile e spregevole. Egli rompe il muro della loro emarginazione e apre il loro cuore alla speranza. Egli si rivolge all’uomo intero; si occupa non solo della sua spiritualità, ma anche della sua corporeità. Si mette a disposizione di tutti gli uomini: non solo dei forti, dei giovani, dei sani, ma anche dei deboli, degli anziani, dei malati, degli invalidi.

Nei Vangeli non si parla di orfani, di vedove, di ospiti da trattare con riguardo, come invece facevano i profeti. Certamente perché le comunità ebraiche erano già sensibili a questi problemi. Gesù affronta i problemi del suo tempo: i poveri, il popolo ignorante, le donne, i bambini, i malati e i peccatori. Per fare questo, Egli ha dovuto superare tutta una serie di pregiudizi derivanti dalla Legge ebraica: ha dovuto fare una vera rivoluzione.

Il popolo ignorante, quindi inosservante della Legge nelle sue minuziose prescrizioni sulle purità legali, sui cibi puri e impuri, sulla separazione dai peccatori, ecc. veniva considerato sotto la continua maledizione di Dio.

Le donne erano considerate quasi sempre impure a causa delle perdite vaginali di sangue, per le mestruazioni, per il parto, ecc.

I malati erano considerati dei maledetti da Dio per i loro peccati, o personali o dei loro antenati, specialmente infrazioni di tabù. Nei casi di epilessia si vedeva proprio il diavolo che si era impossessato del malato.

I peccatori pubblici erano segnati a dito come maledetti da Dio. Incontrandoli, non solo non si dovevano salutare, ma bisognava lanciare contro di loro una serie di scongiuri per evitare il pericolo di contrarre la loro maledizione. Chi infatti entra in contatto con una persona impura contrae la sua impurità, partecipa della maledizione divina che grava su di lei.

Il Sacerdote e il Levita, nella parabola del buon samaritano ( Lc 10, 31-32 ) non soccorrono il ferito perché temono di toccare il sangue e quindi di cadere sotto la maledizione di Dio. Il centurione si dichiara indegno di ricevere Gesù nella sua casa ( Lc 7,6-8 ) perché rispetta le credenze religiose degli ebrei, che non devono entrare in contatto con i pagani. La samaritana al pozzo si meraviglia che Gesù chieda di bere al suo recipiente ( Gv 4,9 ). L’emorroissa, quando viene guarita, chiede scusa a Gesù di averlo toccato ( Lc 8,47 ). Nessun fariseo sarebbe mai andato a cena in casa di un pubblicano o di un peccatore pubblico ( Mt 9,11; Lc 19,7 ). E quando per Legge si doveva ammazzare qualcuno, lo si faceva con la lapidazione, cioè con il lancio di sassi per non toccare il condannato ( Gv 8, 5 ss ).

Gesù invece conduce la sua vita in mezzo al popolo, non ha paura di essere toccato da gente impura, si lascia circondare dai bambini, ha un seguito di donne quando va in giro a predicare, tocca i malati e perfino i lebbrosi, va a cena in casa di pubblicani e peccatori, si lascia toccare anche dalle prostitute. Non ha paura di diventare impuro e di cadere sotto la maledizione di Dio. Come annunciatore e iniziatore del Regno di Dio, Egli è portatore della grande benedizione del Padre che si traduce in forza liberatrice dell’uomo da tutte le forme di oppressione che gravano su di lui.

Gesù e i poveri

 

Gesù ha dichiarato di essere venuto ad annunciare la lieta novella ai poveri. Ad essi la sua prima parola di incoraggiamento, di consolazione, di salvezza, la sua prima beatitudine. Ma, chi sono i poveri? A chi si rivolge la prima beatitudine? Per S. Matteo i poveri in spirito sono i poveri in senso religioso, sono i poveri di YHWH, cioè gli umili, che confidano unicamente in Dio. Ma per san Luca ( Lc 6,20 ss ) si tratta dei poveri in senso sociale, della gente veramente povera. Dato che il testo di Luca è più antico, è probabile che così abbia inteso parlare anche Gesù.

Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati… ( Lc 6,20-21 ).

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame… ( Lc 6, 24-25 ).

Ma qual era la condizione sociale di Gesù?

Gesù era povero. La stalla, il figlio del falegname, il patibolo sono cose vere, non fantasie. Non era schiavo, non era lavoratore dipendente. Era artigiano, quindi un piccolo borghese. Durante la vita pubblica, il suo peregrinare da un luogo all’altro era informato alla massima frugalità.

Gesù si è circondato di gente semplice: gli apostoli erano per lo più pescatori, comunque gente non colta, salvo, forse, Giuda.

Gesù si schierò dalla parte dei poveri, degli afflitti, degli affamati, degli uomini senza successo, senza potere e senza significato. Il “guai” ai ricchi, che fanno del denaro un idolo e ne diventano schiavi, è da prendersi sul serio. La ricchezza è un grave ostacolo all’ingresso nel Regno dei cieli. Gesù però non predica lo spossessamento dei ricchi, nè parla di vendetta contro gli sfruttatori e gli oppressori, ma di pace e di rinuncia al potere. Non esige, come i monaci di Qumran, la cessione di ogni sostanza alla Comunità. Chi rinuncia alle proprie sostanze, deve farlo per distribuirle ai poveri, non per riunirle in una proprietà collettiva. Ma non chiede a tutti la rinuncia totale. Pietro, Levi, Marta e Maria hanno cose di loro proprietà. C’è chi dà tutto e chi dà metà dei suoi beni ai poveri ( Zaccheo ). Certo, chi segue Gesù lascia tutto, ma non vive di aria. Le persone che seguono Gesù ( Lc 8,1-3; Mc 15,44 ) specialmente le donne, provvedono con i propri mezzi al gruppo apostolico. San Luca idealizza un po’ la Chiesa primitiva, esasperando in senso rigoristico certe frasi di Gesù. In realtà neppure la comunità primitiva conosceva una generale rinuncia ai beni materiali.

Gesù non esalta la povertà, non la trasfigura; non somministra oppio alla gente. Povertà, sofferenza, malattia, fame significano miseria, infelicità, non beatitudine. Sono qualcosa di male per l’uomo. Ai poveri, ai sofferenti, agli affamati Egli dice: “Beati voi, felici voi”. Ciò significa che Dio, instaurando il suo Regno, si ricorda di loro per tirarli fuori dalla situazione di sofferenza in cui si trovano. La Beatitudine è una promessa di Dio che genera gioia subito in chi la ascolta e la fa fiduciosamente propria. Già irrompe nella vita di costui il futuro di Dio, portando con sè subito consolazione. Infatti, la presa di coscienza che Dio gli sta innanzi, lo precede, comunica al credente una forza trasformante, anche nelle situazioni più difficili.

Allora la povertà, da situazione sociale, diventa una “povertà in spirito”, come dice Matteo: un atteggiamento fondamentale di vita sobria, senza pretese, vissuta con fiducia e serenità; una libertà interiore dai beni materiali, che viene richiesta a tutti i credenti in Cristo.

C’è quindi una povertà da combattere e da eliminare, ed è propriamente parlando la miseria, la condizione sociale in cui l’uomo manca del necessario, di quello che serve gli per soddisfare le esigenze primarie della vita: mangiare, bere, vestire, avere un ricovero per la notte, ecc. ( La beatitudine di San Luca ). Per noi oggi anche aver accesso alle cure per la salute e alla istruzione almeno elementare, ecc.

C’è una povertà da abbracciare come stile di vita dei cristiani: una vita sobria, lontana dall’ingordigia, dal voler raggiungere quelli che stanno meglio di noi, che seguono la moda, il consumismo, lo status simbol: vesti firmate, pellicce di lusso, auto fuori serie, case ai monti e al mare, ecc… quelli che non sono mai contenti, che si lagnano sempre, che non hanno mai abbastanza, che credono di valere molto perché possiedono molto, ecc… una vita, quindi, caratterizzata dalla fiducia in Dio, Padre

buono e provvidente, che se provvede a sfamare gli uccelli del cielo, non farà certo mancare del necessario i suoi figli ( Lc 12,22-31 ). Tutto questo non per favorire la passività e l’inattività, ma per mettere un freno al nostro desiderio insaziabile di possedere e credere di valere nella misura in cui si possiede, mentre di fronte a Dio e agli uomini noi contiamo per quello che siamo ( La povertà in spirito, di Matteo ).

Ma anche la povertà da abbracciare come stile di vita, ha lo scopo di combattere la miseria della povera gente. Io rinuncio a qualcosa non perché sia cattiva in se stessa o mi faccia del male, ma perché c’è qualcuno che si trova in necessità e non posso chiudere il cuore di fronte al suo grido disperato. Il pensiero di Gesù è semplicemente questo: sia i ricchi epuloni che i poveri Lazzari devono sparire dalla faccia della terra.

Chi erano i ricchi al tempo di Gesù?

In un’epoca in cui predomina l’agricoltura e la pastorizia, la ricchezza viene dalla terra. I ricchi sono i grandi proprietari terrieri. In Palestina i grandi possedimenti erano in mano principalmente ai Sadducei, dal cui gruppo veniva fuori sempre il Sommo Sacerdote. Questi padroni avevano sotto di sé una grande quantità di schiavi e un certo numero di operai pagati a giornata. Il tempio di Gerusalemme, oltre che centro religioso, era anche il centro economico e finanziario. I pellegrini dovevano cambiare i soldi per le offerte e comprare gli animali per i sacrifici. Così i poveri andavano ad aumentare la ricchezza di quelli che erano già ricchi sfondati e a monte erano i loro sfruttatori. E’ questo in ultima analisi il motivo per cui Gesù caccia, indignato, i venditori dal tempio ( Mc 11,15-19 ). Per Gesù, infatti, non si può essere religiosi, zelanti del culto del Tempio ed essere contemporaneamente degli oppressori, degli affamatori della povera gente o inumani e crudeli verso chi ha bisogno di soccorso, come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano ( Lc 10.31-32 ).

Tutti i beni di questo mondo, in sé, sono buoni. Essi sono opera di Dio e sono per il bene dell’uomo. La ricchezza di cui si parla nel Vangelo è la concentrazione dei beni questo mondo nelle mani di pochi. Allora essa diventa cattiva per due ragioni.

Primo, perché rende l’uomo superbo al punto che pensa di non aver più bisogno di Dio ( Lc.12,15-21 ).

Secondo perché questo accumulo di beni viene fatto a scapito di tanta gente che si trova così priva del necessario per vivere. Il caso più emblematico è la storia-parabola del ricco epulone e il povero Lazzaro ( Lc 22, 19-31 ).

Per questo Gesù dice che è impossibile che un ricco entri nel regno dei cieli ( Mc 10,23-27 ). O meglio, è possibile solo se Dio gli cambia il cuore, lo converte, così che serva Dio e non Mammona ( Lc 16,13 ), o venda i suoi averi e li dia ai poveri per poi seguire Gesù ( Mc 10,17-22 ).

Gli Atti degli Apostoli testimoniano la solidarietà a livello della prima Comunità cristiana di Gerusalemme. I cristiani, forse non tutti, ma sicuramente alcuni, come per es. Barnaba ( At 4,36-37 ), vendono le loro proprietà e ne consegnano il ricavato agli

Apostoli, non per scopo di tipo ascetico e nemmeno per farne una proprietà

collettiva, ma perchè nella comunità scompaia l’indigenza ( At 2,45 ). Con l’istituzione dei diaconi la comunità cristiana, sull’esempio di quella ebraica, provvede agli orfani e alle vedove ( At 6,1 ss ).

Ma la più antica testimonianza di solidarietà economica nel Nuovo Testamento ce la offre S. Paolo. Nelle Chiese da lui fondate in Asia minore e in Grecia egli organizza una grande Colletta a favore della Chiesa di Gerusalemme, che si trova in grandi ristrettezze economiche ( 1 Cor 16,1-4 ).

San Paolo è il principale assertore della Comunità cristiana come Corpo di Cristo. I cristiani sono membra di questo Corpo, di cui Cristo è il Capo, e si devono aiutare gli uni gli altri. I carismi di ciascuno devono essere messi al servizio di tutti ( 1 Cor 12,12 ss ). L’Eucaristia per essere autentica deve essere celebrata nel contesto di una cena di solidarietà dei ricchi verso i poveri, perché per mangiare degnamente il Corpo del Signore e bere degnamente al suo calice, bisogna riconoscere il Corpo del Signore, costituito dalle membra della comunità ( 1 Cor 11, 20-29 ). Nel giudizio finale Cristo premierà i buoni perché ritiene fatte a sé le opere di misericordia da loro compiute verso i poveri e bisognosi ( Mt 25,31 ss ).

La solidarietà dei ricchi verso i poveri si inserisce, quindi, nel quadro della comunione fraterna in Cristo e della solidarietà verso i più deboli e bisognosi di aiuto: i sani devono aiutare i malati, i sapienti devono consigliare gli ignoranti, ecc. Ma è il bisogno altrui, non il mio progetto, che deve guidare la mia azione. Per cui devo farmi prossimo di chi è nel bisogno e fare tutto quello che è possibile da parte mia. E non soltanto verso i miei parenti o i membri del mio popolo, come sostenevano gli Ebrei ( questo è settarismo ), ma verso chiunque ha bisogno di me, anche un nemico, come viene indicato molto bene nella parabola del buon samaritano ( Lc 10,30 ss ).

Se nel “Padre nostro” si parla del pane quotidiano, si vuole indicare la cosa più importante nell’ordine delle cose materiali, da cui dipende la salute e la vita stessa, ma non si vuole certo escludere tutto il resto di cui l’uomo ha pure bisogno per vivere.

 

D’altra parte l’invocazione a Dio perché assicuri il pane quotidiano a tutti gli uomini, implica l’impegno dei credenti a fare tutto quello che è possibile perché questo scopo si realizzi. Altrimenti sarebbe una tentazione di Dio. Del resto Gesù, quando compie il miracolo della moltiplicazione dei pani ( Mc 6,35 ss ), prima di compiere il miracolo dice ai discepoli: “Voi stessi date loro da mangiare” e poi si fa dare tutto quello che hanno, cinque pani e due pesci e, solo dopo di ciò, fa il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

 

La tradizione cristiana più genuina, per tutti i secoli passati, ha realizzato quello che sinteticamente ha indicato san Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Infatti colui che ha detto “questo è il mio corpo” è il medesimo che ha detto “voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito”…“A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando Lui muore di fame?”.

 

I cristiani hanno sempre praticato l’elemosina e tanti Santi hanno creato gli orfanotrofi, i ricoveri per vecchi, gli alloggi per i pellegrini, gli ospedali, ecc. Ricordiamo almeno San Basilio, San Benedetto, San Bernardo, Santa Caterina da Siena, Santa Caterina da Genova, San Giovanni di Dio, San Camillo, San Vincenzo de’ Paoli, ecc. Molti di loro hanno dato vita anche a un Istituto religioso che assicura nel tempo la prosecuzione dell’attività caritativa da loro iniziata.

 

Nella riforma della Liturgia della Santa Messa è stata valorizzata la Colletta, la raccolta di offerte, intesa come gesto simbolico della solidarietà che i cristiani devono

praticare nel quotidiano verso i membri più deboli e più poveri della comunità cristiana, della società civile e di tutta la famiglia umana.

A partire dalla rivoluzione Francese ( 1789 ) il mondo cambia radicalmente. La società feudale, organizzata in modo piramidale, con l’autorità che piove dall’alto e governa con le monarchie assolute o le Dittature, cede il posto, pian piano, alla Democrazia. La rivoluzione industriale toglie all’agricoltura il monopolio della produzione della ricchezza, fino quasi ad azzerarne l’importanza. Ma il mondo del lavoro presenta una nuova forma di schiavitù che è il proletariato sfruttato dal capitalismo. La reazione più forte al capitalismo è il comunismo di Marx ed Engels, autori del famoso manifesto: “Lavoratori unitevi”, comunismo realizzato poi nell’ U.R.S.S. con il socialismo reale dal 1917 al 1989.

 

Per quanto riguarda la difesa dei diritti degli operai cattolici e comunisti si trovano d’accordo e danno vita alle leghe bianche i primi e ai sindacati rossi i secondi. Ma per quanto riguarda la proprietà privata c’era tra i due estrema opposizione. I Comunisti la volevano abolire per creare l’uguaglianza sociale, i cattolici invece la difendevano come elemento basilare di autonomia e libertà per l’uomo singolo e per la sua famiglia. L’Enciclica “Rerum novarum ” del Papa Leone XIII ( 1891 ) si colloca in questo contesto storico.

 

Il Concilio Vaticano II ( 1961-64 ) e più recentemente l’Enciclica “ Centesimus annus” di Papa Giovanni Paolo II ( 1991 ), dopo la caduta del muro di Berlino, affrontano più serenamente il problema della proprietà privata, dando pienamente rilievo alla destinazione universale dei beni di questo mondo, cosa che prima veniva trascurata e vista come una concessione al Comunismo. Quattro sono i principi che vengono affermati.

 

1 – Destinazione universale dei beni della terra. “ Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare alcuno” ( 31 ).

 

2 – La proprietà privata. “ E’ mediante il lavoro che l’uomo, usando la sua intelligenza e la sua libertà, riesce a dominare la terra e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro”.

 

3 – La funzione sociale del lavoro. “ Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno” ( 31 ).

 

4 – La solidarietà. Essa è affermata sia a livello delle singole nazioni che a livello dei rapporti internazionali. “E’ stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano”… “Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le sono proprie ( = il libero mercato), esiste un qualcosa che è dovuto all’ uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità” ( 34 ).

 

All’inizio del terzo millennio ci troviamo ad affrontare la bomba demografica: siamo 6 miliardi di uomini sulla faccia della terra. Come sfamare tutte queste bocche? Gli affamati sulla terra crescono a vista d’occhio. Le prospettive per il futuro sono terribili. E’ possibile risolvere questo grave problema?

 

Teoricamente parlando, la terra ha possibilità di produrre, con le tecniche attuali, cibo sufficiente per il doppio dell’attuale popolazione.

I beni di questo mondo, però, sono spartiti male :

 

  • Il 18 % della popolazione ( Nord ) si è accaparrata l’ 82 % dei beni della terra.
  • L’ 82 % della popolazione ( Sud ) ha a disposizione soltanto il 18 % dei beni terreni.
  • Ci sono 800 milioni di persone affamate o denutrite che lottano ogni giorno per la sopravvivenza” ( Giovanni Paolo II, anno 1997).

 

( Dopo il fallimento del piano quinquennale della FAO, a Maggio del 2002, la gente che rischia di morire di fame è di 1.200.000.000. I più esposti a questo rischio sono i bambini )

 

Subito dopo il Concilio Vaticano II, i vescovi dell’America Latina riuniti a Puebla hanno deciso di prendere le difese dei poveri. La decisione di questo Sinodo è stata poi estesa alla Chiesa universale.

 

Senza interventi correttivi a livello mondiale, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri. Il mercato mondiale penalizza le materie prime del terzo mondo nei confronti dei prodotti fini dei paesi industrializzati.

 

La conseguenza immediata di questa sperequazione mondiale è stato il fenomeno delle migrazioni di massa dai paesi poveri a quelli ricchi. E siamo solo agli inizi. Soltanto degli interventi massicci dei paesi ricchi per lo sviluppo dei paesi poveri del terzo mondo può risolvere a fondo questo problema. Nel frattempo noi non possiamo limitarci a deplorare questo stato di cose, ma dobbiamo fare tutto il possibile come individui e come comunità cristiane, per salvare il maggior numero possibile di persone dalla morte di fame, con particolare riguardo ai bambini che sono maggiormente esposti a questo rischio: ne muoiono ogni giorno ben 40.000, una città grande come Bassano del Grappa. Se ce ne stiamo inerti cadiamo nel peccato di omissione, che i Padri Conciliari del Concilio Vaticano II hanno rimproverato al popolo di Dio di fede cattolica, per cui l’hanno introdotto nel Confiteor della S.Messa.

Attualmente si sta facendo parecchio mediante gli Istituti missionari, le Associazioni benefiche e gli organismi non governativi, che usufruiscono anche dei Fondi dell’8 per mille, ma occorre una azione collettiva dei Cattolici per la solidarietà internazionale, per cambiare le regole del mercato, per favorire l’acquisto diretto delle merci che vengono dai paesi poveri e per le Banche benefiche.

 

 

Povertà evangelica

 

Per quanto riguarda il modo di vivere la povertà nel nostri Istituto Religioso c’è stato un grande cambiamento. Prima non si aveva mai un soldo mi tasca, bisognava dipendere dal superiore anche nelle minime cose. Tutto questo settore stava sotto l’obbedienza. Ora invece c’è uno spazio di autonomia in cui siamo chiamati a usare la nostra responsabilità personale.

Il punto di riferimento resta Cristo. Però ora lo conosciamo meglio di una volta. C’è una povertà da combattere: la grotta di Betlemme e la nudità della croce sono delitti della cattiveria umana. Ma c’è una povertà da imitare: Cristo che si guadagna il pane con il lavoro a Nazaret.

 

Cristo non è un grande proprietario terriero, che vive di rendita, con salariati e schiavi sotto di sè. Per questa gente ci sono i guai a voi, o ricchi!

Ma Egli non è neppure uno schiavo, né un lavoratore dipendente. Cristo è un lavoratore autonomo: vive in uno stato medio, che gli permette di dedicarsi alla predicazione durante la bella stagione. Nella predicazione itinerante non disdegna il sostegno economico delle donne che lo seguono.

 

Inoltre c’è da dire qualcosa circa lo scopo della povertà religiosa. Esso risulta chiaro negli Atti degli Apostoli: perché nella Comunità cristiana non ci sia nessun indigente ( At 4,34 ). Inoltre l’Eucaristia, secondo la narrazione di Paolo, viene celebrata nel contesto di una cena di solidarietà dei ricchi verso i poveri ( 1 Cor 11, 17-34). La povertà cristiana non è dettata da motivi ascetici, ma dall’esigenza dì essere solidali con i poveri. Chi ha dei beni deve darli ai poveri. La povertà dei singoli religiosi non è per la ricchezza del Convento, ma per la condivisione dei beni con i poveri.

 

Gesù e gli ignoranti

 

Tanti uomini e donne, umili e ignoranti non possono o non vogliono osservare la Legge. In genere non si tratta di cattiva volontà, ma dipende dal fatto che non conoscono la Legge o non ne capiscono il valore come gli specialisti. Le autorità religiose li considerano peccatori, degni dei castighi di Dio. Gesù invece loda le persone semplici e ignoranti perché le trova aperte nei confronti dell’annuncio del Regno di Dio. E le contrappone ai dotti e ai sapienti che con tutte le loro sottigliezze giuridiche restano impermeabili alla sua parola di salvezza.

 

Gesù e le donne

 

Al tempo di Gesù le donne non contavano nulla. Nelle Sinagoghe erano separate dagli uomini. Al tempio non si potevano avvicinare quanto gli uomini. Non potevano neanche leggere la Sacra Scrittura, ma ascoltarne la lettura dal marito. In pubblico non potevano neppure parlare con i maschi. Non avevano i medesimi diritti degli uomini in fatto di divorzio, in caso di adulterio, ecc. Presso gli Ebrei vigeva un maschilismo più forte che presso i Romani, che la Religione con le leggi sulle purità legali aveva fortemente accentuato. Gesù invece si circonda di donne con sorprendente naturalezza: durante le peregrinazioni apostoliche, alcune donne provvedono a Gesù e agli apostoli ( Lc 10, 38-42 ); sul calvario ci sono delle donne ( Mc 15,40 ; Mt 27, 55-56; Lc 23,49 e 24,10 ). Gesù difende la donna dal sopruso del marito circa il divorzio ( Lc 16,18) e salva l’adultera dalla condanna a morte ( Gv 8,1-11 ).

 

Gesù e i bambini

 

I bambini non avevano diritti. Dovevano stare in casa con le donne. Gesù invece “si indigna” con i discepoli che li volevano allontanare da lui, li accarezza e li benedice ( Mc 10,13-16 ). Li propone ai discepoli come modello di fiducia in Dio per la prontezza che essi hanno ad accettare doni dagli adulti con naturalezza, senza sospetto di calcoli e secondi fini ( Mc 10,15 ).

 

Gesù e i malati

 

La mentalità del tempo, come abbiamo già detto, vedeva la causa delle malattie nei peccati commessi. I malati, perciò, si pensava, erano responsabili delle loro disgrazie. Gesù sconfessa questa mentalità ( Cfr Gv 9, l-3 ) e quindi anche ogni forma di ostracismo sociale.

 

Per la storicità basti dire che Gesù operatore di miracoli è attestato dalla più antica tradizione cristiana al pari di Gesù predicatore. Per non accettarlo bisognerebbe eliminare una buona metà del Vangelo di Marco. Fatte alcune riserve: possibilità che qualche miracolo sia stato inventato, secondo le usanze di quei tempi in campo religioso; che qualche altro sia stato ingrandito ( es: moltiplicazione dei pani: da una a due; da 4.000 a 5.000 persone; da un cieco a due ciechi; da un demonio a una legione di demoni, ecc.); dobbiamo però anche dire che da nulla non nasce nulla e quindi se a Gesù viene attribuita una grande attività taumaturgica a favore dei malati, essa deve avere un fondamento storico.

 

Inoltre, l’accusa di scacciare i demoni in nome di Beelzebul ( magia ), l’accusa di guarire in giorno di Sabato e la guarigione della suocera di Pietro ( data la stima del celibato immediatamente successiva nella Chiesa ) sono elementi a favore della storicità dei fatti, in quanto elementi sgradevoli e sicuramente non inventati.

 

Certamente devono essersi verificate delle guarigioni di malati di vario genere, sorprendenti per la gente di quel tempo. In particolare devono aver avuto luogo delle guarigioni di indemoniati. Sovente la malattia era messa in relazione con il peccato e questo, a sua volta, con i demoni. Questo discorso vale soprattutto per l’epilessia, la quale veniva attribuita a un demone che possedeva il malato. La guarigione veniva considerata una vittoria su questo demone. Del resto, la concezione che le malattie fossero causate da spiriti maligni era diffusa in tutto il mondo antico e non solo presso gli Ebrei. Per Gesù l’avvento del Regno di Dio rappresenta la sconfitta di Satana, che cade dal cielo come fulmine ( Lc 10,18 ).

 

Miracoli come “segni”

 

Le guarigioni e gli esorcismi non sono fine a se stessi, ma sono al servizio dell’annuncio del Regno di Dio. Illustrano e confermano la parola di Gesù. Un paralitico viene guarito proprio per convalidare la legittimità del perdono dei peccati pronunciata da Gesù ( Lc 5,17-26 ). Hanno la funzione di segno: il Regno di Dio, attraverso l’azione di Gesù, comincia a realizzarsi.

 

Gesù si rivolge con simpatia e compassione a coloro ai quali non si rivolgeva nessuno: ai deboli, ai malati, ai negletti, agli emarginati. E’ questa la novità sconvolgente! Tutti fuggono dai lebbrosi e dagli ossessi, Gesù invece li avvicina e li tocca. Gesù non conosce il culto della salute, della giovinezza e della capacità, come fanno tutte le altre Religioni, come fanno gli Ebrei e come fa Qumran, la quale diceva apertamente: “Folli, dementi, balordi, alienati, ciechi, paralitici, zoppi, sordi, minorati, di costoro nessuno va accolto nella comunità, perchè angeli santi sono al suo interno”. La descrizione del Regno dei cieli fatta da Gesù ai discepoli del Battista suona in maniera completamente opposta: “I ciechi vedono e gli zoppi camminano, i lebbrosi guariscono e i sordi odono, i morti vengono risuscitati e i poveri ricevono la lieta novella” ( Mt 11,14). La Missione dei Dodici ( Lc 9,1-8 ), la missione dei settantadue ( Lc 10,1-20 ), la Missione definitiva dopo la risurrezione ( Mc 16,15-18 ) comportano sempre un duplice mandato: la predicazione del Regno di Dio e la guarigione dei malati.

 

Il messaggio del Regno di Dio mira all’uomo in tutte le sue dimensioni: non solo all’anima dell’uomo, ma all’uomo intero nella sua esistenza spirituale e fisica, nella concretezza del suo mondo pieno di sofferenza. Ed è un messaggio che vale per tutti gli uomini: non solo per i forti, i giovani, i sani, i capaci, che il mondo tanto volentieri esalta; ma anche per i deboli, i malati, i vecchi, gli incapaci, che il mondo tanto volentieri dimentica, ignora, trascura.

Gesù non si è limitato a parlare, è anche intervenuto nella sfera della malattia e dell’ingiustizia. Egli ha non solo il potere di predicare, ma anche il carisma di guarire.

 

Non è semplicemente annunciatore e consigliere. Egli è al tempo stesso risanatore e soccorritore. Per questo motivo la tradizione cristiana antica parla di Gesù come medico delle anime e dei corpi.

 

I moralmente inadempienti

 

Gesù non solo si è occupato dei poveri, dei malati, degli ossessi; non solo ha avuto attenzione per le donne, i bambini e la gente semplice; ma ha avuto anche contatti con persone moralmente inadempienti, palesemente irreligiose e immorali. Questo fu il vero e autentico motivo di scandalo.

 

A Gesù non solo fu applicato l’epiteto ingiurioso di mangione e beone, ma anche quello più pesante di amico dei pubblicani e peccatori. Gesù ha frequentato con assiduità provocatoria individui moralmente trasgressivi.

 

Il vangelo attesta espressamente dei casi di peccatori pubblici, citando anche i nomi: pubblicani ( Matteo e Zaccheo ), prostitute (Lc 7,36-50), adultere (Gv 7,53- 8,11). E le sentenze di Gesù che accompagnano quegli episodi sono rimaste famose: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”; “le sono perdonati i suoi molti peccati perchè ha molto amato”; “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

 

Il predicatore del Regno di Dio non ha recitato la parte del pio asceta che evita i banchetti e soprattutto determinate persone. Gesù, contro tutti i pregiudizi e le discriminazioni sociali, si oppose a che determinati gruppi o infelici minoranze venissero squalificati socialmente. Gesù non tentò di solidarizzare a tutti i costi. Non prese parte alla caotica attività di cerchie equivoche. Non si abbassò al loro livello, ma le innalzò al proprio.

 

Gesù inoltre non si limitò a discutere con loro, ma si sedette a tavola con loro. Essere seduti insieme a tavola non vuol dire soltanto gentilezza e affabilità, ma pace, fiducia, conciliazione, fraternità. Il capofamiglia ebreo spezza il pane all’inizio del pasto e recita una benedizione. Chi partecipa al pane partecipa alla benedizione di Dio. Gesù spartiva la mensa al cospetto di Dio con uomini peccatori. Così Egli intendeva offrire pace e riconciliazione anche ai moralmente inadempienti, che i pii ebrei invece emarginavano ( Cfr. Capitolo X ).

 

La salvezza

 

Per gli Ebrei la salvezza riguarda la vita presente: Dio assicura al popolo una terra dove possa vivere a lungo nella libertà, crescere, moltiplicarsi e godere i frutti della terra. Vale sempre il trinomio: Dio – popolo – terra. Solo tardivamente si fa strada l’idea della vita futura con Dio ( Libro dei Maccabei ).

 

Per Gesù il Regno di Dio ( progetto di salvezza ) riguarda la vita presente, ma in prospettiva escatologica: vita beata ed eterna con Dio, gli angeli e i santi. Riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Il centro dell’attenzione è la persona umana, nel suo aspetto fisico e spirituale. Essa è più importante della Legge e del Tempio. Se si trova nel bisogno occorre andare in suo soccorso.

 

Per la Chiesa Feudale ( Clericale, giuridica e verticista ) la salvezza riguarda solo l’anima e si realizza nella vita eterna. La vita presente è destinata alla sofferenza, il mondo presente è una “valle di lacrime” ( Salve Regina ), ecc. Bisogna offrire a Dio la propria sofferenza accettata con rassegnazione, in attesa del premio futuro.

 

Il Concilio ci ha fatto riscoprire il Gesù storico, uomo ricco di umanità, che porta un annuncio di salvezza che comincia a realizzarsi subito ( il già ), qui e adesso, ma che raggiungerà la sua pienezza nel futuro escatologico di Dio ( il non ancora ). La salvezza parziale che Egli dona ai malati con le guarigioni ( sanitas ) è un segno e un anticipo della salvezza piena ed eterna del Paradiso ( salus ).

 

Ospitalità secondo lo stile di S. Giovanni di Dio

 

La teologia del voto di ospitalità nasce dal fatto che Cristo non si è limitato a predicare l’avvento del Regno di Dio, ma ha svolto contemporaneamente un’assidua azione taumaturgica a favore dei malati. E le guarigioni dei malati rappresentano dei segni che il Regno di Dio si sta già realizzando con l’allontanamento delle forze del male che opprimono l’uomo.

 

In questo settore il problema del rinnovamento è molto vecchio, visto che già Pio XI diceva ai nostri Superiori: “Spirito antico, ma mezzi moderni”.

Le trasformazioni del mondo sanitario e ospedaliero sono semplicemente vertiginose e nessun superiore da solo può ragionevolmente pensare dì avere le ricette in tasca per risolvere tutti i problemi. I religiosi verranno sempre più coinvolti personalmente nelle scelte da farsi, anticipando magari le norme legislative. E in questo devono anche avvalersi dell’aiuto degli esperti del settore, che sono dei laici.

 

I nostri ospedali devono essere all’avanguardia sotto l’aspetto tecnico-assistenziale. E già per fare questo ci vuole un impegno notevole di uomini e mezzi, perché i problemi si susseguono con ritmi forsennati e le risorse umane e i mezzi finanziari non sono sempre adeguati.

 

Ma il Concilio ha detto che lo scopo precipuo della presenza dei religiosi negli ospedali è l’annuncio del Regno dì Dio nel mondo della sanità. I religiosi, quindi, dovranno demandare ai laici tante prestazioni di tipo manuale c/o professionale e riservare le poche risorse umane disponibili all’azione dell’apostolato sanitario e ospedaliero. In questo settore poi si dovrà superare il sacramentalismo e mirare soprattutto a una nuova evangelizzazione.

 

I religiosi devono essere gli animatori della comunità ospedalira composta di religiosi, collaboratori laici dipendenti, volontari e malati. Non possono più demandare l’apostolato sanitario-ospedaliero unicamente al Cappellano.

Il progetto di collaborazione con i laici nel mondo sanitario-ospedaliero (insieme per servire ) non nasce dal fatto emergente della mancanza di vocazioni, ma dal concetto di Chiesa come popolo di Dio, sancito dal Concilio.

 

Avendo come punto di riferimento il popolo di Dio che lavora con noi a favore dei malati o ci aiuta dall’esterno, o simpatizza per noi, ecc. la nostra animazione spirituale deve rivolgersi a tutti questi settori, in vari modi: questo è il taglio spirituale con cui va affrontato il discorso dei gruppi o movimenti, cui partecipare il carisma dell’ospitalità secondo lo spirito di San Giovanni di Dio.

 

La CARTA D’IDENTITA’ dell’Ordine parla:

 

  • di ospitalità olistica, che riguarda la persona intesa come unità fisica e spirituale
  • della sanitas (guarigione dei malati) come obbiettivo primario che gli ospedali devono raggiungere usufruendo di tutti i mezzi che la scienza e la tecnica mettono a nostra disposizione
  • della umanizzazione degli ospedali perché si crei un ambiente sereno per tutti quelli che vi entrano
  • ma anche della salus ( salvezza eterna ) come obbiettivo dell’apostolato ospedaliero ( ultimo nell’esecuzione, ma primo nell’intenzione ).

 

Domande

 

1 – Vado dietro ai potenti, ai ricchi? Cerco la carriera ecclesiastica?

O anch’io, come Gesù, sono amico dei poveri, degli oppressi, dei malati, degli ignoranti, dei deboli, degli emarginati, degli ultimi, dei senza-speranza?

2 – Le idee di fondo che guidano il mio apostolato ospedaliero sono quelle della Chiesa medioevale: la salvezza dell’anima? O sono quelle di Gesù: approccio dell’uomo sofferente nella ricerca di fare tutto quello che è possibile per lui?

3 – Nel contatto con i malati mi presento come Gesù, uomo ricco di umanità? Ho la pazienza di ascoltare i loro lamenti? Mi interesso ai loro problemi? A quelli delle loro famiglie?

4 – Penso ancora che l’apostolato ospedaliero sia esclusivo dei preti, o mi adopero per creare una chiesa ospedaliera dove tutti gli operatori cristiani si sentano coinvolti ad operare attivamente a favore dei malati sul piano fisico e spirituale ( pastorale d’insieme )?

5 – Cosa penso della nuova evangelizzazione? Sono ancora un seguace di Giovanni Battista, che minaccia i castighi di Dio ( “razza di vipere”! )? O seguo Gesù che annuncia un tempo di grazia per tutti? Sono apportatore di speranza nel mondo della sofferenza?

6 – Nella celebrazione del Sacramento della Penitenza mi atteggio a giudice severo ( al posto del Padre eterno )? Oppure mi presento come ministro del perdono gratuito di Dio che riempie il cuore di gioia e trasforma i cuori?

7 – Cosa penso del sacramento degli infermi? Un Sacramento che agisce automaticamente e che bisogna dare a tutti i costi, anche contro voglia o quando il malato non capisce più niente? O è l’espressione della volontà della Chiesa che vuole fare tutto il possibile per il bene del malato e prega Dio per la sua salute e per la sua salvezza? ( Cfr Rituale, introduzione, n. 5 ).

 

Bibliografia essenziale

 

AA.VV. Diaconia della carità nella pastorale della Chiesa locale, Gregoriana, Padova, 1988.

T.Goffi e G. Piana, Corso di morale, 5 volumi, Queriniana, Brescia, 1983

T.C. Larchet, Teologia della malattia, Queriniana, Brescia, 1993

P.M.Zulehner, Teologia pastorale, 4 volumi, Queriniana, Brescia, 1992

G. Pasini, La Chiesa del grembiule, in: RELIGIONE E SCUOLA, Queriniana, Brescia, n. 5, Mag/Giu 1994, pagg. 3-13.

 

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